VITE STRAORDINARIE: Indimenticabili

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    Marilyn Monroe


    Marilyn Monroe nasce il giorno 1 giugno 1926 alle 9,30 presso il General Hospital di Los Angeles come Norma Jeane Baker Mortenson. La madre è una donna affetta da gravi disturbi mentali, che la costringono a frequenti ricoveri in un ospedale psichiatrico.

    La piccola Norma, non ancora Marilyn, trascorre un'infanzia assai travagliata. Ovviamente le condizioni della madre non consentiva a quest'ultima di prendersi cura della bambina, costretta invece a subire continui affidamenti a famiglie sconosciute, se non a essere "depositata" presso vari orfanotrofi. In questa situazione di sostanziale isolamento affettivo, Marilyn cerca un punto di appoggio sicuro, una certezza e una guida, desiderio che la porta a sposarsi a soli sedici anni con il ventunenne James Dougherty. Il legame evidentemente è prematuro e infatti da lì a poco i due si separano e il matrimonio fallisce.

    Prima di questo infausto avvenimento devono però succedere ancora parecchie cose. Una di queste riguarda il suo timido ingresso nel mondo della carta stampata. Tutto accade per caso e in un luogo che non ci si aspetterebbe mai. Infatti, Marilyn a quel tempo aveva trovato un lavoro presso un'industria aeronautica produttrice di paracaduti quando il fotografo David Conover, impegnato a documentare il lavoro femminile nel periodo bellico, la nota e la convince a intraprendere la carriera di modella e ad iscriversi ad una scuola specializzata. Deve decidere in fretta e in completa solitudine dato che il marito in quel momento svolgeva servizio presso la Marina militare e si trovava assai lontano da casa. Come ormai ben sappiamo, Marilyn accetta il lavoro che le cambierà il destino.

    Da quel momento in poi, sotto la guida di un altro fotografo, Andrè de Denes, conquista le copertine delle riviste, finché viene notata dalla Fox e le si aprono le porte di Hollywood. A vent'anni, nel 1946, divorzia, si schiarisce i capelli e si cambia il nome in Marilyn Monroe (Monroe è il cognome da nubile della madre): è la metamorfosi radicale che la porterà a divenire forse il sex-symbol del 20° secolo.

    La sua carriera di attrice inizia con parti da comparsa ("Ladies of the chorus" del 1949, "LoveHappy" sempre del 1949 con i Marx Brothers, etc.), poi conquista piccole, ma significative, parti che la lanciano nel firmamento del cinema: nel 1950 in "Giungla d'asfalto" e in "Eva contro Eva", nel 1952 con Cary Grant e Ginger Rogers in "Monkeys Business" e altri ancora.

    Nel 1952 ottiene il suo primo ruolo da protagonista, nei panni di una babysitter psicolabile in "La tua bocca brucia" e nel '53 con "Niagara", al fianco di Joseph Cotten, ottiene il successo mondiale.
    Nel 1953 gira ancora "Come sposare un milionario" e "Gli uomini preferiscono le bionde", con i quali si conferma una delle star più amate dal pubblico. Seguono clamorosi successi come "La magnifica preda" del 1954 e "Quando la moglie è in vacanza" in cui Billy Wilder le affida la parte della svampita inquilina del piano di sopra.
    Nel 1954 Marilyn sposa il famoso giocatore di baseball, Joe Di Maggio, da cui divorzia nel giro di un anno. Il fallimento anche di questa relazione le lascia dentro una ferita profonda e incancellabile, la prima di una serie che saranno destinate ad allargare sempre di più la sua sensazione di sconforto e di sostanziale solitudine. Dopo la separazione col campione Di Maggio, si trasferisce a New York per studiare all'Actor's Studio, un impegno che sembra rigenerarla e farle momentaneamente dimenticare i suoi travagli interiori.

    Conosce l'affermato commediografo, Arthur Miller, un intellettuale affascinante che poteva vantare la rappresentazione delle sue commedie in tutto il mondo (far cui la celeberrima "Un tram chiamato desiderio", testo originale di Tennessee Williams). E' il colpo di fulmine. Marilyn ha l'illusione di aver finalmente trovato l'uomo della sua vita e i due si sposano nel 1956. L'anno dopo fonda, con l'amico fotografo Milton Green, la sua casa di produzione cinematografica, la Marilyn Monroe Productions, con cui gira "Il Principe e la ballerina" al fianco di Laurence Olivier. E' il primo e unico film della sua casa di produzione, dato che al botteghino la pellicola è un autentico fiasco. Come attrice, invece, si risolleva giusto due anni dopo con l'esilarante commedia, sempre del genio Billy Wilder, "A qualcuno piace caldo". Anche in questo caso, il personaggio da lei interpretato si stampa indelebilmente nella mente degli spettatori.

    La relazione con Miller, ad ogni modo, traballa. Le tentazioni, poi, sono dietro l'angolo. In questo caso, la nuova fiamma della passione si chiama Yves Montand con cui nel 1960 gira "Facciamo l'amore". Il loro flirt è breve, intenso e soprattutto materia infuocata di gossip e pettegolezzi. Nel 1962 Marilyn riceve il Golden Globe come migliore attrice: è la conferma mondiale delle sue capacità, un misto di carisma e di appeal. In questo periodo, fra l'altro, izia la relazione segreta con il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy e con il fratello Robert.

    Ma l'instabilità emotiva della diva si aggrava, forse proprio a causa delle altrettanto instabili storie d'amore in cui si getta. Qualcuno ha avanzato anche l'ipotesi che Marilyn soffrisse per l'incapacità di avere figli o per la mancanza di un amore vero. Stufa di essere considerata una dea, desiderava essere trattata semplicemente come una donna bisognosa di affetto. La conseguenza di questo tormentato stato psichico è che si rifugia nell'alcool e nei barbiturici. In breve, la situazione si aggrava: entra ed esce dalle cliniche.

    Nel 1962 esce il suo ultimo film: "Gli spostati" scritto per lei dal marito Miller e nello stesso anno divorziano. A causa dei continui ritardi, delle continue crisi isteriche, delle sbornie e dell'inaffidabilità viene licenziata dal set del film "Something got to give" e, un mese più tardi, nella notte fra il 4 e il 5 agosto 1962, viene trovata morta, apparentemente suicida, nella sua casa, per un' overdose di barbiturici, anche se molte voci hanno sempre sostenuto l'ipotesi dell'omicidio. Il mistero sulla sua morte, insomma, non è mai stato completamente svelato, ma ha sicuramente contribuito a fare entrare Marilyn nel mito.

    Nel testamento che Marilyn aveva redatto a scopo preventivo si lesse poi che l'attrice aveva lasciato il suo patrimonio (un paio di milioni di dollari) alla scuola di recitazione di Lee Strasberg, alla sua psicoanalista e alle cure per la madre malata. Venne sepolta al Westwood Memorial Park di Los Angeles. Tanto per comprendere quanto il suo mito sia ancora vivo e vegeto basti dire che nel 1999 Christie's battè all'asta per un milione di dollari il famoso vestito color carne con il quale Marilyn cantò la canzone di buon compleanno a John Fitzgerald Kennedy.

     
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  2. la sirenetta
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    RITA HAYWORTH
    Rita Hayworth, nome d'arte di Margarita Carmen Cansino (New York, 17 ottobre 1918 – New York, 14 maggio 1987), è stata un'attrice statunitense.

    Tra le più belle e seducenti donne della storia del cinema, Rita Hayworth rimane nell'immaginario collettivo come la prorompente e tentatrice Gilda, personaggio che ha portato con successo sullo schermo nell'omonimo film del 1946, ma che l'ha confinata nel ruolo stereotipato della pin-up, offuscando così le sue doti d'interprete.
    Di origini spagnole, la bella e bruna Margarita Cansino nasce a Brooklyn, New York, dove trascorre un'infanzia tutt'altro che felice. Suo padre, il celebre ballerino spagnolo Eduardo Cansino, infatti la strappa da subito ai giochi per insegnarle il flamenco e, non appena sua figlia compie dodici anni, la porta con sé in tournée.

    Notata da un talent-scout della 20th Century Fox, la giovane Rita lavora in una serie di film di poco conto, fin quando nel 1935 il produttore Harry Cohn resta colpito dalla sua bellezza latina e le procura un vantaggioso contratto con la Columbia Pictures, cambiandole il nome in Rita Hayworth.

    Il look di Rita viene rielaborato grazie soprattutto a un drastico intervento di carattere estetico: per ovviare all'attaccatura di capelli molto bassa sulla fronte e sulle tempie, la Hayworth deve sottoporsi a dolorose sedute di elettrolisi per eliminare l'antiestetico problema. La sua folta capigliatura viene poi trasformata dal bruno al rosso, e questa nuova colorazione, unita al naturale fascino latino e al fisico armonioso e atletico dell'attrice, viene subito messa in risalto in una serie di film di successo.

    La Hayworth affianca i maggiori divi dell'epoca in film di diverso genere, da James Cagney nella commedia Bionda fragola (The Strawberry Blonde, 1941) - a Tyrone Power nel dramma sentimentale Sangue e arena (Blood and Sand, 1941) - cimentandosi anche nel musical - come in Non sei mai stata così bella (You Were Never Lovelier, 1942), accanto a Fred Astaire, e in Fascino (Cover Girl, 1944), al fianco di Gene Kelly.

    Sul fronte privato, dopo un primo matrimonio di convenienza con Edward C. Judson, l'attrice nel frattempo si è innamorata del regista Orson Welles, che sposa nel 1943 e da cui avrà nel 1944 la figlia Rebecca. Il matrimonio durerà cinque anni e, nonostante un riuscito film girato insieme - La signora di Shanghai (The Lady from Shanghai) (1948), in cui l'attrice sorprende il pubblico nei panni di una insolitamente bionda femme fatale - i due divorzieranno nel 1948.

    Dopo essere diventata un simbolo per i soldati americani al fronte durante la seconda guerra mondiale, la fiammeggiante Rita Hayworth ottiene il suo più grande trionfo sullo schermo, interpretando la sensuale protagonista del film noir Gilda (1946) di Charles Vidor, accanto al suo storico partner Glenn Ford, in cui l'attrice è al massimo della sua provocante sensualità, messa in risalto in celebri numeri musicali come Put the Blame on Mame e Amado mio. Il boss della Columbia, Harry Cohn, era follemente geloso di lei, tanto da tappezzare il suo camerino di microfoni nascosti, nel timore che tra lei e Glenn Ford potesse nascere una relazione. Solo molti anni più tardi, dopo la morte della Hayworth, Glenn confessò che la relazione c'era effettivamente stata all'epoca del film, quando lei era ancora ufficialmente sposata con Orson Welles.

    Divenuta ormai una star, la Hayworth viene soprannominata la "Dea dell'amore" e la sua immagine viene incollata sulla bomba atomica sperimentale lanciata sull'atollo di Bikini, per cui si merita anche l'appellativo di "atomica", ma nelle sue interpretazioni dimostra ormai anche intense e notevoli doti drammatiche. È per questo che Cohn le destina la parte di protagonista nel prossimo film Lona Hanson, un soggetto scritto espressamente per lei da Thomas Savage. Con grande sorpresa di tutti, la diva rifiuta e il tiranno della Columbia dà alle stampe la sua versione dei fatti, lamentando come per il capriccio di un'attrice abbia dovuto licenziare maestranze e comprimari già ingaggiati per il film. La Hayworth viene sospesa dal contratto, con il benestare di tutta l'opinione pubblica.

    Dopo il divorzio da Welles e la sospensione della Columbia, Rita Hayworth è essenzialmente una donna fragile e alla costante ricerca di un uomo che si prenda davvero cura di lei. Sembra trovarlo nel principe Ali Khan, che sposa in Francia nel 1949 nonostante le pratiche del divorzio di lui fossero ancora in corso. Le loro nozze pertanto vengono deplorate dal papa in persona, che fa anche notare che Rita, cattolica, sposando il figlio di uno dei capi spirituali dell'Islam, è da considerarsi scomunicata. Perseguitata dalla stampa e dal pubblico benpensante con lo stesso accanimento riservato alcuni anni prima a Ingrid Bergman in occasione della sua unione con Rossellini, Rita abbandona temporaneamente il cinema, trasferendosi in Pakistan. Non si fa piegare dalle critiche più velenose né dalle minacce di Cohn che esige che Rita torni a onorare il contratto con la Columbia, e dal 1949 al 1951 svolge esclusivamente il ruolo di moglie e di madre della adorata figlia Yasmin, nata nel dicembre 1949.
    Anche questa relazione tuttavia, al centro delle cronache mondane dell'epoca, si rivela un fallimento e finisce con il divorzio nel 1953. Ali Khan morirà sette anni più tardi in un incidente automobilistico.

    Rita, in difficoltà economiche, è costretta a tornare a bussare alla porta di Cohn. Trinidad, il primo film interpretato dopo il rientro, non sortisce gli effetti previsti e, quasi per un effetto di contrappasso, le parti che le verranno offerte d'ora in poi saranno quasi sempre quelle di prostitute, di donne alcolizzate, dalla bellezza sfiorita. Ad esempio, nel melodramma Pioggia (Miss Sadie Thompson), (1953), la Hayworth interpreta il ruolo di una prostituta sulla difficile via della redenzione, e anche se alla stampa dichiara di essere felice di interpretare donne autentiche, senza trucco, con le rughe e i segni della decadenza fisica, il suo percorso professionale è ora più che mai difficile.

    Negli anni seguenti avrà altri ruoli dignitosi, come quello in Pal Joey (1957) accanto a Frank Sinatra e in Tavole separate (1958) accanto a Burt Lancaster, ma negli anni sessanta ci saranno solo apparizioni di secondo piano. Anche la sua vita privata non sarà delle più felici: due matrimoni travagliati (uno col cantante Dick Haymes, e l'altro col regista James Hill) e una sempre crescente dipendenza dagli alcolici faranno di lei una delle donne più scostanti, visionarie e lunatiche del mondo del cinema.

    Sul finire degli anni sessanta l'attrice mostra i primi segnali del morbo di Alzheimer, malattia che però non le viene diagnosticata ufficialmente fino al 1980. La figlia Yasmin le rimane accanto fino a quando si spegne in un ospedale di New York nel maggio del 1987, all'età di sessantotto anni.
     
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    Katharine Hepburn

    La famosa attrice americana, nata il 12 maggio del 1907 ad Hartford, nel Connecticut, ha formato, accanto a Spencer Tracy, una delle coppie più amate e più in sintonia della storia del cinema (un sodalizio professionale durato venticinque anni, dal 1942 al 1967).

    L'artista ebbe la fortuna di provenire da una famiglia assai agiata, che ha agevolato e incentivato le sue inclinazioni: il padre era infatti uno dei più famosi urologi americani mentre la madre, cugina di un ambasciatore, fu una delle cosiddette "suffragette", nomignolo affibbiato alle donne che lottavano per l'affermazione dei diritti femminili (all'epoca, infatti, il gentil sesso non usufruiva neppure dell'elementare diritto di voto). Dunque, possiamo ben dire che la madre era una donna all'avanguardia, molto colta e capace di autonomia critica. Ciò significa che era anche in grado di capire e comprendere la figlia nelle sue passioni e di seguirla in attività che potevano apparire velleitarie (come spesso succede nelle famiglie benestanti e no).

