ANNI 60/70/80

cos'è rimasto?

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Shaded
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Pubblicità Coca Cola anni 80

     
    Top
    .
  2. Shaded
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Canzoni Anni 80
     
    Top
    .
  3. Shaded
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    image
     
    Top
    .
  4. pippicalzearete
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    image

    quando servivano....non c'erano mai
     
    Top
    .
  5. Shaded
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    giradischi anni 60
    image
     
    Top
    .
  6. pippicalzearete
        +1   -1
     
    .

    User deleted


     
    Top
    .
  7. pippicalzearete
        +1   -1
     
    .

    User deleted




    dallas e dynasty.............


    Jr....maròòòòòòòòòòòòòòòòòòò
     
    Top
    .
  8.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    IO SONO E SARO' SEMPRE ME STESSO !!!

    Group
    Founder
    Posts
    42,884
    Reputation
    +6,341
    Location
    Provengo da dove le persone si sanno fare i cazzi Propri!!!

    Status
    Offline
    image
     
    Top
    .
  9. ^Vampiretta^
        +1   -1
     
    .

    User deleted


     
    Top
    .
  10. ^FABIO^
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    image

    trombate ke è meglio

    fare la guerra è da impotenti

    ekko kosa lasciano kuegli anni
     
    Top
    .
  11. pinca_pallina
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    penso ke ciò ke manki di quegli anni sia il modo di amare,di corteggiare e di far sentire una donna importante...............da ciò ke vedo e ke sento una volta la donna faceva la donna e l'uomo l'uomo....oggi è un gran casotto
     
    Top
    .
  12. Ciony
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    beh è rimasto che in alcuni locali ancora mettono delle canzoni mixate per ballarne.. oppure durante il revaivol fanno una bella carrellata di musiche anni 60/70 misto dance/latino .. e ci si diverte a ballarle :)
    poi secondo me, è rimasto che, alcuni amano ancora scrivere a mano una lettere più che mandare un sms o e-mail..
    poi purtroppo non c'è + la pace di quel tempo.. non c'è + la galanteria di un tempo, quello manca.. ed è rimasto solo in quei anni purtroppo..
     
    Top
    .
  13. pippicalzearete
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    image

    STUDIO 54 - La regina delle discoteche


    Era l’Ottava meraviglia del Mondo. Una mecca di folli e di magia. La Camelot del popolo scintillante e dei paparazzi. Al numero 254 Ovest della Cinquantaquattresima Strada a Manhattan, tra la Settima e l’Ottava Avenue era situato il locale di cui per tre anni si è più parlato e scritto al mondo. Quello che ha fatto più scandalo. Perché tutti volevano andare allo Studio 54.

    La gente lo scopriva dai giornali che mostravano le foto dell’interminabile corteo di celebrità che sfilavano attraverso quel vestibolo ricoperto di tappeti, delimitato da alberi di fico alti sei metri. Sentiva parlare dai baccanali orgiastici che un pubblico in preda alle droghe inscenava nelle zone riservate del locale, e dei favolosi megaparty a tema. La ciliegina sulla torta? Tutto ciò succedeva al pulsante ipnotico, elettrizzante e carezzevole della più potente e orgogliosa disco music. Se La febbre del Sabato Sera è stato il film epitome dell’intera epoca disco, lo Studio 54 è stato lo stesso a livello di club. In realtà, nonostante la bravura del deejay fisso Richie Kaczor, per i ballerini più accaniti c’erano posti migliori dove andare a passare la notte, illuminati da impianti luci impressionanti, come quelli del 12 West, dell’Infinity o dell’Ice Palace, per esempio. Ma lo Studio 54 era la Bengodi per la crème de la crème, per gli hipster più estremi, per i cacciatori di star, per i voyeur, per i mondani a tutti i costi. Non era mai successo prima - e non sarebbe più successo - che superstar e gente comune si mescolassero in un simile armonioso accordo sull’altare della disco music. Perché una volta superate le famigerate transenne di velluto e traversate le imponenti porte d’ingresso, il tempo si fermava. Eri giovane per sempre e, nonostante il famoso adagio, domani non era un altro giorno, ma era sempre il perpetuo, favoloso presente.

