VITE STRAORDINARIE: Indimenticabili

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    Anna Frank

    Annelies Marie "Anne" Frank, italianizzato in Anna Frank (12 giugno 1929 - marzo 1945), fu una ragazza ebrea che scrisse un diario mentre si nascondeva con la famiglia dai nazisti, ad Amsterdam, durante la seconda guerra mondiale. La sua famiglia venne tradita ed essi vennero trasportati nei campi di concentramento tedeschi, dove morirono tutti ad eccezione del padre Otto. Dopo la guerra, il suo diario venne pubblicato, rendendola famosa in tutto il mondo.

    Anna nacque a Francoforte sul Meno, in Germania, seconda figlia di Otto Heinrich Frank (12 maggio 1889 - 19 agosto 1980) e di sua moglie Edith Hollander (16 gennaio 1900 - 6 gennaio 1945), proveniente da una famiglia di patrioti tedeschi che prestarono servizio durante la prima guerra mondiale. Aveva una sorella maggiore, Margot Betti Frank (16 febbraio 1926 - marzo 1945). Lei e la famiglia dovettero spostarsi ad Amsterdam per sfuggire alla persecuzione dei Nazisti. Appena tredicenne, dovette nascondersi con la famiglia nell'Achterhuis, un piccolo spazio a due piani posto sotto i locali della compagnia di Otto. (Questo Achterhuis era situato in un vecchio - ed abbastanza tipico - edificio sul Canale Prinsengracht, nella parte ovest di Amsterdam, a circa un isolato dalla Westerkerk.) La porta dell'Achterhuis era nascosta dietro una libreria. Vissero li dal 9 luglio 1942 al 4 agosto 1944, durante l'occupazione nazista.

    Nel nascondiglio trovarono rifugio 8 persone: Otto e Edith Frank (i genitori di Anna); la sorella maggiore Margot; il Signor Dussel, un dentista ebreo (vero nome, Fritz Pfeffer); e i coniugi van Daan con il loro figlio Peter (vero cognome, van Pels). Durante quegli anni Anna scrisse un diario, descrivendo con considerevole talento le paure causate dal vivere in clandestinità, i sentimenti per Peter, i conflitti con i genitori, e la sua aspirazione di diventare scrittrice.

    Dopo più di due anni, una soffiata di un informatore olandese portò la Gestapo al loro nascondiglio. Vennero arrestati dalla Grüne Polizei e il 2 settembre 1944 Frank e la sua famiglia vennero caricati su un treno merci che andava da Westerbork ad Auschwitz, dove giunsero tre giorni dopo. Nel frattempo Miep Gies ed Elly Vossen, due delle persone che si erano prese cura del gruppo durante il periodo passato nel nascondiglio, trovarono il diario e lo misero al sicuro.

    Anna, Margot ed Edith Frank, i van Pels e Fritz Pfeffer non sopravvissero ai campi di concentramento tedeschi (nel caso di Peter van Pels, alle marce della morte tra un campo e l'altro). Margot e Anna passarono un mese ad Auschwitz-Birkenau e vennero poi spedite a Bergen-Belsen, dove morirono di tifo nel marzo 1945, poco dopo la liberazione. Solo il padre di Anna sopravvisse ai campi di concentramento (Morì nel 1980). Miep gli diede il diario ed egli lo aggiustò per la pubblicazione con il titolo di I diari di Anna Frank. Da allora è stato pubblicato in 55 lingue.
     
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  2. la sirenetta
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    Suor Teresa del Bambin Gesù

    Alençon (Francia), 2 gennaio 1873 - Lisieux, 30 settembre 1897

    Sensibilissima e precoce, fin da bambina decise di dedicarsi a Dio. Entrò nel Carmelo di Lisieux e nel solco della tradizione carmelitana scoprì la sua piccola via dell'infanzia spirituale, ispirata alla semplicità e all'umile confidenza nell'amore misericordioso del Padre. Posta dalla vocazione contemplativa nel cuore della Chiesa, si aprì all'ideale missionario, offrendo a Dio le sue giornate fatte di fedeltà e di silenziosa e gioiosa offerta per gli apostolo del Vangelo. I suoi pensieri, raccolti sotto il titolo Storia di un'anima, sono la cronaca quotidiana del suo cammino di identificazione con l'Amore. Con San Francesco Saverio è patrona delle missioni. (Mess. Rom.)

    Patronato: Missionari, Francia


    Etimologia: Teresa = cacciatrice, dal greco; oppure donna amabile e forte, dal tedesco


    Emblema: Giglio, Rosa


    Martirologio Romano: Memoria di santa Teresa di Gesù Bambino, vergine e dottore della Chiesa: entrata ancora adolescente nel Carmelo di Lisieux in Francia, divenne per purezza e semplicità di vita maestra di santità in Cristo, insegnando la via dell’infanzia spirituale per giungere alla perfezione cristiana e ponendo ogni mistica sollecitudine al servizio della salvezza delle anime e della crescita della Chiesa. Concluse la sua vita il 30 settembre, all’età di venticinque anni.
     
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    Franco Basaglia

    Franco Basaglia è conosciuto per la legge che porta il suo nome: la 180, che portò notevoli rivoluzioni alla psichiatria del ‘900. Basaglia nasce nel 1924, secondogenito di un’agiata famiglia veneziana. Dopo gli studi classici, durante i quali il giovane conosce e rimane affascinato dalla corrente dell’esistenzialismo appassionandosi particolarmente agli scritti di Husserl, Heideger, Sartre, si iscrive alla Facoltà di Medicina di Padova e dopo la laurea consegue, nel 1953, la specializzazione in Malattie Nervose e Mentali. Il 1935 è un anno importante per Basaglia non solo per gli aspetti professionali che gli si prefigurano all’orizzonte, ma anche per gli aspetti più prettamente personali. Si sposa, infatti, con Franca Ongaro con cui dividerà non solo la conduzione della famiglia, che si allarga nel tempo con due figli, ma anche la passione per la psichiatria: insieme saranno coautori di alcune opere in materia. Ricordiamo “La maggioranza deviante” del 1971 e un suggestivo libro fotografico del 1969 “Morire di Classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin”. Carla Cerati ricorda così quella che la fotografa stessa definisce come un’opportunità sconvolgente ed indimenticabile: “Nel corso di questo lavoro sentii per la prima volta i limiti della macchina fotografica. che non poteva cogliere efficacemente l'ossessiva ripetitività dei gesti, le voci, le grida, i lamenti e, insieme a tutto questo, l'assurda musichetta trasmessa dalla filodiffusione”.

    Basaglia inizialmente si dedica alla carriera universitaria guadagnandosi la libera docenza in Psichiatria presso l’università di Padova. Sostiene, influenzato dalle correnti di ispirazione fenomenologica ed esistenziale (Jasper, Minkowski, Binswanger), idee troppo sovversive per la psichiatria del tempo, che mal si sposano con la cultura d’ateneo dell’epoca; decide, pertanto, di lasciare il mondo accademico per accettare l’incarico di direttore dell’Ospedale Psichiatrico di Gorizia. Siamo nel 1961 e Basaglia si scontra con la forte realtà manicomiale; in particolare, il giovane medico denota come il malato, una volta entrato in queste realtà, cessa d’essere considerato una persona per divenire un “oggetto” da segregare e contenere con metodi fortemente costrittivi quali la camicia di forza e l’elettroshock. Basaglia, nel manicomio di Gorizia, si ripropone di sovvertire questo sistema. Ispirandosi a Foucault e Goffman, al concetto di “comunità terapeutica” e alla corrente di pensiero dell’“antipsichiatria”, applica un metodo terapeutico innovativo. Obiettivo principale di tale metodo è di rimarcare ed esaltare le qualità del individuo malato, anziché soffocarle; al malato viene data molta più autonomia consentendogli di intrattenere rapporti con l’esterno. Il malato psichiatrico, quindi, non deve essere nascosto e recluso, bensì, deve essere portato alla condizione di poter liberamente interagire con il mondo esterno.

    Basaglia, seppur impegnato nella rinnovata direzione del manicomio della città friulana, non tralascia la sua formazione e prosegue la sua attività intellettuale, che abbraccia diversi campi e ambiti del sapere, e scientifica prendendo attivamente parte a congressi nazionali ed internazionali. Nel 1964, a Londra, in occasione del I Congresso Internazionale di Psichiatria Sociale, fa un intervento intitolato “La distruzione dell’istituzionalizzazione”, in cui riporta il lavoro portato avanti nel Manicomio di Gorizia. Nel 1967 esce “Che cos’è la psichiatria” e dopo un anno “L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico”, due volumi che testimoniano l’esperienza professionale di Basaglia in cui l’autore apre, come aveva fisicamente aperto le porte del manicomio di Gorizia, le menti e gli occhi dei lettori sulla realtà manicomiale. Lo psichiatra si ripropone di far conoscere al grande pubblico quello che si può fare per queste “persone in crisi”, che non devono essere escluse, emarginate, ma bensì aiutate da una serie di servizi a reintegrarsi nella società e nelle famiglie.