    Purtroppo, un trauma non da poco segna la futura e già sensibile attrice, ossia il suicidio del fratello, che si tolse la vita per motivi mai chiariti. Non solo non lasciò praticamente nulla di scritto che potesse giustificare il suo gesto, ma non diede neanche segnali che potessero far sospettare la scelta di una decisione così estrema. Così, questa improvvisa scomparsa peserà sempre come un macigno nell'animo della Hepburn.


    Dal canto suo, la piccola Katharine comincia a recitare già in tenera età e proprio negli spettacoli "femministi" organizzati dalla madre. Pur coltivando un animo sensibile e introspettivo, molto profondo e maturo rispetto alla media dei suoi coetanei, la corteccia caratteriale che la distingue è forte e determinata, con punte che potevano arrivare all'asprezza.
    Insomma, tutto fa pensare che la ragazzina abbia un carattere aggressivo, mentre in realtà dentro è una donna dolce e con le fragilità di tutti. Tuttavia, quella dose di aggressività che riusciva a far emergere durante la preparazione delle rappresentazioni l'aiutarono non poco nel mondo dello spettacolo. Da buona figlia appartenente all'upper-class, non trascura comunque gli studi e si laurea al Bryn Mawr, college frequentato appunto dai rampolli dell'alta società.

    A ventiquattro anni sposa l'agente di cambio Ludlow Smith dal quale però divorzia dopo soli cinque anni. Anche in campo professionale le cose non vanno molto meglio: le prime esperienze sono fallimentari, la futura diva non riesce a far emergere il suo talento. Oppure, semplicemente non era sufficientemente apprezzata e capita da chi le stava intorno: non lo sapremo mai.
    E' un inizio di carriera che la vede impegnata più che altro a teatro, con spettacoli contrassegnati da alti e bassi.
    Sta di fatto che però giusto un anno prima della separazione col marito, nel 1932, arriva il primo riconoscimento, quello che la vede protagonista in "Febbre di vivere", accanto ad un altrettanto validissimo John Barrymore, negli anni Trenta un divo a tutti gli effetti.

    Come si suol dire, sono io primi squilli di tromba che salutano una carriera in ascesa.
    Ma quel film è fortunato anche per un altro motivo: sul set incontra un certo George Cukor, un vero mago della macchina da presa, un professionista di ferro che sarà il regista cardine di quasi tutta la sua produzione, accompagnandola per tutta la carriera.

    Subito dopo, sull'onda della notorietà e con la frenesia, da parte dei produttori, di battere il "ferro caldo" del successo, gira "La falena d'argento", un film della RKO, la casa di produzione a cui sarà professionalmente legata fino al 1940. Il ruolo è quello romantico e un pò eroico di un'aviatrice emancipata e ribelle (quasi il ritratto della madre!) che, volendo rompere il circolo vizioso di un mondo ipocrita e condizionato da falsi valori, si lascia morire lanciandosi dal proprio bimotore.
    Questa tipologia di personaggio, un pò contro le regole e diffidente nei confronti della società ligia alle regole tradizionali la rende in breve tempo un'icona della nuova gioventù, forse non ancora del tutto ribelle ma sulla buona strada per diventarlo.

    Per tutti gli anni Trenta Katharine Hepburn sarà dunque il simbolo della ragazza moderna e spregiudicata, che non guarda in faccia a nessuno e che sa apprezzare le novità e le innovazioni del costume e della tecnologia. Un esempio classico di questa ideale incarnazione di un prototipo femminile lo offre ancora una volta nel nuovo modello di donna che riesce a creare nel personaggio di Jo (non esente da qualche punta di androginia), nel film tratto da "Piccole donne", diretto ancora una volta da Cukor. Qui siamo lontanissimi dal canone imperante di donna burrosa e remissiva in voga al tempo: viceversa, l'attrice propone un modello di persona forte che sa quello che vuole e che è in grado di rapportarsi alla pari con l'altro sesso, pur non arrivando necessariamente allo scontro ma anzi essendo anche capace di amare appasionatamete.

    Nel 1933 arriva il primo riconoscimento alla carriera con l'assegnazione dell'Oscar per il film "La gloria del mattino". Nel 1935, invece, dopo l'insuccesso inatteso de "Il Diavolo è femmina" (accanto a Cary Grant), recita e ottiene consensi in "Primo Amore". La gloria cinematografica ritorna ancora con il film "Palcoscenico" di Gregory La Cava. Nel 1938 interpreta Susanna e si rivela oltretutto pure una straordinaria attrice brillante.


    Successivamente Katharine Hepburn tornerà al suo vecchio e inizialmente poco riconoscente amore: il teatro. Dopo qualche mese passato sulle tavole del palcoscenico, agli inizi degli anni ?40 si ripresenta ad Hollywood e abbandona la RKO, dopo una serie di insuccessi commerciali che le valgono l'immeritato soprannome di "veleno del botteghino". Ma si sa: Hollywood ti incensa quando hai successo e ti seppellisce quando incontri difficoltà.

    Fortunatamente, il successo le arride nuovamente con il ruolo dell'ereditiera capricciosa in "Scandalo a Filadelfia", prodotto dalla MGM e diretto dall'amico e fidato regista Cukor. L'interpretazione è impeccabile, sofisticata, elegante e di grande stile. Il 1942 è l'anno dell'incontro con Spencer Tracy, l'uomo che rappresenterà per venticinque anni non solo lo straordinario partner artistico con cui stabilisce un'intesa perfetta, ma anche il grande amore della sua vita. Tale è l'affiatamento che nei film girati insieme si avverte in modo impressionante e anche il pubblico non può che percepirlo a pelle: questo "plus" che si offre nell'interpretazione e che emerge dalla pellicola contribuisce al successo de "La donna del giorno".

    Nel 1947 è invece la volta di un ruolo un pò anomalo, che potrebbe apparentemente sembrare un passo indietro rispetto all'immagine che l'attrice aveva dato di sè al pubblico. Intrepreta cioè in "Canto d'amore" un'eroina romantica come Clara, la moglie del "folle" musicista Robert Schumann. Il titolo fa indubbiamente pensare a svenevolezze di vario tipo, ma non bisogna comunque dimenticare che la Schumann fu pur sempre una delle donne più indipendenti del suo tempo, riuscendo ad imporre per prima alle società dei concerti la figura della donna musicista, delle grande virtuosa in competizione con i più celebri mostri sacri dello strumento (il pianoforte, in questo caso) e capace di tener testa al dominio maschile anche sul fronte della composizione (anche se le sue partiuture cominciano ad essere apprezzate solo adesso). Insomma, un altro caso di donna anomala, di mosca bianca.

    Nel 1951 eccezionale è la pellicola del film "La Regina d'Africa", girata a fianco di un grande Humphrey Bogart. Emozionante ed indimenticabile, poi, la sua Madame Venable in "Improvvisamente l'estate scorsa" di J.L. Mankiewicz.


    Quando Spencer Tracy si ammala, la Hepburn trascura il lavoro per stargli accanto. L'ultimo film che girano insieme è "Indovina chi viene a cena" che varrà alla Hepburn il secondo Oscar nel 1967 (il primo l'aveva ottenuto per "Gloria del mattino"). Poche settimane dopo Spencer Tracy muore.
    Dopo la scomparsa dell'amato compagno, la Hepburn torna sul set ancora molte volte e vince altri due Oscar: per "Il leone d'inverno" e "Sul lago dorato", che è anche l'ultimo film girato dall'attrice, nel 1981.
    Quattro Oscar vinti e dodici nomination in quasi cinquant'anni di carriera: è un record che nessun altra star ha mai registrato.

    Katharine Hepburn si è spenta il 29 giugno 2003 all'età di 96 anni.

    Di lei il celebre drammaturgo Tennesse Williams ha detto: "Kate è l'attrice sognata da ogni drammaturgo. Riempie ogni azione, ogni frammento del testo con l'intuito di un artista che sia nata soltanto per quello scopo".

     
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  4. la sirenetta
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    Maria Francesca delle Cinque Piaghe

    Anna Maria Rosa Gallo, venerata come santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe dalla Chiesa cattolica (Napoli, 25 marzo 1715 – Napoli, 6 ottobre 1791), è stata una religiosa italiana. È oggetto di una particolare devozione a Napoli dove è considerata la patrona dei Quartieri spagnoli e delle donne sterili e in gravidanza.

    Nacque nei Quartieri spagnoli di Napoli, da Francesco Gallo e da Barbara Basinsi. Il padre, che gestiva un piccolo negozio di mercerie, aveva un carattere severo ed era molto avaro e irascibile, maltrattava spesso la figlia e la moglie, costringendole a lavorare duramente. La madre invece era molto dolce, devota e paziente. Fin da bambina manifestò una grande fede, tanto che nei Quartieri era soprannominata la "santarella", sia per la sua grande devozione alla Chiesa e ai sacramenti, sia per la sua docilità nell’accettare i maltrattamenti del padre e delle sorelle, offrendo a Dio tutte le sue sofferenze per la salvezza delle anime. In quel periodo frequentava la chiesa di Santa Lucia al Monte, annessa al convento dei frati alcantarini, ed ebbe come direttore spirituale Giovanni Giuseppe della Croce, che poi sarebbe stato canonizzato, e che ne predisse già da allora la santità. Anche un altro santo, San Francesco Geronimo, quando Anna Maria Gallo aveva circa un anno, ne aveva predetto la santità.
    All'età di sedici anni, manifestò al padre il desiderio di entrare nel Terz'Ordine francescano alcantarino, ma questi, subito glielo impedì, perché l’aveva promessa in sposa a un ricco giovane che ne aveva chiesto la mano. Solo qualche tempo dopo, nel settembre 1731 il padre si lasciò persuadere da un Frate Minore francescano, Padre Teofilo, ad acconsentire che la figlia divenisse terziaria francescana.

    Anna Maria allora l'8 settembre 1731, pronunciò i voti assumendo il nome di Maria Francesca delle Cinque Piaghe, per la particolare devozione che aveva verso la Passione di Cristo, San Francesco e la Vergine Maria. Vestì l'abito religioso e continuò a vivere nella casa paterna, continuando ad essere maltrattata. Per qualche tempo fu affidata alla direzione spirituale di un prete di tendenze gianseniste che, per saggiarne la santità, le imponeva gravose penitenze, che ella accettava volentieri, aggiungendone altre volontarie.

    A 38 anni andò, insieme ad un'altra terziaria, suor Maria Felice, a fare la governante nella casa del suo direttore spirituale, il padre Giovanni Pessiri, un sacerdote molto pio che viveva al secondo piano di un antico palazzo in vico Tre Re a Toledo, dove rimase per 38 anni fino alla morte.
    Fu sepolta nella chiesa di Santa Lucia al Monte al Corso Vittorio Emanuele a Napoli. Il 6 ottobre 2001 le sue reliquie furono traslate nel santuario di Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe, ricavato nella casa di vico Tre Re dove era vissuta.
    Aveva il carisma della profezia. Predisse molti fatti poi avvenuti a persone pie e a sacerdoti che si rivolgevano a lei come guida e consigliera, come Francesco Saverio Bianchi a cui predisse la santità. Pare anche che abbia predetto, molti anni prima, l'evento della Rivoluzione francese.
    Fu stigmatizzata come San Francesco e ogni venerdì e per tutta la durata della Quaresima avvertiva i dolori della Passione di Cristo.
     
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    Nelson Mandela

    Un personaggio storico, una di quelle persone che in vita fanno già parte della leggenda, alla stregua di Mikhail Gorbaciov o Fidel Castro. Nelson Mandela infatti è il simbolo del Sud Africa, appellativo che si è conquistato in un'intera vita spesa alla lotta contro l'apartheid ed alla conquista della libertà per il suo popolo. Quello che ha sempre colpito in lui è la sua statura morale e la convinzione con cui ha vissuto la propria vita in favore degli altri.

    Figlio di un capo della tribù Thembu (e quindi, secondo il sistema di caste tribali vigente in Africa, di origini aristocratiche), Nelson Rolihlahla Mandela nasce il 18 luglio 1918. Dopo aver seguito gli studi nelle scuole sudafricane per studenti neri conseguendo la laurea in giurisprudenza, nel 1944 entra nella politica attiva diventando membro dell'ANC (African National Congress) guidando per anni campagne pacifiche contro il cosiddetto "Apartheid", ossia quel regime politico che favorisce, anche sul piano legale e giuridico, la segregazione dei negri rispetto ai bianchi.

    Del 1960 è l'episodio che segnerà per sempre la vita del leader nero. Il regime di Pretoria, durante quello che è conosciuto come "il massacro di Shaperville", elimina volontariamente e con una proditoria operazione 69 militanti dell'ANC.
    In seguito, mette al bando e fuorilegge l'intera associazione. Mandela, fortunatamente, sopravvive alla strage e riesce a fuggire. Raccolti gli altri esponenti rimasti in vita, dà vita ad una frangia militarista, decisa a rovesciare il regime e a difendere i propri diritti con le armi. Viene arrestato nel 1963 e dopo un procedimento durato nove mesi è condannato all'ergastolo.

    La più alta testimonianza dell'impegno politico e sociale di Mandela la si ritrova proprio nel discorso pronunciato di fronte ai giudici del tribunale, prima che questi pronunciassero il loro verdetto: "Sono pronto a pagare la pena anche se so quanto triste e disperata sia la situazione per un africano in un carcere di questo paese. Sono stato in queste prigioni e so quanto forte sia la discriminazione, anche dietro le mura di una prigione, contro gli africani... In ogni caso queste considerazioni non distoglieranno me né altri come me dal sentiero che ho intrapreso. Per gli uomini, la libertà nella propria terra è l'apice delle proprie aspirazioni. Niente può distogliere loro da questa meta. Più potente della paura per l'inumana vita della prigione è la rabbia per le terribili condizioni nelle quali il mio popolo è soggetto fuori dalle prigioni, in questo paese... non ho dubbi che i posteri si pronunceranno per la mia innocenza e che i criminali che dovrebbero essere portati di fronte a questa corte sono i membri del governo".

    Passano più di vent'anni e, malgrado il grande uomo sia costretto alla segregazione carceraria, lontano dagli occhi di tutti e dalle luci dell'opinione pubblica, la sua immagine e la sua statura crescono sempre di più nell'opinione pubblica e per gli osservatori internazionali.

    Il regime tiene Mandela in gattabuia ma è sempre lui il simbolo della lotta e la testa pensante della ribellione. Nel febbraio del 1985, cosciente di questo stato di cose e ben consapevole che ormai non si poteva più toccare un tale simbolo, pena la ribellione di vasti strati dell'opinione internazionale, l'allora presidente sudafricano Botha offre a Mandela la libertà purché rinneghi la guerriglia. In realtà, l'accusa di sovversione armata, l'accenno alla guerriglia appunto, è solo un modo per gettare discredito sulla figura di Mandela, prospettando il fatto che fosse di base un personaggio predisposto alla violenza. Ad ogni modo Mandela rifiuta l'offerta, decidendo di restare in carcere.

    Nel 1990 su pressioni internazionali e in seguito al mancato appoggio degli Stati Uniti al regime segregazionista, Nelson Mandela viene liberato.

    Nel 1991 è eletto presidente dell'Anc, movimento africano per la lotta all'apartheid. Nel 1993 è insignito del premio Nobel per la pace mentre l'anno dopo, durante le prime elezioni libere del suo paese (le prime elezioni in cui potevano partecipare anche i neri), viene eletto Presidente della Repubblica del Sudafrica e capo del governo. Resterà in carica fino al 1998.