    Tutto era cominciato con Steve Rubell, figlio di un impiegato delle poste di Brooklyn che arrotondava facendo il maestro di tennis. Rubell - pelle olivastra e occhi scuri - diventò a sua volta un tennista “classificato” per compiacere il padre, ma non ebbe mai passione per questo sport, come non amava i corsi di economia che seguiva alla Syracuse University. Nel ‘71 Steve ottenne il suo primo lavoro dirigendo un ufficio di mediazioni finanziarie a Wall Street, ma nemmeno qui si trovò a suo agio e finì per mollare. A quel punto si fece prestare 13.000 dollari dagli sconcertati genitori e aprì una bisteccheria a Rockville Center, Long Island. Suo partner nell’impresa era l’agente immobiliare Ian Schrager con cui Rubell aveva familiarizzato all’università, dopo che aveva scoperto che era cresciuto nella sua stessa zona a Brooklyn. Nel 1974 il duo guidava già quattro ristoranti, ma la cosa non bastava all’inquieto Rubell che voleva qualcosa di più dalla vita. Così i due decisero di trasformare uno dei loro Steak Loft - quello di Douglaston, nel Queens - in una discoteca chiamata Enchanted Garden, nella speranza di sfruttare la voga disco che si stava diffondendo. Ma i rumori molesti prodotti dal locale sollevarono le proteste degli abitanti dei dintorni e il locale fu presto costretto a chiudere. Ormai comunque era troppo tardi: Rubell era stato punto e contagiato dall’insetto della disco. Nel frattempo a Manhattan prendevano forma gli eventi che avrebbero avuto stupefacenti effetti sulla sua vita. Uva Harden, un indossatore proveniente da Amburgo, aveva sempre sognato di aprire un club capace di scioccare la Grande Mela. Dopo aver sposato l’attrice Barbara Carrera, aveva scovato un edificio vuoto sulla Cinquantaquattresima Strada, perfetto per il suo progetto.

    Lo stabile era stato costruito nel 1927 e aveva funzionato durante la Grande Depressione come San Carlo Opera House, era stato poi convertito durante gli anni Trenta nel teatro-ristorante Casino de Paris e infine trasformato in teatro di posa televisivo della CBS nel decennio successivo. I seguitissimi spettacoli What’s My Line?, The $64.000 Question e Captain Kangaroo erano stati tutti realizzati in quello che allora era chiamato Studio 54, dal numero civico di un ingresso situato sulla Cinquantaquattresima Strada. Quando la CBS si trasferì a Hollywood, l’edificio finì in stato di abbandono, finché Harden non lo affittò nel 1976, cominciando a darsi da fare per trasformarlo in una discoteca. Finito però rapidamente a corto dei fondi necessari per finanziare l’impresa Harden, in preda al panico, si rivolse all’amica Carmen D’Alessio, una promoter di party. La D’Alessio presentò Harden a Rubell e Schrager, che aveva conosciuto quando i due l’avevano ingaggiata per lanciare una festa a tema all’Enchanted Garden. Dopo una lunga contrattazione Harden fu liquidato da Rubell e Schrager, che riuscirono a mettere insieme i 400.000 dollari necessari all’investimento, divisi in tre quote, una delle quali detenuta dal loro “socio silenzioso”, il magnate del commercio Jack Dushey. Lo Studio 54 fu concepito e progettato in sei settimane dal gay Rubell e dall’etero Schrager perché diventasse il più esclusivo e affascinante night-club di tutti i tempi. L’arredamento barocco degli interni originali fu salvato, restaurato e abbellito.

    I 1.800 metri quadrati della pista da ballo vennero bombardati da uno spiegamento di 54 differenti effetti luce, fiamme di stoffa svolazzanti, strisce di alluminio che ondeggiavano, neon rotanti, luci stroboscopiche e torri di riflettori colorati che diffondevano luci intermittenti e che si alzavano e si abbassavano sui mille ballerini che potevano accalcarsi sulla pista. Bufere di neve sintetica investivano l’intero spazio e palloni di varie fogge e dimensioni venivano lanciati in momenti prestabiliti. Il celebre Uomo sulla Luna veniva fatto scendere all’acme dalla frenesia notturna per offrire ai presenti lo scintillante contenuto di un cucchiaino d’argento. Tutto era un perfetto esempio di come Rubell si prendesse gioco delle convenzioni, esibendo al mondo i peccatucci illegali consentiti tra le pareti di un club esclusivo. Un’ardita strategia che avrebbe provocato la distruzione dell’impresa, ma che all’inizio costituì un gioco rischioso ed eccitante. La discoteca fu inaugurata la gelida sera del 26 aprile 1977 e sconvolse immediatamente il mondo dei night-club. Non era un locale qualsiasi: l’aura incandescente che lo circondava e la sua eccentrica collocazione nel cuore della cultura pop fecero subito apparire lo Studio 54 come qualcosa di speciale. Era la prima volta che le foto di personaggi celebri apparivano sulle prime pagine dei giornali per nessun’altra ragione che per quella di aver passato la notte al “54″.