    Nel 1968 lascia la direzione dell’Ospedale di Gorizia per il coinvolgimento in un inchiesta su un delitto compiuto da un paziente da lui dimesso. Inchiesta poi archiviata perché non è mai stata trovata alcuna relazione tra le dimissioni e il delitto stesso. L’anno successivo dirige l’Ospedale di Colorno, in provincia di Parma. Ma è due anni dopo, nel 1971, quando diventa direttore del manicomio San Giovanni di Trieste, che si denota la portata innovativa delle sue idee. La giunta provinciale di centro-sinistra e presieduta da Michele Zanetti lascia carta bianca al nuovo direttore. Basaglia decide di formare una propria équipe giovane, non ancora contaminata dalla psichiatria, formata da medici, psicologi, assistenti sociali, volontari e studenti e di riorganizzare l’ospedale attraverso l’apertura di nuovi reparti. Partono quindi varie attività, quali laboratori di pittura, teatro, scrittura e la formazione di una cooperativa di pazienti che svolgono lavori di pulizia e giardinaggio retribuiti e con regolare contratto sindacale. Quando Basaglia arriva a Trieste gli internati sono 1182, nel 1975 il numero è sceso a 800, molti hanno trovato collocazione in famiglia, in gruppi appartamento e nelle case popolari.

    Gli sforzi di Basaglia non sono stati vani e, nel 1973, Trieste diventa “zona pilota” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – Oms sui servizi di salute mentale. Sempre nel 1973, insieme ad altri psichiatri che condividono le sue stesse idee fonda Psichiatria Democratica, movimento ad oggi esistente e legato alla sinistra. Il 13 maggio del 1978 questo movimento ispira e promulga in parlamento la legge n. 180/78 sancendo la riforma della psichiatria di trent’anni fa. Cardini principali di questa legge sono la chiusura dei manicomi, la definizione di una regolamentazione del trattamento sanitario obbligatorio e l’istituzione di servizi di igiene mentale pubblici.

    Nel 1979 si trasferisce a Roma per assumere l'incarico di coordinatore dei servizi psichiatrici della Regione Lazio. Un anno dopo, all'età di 56 anni Basaglia, affetto da un tumore al cervello, muore nella sua casa di Venezia.
     
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  4. la sirenetta
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    Totò

    Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi, più noto come Antonio De Curtis (Napoli, 15 febbraio 1898 – Roma, 15 aprile 1967), è stato un attore, poeta e paroliere italiano. Soprannominato "il principe della risata", è considerato uno dei più grandi interpreti nella storia del teatro e del cinema italiano. Nato come Antonio Vincenzo Stefano Clemente ed adottato nel 1933 dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas – il padre naturale, Giuseppe De Curtis, lo riconobbe legalmente soltanto nel 1937 – nel 1945 il Tribunale di Napoli gli permise di aggiungere vari cognomi e alcuni predicati nobiliari come parte del nome e gli riconobbe anche diversi titoli nobiliari. Sicché Totò divenne Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponto, di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e d'Epiro, conte e duca di Drivasto e di Durazzo anche se sul pronao della cappella della sua tomba, nel Cimitero di Santa Maria del Pianto a Napoli, l'incisione recita solo Focas Flavio Comneno De Curtis di Bisanzio - Clemente.

    Totò spaziò in tutti i generi teatrali, con oltre 50 titoli, dal variété all'avanspettacolo di tipo burlesque, alla "grande rivista" di Michele Galdieri, passando per il cinema, con 97 film interpretati dal 1937 al 1967, visti da oltre 270 milioni di spettatori, un primato nella storia del cinema italiano
    e la televisione con una serie di 9 telefilm diretti da Daniele D'Anza, poco prima della scomparsa, ormai ridotto alla quasi cecità che lo aveva costretto nel 1957 ad abbandonare il palcoscenico.

    Grande maschera nel solco della tradizione della Commedia dell'Arte, accostato di volta in volta a comici come Buster Keaton o Charlie Chaplin, conservò fino alla fine una sua unicità interpretativa che risaltava sia in copioni puramente brillanti (diretto, tra gli altri, da Mario Mattoli, Camillo Mastrocinque o Sergio Corbucci), sia in parti drammatiche, interpretate alla fine della carriera, con maestri del calibro di Alberto Lattuada o Pier Paolo Pasolini. A distanza di decenni i suoi film riscuotono ancora grande successo, e molte delle sue memorabili battute e gag-tormentoni sono spesso diventate anche perifrasi entrate nel linguaggio comune.
     
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    Mahatma Gandhi


    Mohandas Karamchard Gandhi, detto il Mahatma (in sanscrito significa Grande Anima, soprannome datogli dal poeta indiano R. Tagore), è il fondatore della nonviolenza e il padre dell'indipendenza indiana.
    Il nome Gandhi in lingua indiana significa 'droghiere': la sua famiglia dovette esercitare per un breve periodo un piccolo commercio di spezie.
    Nato il 2 ottobre 1869 a Portbandar in India, dopo aver studiato nelle università di Ahmrdabad e Londra ed essersi laureato in giurisprudenza, esercita brevemente l'avvocatura a Bombay.
    Di origini benestanti, nelle ultime generazioni la sua famiglia ricoprì alcune cariche importanti nelle corti del Kathiawar, tanto che il padre Mohandas Kaba Gandhi era stato primo ministro del principe Rajkot. I Gandhi tradizionalmente erano di religione Vaishnava; appartenevano cioè ad una setta Hindù con particolare devozione per Vishnù.
    Nel 1893 si reca in Sud Africa con l'incarico di consulente legale per una ditta indiana: vi rimarrà per ventuno anni. Qui si scontra con una realtà terribile, in cui migliaia di immigrati indiani sono vittime della segregazione razziale. L'indignazione per le discriminazioni razziali subite dai suoi connazionali (e da lui stesso) da parte delle autorità britanniche, lo spingono alla lotta politica.

    Il Mahatma si batte per il riconoscimento dei diritti dei suoi compatrioti e dal 1906 lancia, a livello di massa, il suo metodo di lotta basato sulla resistenza nonviolenta, denominato anche Satyagraha: una forma di non-collaborazione radicale con il governo britannico, concepita come mezzo di pressione di massa.
    Gandhi giunge all'uguaglianza sociale e politica tramite le ribellioni pacifiche e le marce.
    Alla fine il governo sudafricano attua importanti riforme a favore dei lavoratori indiani: eliminazione di parte delle vecchie leggi discriminatorie, riconoscimento ai nuovi immigrati della parità dei diritti e validità dei matrimoni religiosi.

    Nel 1915 Gandhi torna in India dove circolano già da tempo fermenti di ribellione contro l'arroganza del dominio britannico, in particolare per la nuova legislazione agraria, che prevedeva il sequestro delle terre ai contadini in caso di scarso o mancato raccolto, e per la crisi dell'artigianato.
    Diventa il leader del Partito del Congresso, partito che si batte per la liberazione dal colonialismo britannico.

    Nel 1919 prende il via la prima grande campagna satyagraha di disobbedienza civile, che prevede il boicottaggio delle merci inglesi e il non-pagamento delle imposte. Il Mahatma subisce un processo ed è arrestato. Viene tenuto in carcere pochi mesi, ma una volta uscito riprende la sua battaglia con altri satyagraha. Nuovamente incarcerato e poi rilasciato, Gandhi partecipa alla Conferenza di Londra sul problema indiano, chiedendo l'indipendenza del suo paese.
    Del 1930 è la terza campagna di resistenza. Organizza la marcia del sale: disobbedienza contro la tassa sul sale, la più iniqua perché colpiva soprattutto le classi povere. La campagna si allarga con il boicottaggio dei tessuti provenienti dall'estero. Gli inglesi arrestano Gandhi, sua moglie e altre 50.000 persone. Spesso incarcerato anche negli anni successivi, la "Grande Anima" risponde agli arresti con lunghissimi scioperi della fame (importante è quello che egli intraprende per richiamare l'attenzione sul problema della condizione degli intoccabili, la casta più bassa della società indiana).

    All'inizio della Seconda Guerra Mondiale Gandhi decide di non sostenere l'Inghilterra se questa non garantirà all'India l'indipendenza. Il governo britannico reagisce con l'arresto di oltre 60.000 oppositori e dello stesso Mahatma, che è rilasciato dopo due anni.

    Il 15 agosto 1947 l'India conquista l'indipendenza. Gandhi vive questo momento con dolore, pregando e digiunando. Il subcontinente indiano è diviso in due stati, India e Pakistan, la cui creazione sancisce la separazione fra indù e musulmani e culmina in una violenta guerra civile che costa, alla fine del 1947, quasi un milione di morti e sei milioni di profughi.