    Nella sua breve vita politica ufficiale ha dovuto subire anche un'altra logorante battaglia. Trentanove case farmaceutiche intentarono un processo a Nelson Mandela portandolo in tribunale. L'accusa era quella di aver promulgato nel 1997 il "Medical Act", una legge che permetteva al Governo del Sud Africa di importare e produrre medicinali per la cura dell'Aids a prezzi sostenibili. A causa delle proteste internazionali che tale causa ha sollevato, le suddette multinazionali hanno poi deciso di desistere dal proseguire la battaglia legale.

    Sul piano della vita privata, il leader nero ha avuto tre mogli. Della prima consorte, sposata assai giovane, si sa ben poco. La seconda è la celebre Winnie, impalmata nel 1958 e diventata grazie alla sua strettissima unione con il marito sia in campo civile che politico, "madre della nazione africana". Durante gli anni difficili del marito è stata tuttavia travolta da scandali di vario tipo, dal sequestro di persona all'omicidio. Nel 1997 i due si sono ufficialmente separati, con tanto di divorzio legale. Mandela però, sebbene ottantenne, si è poi risposato con la cinquantenne Gracia, vedova del presidente del Mozambico, assassinato in un incidente aereo organizzato dai servizi segreti del regime segregazionista bianco.

    Nel giugno 2004, all'età di 85 anni, ha annunciato il suo ritiro dalla vita pubblica per passare il maggior tempo possibile con la sua famiglia.
    Il 23 luglio dello stesso anno, con una cerimonia tenutasi a Orlando (Soweto), la città di Johannesburg gli ha conferito la più alta onorificenza cittadina, il "Freedom of the City", una sorta di consegna delle chiavi della città.
     
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  6. la sirenetta
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    Toro Seduto

    Toro Seduto (Sitting Bull in inglese - in lingua originale lakota Tȟatȟaŋka Iyotȟaŋka o Ta-Tanka I-Yotank o Tʿatʿaŋka Iyotake) (Grand River, 1831 – Fort Yates, 15 dicembre 1890) è stato un condottiero nativo americano dei Sioux Hunkpapa. In realtà, il suo nome tradotto correttamente è "Bisonte (maschio) Seduto".

    Famoso capo indiano americano (chiamato anche Húŋkešni, cioè "Lento", a causa della sua abitudine di ben riflettere prima d'agire), è ricordato nella storia americana e dei nativi per aver mobilitato più di 3.500 guerrieri Sioux e Cheyenne nella famosa Battaglia di Little Bighorn, dove ottenne una schiacciante vittoria sul colonnello George Armstrong Custer del Settimo cavalleggeri, il 25 giugno 1876.
    Toro Seduto nacque col nome Hoka-Psíca (Tasso Saltante), ma alcuni membri della sua tribù capirono che era un nome provvisorio. Già suo padre si chiamava Tȟatȟaŋka Iyotȟaŋka (cioè anche lui "Toro Seduto", dal quale il figlio prese il nome più tardi); sua madre si chiamava Tȟathíyopa Wakȟáŋ (Sua-Porta-Santa) e la sorella, di sei anni più anziana, si chiamava Good Feather (Buona Penna). Nella sua gioventù, Toro Seduto era un cavaliere competente ed era molto esperto con archi e frecce.

    All'età di 14 anni, Toro Seduto partecipò ad una spedizione di guerra, dove conobbe i guerrieri Crow. Riuscì a raggiungere uno dei guerrieri durante la loro ritirata e riuscì a batterlo mentre cavalcava. Per questo, Toro Seduto si guadagnò una penna di aquila bianca, simbolo di una prima azione coraggiosa e, nello stesso tempo, assunse il nome del padre. Il padre cambiò, a sua volta, nome in "Toro Saltante". In questa cerimonia Toro Seduto ricevette anche uno scudo personalizzato dallo stesso padre, il quale fu decorato riccamente con una scena preferita di suo padre e lo consacrò dallo sciamano del villaggio, lo stesso sciamano che creò molti antidoti per il popolo di Toro Seduto.
    Toro Seduto divenne un sant'uomo Sioux (o uomo saggio Sioux), detto wapʿíya wicʿaṡa, durante i suoi primi vent'anni. Le sue responsabilità come sant'uomo inclusero la comprensione dei rituali e dei complessi religiosi e delle credenze Sioux; conobbe anche alcuni naturali fenomeni riferiti alle credenze Sioux. Fu riconosciuto a Toro Seduto che aveva il potere di portare infiniti benefici alla sua gente. Toro Seduto conobbe anche tecniche di guarigione con erbe medicinali, sebbene non fosse un uomo di medicina.

    A causa del suo status di wapʿíya wicʿaṡa, Toro Seduto era un membro della Buffalo Society, una società legata alla caccia del bufalo. Fu anche membro dell'Heyoka, una società per quelli che praticavano la danza della pioggia.

    Battaglia del Little Bighorn
    Il Colonnello Custer, veterano della Guerra di Secessione, era un ufficiale ambizioso, che sperava di candidarsi per la presidenza degli Stati Uniti ai primi anni '70 del XIX secolo. Non solo si guadagnò grande fama nella Guerra di Secessione, ma anche nelle battaglie contro i Sioux. Fu facilmente notato sia fra i bianchi che tra i nativi americani, contro i quali condusse numerose offensive.

    Toro Seduto decise di ampliare gli attacchi sui bianchi, che occupavano le terre Sioux. Dalla meta del 1870, Toro Seduto si guadagnò grande rispetto fra varie popolazioni, come i Cheyenne del Nord e gli Arapaho del Nord.

    Il 25 giugno 1876, il Settimo Cavalleggeri della fanteria di Custer, capitanata dal Generale Alfred Howe Terry, attaccò alcune tribù native sul loro campo, presso il fiume Little Bighorn, dove prospettavano una imminente vittoria sui "pellerossa". L'esercito statunitense ignorò fin da principio che nella battaglia erano schierati più di 3.500 Sioux di Toro Seduto, Cavallo Pazzo e Nuvola Rossa, alleati con i Cheyenne. L'attacco dei nativi fu deciso e i soldati statunitensi vennero inesorabilmente uccisi. I nativi, per canto loro, soffrirono meno perdite. Il numero di militari scese drasticamente e Custer fu costretto a far ripiegare le poche truppe sopravvissute. Le tribù condussero poi un contrattacco contro i soldati su una cresta vicina, annichilendo ulteriormente i soldati; Custer fu tra gli ultimi ad essere ucciso.

    Toro Seduto non partecipò di persona alla battaglia. Furono, in particolare, i capi Nuvola Rossa e Cavallo Pazzo, spronati dal sogno che aveva avuto lo stesso Toro Seduto riguardo un gruppo di soldati americani che, secondo alcuni, erano giunti per caso nel loro accampamento. Alla morte di Custer, i Sioux fecero capire al governo statunitense di aver comunque rispettato il Trattato di Fort Laramie, stipulato nel 1868. Il governo statunitense dichiarò di non sentirsi più vincolato dal Trattato di Fort Laramie e, nel 1877, decise di intraprendere nuove irruzioni nelle terre Sioux, costringendo molti nativi americani ad arrendersi. Toro Seduto, accusato di aver scatenato il massacro, rifiutò di arrendersi e, nel maggio 1877, si trasferì con la sua tribù nello Saskatchewan, in Canada, dove rimase in esilio per molti anni ai piedi della Wood Mountain, rifiutando il perdono presidenziale e l'opportunità di ritornare.

    Fame e malanni forzarono Toro Seduto, la sua famiglia e quasi 200 suoi seguaci, a tornare negli Stati Uniti, dove fu inoltre costretto ad arrendersi il 19 luglio 1881. Il giorno successivo, Toro Seduto e suo figlio Piede di Corvo, furono arrestati e condotti a Fort Buford; il governo concesse loro, tuttavia, l'amnistia. Ormai non più in grado di condurre altre guerre, Toro Seduto ammise ai soldati statunitensi di averli sempre ammirati per la loro resistenza, al fine di poter, eventualmente, un giorno unire le sue forze indiane con quelle dei bianchi e di considerarli amici. Due settimane più tardi, Toro Seduto ed il figlio furono trasferiti a Fort Yates, alla Riserva Indiana di Standing Rock, insieme con altri 185 Sioux.

    Gli ufficiali dell'esercito ritenevano che il capo degli Hunkpapa avrebbe usato la sua presenza a Fort Yates per richiamare alcune popolazioni alleate per liberarlo. Di conseguenza, un militare suggerì di trasferire lui ed i suoi seguaci a Fort Randall, per tenerli come prigionieri di guerra. Da 185, i prigionieri Sioux passarono a 172, i quali furono trasferiti a Fort Randall, dove passarono i successivi 20 mesi. Dopo diverse richieste, fu finalmente permesso a Toro Seduto di ritornare alla Riserva Indiana di Standing Rock insieme ai suoi uomini, nel maggio 1883.
    Toro Seduto ritornò a Riserva Indiana di Standing Rock nel South Dakota. Preoccupati per l'influenza che Toro Seduto praticava la mistica Danza degli spiriti (Ghost Dance), come metodo per cacciare gli invasori bianchi dalle terre della sua gente, le autorità della Polizia decisero di arrestarlo con alcuni suoi uomini, anche se Toro Seduto non ne era sostenitore. Durante una lotta, generatasi sia tra i pellerossa che tra Polizia locale, il 15 dicembre 1890, Toro Seduto e suo figlio Piede di Corvo vennero assassinati da colpi di pistola di alcuni componenti della Polizia; in seguito, tutta la Polizia coinvolta nella rissa venne radiata dal comando. Il corpo di Toro Seduto venne sepolto vicino a Fort Yates, ma nel 1953, la sua salma fu riesumata e trasferita vicino a Mobridge, sempre nel South Dakota, per volontà di popolazioni locali Sioux. Alcuni Sioux, tutt'oggi, continuano a discutere sul fatto che quella salma non apparteneva a Toro Seduto .
     
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    Anna Magnani

    Antidiva per eccellenza, Anna Magnani è stata una figura chiave del neorealismo italiano, interpretando con stile inimitabile il personaggio della popolana focosa e sboccata, ma allo stesso tempo sensibile e generosa, incarnazione dei valori genuini di un'Italia minore.
    I personaggi caratterizzati dal suo temperamento focoso e passionale, ma capaci anche di toccanti e imprevedibili dolcezze, le si addicevano in modo perfetto. Anna Magnani è ricordata per quella sua inarrivabile e passionale carica umana, che talvolta sfociava in sanguigne manifestazioni di rabbia o di affetto, e che la distinguevano, oltre come inarrivabile interprete, come donna forte e sensibile, anche se profondamente tormentata.

    Nata il 7 marzo 1908, nonostante alcune fonti la facciano nascere ad Alessandria d'Egitto, Anna Magnani ha sempre sostenuto di esser nata a Roma, città dalla quale ha preso tutta la sua grande passionalità e la sua smisurata forza d'animo. Cresciuta dalla nonna materna in condizioni di estrema povertà, Anna Magnani comincia molto presto a cantare nei cabaret e nei night-club romani e contemporaneamente studia all'Accademia d'Arte Drammatica.

    Tra il 1929 e il 1932 lavora nella compagnia teatrale diretta da Dario Niccodemi e nel 1934 passa alla rivista.
    Diviene ben presto uno dei nomi più richiesti del teatro leggero italiano. Lavora con Vittorio De Sica e con Totò, con il quale recita in numerose riviste, come "Quando meno te l'aspetti" (1940) e "Volumineide" (1942), entrambi di Michele Galdieri. In cinema si rivela nel film "Teresa Venerdì" (1941), di Vittorio De Sica, dove interpreta una bizzarra canzonettista. In seguito interpreterà alcune commedie leggere ("Campo de' Fiori", 1943; "L'ultima carrozzella", 1944; "Quartetto pazzo", 1945), fino a quando arriva la sua completa rivelazione nel film neorealista "Roma città aperta" (1945) di Roberto Rossellini, con il quale avrà una burrascosa ma intensa relazione amorosa.

    In quest'ultimo film Anna Magnani si rivela interprete dotata di una notevole quanto sofferta sensibilità, nella parte di Pina, popolana romana che viene uccisa mentre tenta di raggiungere il camion sul quale il suo uomo sta per essere deportato dai nazisti. Accanto ad uno straordinario Aldo Fabrizi, la Magnani rappresenta la redenzione di un popolo, attraverso le sue grandi qualità umane e morali, tanto che la sua interpretazione le farà meritare il primo dei suoi cinque Nastri d'argento.

    Nel trionfo neorealistico è d'obbligo tratteggiare per lei la figura della popolana sfacciata, volitiva, sempre sicura e persino violenta nella difesa dei giusti valori, attraverso la sua bonaria veemenza. L'apoteosi di questa caratterizzazione è "L'onorevole Angelina" (1947) di Luigi Zampa, nel quale interpreta una donna di borgata "chiamata" a far politica, per rappresentare gli interessi della povera gente come lei.

    Nel 1948 Rossellini la chiama per interpretare l'episodio La voce umana (tratto dall'atto unico di Jean Cocteau) del film "L'amore" (1948), nel quale l'attrice si cimenta in un appassionato ed angoscioso soliloquio, un grande pezzo di bravura interpretativa, la telefonata di una donna abbandonata dall'amante.
    Nel 1951 un altro grande ruolo: quello della donna frustrata che trasmette le sue illusioni ed i suoi sogni infranti nell'impossibile carriera cinematografica della figlia, a costo anche di mettere in crisi il suo matrimonio, nell'amaro "Bellissima" (1951) di Luchino Visconti. Anche questo film le vale un meritatissimo
     
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  8. la sirenetta
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    Grace Patricia Kelly, conosciuta anche come Sua Altezza Serenissima Principessa Grace di Monaco (Filadelfia, 12 novembre 1929 – Monte Carlo, 14 settembre 1982), è stata un'attrice statunitense.

    Fu la moglie del principe Ranieri III di Monaco e la madre del principe regnante Alberto II di Monaco, oltre che delle Principesse Carolina e Stefania di Monaco.

    Nacque a Filadelfia nello stato americano della Pennsylvania, figlia terzogenita di John Brendan Kelly Senior e Margaret Majer, e sorella di John Brendan Kelly jr., Margaret Katherine Kelly e Elizabeth Anne Kelly.

    La sua famiglia cattolica di origine irlandese era una delle più importanti della città, benché di recente ricchezza.

    Suo padre fu un milionario self-made-man, vincitore di tre medaglie d'oro nella specialità del canottaggio a due olimpiadi, e suo fratello Jack seguì questa tradizione. La strada di Filadelfia Kelly Drive è intitolata a John Junior, che fu membro del consiglio comunale.

    Nonostante l'opposizione della famiglia al suo desiderio di lavorare nel cinema, Grace Kelly, unanimemente ritenuta una delle più belle attrici mai apparse sullo schermo, iniziò come indossatrice e, all'età di 22 anni, ebbe la sua prima parte nel film La quattordicesima ora (Fourteen Hours, 1951). L'anno seguente fu co-protagonista con Gary Cooper del western Mezzogiorno di fuoco (High Noon, 1952).