    L’immagine di Bianca Jagger che galoppava su uno stallone bianco all’interno del club in occasione del suo party di compleanno fu solo la prima di una serie di sbalorditive istantanee che la gente comune divorava, sognando di potersi un giorno spingersi tra le sacre mura di quel santuario. Non era facile. Lo Studio 54 fu la prima discoteca a promuovere l’odiatissima politica della selezione all’ingresso. Il fatto di andare lì con in tasca i dieci dollari del biglietto non significava automaticamente che si fosse sicuri di entrare. Di certo si doveva sostare dietro quelle intimidatorie transenne di velluto, mentre il gran capo dei buttafuori Marc Benecke, o il suo vice Al Corley (futura star di Dinasty e cantante HI-NRG di Square Rooms), decideva se eri abbastanza bello, abbastanza oltraggioso o abbastanza famoso per essere ammesso. Rubell chiamava questa procedura “pulire l’insalata”. Non voleva che nessun gruppo fosse prevalente all’interno della pista da ballo e aveva istruito il personale alla porta affinché venisse introdotta una quantità equilibrata di neri, travestiti, celebrità, gente normale, modelle, gente dei sobborghi, sballati e anziani. Se ti chiamavi Andy Warhol, Liza Minnelli, Truman Capote, Halston, Calvin Klein e Diana Ross, l’ingresso era automatico. Ma le transenne di velluto si aprivano come il mar rosso di fronte a Mosé anche se eri uno di quei tipi fantastici con un proprio stile inimitabile come Disco Sally, il settantottenne ex avvocato che era anche un ottimo ballerino di hustle. O come Potassa, il travestito spagnolo, o la Rollerina la stella dei pattini. Tutti gli altri - “la gente grigia”, secondo la definizione di Rubell - dovevano mettersi in fila e sperare. Non ti sei sbarbato? Te lo puoi scordare! Indossi un coordinato in poliestere? Vattene e non tornare più! Durante una storica notte fu rifiutato l’ingresso persino a Cher. Rubell sapeva che non si rendeva esclusivo il club, più la gente avrebbe fatto follie per entrare. Sapeva anche che la folla ammucchiata fuori dal locale era parte integrante della messinscena disco, né più né meno dello spettacolo d’élite all’interno.

    Uno scenario da incubo che venne stilizzato ironicamente da Dario, Can You Get Me into Studio 54? la canzone di Kid Creole and the Coconuts, di cui uscì anche una cover di D’ANA and Gene. Si racconta di coppie costrette a separarsi, nell’impossibilità di entrare insieme. Perfino due in viaggio di nozze, arrivati alla porta si sentirono dire che solo l’uomo poteva entrare. E lui lasciò la mogliettina fuori al freddo! Quel che è peggio, lei rimase ad aspettarlo all’uscita. Certi buttafuori abusavano del loro potere in modo fascista; come la volta in cui due ragazze furono costrette a spogliarsi in pieno inverno e dovettero essere ricoverate in ospedale coi capezzoli congelati. Furono intentate cause contro i buttafuori da parte di banchieri di Wall Street inferociti perché gli era stato negato il permesso di entrare. Alcuni si arrampicavano sui muri degli edifici vicini per sgattaiolare dentro attraverso i lucernari. Qualcuno cercò di penetrare attraverso un condotto d’aria, vi rimase incastrato e fu rinvenuto cadavere qualche settimana più tardi, dopo che la puzza per la decomposizione aveva invaso l’edificio. La plebe disco moriva letteralmente dalla voglia di entrare. Tutto il fenomeno venne alla fine ridicolizzato dai suoi stessi inventori, quando il club entrò nel mercato dell’abbigliamento, pubblicizzando una linea di jeans con lo slogan “Non tutti possono entrarci”.

    Ma una volta entrati nel Sancta Sanctorum, si era parte alla più esclusiva serata del mondo. Avevate superato la prova di iniziazione del Guardiano della Porta, avevate spalancato il Sipario di Velluto e volevate che tutti gli altri adepti lo sapessero. E se non eravate esattamente dello spirito adatto per partecipare a un’orgia degna degli antichi romani, Rubell era pronto a mettervi a disposizione gli omaggi della casa per trasformare la serata in uno schianto. Qualunque fosse il vostro vizio il maître del locale era pronto a soddisfarlo. Droghe? Potevate scegliere tra quaalude, marijuana, hashish, polvere degli angeli, eroina e cocaina. “Assaggia la coca…” - nel ‘77 tutti erano convinti non desse assuefazione… Sesso? O rimorchiavi uno sconosciuto in pista (bastava dire “ciao!” a qualcuno per avere libero accesso alla sua cerniera lampo), oppure chiedevi a uno dei ragazzi del bar - gay, eterosessuali o bisex, nudi fino alla cintola - di accompagnarti nella zona della balconata dove potevi farlo nella penombra, continuando ad ammirare lo spettacolare fermento giù nella pista. Potevi fare come i personaggi celebri e accomodarti nel seminterrato, sempre sottoposto a stretta vigilanza, dove non c’era pericolo di essere disturbati da occhi indiscreti o da fotografi camuffati. Rubell sapeva che nel progetto Studio 54 il sesso aveva la stessa importanza dell’impianto luci e faceva di tutto per incoraggiarlo. Persino nei gabinetti, dove potevi fottere o farti fottere sul water in tutta tranquillità.