    L'atteggiamento moderato di Gandhi sul problema della divisione del paese suscita l'odio di un fanatico indù che lo uccide il 30 gennaio 1948, durante un incontro di preghiera.
     
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  6. la sirenetta
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    ITALO BALBO

    Italo Balbo nacque a Quartesana, frazione del comune di Ferrara, il 6 giugno 1896. Figlio di Camillo Balbo e Malvina Zuffi, entrambi maestri elementari: il padre era di origini piemontesi, mentre la madre era romagnola. In famiglia vigeva il rispetto assoluto per la monarchia ed il servizio militare.

    Dopo la sua nascita, la famiglia Balbo si trasferisce da Quartesana a Ferrara, centro politico rilevante, percorso da fermenti di classe contadina e animato da idee socialiste. Le accese dispute tra monarchici e repubblicani si svolgevano spesso al Caffè Milano, soprannominato all'epoca "sitùzz", ovvero piccolo sito, posticino.[1] Anche il giovane Italo Balbo partecipò attivamente alle discussioni politiche, che esercitarono senz'altro una certa influenza sulle sue opinioni politiche.

    In famiglia i contrasti si accentuavano, poiché Italo, di idee repubblicane ma conservatrici, si scontrava con lo spirito monarchico del padre. Nel 1911, appreso al Caffè Milano circa l'iniziativa organizzata da Ricciotti Garibaldi per liberare l'Albania dal controllo turco, fuggì da casa e si aggregò alla spedizione militare. Non riuscì a partecipare alla spedizione, bloccato dalla polizia, avvisata dal padre.

    Nel 1914 Italo Balbo si schierò decisamente con il movimento interventista e, durante la partecipazione ad una manifestazione interventista a Milano, conobbe Benito Mussolini. Balbo divenne poi guardia del corpo di Cesare Battisti durante i comizi da lui tenuti a favore dell'intervento in guerra.
    Il 28 giugno 1940, mentre era di ritorno da una ricognizione di guerra in territorio egiziano, il suo Savoia-Marchetti S.M.79 venne abbattuto dal fuoco amico uccidendolo. Il giorno dopo il bollettino delle Forze Armate diramò il seguente bollettino:

    « Il giorno 28, volando sul cielo di Tobruk, durante un'azione di bombardamento nemica, l'apparecchio pilotato da Italo Balbo è precipitato in fiamme. Italo Balbo e i componenti dell'equipaggio sono periti. Le bandiere delle Forze Armate d'Italia s'inchinano in segno di omaggio e di alto onore alla memoria di Italo Balbo, volontario alpino della guerra mondiale, Quadrumviro della Rivoluzione, trasvolatore dell'Oceano, Maresciallo dell'Aria, caduto al posto di combattimento. »
     
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    John Fitzgerald Kennedy

    John F. Kennedy nasce a Brooklin, nel Massachusetts, il 29 maggio 1917. Partecipa alla Seconda guerra mondiale come volontario; in marina, dopo essere stato ferito alla schiena, torna a Boston dove intraprende la carriera politica. Milita nel Partito Democratico come deputato e, successivamente, come senatore.
    Il suo discorso pronunciato in Senato nel 1957 appare particolarmente significativo: Kennedy critica l'appoggio che l'amministrazione Repubblicana offre al dominio coloniale francese in Algeria. Sulla base della sua linea di rinnovamento nei confronti dei "Paesi Nuovi", viene eletto presidente della Sottocommissione per l'Africa dalla commissione estera del Senato.

    Il 2 gennaio 1960, annuncia la sua decisione di concorrere alle elezioni presidenziali, scegliendo come suo vicepresidente Johnson; nel discorso di accettazione della candidatura enuncia la dottrina della "Nuova Frontiera". Come in passato, infatti, la Nuova Frontiera aveva indotto i pionieri ad estendere verso ovest i confini degli Stati Uniti, in modo da conquistare nuovi traguardi per la Democrazia Americana, ad esempio combattere il problema della disoccupazione, migliorare il sistema educativo e quello sanitario, tutelare gli anziani e i più deboli; infine, in politica estera, intervenire economicamente in favore dei Paesi sottosviluppati.
    In campagna elettorale, assume una posizione riformista e si assicura i voti dei cittadini di colore, oltre all'appoggio degli ambienti intellettuali: in novembre vince le elezioni, battendo il Repubblicano Nixon, anche se con un margine minimo di maggioranza. Al momento della sua investitura, avvenuta il 20 gennaio 1961 a Washington, annuncia la decisione di varare un programma Food For Peace e di stabilire una "Alleanza per il progresso" con i Paesi latino-americani.

    Alla fine di maggio parte per un importante viaggio in Europa, nel corso del quale incontra De Gaulle a Parigi, Krusciov a Vienna e Mac Millan a Londra. Al centro dei colloqui sono i rapporti di coesistenza tra USA e URSS, il disarmo, la questione di Berlino, la crisi del Laos, le relazioni politiche, economiche e militari tra gli Stati Uniti e gli alleati europei.

    Dopo le esplosioni nucleari sovietiche causate dal alcuni esperimenti, però, autorizza a sua volta la ripresa degli esperimenti nucleari.

    Sul piano della politica internazionale, l'obiettivo strategico di Kennedy nei confronti dell'Unione Sovietica è quello di un'intesa mondiale basata sulla supremazia delle due massime potenze, garanti della pace e della guerra. Per quanto riguarda l'America Latina, invece, il suo progetto consiste nell'emarginazione e nella liquidazione del Castrismo Cubano. Viene stipulata la "Alleanza per il progresso", cioè un grande programma finanziario offerto all'organizzazione collettiva degli Stati Sudamericani.

    Nella campagna elettorale per la presidenza, la questione dei neri aveva rivestito una grande importanza e il loro voto, confluito sulla scheda democratica, era stato decisivo per aprire al candidato della "Nuova Frontiera" le porte della Casa Bianca. Con l'andare del tempo, comunque, Kennedy non riesce a mantenere le sue promesse e in alcune zone del Paese si verificano delle vere e proprie discriminazioni razziali e gravi episodi di razzismo. I neri si ribellano e danno vita a grandi rivolte guidati da Martin Luther King.

    Duecentocinquantamila neri e bianchi, organizzati in un'imponente corteo, marciano su Washington per rivendicare i diritti legislativi ed appoggiare le decisioni di Kennedy. Il Presidente, comunque, pronuncia dei discorsi nei quali invita al rispetto e alla tolleranza tra bianchi e neri. La situazione sembra risolversi e decide di partire per un viaggio a Dallas, dove viene accolto con applausi e grida di incitamento, si leva soltanto qualche fischio. Improvvisamente, però, mentre saluta la folla dalla sua auto scoperta, viene assassinato a distanza con alcuni colpi di fucile. A tutt'oggi, malgrado sia stato arrestato l'esecutore materiale dell'assassinio (il tristemente noto Lee Oswald), nessuno sa ancora con precisione chi siano stati i suoi probabili mandanti occulti.
     
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  8. la sirenetta
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    Jacqueline Kennedy Onassis

    Jacqueline Lee Bouvier, detta Jackie, coniugata Kennedy in prime nozze e Onassis in seconde nozze (Southampton, 28 luglio 1929 – New York, 19 maggio 1994), fu la moglie di John Fitzgerald Kennedy, 35° presidente degli Stati Uniti, First Lady dal 20 gennaio 1961 al 22 novembre 1963, data dell'assassinio del marito. In seconde nozze sposò l'armatore greco Aristotele Onassis.

    Per la sua bellezza, grazia, cultura ed eleganza, è rimasta un idolo per la generazione successiva.

    Tori Amos le ha dedicato nel 1998 una canzone, mentre nel 1995 il compositore statunitense Michael Daugherty ha composto un'opera lirica, Jackie O, che tratta alcune fasi della sua vita.
    Jackie trascorse le vacanze estive dei primi anni della sua vita nella tenuta dei nonni paterni in East Hampton, dove ebbe modo di praticare l'equitazione divenendo un'esperta cavallerizza e vincendo numerosi trofei e medaglie. Questo è un costume molto diffuso tra le famiglie di buona condizione sociale degli USA. Jacqueline era molto legata a suo padre, per questo soffrì molto quando, quest'ultimo cadde vittima dell'alcoolismo. Coltivò numerosi interessi quali la lettura, la poesia, la fotografia e la pittura. È poco chiaro se ebbe o meno anche grande affezione per sua madre.
    Come primo lavoro, il Washington Times-Herald le affidò una serie di inchieste fotografiche da realizzare intervistando personaggi noti nella capitale statunitense. Grazie a questo incarico divenne conosciuta negli ambienti politici di Washington, ed ebbe modo di incontrare un giovane congressista del Massachusetts destinato a diventare il suo primo marito.