    Il film successivo fu Mogambo (Mogambo, 1953), pellicola di genere drammatico ambientata nella giungla del Kenya e incentrata sul triangolo amoroso tra la Kelly, Clark Gable e Ava Gardner. L'interpretazione fece guadagnare a Grace Kelly la nomination all'Oscar per il titolo di miglior attrice non protagonista, che invece andò a Donna Reed per la sua interpretazione in Da qui all'eternità (From Here to Eternity).

    Grace Kelly interpretò tre film per la regia di Alfred Hitchcock: Il delitto perfetto (Dial M for Murder, 1954), La finestra sul cortile (Rear Window, 1954) e Caccia al ladro (To Catch a Thief, 1955). Sul set di quest'ultimo film, girato nel Principato di Monaco, conobbe il futuro marito.

    A proposito di Hitchcock, è da ricordare l'ossimoro che il maestro del brivido creò per definirla, "Ghiaccio bollente", per sottolineare l'algida bellezza e la sensualità che l'attrice sprigionava dal grande schermo.

    Nel 1955 le fu assegnato il Premio Oscar come miglior attrice protagonista per La ragazza di campagna (The Country Girl): per appena sette voti riusci' a superare Judy Garland in È nata una stella. Durante le riprese del film, ebbe una breve relazione con il protagonista Bing Crosby, che non venne pubblicizzata per proteggere la reputazione di entrambi.

    Nel film Il cigno (The Swan, 1956), Grace Kelly interpretò il ruolo di una principessa al fianco di Alec Guinness e Louis Jourdan, un ruolo che diverrà poi per lei reale un paio di anni dopo.

    La commedia musicale Alta società (High Society, 1956), infatti, fu il suo ultimo film: il suo matrimonio con il Principe Ranieri III di Monaco segnò il suo ritiro dalle scene.

    Prima del suo matrimonio ebbe relazioni con gli attori Clark Gable, Gary Cooper, Bing Crosby, Ray Milland, William Holden e Jean-Pierre Aumont, e con lo stilista Oleg Cassini.

    Fu sorpresa dalla richiesta di Ranieri di lasciare completamente la sua carriera di attrice, ma seguì le sue volontà
    La fede cattolica e l'abilità nel crescere i bambini furono i fattori principali per cui Ranieri la scelse come sposa. Il Principato di Monaco sarebbe infatti passato alla Francia in assenza di un erede (non è più così dal 2002, dopo un trattato con la Francia), e anche se non è indispensabile la celebrazione di un matrimonio con rito religioso, non è pensabile che un principe cattolico divorzi per risposarsi, se la moglie non riuscisse a dargli figli.

    Prima di Grace Kelly, Ranieri ebbe un fidanzamento di sei anni con l'attrice francese Gisèle Pascal, che lasciò quando una visita medica ne accertò l'infertilità (in seguito l'attrice si sposò ed ebbe comunque un figlio).

    Il principe Ranieri e la principessa Grace hanno avuto tre figli:

    Principessa Carolina Luisa Margherita, nata il 23 gennaio 1957
    Principe Alberto Alessandro Luigi Pietro, Marchese di Baux, nato il 14 marzo 1958 e principe regnante di Monaco come Alberto II di Monaco
    Principessa Stefania Maria Elisabetta, nata il 1º febbraio 1965
    Nel settembre 1982, la Principessa rimase vittima di un incidente stradale in cui riportò due emorragie cerebrali: la prima lieve, mentre la seconda più grave. La Principessa Grace morì il giorno dopo l'incidente, all'età di 52 anni, senza mai aver ripreso conoscenza. La figlia Stephanie, che si trovava in auto con lei, riportò solo lievi ferite.

    Alla guida dell'auto vi era la Principessa, diversamente dalla solita abitudine di farsi accompagnare dall'autista. Ciò è dovuto al fatto che Grace Kelly, la sera seguente, avrebbe dovuto presenziare a un ricevimento, pertanto aveva fatto stirare un abito dalla governante e, per far sì che non si sciupasse, l'aveva fatto adagiare sui sedili posteriori; così facendo non vi era posto per una terza persona (cioè l'autista), e lei e la figlia presero posto nell'auto da sole.

    Poco prima della sua morte, Grace Kelly stava lavorando ad un nuovo film, Rearranged di Robert Dornhelm, a ventisei anni dalla sua ultima apparizione sul grande schermo. L'opera rimase incompleta per la scomparsa improvvisa dell'attrice, e il Principe Ranieri non volle che il film, del quale era stata girata già oltre un'ora, fosse distribuito.
     
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    Sirenetta. Grace Kelly, una donna splendida!! :wub:

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    Martin Luther King
    Esistevano in America fontanelle pubbliche separate per bianchi e neri. A teatro, le balconate erano altrettanto separate e così i posti negli autobus pubblici. La lotta per cambiare queste condizioni e guadagnare la parità dei diritti di fronte alla legge per i cittadini di qualsiasi razza è stata la scelta di fondo della breve vita di Martin Luther King.

    Pacifista convinto e grande uomo del Novecento, Martin Luther King Jr. nasce il 15 gennaio 1929 ad Atlanta (Georgia), nel Profondo sud degli States. Suo padre era un predicatore della chiesa battista e sua madre una maestra. I King inizialmente vivono nella Auburn Avenue, soprannominata il Paradiso Nero, dove risiedono i borghesi del ghetto, gli "eletti della razza inferiore", per dirla con un'espressione paradossale in voga al tempo. Nel 1948 Martin si trasferisce a Chester (Pennsylvania) dove studia teologia e vince una borsa di studio che gli consente di conseguire il dottorato di filosofia a Boston.
    Qui conosce Coretta Scott, che sposa nel '53. A partire da quell'anno, é pastore della Chiesa battista a Montgomery (Alabama). Nel periodo '55-'60, invece, è l' ispiratore e l' organizzatore delle iniziative per il diritto di voto ai neri e per la parità nei diritti civili e sociali, oltre che per l'abolizione, su un piano più generale, delle forme legali di discriminazione ancora attive negli Stati Uniti.

    Nel 1957 fonda la "Southern Christian Leadership Conference" (Sclc), un movimento che si batte per i diritti di tutte le minoranze e che si fonda su ferrei precetti legati alla non-violenza di stampo gandhiano, suggerendo la nozione di resistenza passiva. Per citare una frase di un suo discorso: "...siamo stanchi di essere segregati e umiliati. Non abbiamo altra scelta che la protesta. Il nostro metodo sarà quello della persuasione, non della coercizione... Se protesterete con coraggio, ma anche con dignità e con amore cristiano, nel futuro gli storici dovranno dire: laggiù viveva un grande popolo, un popolo nero, che iniettò nuovo significato e dignità nelle vene della civiltà.". Il culmine del movimento si ha il 28 agosto 1963 durante la marcia su Washington quando King pronunci a il suo discorso più famoso "I have a dream...." ("Ho un sogno"). Nel 1964 riceve ad Oslo il premio Nobel per la pace.

    Durante gli anni della lotta, King viene più volte arrestato e molte manifestazioni da lui organizzate finiscono con violenze e arresti di massa; egli continua a predicare la non violenza pur subendo minacce e attentati.
    "Noi sfidiamo la vostra capacità di farci soffrire con la nostra capacità di sopportare le sofferenze.metteteci in prigione, e noi vi ameremo ancora. Lanciate bombe sulle nostre case e minacciate i nostri figli, e noi vi ameremo ancora Mandate i vostri incappucciati sicari nelle nostre case nell' ora di mezzanotte, batteteci e lasciateci mezzi morti, e noi vi ameremo ancora. Fateci quello che volete e noi continueremo ad amarvi. Ma siate sicuri che vi vinceremo con la nostra capacità di soffrire. Un giorno noi conquisteremo la libertà, ma non solo per noi stessi: faremo talmente appello alla vostra coscienza e al vostro cuore che alla fine conquisteremo anche voi, e la nostra vittoria sarà piena.
    Nel 1966 si trasferisce a Chicago e modifica parte della sua impostazione politica: si dichiara contrario alla guerra del Vietnam e si astiene dal condannare le violenze delle organizzazioni estremiste, denunciando le condizioni di miseria e degrado dei ghetti delle metropoli, entrando così direttamente in conflitto con la Casa Bianca.

    Nel mese di aprile dell'anno 1968 Luther King si recò a Memphis per partecipare ad una marcia a favore degli spazzini della città (bianchi e neri), che erano in sciopero. Mentre, sulla veranda dell'albergo, s'intratteneva a parlare con i suoi collaboratori, dalla casa di fronte vennero sparati alcuni colpi di fucile: King cadde riverso sulla ringhiera, pochi minuti dopo era morto. Approfittando dei momenti di panico che seguirono, l'assassino si allontanò indisturbato. Erano le ore diciannove del 4 aprile. Il killer fu arrestato a Londra circa due mesi più tardi, si chiamava James Earl Ray, ma rivelò che non era stato lui l'uccisore di King; anzi, sosteneva di sapere chi fosse il vero colpevole. Nome che non poté mai fare perché venne accoltellato la notte seguente nella cella in cui era rinchiuso.

    Ancora oggi il mistero della morte dell'indimenticabile leader nero rimane insoluto.

    A lui sono oggi dedicate molte vie, piazze, poesie e canzoni; non ultima la famosissima "Pride - In the name of love" degli U2.



     
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  10. pippicalzearete
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    Papa Giovanni Paolo II

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    Karol Józef Wojtyla nasce il 18 maggio 1920 a Wadowice, città a 50 km da Cracovia, in Polonia. E' il secondo dei due figli di Karol Wojtyla e di Emilia Kaczorowska, che muore quando lui ha solo nove anni. Anche il fratello maggiore non ebbe miglior sorte, morendo molto giovane nel 1932.

    Finiti brillantemente gli studi liceali, nel 1938 si trasferisce a Cracovia con il padre ed inizia a frequentare la Facoltà di Filosofia della città. Si iscrive anche allo "Studio 38", circolo teatrale che durante la seconda guerra mondiale va avanti clandestinamente. Nel 1940 lavora come operaio nelle cave presso Cracovia e in seguito nella locale fabbrica chimica. Evita così la deportazione ed i lavori forzati nel Terzo Reich tedesco.

    Nel 1941 il padre muore, e il giovane Karol appena ventenne si trova del tutto solo.

    A partire dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, frequenta i corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia, diretto dall'Arcivescovo di Cracovia, il Cardinale Adam Stefan Sapieha. Nel contempo è uno dei promotori del "Teatro Rapsodico", anch'esso clandestino. Nell'agosto del 1944 l'arcivescovo Sapieha lo trasferisce, insieme ad altri seminaristi clandestini, nel Palazzo dell'arcivescovado. Vi rimarrà fino alla fine della guerra.

    Il giorno 1 novembre 1946 Karol Wojtyla è ordinato sacerdote; dopo pochi giorni parte per proseguire gli studi a Roma, dove alloggia presso i Pallottini, in Via Pettinari. Nel 1948 discute la sua tesi sul tema della fede nelle opere di San Giovanni della Croce. Rientra da Roma in Polonia dove come viceparroco viene destinato alla parrocchia di Niegowiæ presso Gdów.

    Il Senato accademico dell'Università Jagiellonica, dopo avergli riconosciuto i titoli degli studi compiuti nel periodo 1942-1946 a Cracovia e i successivi all'Angelicum di Roma, gli assegna il titolo di dottore con la qualifica di ottimo. In quel periodo, durante le sue vacanze, esercita il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda.

    Nel 1953 presenta all'Università cattolica di Lublino una tesi sulla possibilità di fondare un'etica cristiana a partire dal sistema etico di Max Scheler. Più tardi, diviene professore di Teologia Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e nella Facoltà di Teologia di Lublino.

    Nel 1964 Karol Wojtyla è nominato arcivescovo metropolita di Cracovia: si insedia ufficialmente nella Cattedrale del Wawel. Tra il 1962 e il 1964 partecipa alle quattro sessioni del Concilio Vaticano II.

    Il 28 giugno 1967 viene nominato cardinale da Papa Paolo VI. Nel 1972 esce "Alle basi del rinnovamento. Studio sull'attuazione del Concilio Vaticano II".

    Il 6 agosto 1978 muore Paolo VI, Karol Wojtyla partecipa alle esequie ed al conclave che, il 26 agosto 1978, elegge Giovanni Paolo I (Albino Luciani).

    In seguito alla improvvisa morte di quest'ultimo, il 14 ottobre 1978 inizia un nuovo Conclave e il 16 ottobre 1978 il cardinale Karol Wojtyla viene eletto Papa con il nome di Giovanni Paolo II. E' il 263° Successore di Pietro. Il primo Papa non italiano dal sedicesimo secolo: l'ultimo era stato l'olandese Adriano VI, morto nel 1523.

    Il Pontificato di Giovanni Paolo II si caratterizza in particolar modo per i viaggi apostolici. Durante il suo lungo Pontificato Papa Giovanni Paolo II compirà oltre 140 visite pastorali in Italia e, come Vescovo di Roma, si recherà in oltre 300 delle 334 parrocchie romane. I viaggi apostolici nel mondo - espressione della costante sollecitudine pastorale del Successore di Pietro per tutte le Chiese - sono stati quasi un centinaio. Anziano e malato, anche verso gli ultimi anni della sua vita - durante i quali ha convissuto con il morbo di Parkinson - Karol Wojtyla non ha mai rinunciato a compiere viaggi faticosi e impegnativi.

    Di particolare importanza, sono i viaggi nei paesi dell'Est europeo, che sanciscono la fine dei regimi comunisti e quelli in zone di guerra quali Sarajevo (aprile 1997) e Beirut (maggio 1997), che rinnovano l'impegno della Chiesa cattolica per la pace. Storico anche il suo viaggio a Cuba (gennaio 1998) e l'incontro con il "Leader maximo" Fidel Castro.

    La data del 13 maggio 1981 è invece segnata da un episodio gravissimo: Ali Agca, un giovane turco nascosto tra la folla in piazza San Pietro, spara al Papa due colpi di pistola, ferendolo gravemente all'addome. Il Papa viene ricoverato al Policlinico Gemelli, dove rimane in sala operatoria per sei ore. L'attentatore viene arrestato. Gli organi vitali vengono solo sfiorati: una volta ristabilitosi il Papa perdonerà il suo attentatore, andando a trovare Agca in carcere, in una visita rimasta storica. La ferma e convinta fede di Karol Wojtyla gli fa ritenere che sarebbe stata la Madonna a proteggerlo e a salvarlo: per volere dello stesso Papa la pallottola verrà incastonata nella corona di una statua di Maria.

    Nel 1986 le immagini televisive di un altro evento storico fanno il giro del mondo: Wojtyla visita la sinagoga di Roma. E' un gesto che nessun altro Pontefice aveva mai compiuto prima. Nel 1993 stabilisce le prime relazioni diplomatiche ufficiali tra Israele e Santa Sede. Da ricordare anche l'importanza data al dialogo con le nuove generazioni e l'istituzione, nel 1986, della Giornata mondiale della gioventù, che da allora, viene celebrata ogni anno.

    Particolare intensità e commozione ha suscitato in tutto il mondo, e al Papa stesso, il raduno dei giovani a Roma in occasione del Giubileo del 2000.

    Il 16 ottobre 2003 è stato il giorno dei 25 anni di pontificato; l'evento che ha attirato l'attenzione dei media di tutto il mondo ha visto inoltre il Presidente Ciampi esprimere, in un ideale abbraccio nazionale, gli auguri a Giovanni Paolo II con un messaggio televisivo alla nazione, a reti unificate.