    Lo Studio 54 diventò famoso anche per i suoi party a tema. Non c’era limite a quanto erano disposti a spendere Rubell e Schrager per trasformare il loro club in un ambiente totalmente diverso. Ci fu una notte in chiave Folies Bergère, completa di motociclisti acrobati e trapezisti seminudi. Ci fu una serata in cui quelli che riuscivano a entrare venivano accolti da venti violinisti che suonavano una serenata a chiunque sbucasse dal corridoio. Una volta, in occasione della festa di compleanno di Tina Chow, moglie del ristoratore Michael Chow, lo spazio fu trasformato in una strada di Shangai. Per non parlare delle serate di gala in cui si esibivano Grace Jones, il travestito Angel Jack o il balletto gay. O la festa per la première di Grease. Nessuno sapeva che cosa avrebbe ancora escogitato Rubell e fin dove si sarebbe spinto per continuare a stupire i suoi ospiti. Un carnevale di Rio, un luau hawaiiano, un safari africano? Tutto ciò che faceva parte del fascino cool del posto, che trasformava lo Studio 54 in una sorta di “fantasyland” felliniana dove rifugiarsi lasciandosi alle spalle, dietro le porte girevoli del locale, lo sconcertante paesaggio anni Settanta. Tutti sapevano che non poteva durare. Era troppo meraviglioso, troppo esagerato e troppo illegale. Le prime avvisaglie dell’incombente disastro si ebbero con la rivelazione che lo Studio 54 non aveva una licenza permanente per gli alcolici. Ogni santo giorno Rubell doveva richiedere una licenza provvisoria di ventiquattr’ore, procedura che costituiva già di per sé una flagrante violazione della legge.

    Ma un giorno Rubell semplicemente si dimenticò di avviare la trafila e gli fu immediatamente proibito di vendere alcol all’interno del locale, gettando nello sconforto la clientela del locale. Dopo aver chiesto aiuto ad alcuni dei personaggi influenti che frequentavano lo Studio, il bellicoso avvocato di Rubell, Roy Cohn, trovò un giudice disposto a lasciar cadere l’ordinanza. Ma da quel momento in poi le autorità cominciarono a tenere d’occhio il locale. Non dovettero attendere molto prima che Rubell incappasse in un’altra gaffe, causata principalmente dalla sua arroganza. In un’intervista al New York Magazine Rubell arrivò infatti a dichiarare: “I profitti del club sono astronomici. Solo quelli della Mafia ci superano!”. La cosa attirò l’attenzione di Frank Trattolillio della divisione criminale dell’Erario, e, in coincidenza con una denuncia per evasione fiscale la parte di un ex-dipendente, fu emesso un mandato di perquisizione firmato dal pubblico ministero Peter Sudler. Il raid allo Studio 54 ebbe luogo alle 9.30 di mattina del 14 dicembre 1978. Quaranta agenti perquisirono il locale sotto lo sguardo sconcertato dei dipendenti riuniti in attesa di ricevere la paga. Furono rinvenuti doppi libri contabili e sacchi pieni di denaro nascosti dappertutto. A Schrager fu trovata una busta di cocaina nel borsello e sia lui che Rubell vennero arrestati. Neppure la diabolica astuzia di Cohn poté salvarli quando si scoprì che non avevano denunciato più di un terzo degli introiti, pagando soltanto 8.000 dollari di tasse sul reddito per l’intero 1977. Dopo una richiesta di patteggiamento sul procedimento per frode fiscale, l’imputazione a Schrager per detenzione di cocaina fu lasciata cadere e i due furono condannati a tre anni e mezzo di detenzione. Le autorità ritennero infatti che era necessario dare un esempio di severità, per mettere in guardia dalle trasgressioni gli altri proprietari di discoteche. il primo febbraio 1980 Rubell e Schrager furono incarcerati al Metropolitan Correctional Centre - naturalmente dopo una favolosa festa intitolata Going-Away-To-Prison (partendo per la prigione) allo Studio 54. Anche i proprietari erano dietro le sbarre, almeno per un pò gli affari continuarono ad andare avanti.