    Dopo un effimero fidanzamento col broker di borsa John Husted Jr., il 12 settembre 1953 Jacqueline sposò l'allora senatore John Fitzgerald Kennedy, astro nascente del Partito Democratico statunitense. Le nozze si svolsero a Newport (Rhode Island) e fu tenuto un sontuoso ricevimento per ben 2.000 invitati.

    La coppia ebbe quattro figli:

    Arabella (nata morta, 1956)
    Caroline Bouvier Kennedy (n. 1957). Quest'ultima si è sposata nel 1986 con Edwin Arthur Schlossberg, e ne ha avuto tre figli: Rose (1988), Tatiana (1990) e John (1993).
    John Fitzgerald Kennedy Jr. detto John-John, (1960-1999)
    Patrick Bouvier Kennedy (nato e morto a 2 giorni nell'agosto 1963)

    All'inizio della campagna per le presidenziali, Jacqueline cominciò ad affiancare costantemente suo marito attraverso tutti gli Stati Uniti; la sua seconda gravidanza le impedì tuttavia di portare a termine l'impegno per un preciso divieto dei medici dovuto all'esito sfavorevole della prima.

    Alle elezioni dell'8 novembre 1960, Kennedy sconfisse di misura Richard Nixon, divenendo il 35° Presidente degli Stati Uniti d'America: Jackie Kennedy divenne invece una delle più giovani First Lady della storia.

    Come First Lady (titolo che non gradiva in quanto le sembrava il nome di un cavallo), Jacqueline Kennedy si trovò a condurre una vita sotto i riflettori, ma tentò sempre di educare i figli al riparo dall'occhio dei media. La sua predilezione per la haute couture e la scelta di piatti francesi per i menu dei ricevimenti alla Casa Bianca le procurò critiche da parte dei commentatori più bigotti e sciovinisti, ma ciò non impedì di farla assurgere, grazie al suo spiccato buon gusto e alla raffinatezza degli abiti creati per lei dallo stilista Oleg Cassini, ad icona riconosciuta dell'eleganza occidentale.

    La sua riconosciuta abilità sociale ebbe effetti positivi sulle relazioni internazionali statunitensi. È rimasto leggendario il suo savoir faire con il generale De Gaulle a Parigi e con il leader sovietico Nikita Kruscev, che rimase da lei affascinato nel corso del summit di Vienna, evento che pure fu un insuccesso politico di suo marito John.

    La sua sensibilità artistica e storica le permise anche di occuparsi personalmente degli interni della Casa Bianca, ripristinando gli arredi originali e curandone l'allestimento; per l'occasione, il 14 febbraio 1962 Jackie Kennedy effettuò una celebre visita guidata alla Casa Bianca che fu trasmessa dalla televisione.

    La coppia presidenziale si distinse in prima linea per il coinvolgimento in eventi sociali e culturali. Il loro interesse per l'arte, la musica e la cultura rivoluzionò anche lo svolgimento dei ricevimenti ufficiali, in quanto Jackie e John vollero circondarsi di artisti, celebrità e premi Nobel, che parteciparono ai pranzi e alle cerimonie, mescolandosi alle autorità politiche.
    Il 21 novembre 1963 essi lasciarono la base aerea militare di Andrews, prima si fermarono a San Antonio, e poi andarono a Houston per una visita alla NASA. La loro ultima fermata quel giorno fu a Ft. Worth. Il giorno successivo, 22 novembre 1963, il presidente e consorte volarono all’aeroporto di Dallas. Un breve tragitto in auto doveva portarli al Trademart dove era previsto che il presidente parlasse. Jackie era seduta nella berlina presidenziale accanto a suo marito, quando questi fu colpito e ferito mortalmente alla testa in Piazza Dealey.

    Il vice presidente Johnson e sua moglie seguivano su un'altra auto della sfilata. Dopo che il Presidente fu colpito, Jacqueline abbracciò John dicendo «Ti amo tanto Jack». Il suo primo pensiero fu che convocassero subito un sacerdote per fargli avere l'assoluzione e l'Estrema Unzione. Dopo la morte di suo marito rifiutò di rimuovere le macchie di sangue dal suo abbigliamento, e protestò che le avevano lavato il sangue dal volto e dalle mani. Continuò ad indossare il famoso tinta unita rosa come si vede a bordo dell'aereo, quando accanto a Johnson che faceva il giuramento di incarico di Presidente, Jacqueline disse a Lady Bird Johnson: «Voglio che vedano ciò che hanno fatto a Jack»[1]. Il coraggio e il contegno dimostrato nei momenti successivi all'assassinio del marito le procurò l'ammirazione del mondo intero.

    Jacqueline Kennedy, tenendo i figlioletti per mano, seguì a piedi il feretro del marito dalla Casa Bianca alla cattedrale di St. Matthew ed accese la fiamma eterna sulla sua tomba nel cimitero nazionale di Arlington. Il London Evening Standard scrisse: «Jacqueline Kennedy ha dato al popolo americano una cosa che gli era sempre mancata: la maestà».

    In seguito Jacqueline condusse un lutto di un anno, durante il quale non fece apparizioni pubbliche, decise di vendere la casa in Virginia, dove aveva intenzione di trascorrere con suo marito gli anni successivi all'incarico presidenziale, e acquistò un lussuoso appartamento nella Quinta Strada a New York, per poter avere maggior riservatezza.

    Onorò degnamente la memoria di suo marito recandosi presso la sua tomba in numerose occasioni pubbliche e private e partecipando ad eventi commemorativi. A Boston fece costruire la Biblioteca John Fitzgerald Kennedy, che venne inaugurata nel 1979 da Jimmy Carter.

    L'aeroporto di Idlewild fu ridenominato John F. Kennedy International Airport. L'aeroporto KASX fu ridenominato John F. Kennedy Memorial Airport.

    La base di lancio della NASA di Cape Canaveral fu ridenominata Cape Kennedy Space Center
    Jacqueline fu molto vicina anche a suo cognato Robert nel corso della sua campagna presidenziale, dispensando consigli e comparendo in molte occasioni pubbliche, ma il 6 giugno 1968 anche Robert fu assassinato. A questo punto Jacqueline, temendo che tutti i Kennedy potessero essere in qualche modo "nel mirino", decise di lasciare gli Stati Uniti e, dopo soli quattro mesi, il 20 ottobre 1968, sposò l'armatore greco Aristotele Onassis, che per l'occasione troncò una lunga relazione con la cantante lirica Maria Callas. Col secondo matrimonio, Jacqueline perse la protezione dei servizi segreti americani, ma finì tra le braccia di un uomo che aveva denaro e potere a sufficienza per garantirne l'incolumità e lo status sociale cui era abituata. La relazione coniugale era stata puntigliosamente regolata da un contratto pre-matrimoniale, stilato dagli studi legali di fiducia dei coniugi. Vi era previsto tutto, dal numero minimo di fine-settimana che i coniugi dovevano trascorrere insieme ogni anno, a quale percentuale del patrimonio del marito le sarebbe toccata a titolo di "Alimenti", in caso di divorzio, commisurata al numero di anni che sarebbe durato il matrimonio. Si tratta d'una prassi molto diffusa nell'alta società americana. Il matrimonio tra Jacqueline e l'armatore non funzionò apparentemente bene: la coppia raramente trascorse il proprio tempo insieme più di quanto garantito dal contratto e Jacqueline finì per dedicarsi ai viaggi e allo shopping. Nonostante Onassis si trovasse bene con i figliastri Caroline e John (il figlio Alexander diede al giovane John le prime lezioni di volo, e per ironia del destino entrambi sono morti in seguito a incidenti aerei), la figlia Christina Onassis non legò mai con Jacqueline. Quando Onassis morì il 15 marzo 1975, la vedova poteva essere titolare di una cospicua eredità, ma la legge greca imponeva un tetto alla somma che un cittadino straniero poteva ereditare, e la disputa apertasi fra lei e Christina finì col farle accettare una liquidazione definitiva di 26 milioni di dollari. Per sposare Onassis, si era convertita alla Chiesa ortodossa greca. Di conseguenza, in base al Codice di Diritto Canonico allora vigente, era incorsa in due scomuniche: come scismatica e come "concubina" (Onassis era divorziato). Ciononostante, ogni anno si presentava regolarmente alla Messa dell'anniversario del marito e si accostava all'Eucarestia. Tale suo comportamento (riprovevole anche dal punto di vista della Chiesa Ortodossa, che, talvolta ammette i cattolici ai propri Sacramenti, ma non consente mai che i propri fedeli, tanto più se sono dei neo-convertiti, ricevano i Sacramenti in altre Chiese) e la mancanza di reazioni pubbliche al riguardo delle Autorità ecclesiastiche, provocarono le proteste di molte persone, che, nelle sue stesse condizioni canoniche, si vedevano negare i Sacramenti. Rimasta nuovamente vedova, si riconciliò con la Chiesa cattolica.
    Nel 1994 le fu diagnosticato un linfoma, che la condusse alla morte il 19 maggio dello stesso anno, all'età di 64 anni, nel suo appartamento nella Fifth Avenue.