    Nel 2005 è uscito il suo ultimo libro "Memoria e identità", nel quale Giovanni Paolo II affronta alcuni grandi temi della storia, in particolare le ideologie totalitarie del Novecento, come comunismo e nazismo, e risponde agli interrogativi più profondi della vita dei fedeli e dei cittadini del mondo.

    Dopo due giorni di agonia in cui le notizie sulla salute del Papa si sono rincorse con continui aggiornamenti in tutto il mondo, Karol Wojtyla è morto il 2 aprile 2005.

    Il Pontificato di Giovanni Paolo II è stato esemplare, condotto con passione, dedizione e fede straordinarie. Wojtyla è stato per tutta la sua vita un costruttore e sostenitore della pace; è stato uno straordinario comunicatore, un uomo dalla volontà di acciaio, un leader e un esempio per tutti, soprattutto per i giovani, ai quali si sentiva particolarmene vicino e dai quali traeva grande energia spirituale. La sua figura è considerata una delle più significative e influenti per il corso della storia contemporanea.

     
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  11. *californication*
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    Due pilastri del novecento King e Giovanni Paolo II. Hanno dimostrato come non vi possano, e non vi debbano, essere ostacoli nella vita dell'uomo, nelle relazioni in una società.
    Come tutte quelle discriminazioni, siano solo frutto di un' ignoranza primordiale, di una mancata voglia di aprire le proprie menti e guardare avanti.
     
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    Papa Giovanni XXIII
    Il papa buono

    La storia lo ricorda come il papa che iniziò il Concilio Vaticano II, i credenti ricordano Angelo Giuseppe Roncalli, papa Giovanni XXIII, come il "papa buono". Nasce il giorno 25 novembre 1881 a Sotto il Monte (Bergamo), in località Brusicco, quartogenito dei 13 figli di Battista Roncalli e Marianna Mazzola, semplici contadini. Com'era abitudine viene battezzato lo stesso giorno; il parroco è don Francesco Rebuzzini, il padrino è il prozio Zaverio Roncalli, capo famiglia, fratello del nonno Angelo.

    Il giovane cresce in un ambiente povero: il futuro Ppa riconoscerà sempre la preziosità delle virtù assimilate in famiglia quali la fede, la carità, la preghiera. A undici anni, nel 1892, entra in seminario a Bergamo grazie anche all'aiuto economico del suo parroco e di don Giovani Morlani, proprietario del fondo coltivato dalla famiglia Roncalli. Qui Angelo matura la determinazione di compiere ogni sforzo per diventare santo, come si legge ripetutamente nel suo diario "Il giornale dell'anima", iniziato nel 1895. Le capacità intellettuali e morali sono notevoli e nel 1901 viene mandato a Roma per continuare gli studi come alunno del Seminario Romano dell'Apollinare, usufruendo di una borsa di studio.

    Negli anni 1901-1902 anticipa la richiesta per il servizio militare come volontario, sacrificandosi a favore del fratello Zaverio la cui presenza era necessario a casa per i lavori in campagna. Nonostante le difficoltà incontrate sotto le armi avrà modo di scrivere "eppure sento il Signore con la sua santa provvidenza vicino a me". Consegue la laurea in Sacra Teologia nel 1904.

    Nel 1905 viene scelto dal nuovo vescovo di Bergamo, Giacomo Radini-Tedeschi, come segretario personale. Roncalli viene segnalato per la dedizione, la discrezione e l'efficienza. Radini-Tedeschi rimarrà sempre guida ed esempio per il futuro Papa, che resta al suo fianco fino alla morte di questi, il 22 agosto 1914; durante questo periodo Roncalli si dedica anche all'insegnamento della storia della Chiesa presso il seminario di Bergamo.

    Allo scoppio della Prima guerra mondiale (1915) è richiamato nella sanità militare, per esserne poi congedato con il grado di tenente cappellano.
    Nel 1921 papa Benedetto XV lo nomina prelato domestico (che gli vale l'appellativo di monsignore) e presidente del Consiglio Nazionale Italiano dell'Opera della Propagazione della Fede. In tale ambito si occupa della redazione del motu proprio di Pio XI, che diverrà in seguito la magna charta della cooperazione missionaria.

    Inizia poi un periodo di missioni diplomatiche: nel 1925 papa Pio XI lo nominò Visitatore Apostolico in Bulgaria, elevandolo al grado di vescovo e affidandogli il titolo della diocesi di Aeropolis. Angelo Roncalli scegli come motto episcopale "Oboedientia et Pax", frase (ripresa dal motto di Cesare Baronio "Pax et Oboedientia") che diverrà il simbolo del suo operato. Durante la missione in Bulgaria affrontare la spinosa questione dei rapporti tra i cattolici di rito romano e quelli di rito ortodosso. Nel 1935 Roncalli è Delegato Apostolico in Turchia e Grecia. Questo periodo della vita di Roncalli, che coincide con la Seconda guerra mondiale, è ricordato in particolare per i suoi interventi a favore degli ebrei in fuga dagli stati europei occupati dai nazisti. Nel 1944 è nominato (da Pio XII) Nunzio Apostolico a Parigi, dove c'è una situazione difficilissima, che vede molti vescovi accusati di aver collaborato con i tedeschi invasori. L'equilibrio, l'accortezza, la semplicità e l'amabilità di Roncalli riescono a risolvere i problemi e a conquistare le simpatie dei francesi e di tutto il Corpo Diplomatico.

    Nel 1953 viene nominato cardinale e patriarca di Venezia. Già durante questo periodo si segnala per alcuni importanti gesti di apertura. Fra i tanti va ricordato il messaggio che invia al Congresso del PSI - partito ancora alleato del PCI i cui dirigenti e propagandisti erano stati scomunicati da papa Pio XII nel 1949 - quando nel 1956 i socialisti si riuniscono nella città di Venezia.

    Dopo la morte di Papa Pio XII, Angelo Roncalli viene eletto Papa il 28 ottobre 1958, con sua grande sorpresa; sceglie il nome di Giovanni XXIII e il 4 novembre dello stesso anno viene incoronato. Secondo alcuni analisti Roncalli sarebbe stato scelto principalmente per la sua età: dopo il lungo pontificato del suo predecessore, i cardinali avrebbero scelto un uomo che presumevano, per via della sua età avanzata e della modestia personale, sarebbe stato un Papa cosiddetto "di transizione". Giungerà invece in qualche modo inaspettata la conquista dell'affetto di tutto il mondo cattolico, in un modo che i predecessori di Roncalli non avevano mai ottenuto, proprio grazie al calore umano, al buon umore e alla gentilezza del nuovo papa, oltre alla sua importante esperienza diplomatica.

    Sceglie Loris Francesco Capovilla come segretario privato, la persona che già lo assisteva a Venezia.

    Tra le molte novità introdotte nel pontificato di Giovanni XXIII, c'è l'aumento del numero massimo di cardinali a 75, superando il tetto di 70 cardinali ormai fermo da secoli. Oltre che da un'aneddotica celeberrima e vastissima il suo pontificato è segnato da episodi indelebilmente registrati dalla memoria popolare: durante il suo primo Natale da papa visita i bambini malati ospiti dell'ospedale romano Bambin Gesù, dove con intima e contagiosa dolcezza benedice i piccoli, alcuni dei quali lo scambiano per Babbo Natale. Il giorno seguente (Santo Stefano) visita i carcerati nella prigione romana di Regina Coeli. Nell'occasione dice loro: "Non potete venire da me, così io vengo da voi. Dunque eccomi qua, sono venuto, m'avete visto; io ho fissato i miei occhi nei vostri, ho messo il cuor mio vicino al vostro cuore. La prima lettera che scriverete a casa deve portare la notizia che il papa è stato da voi e si impegna a pregare per i vostri familiari".

    Un altro esempio che si può ricordare è quando Jacqueline Kennedy, moglie del Presidente degli Stati Uniti, arriva in Vaticano per incontrarlo, il papa inizia a provare nervosamente le due formule di benvenuto che gli era stato consigliato di usare ("mrs Kennedy, madame" e "madame, mrs Kennedy"); all'incontro, per il divertimento della stampa, il papa abbandona entrambe le forumle e correndole incontro la chiama semplicemente "Jackie!".

    Fra lo stupore dei suoi consiglieri e vincendo le remore e le resistenze della parte conservatrice della Curia, Giovanni XXIII indice un concilio ecumenico, meno di 90 anni dopo il controverso Concilio Vaticano I. Mentre i suoi aiutanti stimavano di dover impiegare almeno un decennio per i preparativi, Giovanni XXIII progettò di tenerlo nel giro di pochi mesi. Il 4 ottobre 1962, ad una settimana dall'inizio del concilio, Giovanni XXIII si reca in pellegrinaggio a Loreto e Assisi per affidare le sorti dell'imminente Concilio alla Madonna e a San Francesco. Per la prima volta dall'unità d'Italia un papa varcava i confini del Lazio ripercorrendo i territori che anticamente erano appartenuti allo Stato pontificio: questo seppur breve tragitto ripristinerà l'antica figura del papa pellegrino che i suoi successori porteranno poi a pieno compimento.

    Il 2 dicembre 1960 in Vaticano, Giovanni XXIII incontra Geoffrey Francis Fisher, arcivescovo di Canterbury; è la prima volta in oltre 400 anni che un capo della Chiesa Anglicana visita il Papa.

    Tra gli altri eventi che caratterizzano la storia recente c'è da ricordare la scomunica da parte di Papa Giovanni XXIII a Fidel Castro (3 gennaio 1962) in linea con un decreto del 1949 di Pio XII, che vietava ai cattolici di appoggiare governi comunisti.

    L'11 ottobre 1962, in occasione della serata di apertura del Concilio, piazza San Pietro è gremita di fedeli. A gran voce chiamato ad affacciarsi - atto che non si sarebbe mai immaginato possibile richiedere al papa predecessore - Roncalli si presenta alla finestra e qui pronuncia uno dei suoi discorsi più famosi, il cosiddetto "discorso della luna". Il discorso non è preparato: risulta da subito poetico, dolce, semplice. Salutando la luna e i fedeli, con grande umiltà, impartisce un ordine come fosse una carezza: "Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero. Qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera, a guardare a questo spettacolo, che neppure la Basilica di San Pietro, che ha quattro secoli di storia, non ha mai potuto contemplare. La mia persona conta niente, è un fratello che parla a voi, diventato padre per volontà di Nostro Signore, ma tutti insieme paternità e fraternità e grazia di Dio, facciamo onore alle impressioni di questa sera, che siano sempre i nostri sentimenti, come ora li esprimiamo davanti al Cielo, e davanti alla Terra: Fede, Speranza, Carità, Amore di Dio, Amore dei Fratelli. E poi tutti insieme, aiutati così, nella santa pace del Signore, alle opere del Bene. Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa. Troverete qualche lacrima da asciugare, dite una parola buona: il Papa è con noi, specialmente nelle ore della tristezza e dell'amarezza".

    Sin dal settembre 1962, prima ancora dell'apertura del Concilio, si erano manifestate le avvisaglie della malattia che sarà per lui fatale: un tumore allo stomaco, di cui altri fratelli Roncalli erano già stati colpiti. Pur visibilmente provato dal progredire del cancro, papa Giovanni XXIII l'11 aprile 1963 firma l'enciclica Pacem in Terris. Un mese più tardi (11 maggio 1963) riceve dal Presidente della Repubblica italiana Antonio Segni il premio Balzan per il suo impegno in favore della pace. Sarà l'ultimo impegno pubblico del papa.

    Angelo Roncalli, Papa Giovanni XXIII, muore dopo un'agonia di tre giorni la sera del 3 giugno 1963, alle 19:49. "Perché piangere? E' un momento di gioia questo, un momento di gloria", sono le sue ultime parole rivolte al proprio segretario.

    Dal Concilio Vaticano II, che Giovanni XXIII non vedrà terminare, si sarebbero prodotti negli anni successivi fondamentali cambiamenti che avrebbero dato una nuova connotazione al cattolicesimo moderno.

    Chiamato affettuosamente il "Papa buono", Giovanni XXIII viene dichiarato beato da papa Giovanni Paolo II il 3 settembre 2000. Viene inoltre ricordato l'11 ottobre, giorno di apertura del Concilio. La salma di Giovanni XXIII, inizialmente sepolta nelle Grotte Vaticane, all'atto della beatificazione è stata traslata nella navata destra della Basilica di San Pietro, esposta in una teca di vetro (il perfetto stato di conservazione si deve ad un particolare processo di sostituzione del sangue con un liquido speciale eseguita dal professor Gennaro Goglia subito dopo il decesso).
     
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  13. la sirenetta
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    MARIA CALLAS

    Nata a New York da genitori greci, la Callas studiò ad Atene, dove cantò dal 1939 al '45, intraprendendo la carriera internazionale dai tardi anni '40 agli anni '60.

    Dotata di una voce particolare, che coniugava un timbro unico a volume, estensione e agilità notevoli, la Callas contribuì alla riscoperta del repertorio italiano della prima metà dell'Ottocento (la cosiddetta «belcanto renaissance»), in particolare Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti, di cui seppe dare una lettura personale, in chiave tragica e drammatica, anziché puramente elegiaca. Sempre a lei si deve la riesumazione del soprano drammatico d'agilità e la restaurazione della tecnica di canto Ottocentesca.

    Tra i suoi cavalli di battaglia vi furono Bellini (Norma, Puritani, Sonnambula), Donizetti (Lucia di Lammermoor), Verdi (Traviata, Trovatore, Aida), Ponchielli (Gioconda) e Puccini (Tosca, Turandot).

    Si dedicò inoltre con successo alla riscoperta di titoli usciti di repertorio quali Armida e Il Turco in Italia di Rossini, Il pirata di Bellini, Anna Bolena di Donizetti, Alceste e Ifigenia in Tauride di Gluck e La Vestale di Gaspare Spontini, sia pure senza rigore filologico, com'era nella prassi dell'epoca, ossia tagliando e talvolta ritoccando le linee vocali.

    I ruoli indissolubilmente legati al suo nome sono Norma di Vincenzo Bellini e Medea di Luigi Cherubini.
    I genitori, George Kalogeropoulos ed Evangelia Dimitriadou, si conobbero all'università dove entrambi studiavano farmacia. George Kalogeropoulos era originario del Peloponneso ed era di estrazione modesta. Evangelia Dimitriadou veniva invece in una famiglia abbastanza benestante: i suoi genitori, di ascendenze greco-macedoni, si erano trasferiti da Istanbul a Stylis, per poi fissare la loro residenza ad Atene. Nella società greca dell'epoca aveva una certa importanza il fatto che i Dimitriadis fossero una famiglia di tradizioni militari. Il matrimonio era insomma, almeno in parte, male assortito, e sarebbe stato motivo di frustrazione soprattutto per Evangelia Dimitriadou. Si sposarono nel 1916, stabilendosi a Meligala. Nel giugno del 1917 nacque la primogenita, Yakinthy (più tardi detta "Jackie"). Nel 1920 nacque l'unico figlio maschio, Vasili, che sarebbe morto nel 1923, vittima dell'epidemia di tifo che aveva colpito Meligala. Questa perdita lasciò tracce profonde soprattutto sull'animo della madre, e fu alla base della scelta di trasferirsi negli Stati Uniti d'America.