    Ma dopo il 28 febbraio 1980, scaduta la licenza, il club rimase chiuso per quindici mesi. Ormai in brutte acque finanziarie, Rubell fu costretto a vendere il locale e dalla prigione Rubell ne contrattò la cessione all’albergatore Mark Fleischman, per cinque milioni di dollari più il pagamento delle tasse arretrate del club. Fleischman divenne così il nuovo proprietario dello Studio 54, mantenendo Rubell e Schrager nel ruolo di consulenti. Trasferiti alla Maxwell Airforce Base in Alabama per scontare la pena, Rubell e Schrager furono liberati il 21 gennaio 1981, dopo aver passato in carcere meno di un anno, anche perché avevano collaborato con le autorità, fornendo informazioni sulla gestione di altre discoteche, in particolare su Maurice Brahms, il proprietario del club rivale New York New York. Il ritorno alla bagarre del mondo discotecaro fu duro per entrambi. Gli ex componenti di quello che era stato soprannominato il “duo cosmico” si ritrovavano ora come due semplici stipendiati, per di più evitati da tutti, dal momento che la gente temeva di venire compromessa dalla loro cattiva reputazione. Inoltre il movimento “Disco Sucks” guadagnava terreno, in città il punk era ormai fenomeno di tendenza, l’Aids cominciava a manifestarsi in forme allarmanti, i nottambuli - ormai esausti - se ne stavano a casa e c’erano chiari segni di rottura nella cultura popolare, che stava prendendo rapidamente le distanze dallo spavaldo edonismo anni Settanta. Inizialmente lo Studio 54 continuò ad essere affollato. La gente ci andava spinta dalla curiosità e perché, dato che ormai era solo un business e non più uno stile di vita, tutti potevano entrare.

    Ben presto l’alone di magia sparì, le celebrità smisero di frequentarlo e gli anni Ottanta ne sbiadirono il lustro. Un numero sterminato di procedimenti legali lasciava chiaramente intendere che il club non sarebbe durato a lungo. E la chiusura arrivò poco dopo che Fleischman lo cedette in gestione a un altro consorzio, a sua volta convinto di poterne ancora sfruttare il nome. Tre mesi più tardi lo Studio 54 non esisteva più. Rubell e Schrager tentarono di ricreare l’atmosfera e la mistica dello Studio 54 al Palladium, che aprì i battenti nel 1985. Ma l’operazione non riuscì. Ormai per i frequentatori dei club mainstream l’era disco era tramontata e a quel punto i due imprenditori pensarono bene di riciclarsi nel nascente mercato dell’industria alberghiera. Grazie all’aiuto e all’esperienza di Fleischman aprirono a New York una serie di Hotel alla moda, come il Morgans e il Royalton. Ma il 25 luglio 1989 Rubell morì di Aids a soli quarantacinque anni. La sua pietra tombale reca la scritta “The Quintessential New Yorker” e i partecipanti al suo funerale passarono tra due transenne di velluto accuratamente presidiate. Schrager è attivo ancora oggi nell’industria alberghiera. Lo Studio 54 è stato il punto più alto del mondo disco, un colossale fuoco d’artificio che ha reso incandescente il cielo di Manhattan prima di esaurirsi nel bagliore ipocrita dei riflettori di quegli stessi media che tanto avevano fatto per crearlo. Come suo epitaffio rimangono la discoteca a tema che porta il suo stesso nome a Las Vegas, alcuni versi sparsi di canzoni popolari dell’epoca (Fashion Pack di Amanda Lear, Le Freak di Chic), Il libro The Last Party di Anthony Haden Guest e il film Studio 54. Ma per coloro che tra quelle mura hanno ballato, ansimato e sudato, che là si sono stravolti e hanno fatto sesso, il “54″ resta soprattutto un’esperienza indimenticabile. Il punto d’origine di un’infinità di leggende disco urbane.
     
    Top
    .
  14.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Un insieme di emozioni, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

    Group
    Member
    Posts
    49,070
    Reputation
    0
    Location
    Dal centro dei tuoi occhi

    Status
    Anonymous
    Mamma mia che anni bellissimi..............
    A me quello che piaceva di quegli anni erano i film di Gianni Morandi e la moglie
     
    Top
    .
  15. pippicalzearete
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    la vespa....c'è stata e c'è ancora

    image
     
    Top
    .
1191 replies since 10/10/2008, 22:32   8829 views
  Share  
.
Top
Top