    Jacqueline Kennedy è sepolta a fianco del suo primo marito, John Fitzgerald Kennedy, nel Cimitero Nazionale della Contea di Arlington.
     
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    Lelio Luttazzi

    Durante la sua lunga e prestigiosa carriera Lelio Luttazzi è stato musicista, cantante, compositore, direttore d'orchestra, attore e presentatore tv.
    Nato a Trieste il 27 aprile 1923 è figlio di Sidonia Semani (maestra elementare a Prosecco, paesino nelle vicinanze di Trieste) e di Mario Luttazzi.
    E' grazie al parroco di Prosecco che il giovane Lelio si avvicina alla musica e allo studio del pianoforte.

    Studia presso il Liceo Petrarca di Trieste, dove instaura una profonda amicizia con il compagno di classe Sergio Fonda Savio, nipote di Italo Svevo.
    Prosegue gli studi iscrivendosi alla facoltà di Giurisprudenza presso l'Università di Trieste; durante questi anni - in cui scoppia la Seconda guerra mondiale - Lelio Luttazzi inizia a suonare il pianoforte a Radio Trieste; compone inoltre le sue prime canzoni.

    Il 1943 è caratterizzato da un incontro che cambia la sua vita: assieme ad altri compagni di ateneo, Lelio si esibisce al teatro Politeama in uno spettacolo musicale; i ragazzi aprono il concerto di Ernesto Bonino, cantante torinese molto in voga all'epoca. Quest'ultimo rimane tanto colpito da Luttazzi che al termine dell'esibizione gli chiede di comporre una canzone per lui.
    Lelio accetta la sfida: dopo poco tempo invia il suo pezzo e Bonino nel 1944 lo incide su vinile. La canzone è la celeberrima "Il giovanotto matto", che diventa un grande successo.
    Finita la guerra la SIAE riconosce a Luttazzi un guadagno di 350.000 lire, che allora era davvero da considerarsi una somma notevole. Lelio non ha più dubbi, vuole intraprendere la carriera di musicista, così decide di abbandonare l'università. Nel 1948 si trasferisce a Milano e inizia a lavorare come direttore musicale con il concittadino Teddy Reno, presso la casa discografica CGD. Per Teddy Reno nel 1948 scrive "Muleta mia".

    Due anni più tardi (1950) diventa direttore d'orchestra a Torino per la RAI. Lelio Luttazzi dà il via a una strepitosa carriera che lo vedrà imporsi come artista a tutto tondo.

    Tra il 1954 e il 1956 lavora nel programma radiofonico a quiz "Il motivo in maschera", presentato da Mike Bongiorno. Intanto scrive canzoni dal carattere apertamente jazz, piene di swing, interpretandole al pianoforte e cantandole in uno stile molto personale: tra le più note ricordiamo "Senza cerini", "Legata ad uno scoglio", "Timido twist", "Chiedimi tutto". Compone brani immortali quali "Una zebra a pois" (cantata da Mina), "Vecchia America" (per il Quartetto Cetra), "Eccezionalmente, sì" (per Jula De Palma), "You'll say to-morrow" (registrato in italiano da Sophia Loren). Di questo periodo è anche "El can de Trieste", da Lelio stesso cantata in dialetto triestino.

    Come conduttore televisivo presenta trasmissioni come "Studio 1" (con Mina), "Doppia coppia" (con Sylvie Vartan), "Teatro 10".
    Lelio Luttazzi è anche attore: recita in "L'avventura" di Michelangelo Antonioni e ne "L'ombrellone" di Dino Risi.
    Compone poi la colonna sonora di diversi film tra cui "Totò, Peppino e la malafemmina", "Totò lascia o raddoppia?" e "Venezia, la luna e tu".

    La trasmissione che più di tutte gli procura grande fama è la radiofonica "Hit Parade", una vetrina settimanale dei dischi più venduti, andata in onda ininterrottamente per 10 anni dal 1966 al 1976.
    Proprio mentre si trova all'apice del suo successo, nel giugno del 1970 la vita di Lelio Luttazzi viene scossa da un fulmine: con l'accusa di detenzione e spaccio di stupefacenti l'artista viene arrestato, assieme all'attore Walter Chiari. Dopo circa un mese di carcere è libero di uscire, completamente scagionato. Durante gli anni successivi a questo fatto - che profondamente lo segna - rimane amareggiato dalla lapidazione mediatica cui viene sottoposto. Lavora saltuariamente tra radio e tv, preferendo alla fine ritirarsi a vita privata.

    Dopo il 2000 torna a essere ospitato da varie trasmissioni sia radiofoniche che televisive. Torna sullo schermo come interprete nel febbraio 2009, quando durante il Festival di Sanremo 2009 (condotto da Paolo Bonolis), Lelio Luttazzi - in qualità di ospite illustre - accompagna Arisa, la quale vincerà il Festival con il brano "Sincerità" nella categoria delle "Nuove proposte".

    Nel maggio del 2009 Lelio Luttazzi, dopo oltre 57 anni trascorsi tra Milano, Torino e sopratutto nella capitale, dove ha abitato dal 1953, decide di trasferirsi definitivamente insieme alla moglie nella sua città natale, a Trieste.

    Da tempo affetto da una neuropatia, si spegne il giorno 8 luglio 2010 all'età di 87 anni.
     
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    GABRIELE D'ANNUNZIO

    Gabriele D'Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863 da famiglia borghese, che vive grazie alla ricca eredità dello zio Antonio D'Annunzio. Compie gli studi liceali nel collegio Cicognini di Prato, distinguendosi sia per la sua condotta indisciplinata che per il suo accanimento nello studio unito ad una forte smania di primeggiare. Già negli anni di collegio, con la sua prima raccolta poetica Primo vere, pubblicata a spese del padre, ottiene un precoce successo, in seguito al quale inizia a collaborare ai giornali letterari dell'epoca. Nel 1881, iscrittosi alla facoltà di Lettere, si trasferisce a Roma, dove, senza portare a termine gli studi universitari, conduce una vita sontuosa, ricca di amori e avventure. In breve tempo, collaborando a diversi periodici, sfruttando il mercato librario e giornalistico e orchestrando intorno alle sue opere spettacolari iniziative pubblicitarie, il giovane D'Annunzio diviene figura di primo piano della vita culturale e mondana romana.


    Dopo il successo di Canto novo e di Terra vergine (1882), nel 1883 hanno grande risonanza la fuga e il matrimonio con la duchessina Maria Hardouin di Gallese, unione da cui nasceranno tre figli, ma che, a causa dei suoi continui tradimenti, durerà solo fino al 1890. Compone i versi l'Intermezzo di rime ('83), la cui «inverecondia» scatena un'accesa polemica; mentre nel 1886 esce la raccolta Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, poi divisa in due parti L'Isottèo e La Chimera (1890).

    Ricco di risvolti autobiografici è il suo primo romanzo Il piacere (1889), che si colloca al vertice di questa mondana ed estetizzante giovinezza romana. Nel 1891 assediato dai creditori si allontana da Roma e si trasferisce insieme all'amico pittore Francesco Paolo Michetti a Napoli, dove, collaborando ai giornali locali trascorre due anni di «splendida miseria». La principessa Maria Gravina Cruyllas abbandona il marito e va a vivere con il poeta, dal quale ha una figlia. Alla fine del 1893 D'Annunzio è costretto a lasciare, a causa delle difficoltà economiche, anche Napoli.

    Ritorna, con la Gravina e la figlioletta, in Abruzzo, ospite ancora del Michetti. Nel 1894 pubblica, dopo le raccolte poetiche Le elegie romane ('92) e Il poema paradisiaco ('93) e dopo i romanzi Giovanni Episcopo ('91) e L'innocente ('92), il suo nuovo romanzo Il trionfo della morte. I suoi testi inoltre cominciano a circolare anche fuori dall'Italia.

    Nel 1895 esce La vergine delle rocce, il romanzo in cui si affaccia la teoria del superuomo e che dominerà tutta la sua produzione successiva. Inizia una relazione con l'attrice Eleonora Duse, descritta successivamente nel romanzo «veneziano» Il Fuoco (1900); e avvia una fitta produzione teatrale: Sogno d'un mattino di primavera ('97), Sogno d'un tramonto d'autunno, La città morta ('98), La Gioconda ('99), Francesca da Rimini (1901), La figlia di Jorio (1903).