    Sbarcarono qui il 2 agosto 1923, e si trasferirono in un piccolo appartamento di Long Island. George Kalogeropoulos trovò lavoro nel settore farmaceutico di un drugstore.

    Maria Callas, concepita in Grecia, nacque al Flower Hospital di New York il 2 dicembre, durante una fitta nevicata. Il padre aveva già cambiato all'anagrafe il suo cognome da Kalogeropoulos in Callas. La madre, che avrebbe voluto un maschio (che avrebbe battezzato Vasili, come il fratellino morto) per quattro giorni rifiutò di vederla ed esitò a lungo prima di trovarle un nome. La bambina, eccezionalmente robusta, pesava più di sei chili alla nascita.

    Secondo l'usanza della loro religione, la bambina venne battezzata a tre anni d'età, nel 1926, presso la chiesa greco-ortodossa di New York. A quest'età sembra già ben avviata alla carriera musicale: a tre anni ascolta arie d'opera grazie alla pianola del padre e della madre, a quattro si è già arrampicata sul pianoforte, dove comincia a mettere assieme le prime melodie. In My daughter Maria Callas Evangelia Dimitriadou sostiene che, a quattro anni, la piccola Maria, cantando ignara con le finestre aperte, avesse addirittura costretto gli automobilisti a fermarsi ad ascoltarla incantati, bloccando il traffico.

    La famiglia Callas abitava allora nel quartiere di Manhattan, nella 192a strada.

    Nel 1928, sfuggita al controllo della madre, la piccola Maria tentò di raggiungere la sorella Yakinthy, intravista dall'altra parte, attraversando la strada di corsa: un'automobile la colpì in pieno, trascinandola sotto le ruote per molti metri prima di riuscire a fermarsi. Trasportata subito all'ospedale di St. Elizabeth, solo per miracolo si salvò dopo 22 giorni di coma. Questo fu un fatto al quale sia la Callas che Evangelia Dimitriadou addussero molta importanza. La Callas confessò ad Eugenio Gara che durante il lungo stato d'incoscienza strane musiche le ronzavano nelle orecchie. La madre, sempre in My daughter Maria Callas, sostenne che dopo l'orribile incidente Maria sviluppò un carattere completamente diverso da prima e fece risalire il "cattivo carattere", che sarà famoso nel mondo, umbratile, ostinato e ribelle, proprio a questa circostanza.

    Nell'anno 1929 il padre aprì una farmacia a Manhattan. La famiglia viveva con un certo decoro, risentendo limitatamente del crollo di Wall Street, grazie soprattutto all'intraprendenza paterna. Maria Callas seguì una brillante carriera scolastica, e parallelamente, dal 1931 prese lezioni di canto (sotto la guida di una ignota "signorina Sandrina", che fu l'artefice della sua prima impostazione vocale) e pianoforte. A proposito di questa prima formazione, nonostante le sue notazioni in merito siano state molto laconiche, la Callas ebbe modo di mettere in luce il fatto che già in questa primissima fase qualcosa la portava a quella sorta di "sincretismo" tra scuole nazionali di cui la sua voce sarà il risultato: la signorina Sandrina infatti le insegnava sia il metodo italiano che quello francese (finalizzato a sfruttare le cavità nasali). Per proprio conto (come ricorderà più avanti la stessa interessata) aveva già preso l'abitudine di alternare solo due arie, la Habanera dalla Carmen di Georges Bizet e Io son Titania, dalla Mignon di Ambroise Thomas: un'aria di mezzosoprano e una di soprano di coloratura.

    Di robusta costituzione, sviluppò molto presto un'importante disfunzione ghiandolare, che la porterà ad un'abnorme crescita di peso, dalla quale non si libererà completamente prima del 1953. Nel 1937 i genitori si separarono e la madre, ritornata in Grecia nel settembre di quello stesso anno, riassunse il cognome Kalogeropoulos.

    Una volta in Grecia venne ammessa al Conservatorio di Atene dove si diplomò in canto, pianoforte e lingue, studiando con il soprano italiano Maria Trivella. L'11 aprile 1938 partecipò ad un concerto-saggio con altri studenti. Il 2 aprile 1939, interpretò, in forma concertante, Santuzza in Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni, la sua prima opera completa, vincendo il premio che il conservatorio metteva in palio. Cominciò così quella luminosa carriera che le farà guadagnare l'appellativo di "Divina".
    Nel 1945 tenne l'ultimo, acclamato concerto ad Atene, concludendo un settennio prezioso per l'intensa esperienza accumulata e i successi mietuti.
    Ritornò quindi a New York, dove trascorse parte del 1945, tutto il 1946 e i primi mesi del 1947; qui riassunse il cognome di Callas. La sua decisione fu certamente influenzata dalle durissime condizioni della Grecia coinvolta nel secondo conflitto mondiale e dal desiderio di ritrovare il padre; ma più di tutto contò il consiglio di Elvira de Hidalgo, che l'aveva spinta a raggiungere l'Italia, l'unico paese in cui una cantante con i suoi mezzi poteva trovare una definitiva consacrazione. Tuttavia la Callas esitò per lunghi mesi: raggiungerà l'Italia solo nel 1947, a vittoria della Repubblica ormai avvenuta. Nel frattempo, a New York, nel mese di dicembre, ottenne un'audizione al Metropolitan Opera Theater, ma con risultato negativo; le furono infatti proposti Madama Butterfly e Fidelio; per la prima parte, oltre alla perplessità di sempre nell'affrontare ruoli pucciniani, la Callas si sentiva fisicamente fuori ruolo; e declinò l'offerta del Fidelio perché non si sentiva di cantarlo, come le era stato richiesto, in inglese.
    Grazie a Nicola Rossi-Lemeni venne in contatto con Giovanni Zenatello, direttore artistico dell'Arena di Verona. Zenatello, incantato dalla sua voce, la ingaggiò per La Gioconda. Il 27 giugno 1947 la Callas arrivò a Napoli e da lì si recò a Verona per provare la parte. Qui fece due importanti incontri: con Giovanni Battista Meneghini, suo futuro marito, grande appassionato di lirica e possessore di una fiorente industria di laterizi e con Tullio Serafin, uno dei grandi direttori italiani del tempo. Fu proprio Serafin a dirigerla in occasione del suo debutto all'Arena di Verona, che le assicurò una certa visibilità, nonostante il successo non travolgente accompagnato però da critiche generalmente favorevoli.

    L'anno successivo fu a Firenze dove cantò nella Norma di Vincenzo Bellini, suo ruolo di riferimento. Ma in questo primo periodo della sua carriera italiana la Callas, nel frattempo seguìta e molto spesso diretta da Tullio Serafin, venne come confinata in un repertorio non congeniale, basato su ruoli wagneriani (che non amava, come La Valchiria, Parsifal, Tristano e Isotta) e su Turandot e Aida, eseguiti in molte città italiane con parziale successo di pubblico e di critica. Ma era ancora una cantante di "nicchia", per intenditori, non molto nota al grande pubblico. La svolta della sua carriera avvenne in modo del tutto fortuito e casuale: il 19 gennaio 1949 infatti venne chiamata all'ultimo momento a sostituire il soprano Margherita Carosio, indisposta, nel ruolo di Elvira ne I puritani alla Fenice, dove era stata scritturata per La Valchiria di Wagner. Fu un successo memorabile, benché un critico, acidamente, notasse che, dopo l'impiego di una cantante wagneriana per una parte tradizionalmente ritenuta "leggera" la prossima volta si sarebbe potuto far cantare Gino Bechi nella parte di Violetta (La Traviata).
    Nel 1954, dopo aver tentato inutilmente diverse cure, riuscì a perdere 30 chilogrammi. La sua figura cambiò drasticamente, la sua voce pur nella sgradevolezza timbrica raggiunse livelli di notevolissimo livello; cantò in Norma, La Traviata e Lucia di Lammermoor a Chicago; a dicembre fu a Milano ad inaugurare la stagione lirica con La Vestale e quindi a New York ove cantò Norma, Tosca e di nuovo Lucia di Lammermoor. Si affidò, per la sua immagine alla stilista italiana Biki, con la quale iniziò un rapporto di collaborazione che andò poi al di là della semplice fornitura di abiti, ma ebbe più a che fare con la creazione di una divinità sofisticata ed elegante. Si parlò di "trasformazione della Callas", ma rilevantissime furono le conseguenze sull'arte scenica, che la Callas portò ad altezze inimmaginabili: libera e fluida nei movimenti, in condizioni di salute sufficientemente buone, riconcepì le sue creazioni come in senso coreografico, imponendo un modello di recitazione fortemente espressionistico, dalla gestualità nervosa.
    Nel 1957, ad un ricevimento a Venezia organizzato in suo onore da Elsa Maxwell, incontrò per la prima volta Aristotele Onassis. Nell'anno 1959 venne invitata, insieme al marito, da Onassis sul suo yacht Christina per una crociera insieme a Winston Churchill e consorte, alla famiglia Agnelli e ad altre personalità del Gotha internazionale: alla fine della crociera Aristotele e Maria apparvero ufficialmente amanti.

    La Callas si separò e poi divorziò da Meneghini, abbastanza tempestosamente, dopo poco tempo. In realtà già da diverso tempo meditava di porre fine al matrimonio, per diverse cause dovute proprio a Meneghini (innanzitutto per i continui tradimenti e la sottrazione sistematica di denaro della Callas a favore dei propri parenti).

    Maria Callas e Onassis concepirono un bambino, Omero, nato e morto pochi istanti dopo a causa di un'insufficienza respiratoria. Omero fu sepolto nel cimitero di Bruzzano, alla periferia nord di Milano. Durante il parto La Callas fu assistita da una suora e dalla fidata cameriera Bruna Lupoli (tuttora vivente a Feltre); Onassis non c'era, come non c'era il giorno della tumulazione, in quanto si trovava in crociera a Porto Rico sul Christina con Sir Winston Churchill. Per molti anni non si è creduto che la Callas avesse avuto un bambino, in quanto secondo le testimonianze di Meneghini, era impossibilitata ad avere figli a causa di una deformazione congenita; in realtà fu operata due volte dal professor Palmieri in una clinica di Milano, probabilmente per effettuare una retroversione, intervento che le consentì di restare incinta. Inoltre ci sono diverse foto della Callas in stato interessante, una la ritrae a Parigi nel 1960 al sesto mese di gravidanza e a dissipare ogni dubbio c'è la foto al piccolo scattata poco prima dell'ultimo addio (il 4 aprile 1960) dalla stessa Maria, dopo che lo aveva vestito con le sue stesse mani con un camicino bianco di lino e una piccola cuffietta di pizzo.
    Nel 1973 iniziò un tour mondiale insieme a Giuseppe Di Stefano, che si concluse nel 1974 a Sapporo (Giappone). Sarà la sua ultima esibizione in pubblico. Seguendo i consigli di Di Stefano, la Callas tentò di riorganizzare l'assetto vocale aprendo la gola e puntando sull'intatto registro di petto. Nonostante non fosse naturalmente in grado di tornare agli antichi fasti, affiancata da un collega amico e sostenuta dall'incoraggiante amore del pubblico, riuscì a recuperare abbastanza da concludere la tournée (a Seul in Corea) in condizioni vocali nettamente migliori rispetto a dieci anni prima.


    Durante la tournée, l'amicizia con Giuseppe Di Stefano, compromessa da problemi familiari del tenore, ovvero la prematura morte per tumore della ventunenne figlia Luisa, s'incrinò. Stando a quanto pubblicato nel libro "Callas nemica mia" scritto da Maria Girolami, ex moglie di Di Stefano, il rapporto tra la soprano ed il tenore non fu di sola amicizia platonica e, sempre stando a questa fonte, uno dei motivi del "ritiro" della Callas fu anche quest'ultima delusione sentimentale. La Callas si ritirò nella sua casa di Avenue Georges Mandel 36 a Parigi, evitando contatti con conoscenti e amici; nemmeno Giuseppe Di Stefano, Giulietta Simionato, Fedora Barbieri riuscirono più ad avvicinarla. Gli ultimi anni della sua vita furono funestati da lutti: nel marzo del 1975 Onassis morì dopo essere stato operato alla cistifellea; il 2 novembre dello stesso anno Pier Paolo Pasolini morì assassinato; il 17 marzo 1976 si spense Luchino Visconti.
    Il 16 settembre 1977, intorno alle 13.30, la Callas cessò di vivere. Nonostante sia stato varie volte ripetuto, la Callas non si è suicidata; le sue condizioni fisiche erano da tempo estremamente compromesse. Il referto medico indicò l'arresto cardiaco come causa del decesso. La grave disfunzione ghiandolare della giovinezza e il drastico dimagrimento vennero citati più frequentemente come cause della sua morte. Oltre a vari disturbi, negli ultimi anni si era aggiunta anche l'insonnia cronica; la Callas aveva cominciato ad assumere dosi sempre più massicce di Mandrax (metaqualone), che si procurava sottobanco (ad esso si riferiscono gli altrimenti misteriosi riferimenti alla "droga" che costellano le ultime pagine del suo diario).

    Molto meno chiaro è tutto il contorno, e quali siano state le responsabilità dell'oscura pianista greca Vasso Devetzi — sorta di "dama di compagnia" stabilitasi in casa sua negli ultimissimi anni, della sorella, Yakinthy Callas, e della madre, Evangelia Dimitriadou. Esecutore testamentario risultò alla fine, grazie ad un testamento depositato subito dopo il matrimonio presso lo studio legale dell'industriale, Giovan Battista Meneghini, che alla sua morte, lasciò a sua volta la cospicua eredità della Callas alla propria governante, o compagna, Emma Brutti.

    Resta inoltre irrisolto il mistero sui gioielli della Divina, i famosi collier, gli orecchini con brillanti e rubini, a quanto pare scomparsi dopo la sua morte. Le uniche due persone che potrebbero far luce su questa vicenda, Ferruccio Mezzadri, per 20 anni fedelissimo autista, e Bruna Lupoli, la cameriera storica della Callas, non ne hanno mai parlato.
     
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    Ernest Hemingway



    Nato il 21 luglio 1899 a Oak Park, Illinois, USA, Ernest Hemingway è lo scrittore simbolo del Novecento letterario, colui il quale ha saputo rompere con una certa tradizione stilistica riuscendo ad influenzare successivamente generazioni intere di scrittori.

    Appassionato di caccia e pesca, istruito in tal senso dal padre, proprietario di una fattoria nei boschi del Michigan, fin da piccolo impara a praticare diversi sport, fra i quali è inclusa la violenta e pericolosa boxe: un'attrazione per le emozioni forti che non abbandonerà mai Hemingway e che rappresenta il suo segno distintivo come uomo e come scrittore.
    E' il 1917 quando comincia a maneggiare carta e penna, dopo essersi diplomato, lavorando come cronista al "Kansas City Star". L'anno dopo, non potendo, a causa di un difetto all'occhio sinistro, arruolarsi nell'esercito degli Stati Uniti appena scesi in guerra, diventa autista di autoambulanze della Croce Rossa e viene spedito in Italia sul fronte del Piave. Ferito gravemente dal fuoco di un mortaio l'8 luglio del 1918 a Fossalta di Piave, mentre sta salvando un soldato colpito a morte, viene ricoverato in ospedale a Milano, dove s'innamora dell'infermiera Agnes Von Kurowsky. Dopo essere stato decorato al valor militare, nel 1919 torna a casa.

    Nonostante sia accolto come un eroe, la sua natura irrequieta e perennemente insoddisfatta non lo fa sentire comunque a posto. Si dedica alla stesura di alcuni racconti, del tutto ignorati da editori e dall'ambiente culturale. Scacciato di casa dalla madre che l'accusa d'essere uno scapestrato, si trasferisce a Chicago dove scrive articoli per il "Toronto Star" e "Star Weekly". Ad una festa conosce Elizabeth Hadley Richardson, di sei anni più grande di lui, alta e graziosa. I due s'innamorano e nel 1920 si sposano, contando sulla rendita annua di tremila dollari di lei e progettando di andare a vivere in Italia. Ma lo scrittore Sherwood Anderson, già allora famoso per "I racconti dell'Ohio", guardato come modello da Hemingway, lo spinge verso Parigi, capitale culturale di allora, dove la coppia addirittura si trasferisce. Naturalmente, lo straordinario ambiente culturale di allora lo influenza enormemente, soprattutto a causa del contatto con le avanguardie, che lo spingono ad una riflessione sul linguaggio, indicandogli la via verso l'antiaccademismo.
    Intanto, nel 1923 nasce il primo figlio, John Hadley Nicanor Hemingway, detto Bumby e l'editore McAlmon pubblica il suo primo libro, "Tre racconti e dieci poesie", seguito l'anno dopo da "Nel nostro tempo", elogiato dal critico Edmund Wilson e da un poeta fondamentale come Ezra Pound. Nel 1926 escono libri importanti come "Torrenti di primavera" e "Fiesta", tutti grandi successi di pubblico e di critica, mentre l'anno dopo esce, non senza prima aver divorziato, il volume di racconti "Uomini senza donne".

    Il buon successo a cui vanno incontro i suoi libri lo galvanizza e nel 1928 eccolo di nuovo ai piedi dell'altare per impalmare la bella Pauline Pfeiffer, ex redattrice di moda di "Vogue". I due fanno poi ritorno in America, mettono su casa a Key West, Florida e danno alla luce Patrick, il secondo figlio di Ernest. Nello stesso periodo il turbolento scrittore porta a termine la stesura dell'ormai mitico "Addio alle armi". Purtroppo, un evento davvero tragico arriva a sconvolgere il tranquillo trend di casa Hemingway: il padre, fiaccato da un male incurabile, si uccide sparandosi alla testa.
    Fortunatamente, "Addio alle armi", viene salutato con entusiasmo dalla critica e gratificato da un notevole successo commerciale. Intanto nasce la sua passione per la pesca d'altura nella Corrente del Golfo.

    Nel 1930 ha un incidente automobilistico e si frattura il braccio destro in più punti. E' uno dei molti incidenti in cui incappa in questo periodo di viaggi e di avventure: mal di reni causato dalla pesca nelle gelide acque spagnole, uno strappo inguinale procuratosi mentre visita Palencia, un'infezione da antrace, un dito lacerato fino all'osso in un incidente con un sacco da pugilato, una ferita al bulbo oculare, graffi profondi a braccia, gambe e faccia prodotti da spine e rami mentre attraversa un bosco del Wyoming in sella a un cavallo imbizzarrito.

    Queste esibizioni vitalistiche, il fisico muscoloso, il carattere da attaccabrighe, la predilezione per le grandi mangiate e le formidabili bevute lo rendono un personaggio unico dell'alta società internazionale. E' bello, duro, scontroso e, nonostante sia poco più che trentenne, è considerato un patriarca della letteratura, tanto che cominciano a chiamarlo "Papa".
    Nel 1932 pubblica "Morte nel pomeriggio", un grosso volume tra saggio e romanzo dedicato al mondo della corrida. L'anno dopo è la volta dei racconti riuniti sotto il titolo "Chi vince non prende nulla".
    Partecipa al suo primo safari in Africa, un altro terreno per saggiare la propria forza e il proprio coraggio. Nel viaggio di ritorno conosce sulla nave Marlene Dietrich, le chiama "la crucca" ma diventano amici e lo restano per tutta la vita.
    Nel 1935 esce "Verdi colline d'Africa", romanzo senza trama, con personaggi reali e lo scrittore protagonista. Compra un'imbarcazione diesel di dodici metri e la battezza "Pilar", nome del santuario spagnolo ma anche nome in codice di Pauline.

    Nel 1937 pubblica "Avere e non avere", il suo unico romanzo d'ambientazione americana, che racconta la storia di un uomo solitario e senza scrupoli che resta vittima di una società corrotta e dominata dal denaro.
    Si reca in Spagna, da dove manda un reportage sulla Guerra civile. La sua ostilità verso Franco e la sua adesione al Fronte Popolare sono evidenti nella collaborazione alla riduzione cinematografica di "La terra di Spagna" insieme a John Dos Passos, Lillian Hellman e Archibald MacLeish.
    L'anno successivo pubblica un volume che si apre con "La quinta colonna", una commedia a favore dei repubblicani spagnoli, e contiene vari racconti tra cui "Breve la vita felice di Francis Macomber" e "Le nevi del Chilimangiaro", ispirati al safari africano. Questi due testi entrano a far parte della raccolta "I quarantanove racconti", pubblicata nel 1938, che resta tra le opere più straordinarie dello scrittore. A Madrid incontra la giornalista e scrittrice Martha Gellhorn, che aveva conosciuto in patria, e divide con lei le difficoltà del lavoro dei corrispondenti di guerra.

    E' il 1940 quando divorzia da Pauline e sposa Martha. La casa di Key West resta a Pauline e loro si stabiliscono a Finca Vigía (Fattoria della Guardia), Cuba. Alla fine dell'anno esce "Per chi suona la campana" sulla guerra civile spagnola ed è un successo travolgente. La storia di Robert Jordan, l' "inglès" che va ad aiutare i partigiani antifranchisti, e che s'innamora della bellissima Maria, conquista il pubblico e si aggiudica il titolo di Libro dell'anno. La giovane Maria e Pilar, la donna del capo partigiano, sono i due personaggi femminili più riusciti di tutta l'opera di Hemingway. Meno entusiasta si mostra la critica, a cominciare da Edmund Wilson e da Butler, rettore della Columbia University, che pone il veto alla scelta per il Premio Pulitzer.

    La sua guerra privata. Nel 1941 marito e moglie vanno in Estremo Oriente come corrispondenti della guerra cino-giapponese. Quando gli Stati Uniti scendono in campo nella seconda Guerra mondiale, lo scrittore vuole partecipare a modo suo e ottiene che la "Pilar" diventi ufficialmente una nave-civetta in servizio di pattugliamento anti-sommergibili nazisti al largo delle coste cubane. Nel 1944 partecipa davvero alla guerra per iniziativa della bellicosa Martha, inviata speciale in Europa della rivista Collier's, che gli procura l'incarico della RAF, l'aeronautica militare inglese, di descrivere le sue gesta. A Londra subisce un incidente automobilistico che gli provoca una brutta ferita alla testa. Conosce un'attraente bionda del Minnesota, Mary Welsh, giornalista del "Daily Express", e comincia a corteggiarla, soprattutto in versi, circostanza davvero inaspettata.
    Il 6 giugno è il D-day, il grande sbarco alleato in Normandia. Sbarca anche Hemingway e Martha prima di lui. A questo punto però "Papa" si getta in guerra con grande impegno, una sorta di guerra privata, per combattere la quale costituisce una sua sezione del servizio segreto e una unità partigiana con la quale partecipa alla liberazione di Parigi. Finisce nei guai per aver violato la condizione di non combattente, ma poi tutto si aggiusta e viene decorato con la 'Bronze Star'.
    Nel 1945, dopo un periodo di rimproveri e di stilettate, divorzia da Martha e nel 1946 sposa Mary, quarta e ultima moglie. Due anni più tardi trascorre parecchio tempo in Italia, a Venezia, dove stringe un'amicizia dolce e paterna, appena sfiorata da un erotismo autunnale, con la diciannovenne Adriana Ivancich. La giovane e lui stesso sono i protagoniti del romanzo che sta scrivendo, "Di là dal fiume e tra gli alberi", che esce nel 1950, accolto tiepidamente.
    Si rifà due anni dopo con "Il vecchio e il mare", un romanzo breve, che commuove la gente e convince la critica, raccontando la storia di un povero pescatore cubano che cattura un grosso marlin (pesce spada) e cerca di salvare la sua preda dall'assalto dei pescecani. Pubblicato in anteprima su un numero unico della rivista Life, vende cinque milioni di copie in 48 ore. Vince il Premio Pulitzer.
    Due incidenti aerei. Nel 1953 Hemingway va di nuovo in Africa, questa volta con Mary. Ha un incidente aereo mentre si recano nel Congo. Ne esce con una spalla contusa, illesi Mary e il pilota, ma i tre rimangono isolati e si sparge nel mondo la notizia della morte dello scrittore. Fortunatamente si mettono in salvo quando trovano una barca: si tratta nientemeno che della barca affittata tempo prima al regista John Huston per le riprese del film "La regina d'Africa". Decidono di mettersi in viaggio per Entebbe su un piccolo aereo, ma durante il decollo il velivolo cade e s'incendia. Mary se la cava ma lo scrittore è ricoverato a Nairobi per trauma grave, perdita della vista all'occhio sinistro, perdita dell'udito all'orecchio sinistro, ustioni di primo grado alla faccia e alla testa, distorsione del braccio destro, della spalla e della gamba sinistra, una vertebra schiacciata, danni a fegato, milza e reni.

    Nel 1954 gli viene conferito il Premio Nobel per la letteratura, ma rinuncia ad andare a Stoccolma per riceverlo di persona, essendo assai provato dalle ferite riportate nei due incidenti aerei. In effetti ha un crollo fisico e nervoso, che lo affligge per diversi anni. Nel 1960 lavora a uno studio sulla corrida, parte del quale esce su Life.
    Scrive "Festa mobile", un libro di ricordi degli anni parigini, che uscirà postumo (1964). Un altro libro postumo è "Isole nella corrente" (1970), dolente storia di Thomas Hudson, celebre pittore americano, che perde i tre figli, due in un incidente automobilistico e uno in guerra.

    Non riesce a scrivere. Debole, invecchiato, malato si ricovera in una clinica del Minnesota. Nel 1961 compra una villa a Ketchum, Idaho, dove si traferisce non sentendosi più tranquillo a vivere a Cuba dopo la presa di potere di Fidel Castro, che peraltro apprezza.

    Tragico epilogo. Profondamente depresso perché pensa che non riuscirà più a scrivere, la mattina di domenica 2 luglio si alza di buon'ora, prende il suo fucile a canna doppia, va nell'anticamera sul davanti della casa, appoggia la doppia canna alla fronte e si spara.
     
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  15. la sirenetta
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    MATHA HARI

    Margaretha nacque nella famiglia di Adam Zelle (1840-1910) e di Antje van der Meulen (1842-1891), ed ebbe tre fratelli, il maggiore, Johannes (1878), e due fratelli gemelli, Arie Anne e Cornelius (1881-1956); la sua carnagione bruna, i capelli e gli occhi neri la differenziano dalla norma dei suoi conterranei olandesi. Il padre aveva un negozio di cappelli, era proprietario di un mulino e di una fattoria. La sua famiglia poteva permettersi di vivere molto agiatamente in un antico e bel palazzo di Groote Kerkstraat, nel centro della città: Margaretha frequenterà una scuola prestigiosa.

    Nel 1889 gli affari del padre iniziano ad andar male tanto da costringerlo a cedere la sua attività commerciale. Il dissesto economico provocò dissapori nella famiglia che portarono, il 4 settembre 1890, alla separazione dei coniugi e al trasferimento del padre ad Amsterdam. La madre morì l'anno dopo e Margaretha venne allevata nella cittadina di Sneek dal padrino, il quale scelse di farla studiare da maestra d'asilo in una scuola di Leida. Sembra che le eccessive attenzioni, se non proprio le molestie, del direttore della scuola, avessero spinto il suo padrino a toglierla dalla scuola, mandandola da uno zio che viveva a L'Aja.

    Nel 1895 Margaretha rispose all'inserzione matrimoniale di un ufficiale, il capitano Rudolph Mac Leod (1856-1928), che viveva ad Amsterdam, in licenza di convalescenza dalle colonie d'Indonesia poiché soffriva di diabete e di reumatismi. L'11 luglio 1896, ottenuto anche il consenso paterno, Margaretha sposò il capitano Mac Leod (tuttavia il padre non partecipò alla cerimonia nuziale). Dopo il viaggio di nozze a Wiesbaden, la coppia si stabilì ad Amsterdam, nella casa di Louise, la sorella di Rudolph.
    Il 30 gennaio 1897 nacque a Margaretha un figlio, cui fu dato il nome del nonno paterno, Norman John. In maggio la famiglia s'imbarcò per Giava, dove il capitano riprese servizio nel villaggio di Ambarawa, nel centro della grande isola. L'anno dopo si trasferirono a Teompoeng, vicino a Malang, dove il 2 maggio 1898 nacque Jeanne Louise (m. 1919), chiamata col vezzeggiativo Non, dal malese nonah, «piccola».

    La vita familiare non fu serena: vi furono litigi tra i coniugi, sia per la durezza della vita in villaggi che non conoscevano gli agi delle moderne città europee dell'epoca, sia per la gelosia del marito e la sua tendenza ad abusare dell'alcol. L'anno seguente il marito fu promosso maggiore e comandante della piazza di Medan, sulla costa orientale di Sumatra. Come moglie del comandante, Margaretha ebbe il compito di fare gli onori di casa agli altri ufficiali che, con le famiglie, frequentavano il loro alloggio, e conobbe i notabili del luogo. Uno di questi la fece assistere per la prima volta a una danza locale, all'interno di un tempio, che l'affascinò per la novità esotica delle musiche e delle movenze, che ella provò anche ad imitare.

    La famiglia venne sconvolta dalla tragedia della morte del piccolo Norman, che il 27 giugno 1899 morì avvelenato. La causa della morte fu una medicina somministrata dalla domestica indigena ai figli della coppia, ma non si hanno prove che costei avesse voluto uccidere i bambini; si sospetta però che ella, moglie di un subalterno del maggiore Mac Leod, fosse stata spinta dal marito a vendicarsi del superiore, che gli aveva inflitto una punizione[senza fonte]. Rudolph, Margaretha e la piccola Non, per sottrarsi a un luogo di tristi ricordi, ottennero di trasferirsi a Banjoe Biroe, nell'isola di Giava, dove Margaretha si ammalò di tifo. Il maggiore Mac Leod, raggiunta la maturazione della pensione, il 2 ottobre 1900 diede le dimissioni dall'esercito: dopo poco più di un anno passato ancora a Giava, nel villaggio di Sindanglaja, cedendo forse alle richieste della moglie, agli inizi del 1902 riportò la famiglia in Olanda.