    Nel '97 viene eletto deputato, ma nel 1900, opponendosi al ministero Pelloux, abbandona la destra e si unisce all'estrema sinistra (in seguito non verrà più rieletto). Nel '98 mette fine al suo legame con la Gravina, da cui ha avuto un altro figlio. Si stabilisce a Settignano, nei pressi di Firenze, nella villa detta La Capponcina, dove vive lussuosamente prima assieme alla Duse, poi con il suo nuovo amore Alessandra di Rudinì. Intanto escono Le novelle della Pescara (1902) e i primi tre libri delle Laudi: Maia, Elettra, Alcyone (1903).

    Il 1906 è l'anno dell'amore per la contessa Giuseppina Mancini. Nel 1910 pubblica il romanzo Forse che sì, forse che no, e per sfuggire ai creditori, convinto dalla nuova amante Nathalie de Goloubeff, si rifugia in Francia.

    Vive allora tra Parigi e una villa nelle Lande, ad Arcachon, partecipando alla vita mondana della belle époque internazionale. Compone opere in francese; al «Corriere della Sera» fa pervenire le prose Le faville del maglio; scrive la tragedia lirica La Parisina, musicata da Mascagni, e anche sceneggiature cinematografiche, come quella per il film Cabiria (1914).

    Nel 1912, a celebrazione della guerra in Libia, esce il quarto libro delle Laudi (Merope. il quinto, Asterope, sarà completato nel 1918 e i restanti due, sebbene annunciati, non usciranno mai). Nel 1915, nell'imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale, torna in Italia. Riacquista un ruolo di primo piano, tenendo accesi discorsi interventistici e, traducendo nella realtà il mito letterario di una vita inimitabile, partecipa a varie e ardite imprese belliche, ampiamente autocelebrate. Durante un incidente aereo viene ferito ad un occhio. A Venezia, costretto a una lunga convalescenza, scrive il Notturno, edito nel 1921.

    Nonostante la perdita dell'occhio destro, diviene eroe nazionale partecipando a celebri imprese, quali la beffa di Buccari e il volo nel cielo di Vienna. Alla fine della guerra, conducendo una violenta battaglia per l'annessione all'Italia dell'Istria e della Dalmazia, alla testa di un gruppo di legionari nel 1919 marcia su Fiume e occupa la città, instaurandovi una singolare repubblica, la Reggenza italiana del Carnaro, che il governo Giolitti farà cadere nel 1920. Negli anni dell'avvento del Fascismo, nutrendo una certa diffidenza verso Mussolini e il suo partito, si ritira, celebrato come eroe nazionale, presso Gardone, sul lago di Garda, nella villa di Cargnacco, trasformato poi nel museo-mausoleo del Vittoriale degli Italiani. Qui, pressoché in solitudine, nonostante gli onori tributatigli dal regime, raccogliendo le reliquie della sua gloriosa vita, il vecchio esteta trascorre una malinconica vecchiaia sino alla morte avvenuta il primo marzo 1938.
     
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    Rita Levi Montalcini

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    Rita Levi Montalcini è nata nel 1909 a Torino.
    Entrata alla scuola medica di Levi all'età di vent'anni, si laurea nel 1936.

    Fermamente intenzionata a proseguire la sua carriera accademica come assistente e ricercatrice in neurobiologia e psichiatria, è costretta, a causa delle leggi razziali emanate dal regime fascista nel 1938, ad emigrare in Belgio insieme a Giuseppe Levi.
    La passione per la sua materia comunque la sospinge e le dona la forza per andare avanti tanto che continua le sue ricerche in un laboratorio casalingo.
    Sono anni assai travagliati per il mondo e per l'Europa. Infuria la seconda guerra mondiale ed è assai difficile trovare luoghi dove poter stare tranquilli, figuriamoci intraprendere delle ricerche. Nel suo girovagare, nel '43 approda a Firenze, dove vivrà in clandestinità per qualche anno, prestando fra l'altro la sua collaborazione come medico volontario fra gli Alleati. Finalmente, nel '45 la guerra finisce, lasciandosi alle spalle milioni di morti e devastazioni inimmaginabili in tutti i Paesi.

    Dopo così lungo peregrinare senza un porto sicuro in cui rifugiarsi, Rita torna nella sua città natale (giusto poco prima dell'invasione tedesca del Belgio, riprendendo con più serenità le sue importanti ricerche insieme a Levi, sempre attraverso un laboratorio domestico. Poco dopo riceve un'offerta difficilmente rifiutabile dal Dipartimento di Zoologia della Washington University (St. Louis, Missouri). Accetta, dopo essersi però ben assicurata che potrà proseguire le stesse ricerche che aveva cominciato a Torino. La giovane Rita ancora non sa che l'America diventerà una sorta di sua seconda patria, vivendoci con incarichi prestigiosi per oltre trent'anni (diventerà professore di Neurobiologia), e precisamente fino al 1977.

    Ma vediamo nel dettaglio quali sono state le tappe di questa straordinaria ricerca che ah portato a risultati altrettanto straordinari. I suoi primi studi (risaliamo agli anni 1938-1944) sono dedicati ai meccanismi di formazione del sistema nervoso dei vertebrati. Nel 1951-1952 scopre il fattore di crescita nervoso noto come NGF, che gioca un ruolo essenziale nella crescita e differenziazione delle cellule nervose sensoriali e simpatiche. Per circa un trentennio prosegue le ricerche su questa molecola proteica e sul suo meccanismo d'azione, per le quali nel 1986 le viene conferito il Premio Nobel per la Medicina (con Stanley Cohen). Nella motivazione del Premio si legge: "La scoperta del NGF all'inizio degli anni '50 è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell'organismo".
    Dal 1961 al 1969 dirige il Centro di Ricerche di Neurobiologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Roma) in collaborazione con l'Istituto di Biologia della Washington University, e dal 1969 al 1979 il Laboratorio di Biologia cellulare. Dopo essersi ritirata da questo incarico "per raggiunti limiti d'età" continua le sue ricerche come ricercatore e guest professor dal 1979 al 1989, e dal 1989 al 1995 lavora presso l'Istituto di Neurobiologia del CNR con la qualifica di Superesperto. Le sue indagini si concentrano sullo spettro di azione del NGF, utilizzando tecniche sempre più sofisticate. Studi recenti hanno infatti dimostrato che esso ha un'attività ben più ampia di quanto si pensasse: non si limita ai neuroni sensori e simpatici, ma si estende anche alle cellule del sistema nervoso centrale, del sistema immunitario ematopoietico e alle cellule coinvolte nelle funzioni neuroendocrine.

    Dal 1993 al 1998 presiede l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana. È membro delle più prestigiose accademie scientifiche internazionali, quali l'Accademia Nazionale dei Lincei, l'Accademia Pontificia, l'Accademia delle Scienze detta dei XL, la National Academy of Sciences statunitense e la Royal Society.

    È inoltre da sempre molto attiva in campagne di interesse sociale, per esempio contro le mine anti-uomo o per la responsabilità degli scienziati nei confronti della società. Nel 1992 istituisce, assieme alla sorella gemella Paola, la Fondazione Levi Montalcini, in memoria del padre, rivolta alla formazione e all'educazione dei giovani, nonché al conferimento di borse di studio a giovani studentesse africane a livello universitario. L'obiettivo è quello di creare una classe di giovani donne che svolgano un ruolo di leadership nella vita scientifica e sociale del loro paese.
    In data 22 gennaio 2008 l'Università di Milano Bicocca le ha assegnato la laurea honoris causa in biotecnologie industriali.



    Elenco di alcune pubblicazioni della scienziata:

    Origine ed Evoluzione del nucleo accessorio del Nervo abducente nell'embrione di pollo, Tip. Cuggiani, 1942.
    Cantico di una vita, Raffaello Cortina Editore, 2000
    La galassia mente, Baldini & Castoldi, 1999
    L' asso nella manica a brandelli, Baldini & Castoldi, 1998
    Senz'olio contro vento, Baldini & Castoldi, 1996
    Per i settanta anni della Enciclopedia italiana, 1925-1995, Istituto della Enciclopedia italiana, 1995
    Il tuo futuro, Garzanti, 1993
    NGF : apertura di una nuova frontiera nella neurobiologia, Roma Napoli, 1989
    Sclerosi multipla in Italia : aspetti e problemi, AISM, 1989
    Elogio dell'imperfezione, Garzanti, 1987
    Il messaggio nervoso, Rizzoli, 1975
     
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    CHRISTIAN BARNARD
    Chirurgo, nato a Beafort West (Sudafrica) nel 1922, morto a Pathos (Cipro) il 2 settembre 2001 .