    Sbarcati il 2 marzo 1902, i due coniugi tornarono per breve tempo a vivere nella casa di Louise Mac Leod, poi per loro conto in un appartamento di van Breestraat 188: lasciata dal marito, che portò con sé la figlia, Margaretha chiese la separazione, che le viene accordata il 30 agosto, insieme con l'affidamento della piccola Non e il diritto agli alimenti. Dopo una successiva, breve riconciliazione, Margaretha e il marito si separarono definitivamente; questa volta fu il padre ad ottenere la custodia della bambina, mentre Margaretha si stabilì dallo zio a L'Aja.
    Decisa a tentare l'avventura della grande città, nel marzo del 1903 Margaretha andò a Parigi, dove pure non conosceva nessuno: cercò di mantenersi facendo la modella presso un pittore e cercando scritture nei teatri ma con risultati alquanto deludenti. Forse giunse anche a prostituirsi per sopravvivere, nella vana attesa del successo[1]. Il fallimento dei suoi tentativi la convinse a riparare in Olanda ma l'anno seguente, il 24 marzo 1904, tornò nuovamente a Parigi. Vi sono forse maggiori probabilità di imporsi quando si finge di non essere nel bisogno: per questo motivo prese alloggio al Grand Hotel. Presentatasi dal signor Molier, proprietario di un'importante scuola di equitazione e di un circo, Margaretha, che in effetti aveva imparato a cavalcare a Giava, si offrì di lavorare e poiché un'amazzone può essere un'attrazione, fu accettata. Ebbe successo e una sera si esibì durante una festa in casa del Molier in una danza giavanese, o qualcosa che sembrava somigliarle: Molier rimase entusiasta di lei.
    Il suo vero debutto avvenne nel febbraio 1905 in casa della cantante Kiréevsky, che usava invitare i suoi ricchi amici e conoscenti a spettacoli di beneficenza. Il successo fu tale che i giornali arrivano a parlarne: lady Mac Leod, come si faceva chiamare, replicò il successo in altre esibizioni, ancora tenute in case private, dove più facilmente poteva togliersi i veli del suo costume, e la sua fama di «danzatrice venuta dall'Oriente» iniziò ad estendersi per tutta Parigi.

    Notata da monsieur Guimet, industriale e collezionista di oggetti d'arte orientale, ricevette da questi la proposta di esibirsi in place de Jéna, nel museo dove egli custodiva i suoi preziosi reperti, come un animato gioiello orientale. Fu però necessario cambiare il suo nome, troppo borghese ed europeo: così Guimet scelse il nome, d'origine malese, di Mata Hari, «Occhio dell'Alba». L’esibizione di Mata Hari nel museo Guimet ebbe luogo il 13 marzo.

    Mata Hari alternò le esibizioni tenute nelle case esclusive di aristocratici e finanzieri agli spettacoli nei locali prestigiosi di Parigi: il Moulin Rouge, il Trocadéro, il Café des Nations; ma il successo provoca una curiosità cui non ci si può sottrarre e l'immagine privata deve collimare con l'immagine pubblica: «Sono nata a Giava e vi ho vissuto per anni» - raccontò ai giornalisti, mescolando poche verità e molte menzogne - «sono entrata, a rischio della vita, nei templi segreti dell'India [ ... ] ho assistito alle esibizioni delle danzatrici sacre davanti ai simulacri più esclusivi di Shiva, Visnù e della dea Kalì [ ... ] persino i sacerdoti fanatici che sorvegliano l'ara d'oro, sacra al più terribile degli dei mi hanno creduto una bajadera del tempio [ ... ] la vendetta dei sacerdoti buddisti per chi profana i riti [ ... ] è terribile [ ... ] conosco bene il Gange, Benares, ho sangue indù nelle vene»
    Mentre l'esercito tedesco invadeva il Belgio per svolgere quell'operazione a tenaglia che, con l'accerchiamento delle forze armate francesi, avrebbe dovuto concludere rapidamente la guerra, Mata Hari era già partita per la Svizzera, da dove contava di rientrare in Francia; tuttavia, mentre i suoi bagagli proseguirono il viaggio verso la terra francese, lei venne trattenuta alla frontiera e rimandata a Berlino. Nell'albergo ove fece ritorno, senza bagaglio e denaro, un industriale olandese, tale Jon Kellermann, le offrì il denaro per il viaggio, consigliandole di andare a Francoforte e di qui, tramite il consolato, passare la frontiera olandese. Così, il 14 agosto 1914 il funzionario del consolato olandese rilasciò a Margaretha Geertuida Zelle, «alta un metro e settantacinque», di capelli, in quell'occasione, biondi, il visto per raggiungere Amsterdam.
    Qui divenne l'amante del banchiere van der Schalk e poi, dopo il trasferimento a L'Aja, del barone Eduard Willem van der Capellen, colonnello degli ussari, che la soccorse generosamente nelle sue non poche necessità finanziarie. Il 24 dicembre 1915 Mata Hari tornò a Parigi, per recuperare il suo bagaglio e tentare, nuovamente invano, di ottenere una scrittura da Djagilev. Ebbe appena il tempo di divenire amante del maggiore belga Fernand Beaufort che, alla scadenza del permesso di soggiorno, il 4 gennaio 1916 dovette fare ritorno in Olanda.

    Furono frequenti le visite nella sua casa de L'Aja del console tedesco Alfred von Kremer, che proprio in questo periodo l'avrebbe assoldata come spia al servizio della Germania, incaricandola di fornire informazioni sull'aeroporto di Contrexéville, presso Vittel, in Francia, dove ella poteva recarsi col pretesto di far visita al suo ennesimo amante, il capitano russo Vadim Masslov, ricoverato nell'ospedale di quella città. Mata Hari, divenuta agente H21, fu istruita in Germania dalla famosa spia Elsbeth Schragmüller, più nota come Fräulein Doktor, che la immatricolò con il nuovo codice AF44.

    La ballerina era già sorvegliata dal controspionaggio inglese e francese quando, il 24 maggio 1916, partì per la Spagna e di qui, il 14 giugno, per Parigi dove, tramite un ex-amante, il tenente di cavalleria Jean Hallaure, che è anche, senza che lei lo sappia, un agente francese, il 10 agosto si mise in contatto con il capitano Georges Ladoux, capo di una sezione del Deuxième Bureau, il controspionaggio francese, per ottenere il permesso di recarsi a Vittel. Ladoux le concesse il visto e le propose di entrare al servizio della Francia, proposta che Mata Hari accettò, chiedendo l'enorme cifra di un milione di franchi, giustificata dalle conoscenze importanti che ella vantava e che sarebbero potute tornare utili alla causa francese.
    A Vittel incontrò il capitano russo e fece vita mondana con i tanti ufficiali francesi che frequentavano la stazione termale; dopo due settimane tornò a Parigi. Qui, oltre a inviare informazioni sulla sua missione agli agenti tedeschi in Olanda e in Germania, ricevette anche istruzioni dal capitano Ladoux di tornare in Olanda via Spagna. Dopo essersi trattenuta alcuni giorni a Madrid, sempre sorvegliata dai francesi e dagli inglesi, a novembre s'imbarcò da Vigo per L'Aia. Durante la sosta della nave a Falmouth, nel Regno Unito, fu arrestata perché scambiata con una ballerina di flamenco, Clara Benedix, sospetta spia tedesca. Interrogata a Londra e chiarito l'equivoco, dopo accordi presi con Ladoux, Scotland Yard la respinse in Spagna, dove sbarcò l'11 dicembre 1916.

    A Madrid continuò il doppio gioco, mantenendosi in contatto sia con l'addetto militare all'ambasciata tedesca, Arnold von Kalle, che con quello dell'ambasciata francese, il colonnello Joseph Denvignes, al quale riferì di manovre dei sottomarini tedeschi al largo delle coste del Marocco. Il von Kalle comprese che Mata Hari stava facendo il doppio gioco e telegrafò a Berlino che «l'agente H21» chiedeva denaro ed era in attesa di istruzioni: la risposta fu che l'agente H21 doveva rientrare in Francia per continuare le sue missioni e ricevervi 15.000 franchi.

    L'ipotesi che i tedeschi avessero deciso di disfarsi di Mata Hari - rivelandola al controspionaggio francese come spia tedesca - poggia sull'utilizzo, da loro fatto in quell'occasione, di un vecchio codice di trasmissione, già abbandonato perché decifrato dai francesi, nel quale Mata Hari veniva ancora identificata con la sigla H21, anziché con la più recente AF44.

    In tal modo, i messaggi tedeschi furono facilmente decifrati dalla centrale parigina di ascolto radio della Tour Eiffel. Il 2 gennaio 1917 Mata Hari rientrò a Parigi e la mattina del 13 febbraio venne arrestata nella sua camera dell'albergo Elysée Palace e rinchiusa nel carcere di Saint-Lazare.
    Di fronte al titolare dell'inchiesta, il capitano Pierre Bouchardon, Mata Hari adottò inizialmente la tattica di negare ogni cosa, dichiarandosi totalmente estranea a ogni vicenda di spionaggio. Fu assistita, nel primo interrogatorio, dall'avvocato Édouard Clunet, suo vecchio amante, che aveva mantenuto con lei un affettuoso rapporto e che potrà essere presente, secondo regolamento, ancora solo nell'ultima deposizione. Poi, con il passare dei giorni, non poté evitare di giustificare le somme che il van der Capelen, suo amante, le inviava dall'Olanda - considerate dall'accusa il prezzo del suo spionaggio - di ammettere le somme ricevute a Madrid dal von Kalle, giustificandole come semplici regali, e di rivelare anche un particolare inedito: l'offerta ricevuta in Spagna di ingaggiarsi come agente dello spionaggio russo in Austria. Riferì anche della proposta fattale dal capitano Ladoux di lavorare per la Francia, una proposta che cercò di sfruttare a suo vantaggio, come dimostrazione della propria lealtà nei confronti della Francia.

    L'accusa non aveva, fino a questo momento, alcuna prova concreta contro Mata Hari, la quale poteva anzi vantare di essersi messa a disposizione dello spionaggio francese. Il fatto è che il controspionaggio non aveva ancora messo a disposizione del capitano Bouchardon le trascrizioni dei messaggi tedeschi intercettati che la indicavano come l'agente tedesco H21. Quando lo fece, due mesi dopo, Mata Hari dovette ammettere di essere stata ingaggiata dai tedeschi, di aver ricevuto inchiostro simpatico per comunicare le sue informazioni, ma di non averlo mai usato - avrebbe gettato tutto in mare - e di non avere trasmesso nulla ai tedeschi, malgrado 20.000 franchi ricevuti dal console von Kremer, che ella, sostenne, considerò solo un risarcimento per i disagi patiti durante la sua permanenza in Germania nei primi giorni di guerra. Quanto al messaggio di von Kalle a Berlino, che la rivelava come spia, Mata Hari lo considerò la vendetta di un uomo respinto.

    I tanti ufficiali francesi di cui fu amante, interrogati, la difesero, dichiarando di non averla mai considerata una spia. Al contrario, il capitano Georges Ladoux negò di averle mai proposto di lavorare per il servizi francesi, avendola sempre considerata una spia tedesca, mentre l'addetto militare a Madrid, l'anziano Denvignes, sostenne di essere stato corteggiato da lei allo scopo di carpirgli segreti militari; quanto alle informazioni sulle attività tedesche in Marocco, egli negò che fosse stata Mata Hari a fornirle. Entrambi gli ufficiali non seppero citare alcuna circostanza sostanziale contro Mata Hari, ma le loro testimonianze, nel processo, ebbero un peso determinante. L'inchiesta si chiuse con un colpo a effetto: l'ufficiale russo Masslov, del quale Mata Hari sarebbe stata innamorata, scrisse di aver sempre considerato la relazione con la donna soltanto un'avventura. La rivelazione non aveva nulla a che fare con la posizione giudiziaria di Mata Hari, ma certo acuì in lei la sensazione di trovarsi in un drammatico isolamento.

    L'inchiesta venne chiusa il 21 giugno con il rinvio a giudizio di Mata Hari. Il processo, tenuto a porte chiuse, ebbe inizio il 24 luglio: a presiedere la Corte di sei giudici militari fu il tenente colonnello Albert Ernest Somprou; a sostenere l'accusa il tenente Mornet. Nulla di nuovo emerse nei due giorni di dibattimento: dopo l'appassionata perorazione del difensore Clunet, vecchio combattente e decorato, nel 1870, nella guerra franco-prussiana, i giudici si ritirarono per rispondere a 8 domande:

    se nel dicembre 1915 Margaretha Zelle cercò di ottenere informazioni riservate nella zona militare di Parigi a favore di una potenza nemica;
    se procurò informazioni riservate al console tedesco in Olanda von Kremer;
    se nel maggio 1916 ebbe rapporti in Olanda con il console von Kremer;
    se nel giugno 1916 cercò di ottenere informazioni nella zona militare di Parigi;
    se cercò di favorire le operazioni militare della Germania;
    se nel dicembre 1916 ebbe contatti a Madrid con l'addetto militare tedesco von Kalle allo scopo di fornirgli informazioni riservate;
    se rivelò al von Kalle il nome di un agente segreto inglese e la scoperta, da parte francese, di un tipo di inchiostro simpatico tedesco;
    se nel gennaio 1917 ebbe rapporti con il nemico nella zona militare di Parigi.
    Dopo un'ora venne emessa la sentenza: «Il Consiglio di Guerra condanna all'unanimità Marguerite Gertrude Zelle alla pena di morte mediante fucilazione
    L'istanza di riesame del processo venne respinta dal Consiglio di revisione il 17 agosto e il 27 settembre anche la Corte d'Appello confermò la sentenza di condanna. L'ultima speranza era rappresentata dalla domanda di grazia che l'avvocato Clunet presentò personalmente al Presidente della Repubblica Poincaré.

    Il 15 ottobre, un lunedì, Mata Hari, che dopo il processo occupava una cella in comune con due altre detenute, venne svegliata all'alba dal capitano Thibaud, il quale la informò che la domanda di grazia era stata respinta e la invitò a prepararsi per l'esecuzione. Si vestì con la consueta eleganza, assistita da due suore. Poi, su sua richiesta, il pastore Arboux la battezzò; indossato un cappello di paglia di Firenze e infilati i guanti, fu accompagnata da suor Léonide e suor Marie, dal pastore, dall'avvocato Clunet, dai dottori Bizard, Socquet, Bralet e dai gendarmi nell'ufficio del direttore, dove scrisse tre lettere - che tuttavia la direzione del carcere non spedì mai - indirizzate alla figlia Jeanne Louise, al capitano Masslov e all'ambasciatore d'Olanda Cambon.

    Poi tre furgoni portarono il corteo al castello di Vincennes dove, scortati da dragoni a cavallo, giunsero verso le sei e trenta di una fredda e nebbiosa mattina. Al braccio di suor Marie, si avviò con molta fermezza al luogo fissato per l'esecuzione, salutata, come è previsto, da un plotone che le presentò le armi. Ricambiato più volte il saluto con cortesi cenni del capo, fu blandamente legata al palo; rifiutata la benda, poté fissare di fronte a sé i dodici fanti reduci dal fronte cui era stato assegnato il compito di giustiziarla: uno di essi, secondo regola, aveva il fucile caricato a salve.

    Degli undici colpi, otto andarono a vuoto - ultima galanteria dei militari di Francia - uno la colpì al ginocchio, uno al fianco e il terzo la fulminò al cuore: il maresciallo Pétey diede alla nuca un inutile colpo di grazia. Nessuno reclamò il corpo: trasportato all'Istituto di medicina legale di Parigi, sezionato, fu presto sepolto in una fossa comune. Venne conservata la testa che fu trafugata negli anni cinquanta, in circostanze mai chiarite, per servire forse di estrema e macabra reliquia.
     
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