    E' sicuramente il chirurgo più famoso del mondo.
    L'unico ad essere diventato addirittura una star.
    Nasce in uno dei sobborghi più poveri di Johannesburg.
    Secondo di quattro figli di un pastore protestante, da bambino guadagna i primi soldi come "cacciatore di topi" per il comune. Lui stesso ammetterà di aver scelto gli studi di medicina non per vocazione ma perché attratto dalla prospettiva di un professione ben retribuita. Con parecchi sacrifici si laurea presso l’Università di Città del Capo nel 1953. Da tre anni è sposato con Lowtije Mansion, un'infermiera conosciuta nel 1945 in una corsia d'ospedale. Per alcuni anni lavora come praticante e come medico condotto. Poi vola negli Usa, dove consegue il dottorato di ricerca in chirurgia cardiaca all'Università del Minnesota nel 1958. Ritorna all'Università di Città del Capo in qualità di professore di chirurgia e di cardiochirurgo presso l’ospedale Groote Schuur.

    Si specializza nelle operazioni a cuore aperto e nella progettazione di valvole cardiache artificiali, lavorando in team con suo fratello Marius e con Lowtije. Per anni è un chirurgo come tanti altri.
    Il 3 dicembre 1967 la grande svolta. Barnard esegue il primo trapianto cardiaco umano, trasferendo il cuore di una donna di 25 anni nel corpo di un uomo di 55 anni. L'uomo morirà diciotto giorni dopo, a causa di problemi immunologici, ma si tratta comunque di un'impresa rivoluzionaria. Va meglio la seconda operazione di trapianto, eseguita il 2 gennaio 1968 su un uomo che sopravvive per 563 giorni dopo l'intervento e muore per una grave forma di arteriosclerosi delle arterie coronarie.

    Barnard è un personaggio famosissimo, quasi per caso.
    In molti lo accusano di aver saccheggiato gli studi del suo maestro Norman Shumway, ad altri non va giù la sua passione per la bella vita. Nel 1970 ha infatti lasciato la moglie e gli vengono attribuiti flirt con donne dello spettacolo. Nel 1970 si risposa con la diciannovenne Barbara Zoellner. Bella, giovane e ricchissima. Staranno insieme fino al 1983. Nel 1988 il terzo matrimonio con un diciottenne, Karin Setzkorn.

    Nel 1975 Barnard sottopone un suo paziente a un trapianto eseguito con una tecnica assolutamente innovativa, in cui il cuore del malato non veniva asportato ma affiancato da un cuore aggiuntivo. Alla fine degli anni Settanta, con il perfezionamento delle tecniche, il tempo di sopravvivenza di molti trapiantati di cuore si estende a diversi anni dopo l'operazione. Barnard continua i suoi studi per tutti gli anni Settanta, ma la sua notorietà rimane legata essenzialmente a quel primo trapianto del 1967. Rimane a capo dell'unità cardiologica dell'ospedale Groote Schuur di Città del Capo fino al 1983, quando si ritirò dall'attività chirurgica. E' un’artrite reumatoide a costringerlo ad abbandonare il bisturi. Comincia allora a girare il mondo come conferenziere e a godersi la vita. Criticato da molti e invidiato da moltissimi, è morto a 79 anni di infarto mentre si trovava in vacanza a Cipro con la terza moglie, più giovane di 48 anni.


     
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    Filippo Neri

    Filippo Neri nasce a Firenze il giorno 21 luglio 1515, secondogenito di in una famiglia di condizioni agiate. Nel periodo in cui nasce il piccolo Filippo però la famiglia risente delle mutate condizioni politiche del tempo e vive pertanto in un modesto stato economico. Il padre, ser Francesco, è notaio, professione che sarebbe di rilievo se non fosse che la sua cerchia di clienti sia ridotta all'osso; la madre, Lucrezia da Mosciano, proviene da una modesta famiglia rurale, e sarebbe morta poco tempo dopo aver dato alla luce il La famiglia viene affidata alle cure di Alessandra di Michele Lenzi, nuova sposa di ser Francesco, la quale instaura con tutti i figli un affettuoso rapporto; ne beneficia soprattutto Filippo, ragazzo dotato di un carattere gentile, tanto da venire appellato come "Pippo buono", suscitando affetto ed ammirazione tra tutti i conoscenti.

    Filippo riceve la prima istruzione direttamente dal padre che gli trasmette la passione per la lettura, che lo accompagnerà per tutta la vita: famosa è la testimonianza dall'inventario della sua biblioteca privata, lasciata dopo la morte alla Congregazione romana, e costituita da un considerevole numero di volumi.

    La formazione religiosa di Filippo Neri avviene nel convento dei Domenicani di San Marco. In quell'ambiente respira il clima spirituale del movimento di Savonarola, e per fra Girolamo Savonarola, Filippo nutrirà grande devozione lungo tutto l'arco della vita, pur nella evidente distanza dai metodi e dalle scelte del focoso predicatore apocalittico.

    Intorno ai diciotto anni di età, su consiglio del padre, desideroso di offrire a Filippo ogni possibilità, Filippo si reca a San Germano (l'attuale Cassino) da un parente, di professione commerciante e senza prole. L'esperienza lavorativa dura poco tempo.

    Dal 1534 è a Roma dove si reca, probabilmente, senza un progetto preciso. Filippo vi giunge con l'animo del pellegrino penitente: vive questi anni della sua giovinezza in modo austero e lieto al tempo stesso, tutto dedito a coltivare e a dedicarsi al proprio spirito.

    La casa del fiorentino Galeotto Caccia, capo della Dogana, gli offre una modesta ospitalità - una piccola camera ed un piccolo vitto - ricambiata dal giovane con l'incarico di precettore dei figli del Caccia. Lo studio lo attira - frequenta le lezioni di filosofia e di teologia dagli Agostiniani ed alla Sapienza - ma ben maggiore è l'attrazione della vita contemplativa che gli impedisce persino di concentrarsi sugli argomenti delle lezioni. quarto figlio.
    La vita contemplativa che Filippo Neri attua è vissuta nella libertà del laico che poteva scegliere, fuori dai recinti di un chiostro, i modi ed i luoghi della sua preghiera: predilige le chiese solitarie, i luoghi sacri delle catacombe, memoria dei primi tempi della Chiesa apostolica, il sagrato delle chiese durante le notti silenziose. Coltiva per tutta la vita questo spirito di contemplazione, alimentato anche da fenomeni straordinari, come quello della Pentecoste del 1544, quando, nelle catacombe si san Sebastiano, durante una notte di intensa preghiera, riceve in forma sensibile il dono dello Spirito Santo che gli dilata il cuore infiammandolo di un fuoco che gli arderà nel petto fino al termine dei suoi giorni.

    Questa intensissima vita contemplativa si sposa ad un altrettanto intensa quanto discreta attività di apostolato nei confronti di coloro che incontrava nelle piazze e per le vie di Roma, nel servizio della carità presso gli Ospedali degli incurabili, nella partecipazione alla vita di alcune confraternite, tra le quali, in modo speciale, quella della Trinità dei Pellegrini, di cui Filippo, è forse il fondatore, e sicuramente il principale artefice insieme al suo confessore Padre Persiano Rosa. A quest'ultimo Filippo affida la cura della propria anima, ed è sotto la sua direzione spirituale che matura lentamente la chiamata alla vita sacerdotale.

    A trentasei anni, il 23 maggio dell'anno 1551, dopo aver ricevuto gli ordini minori, il suddiaconato ed il diaconato, nella chiesa parrocchiale di S. Tommaso in Parione, il vicegerente di Roma, Monsignor Sebastiano Lunel, ordina Filippo Neri sacerdote.


    Messer Filippo Neri continua da sacerdote l'intensa vita apostolica che già lo aveva caratterizzato da laico. Va ad abitare nella Casa di san Girolamo, sede della Confraternita della Carità, che ospita a pigione un certo numero di sacerdoti secolari, dotati di ottimo spirito evangelico, i quali attendevano alla annessa chiesa. Qui il suo principale ministero diviene l'esercizio del confessionale, ed è proprio con i suoi penitenti che Filippo inizia, nella semplicità della sua piccola camera, quegli incontri di meditazione, di dialogo spirituale, di preghiera, che costituiscono l'anima ed il metodo dell'Oratorio. Ben presto la cameretta non basta al numero crescente di amici spirituali, e Filippo ottiene da "quelli della Carità" di poterli radunare in un locale, situato sopra una nave della chiesa, precedentemente destinato a conservare il grano che i confratelli distribuivano ai poveri.
    Tra i discepoli del santo, alcuni - ricordiamo tra tutti i futuri cardinali Cesare Baronio e Francesco Maria Tarugi - maturano la vocazione sacerdotale, innamorati del metodo e dell'azione pastorale di Padre Filippo. Nasce così, senza un progetto preordinato, la "Congregazione dell'Oratorio": la comunità dei preti che nell'Oratorio avevano non solo il centro della loro vita spirituale, ma anche il più fecondo campo di apostolato.

    Insieme ad altri discepoli di Filippo, nel frattempo divenuti sacerdoti, questi vanno ad abitare a San Giovanni dei Fiorentini, di cui Padre Filippo aveva dovuto accettare la Rettoria per le pressioni dei suoi connazionali sostenuti dal Papa. E qui inizia tra i discepoli di Filippo quella semplice vita famigliare, retta da poche regole essenziali, che diviene la culla della futura Congregazione.

    Nel 1575 Papa Gregorio XIII affida a Filippo ed ai suoi preti la piccola e fatiscente chiesa di Santa Maria in Vallicella, a due passi da San Girolamo e da San Giovanni dei Fiorentini, erigendo al tempo stesso con la Bolla "Copiosus in misericordia Deus" la "Congregatio presbyterorm saecularium de Oratorio nuncupanda". Filippo, che continua a vivere nell'amata cameretta di San Girolamo fino al 1583, e che si trasferisce solo per obbedienza al Papa nella nuova residenza dei suoi preti, si dà con tutto l'impegno a ricostruire in dimensioni grandiose ed in bellezza la piccola chiesa della Vallicella.
    Qui trascorre gli ultimi dodici anni della sua vita.

    San Filippo Neri si spegne durante le prime ore del 26 maggio 1595, all'età di ottant'anni, amato dai suoi e da tutta Roma di un amore carico di stima e affetto. Canonizzato nell'anno 1622 la celebrazione del Santo ricorre il giorno 26 maggio.

     
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  14. la sirenetta
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    Evita Perón

    Maria Eva Duarte de Perón, conosciuta con il nome di Evita Perón (Los Toldos, 7 maggio 1919 – Buenos Aires, 26 luglio 1952), è stata una politica argentina. Fu la moglie di Juan Domingo Perón, militare e presidente dell'Argentina dal 1946 al 1955 e dal 1973 al 1974.

    Di umili origini, ultima di quattro figli illegittimi di un piccolo proprietario terriero, Juan Duarte e della sua cuoca Juana Ibarguren. Nel 1926, alla morte del padre, per la famiglia inizia un periodo di miseria e di stenti che migliora solo quando Juana conosce un esponente del partito radicale argentino. La famiglia si trasferisce nella cittadina di Junín. All'età di quindici anni se ne andò dalla provincia e si stabilì nella vicina Buenos Aires dove divenne attrice di radio e cinema, anche grazie all'aiuto del cantante di tango Agustín Magaldi.

    Eva Duarte de Perón divenne una celebrità dopo il matrimonio con il futuro presidente argentino Perón, sposalizio celebrato il 9 dicembre 1945. Ella lo aveva conosciuto mentre lavorava a Radio El Mundo nel 1944, probabilmente durante una raccolta fondi per le vittime di un terremoto. Juan Domingo Perón era allora agli inizi della sua carriera, ed era rientrato in Argentina dopo un soggiorno di due anni in Italia, dal 1938 al 1940, dove aveva seguito un programma di aggiornamento militare presso il comando delle truppe di montagna a Trento. In questo periodo si dichiarò ammiratore del fascismo e del suo leader, Benito Mussolini, ma non ottenne mai il permesso di trasferirsi a Roma, decidendo anche per questo di ritornare in patria. La loro relazione sentimentale divenne poi anche politica quando Evita, il 17 ottobre 1945 guidò la manifestazione per la liberazione del generale Perón, arrestato per le sue attività contrarie agli interessi militari.
    Il 17 ottobre 1945 è considerata la data di nascita del peronismo. Viene coniato il termine descamisados (scamiciati) per descrivere i lavoratori che, accampati davanti al palazzo presidenziale in attesa del rientro dal confino del loro leader, Peròn, per il troppo caldo si erano tolti giacca e camicia, contravvenendo alla norma di indossare sempre la giacca in strada.

    Evita, paladina dei descamisados anche a causa delle sue umili origini, aiutò e difese sempre il marito facendogli ottenere l'appoggio dei lavoratori e delle donne nelle elezioni del 1946 ed assicurandogli la rielezione nel 1951. Anche se il suo matrimonio non fu sempre sereno, la sua collaborazione al potere presidenziale fu evidente grazie al suo impegno e alla sua influenza nel programma del governo e la sua attenzione ai problemi sociali si rese manifesta grazie alla Fondazione che portava il suo nome e che era attiva nella promozione della costruzione di strutture come scuole od ospedali. La donna organizzò poi il ramo femminile del Partito Giustizialista che la condusse ad ottenere il suffragio universale nel 1951 entrando nella storia del paese sudamericano come fondatrice dell'Argentina moderna.
    Gli oppositori di Peron, insinuarono che Eva avesse incontrato in Svizzera alcuni banchieri per discutere dei propri conti bancari aperti in quel Paese e, in Germania, dei gerarchi nazisti. Non mancarono contestazioni anche dure: in Svizzera, l'automobile scoperta sulla quale Eva viaggiava fu bersagliata da un lancio di pomodori. Il viaggio di ritorno in Argentina si svolse in nave, annullando all'ultimo momento il volo aereo per timore di attentati. Al ritorno in patria, nonostante le ombre proiettate sul viaggio in Europa, Eva fu accolta trionfalmente, come la paladina della nuova Argentina nel mondo.

    Eva tentò di accedere alla vicepresidenza nel secondo mandato del marito con l'aiuto del sindacato Confederación General del Trabajo, ma l'opposizione militare la fece desistere e le fece pronunciare il celebre renunciamiento davanti alla folla: Renuncio a los honores pero no a la lucha.

    In numerosi paesi europei la sua figura venne presa dall'area antagonista definita "destra radicale" come modello di lotta sociale per i diritti delle classi più deboli
    Evita Perón morì il 26 luglio 1952, ad appena trentatré anni, dopo una lunga battaglia contro un cancro al collo dell'utero. Durante il suo funerale, al quale partecipò una moltitudine di persone[1], il suo corpo fu imbalsamato ed esposto fino al 1955, quando un golpe militare fece espellere il marito dal potere.

    Il corpo fu allora trasportato e interrato nel 1957 a Milano con il nome fittizio di Maria Maggi per poi, nel 1971, essere inumato in Spagna, sede dell'esilio di Perón, che intanto si era risposato con Isabel Martinez Cuartas. Con la reintegrazione del Generale alla presidenza argentina anche il corpo della defunta moglie fu ritrasportato in Sudamerica ed esposto nuovamente. Evita fu sepolta definitivamente nella cappella della famiglia Duarte nel cimitero della Recoleta a Buenos Aires.
     
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    Enzo Biagi

    Il grande giornalista italiano è nato il 9 agosto 1920 a Lizzano in Belvedere, un paesino dell'Appennino tosco-emiliano in provincia di Bologna. Di umili origini, il padre lavorava come aiuto magazziniere di uno zuccherificio, mentre la madre era una semplice casalinga.

    Dotato di un talento innato per la scrittura, fin da bambino si dimostra particolarmente versato per le materie letterarie. Le cronache riportano anche un suo celebre "exploit", quando cioè un suo tema particolarmente riuscito venne addirittura segnalato al Pontefice.

    Allo scoccare del diciottesimo anno di età, diventato maggiorenne, si dà al giornalismo, senza per questo abbandonare gli studi. Intraprende i primi passi della carriera lavorando in particolare come cronista al Resto del Carlino e, a soli, ventuno anni diventa professionista. Quella, infatti, era l'età minima per entrare nell'albo professionale. Come si vede, insomma, Biagi era uso bruciare tutte le tappe. Nel frattempo, in tutta Europa cova il germe della guerra che, una volta innescato, inevitabilmente avrà delle ripercussioni anche nella vita del giovane ed intraprendente giornalista.

    Allo scoppio della secondo conflitto mondiale, infatti, è richiamato alle armi e, dopo l'8 settembre del 1943, per non aderire alla Repubblica di Salò, varca la linea del fronte aggregandosi ai gruppi partigiani operanti sul fronte dell'Appennino. Il 21 aprile 1945 entra in Bologna con le truppe alleate e annuncia dai microfoni del Pwb la fine della guerra.
    Il dopoguerra a Bologna è per Biagi un periodo di numerose iniziative: fonda un settimanale, "Cronache" e un quotidiano "Cronache sera". Da questo momento, prende avvio in modo definitivo la grande carriera di quello che diverrà uno dei giornalisti italiani più amati di sempre. Nuovamente assunto al Resto del Carlino (in quegli anni Giornale dell'Emilia), nel ruolo di inviato e di critico cinematografico, rimarrà negli annali per delle memorabili cronache sulle inondazioni del Polesine.

    Un primo incarico davvero prestigioso lo ottiene negli anni che vanno dal 1952 al 1960 dove, trasferitosi a Milano, dirige il settimanale "Epoca". Fin da subito, inoltre, intrattiene un rapporto molto stretto con il mezzo televisivo, strumento mediatico che ha contributo non poco ad estendere la sua popolarità e a farlo amare anche dai ceti meno colti e letterati.

    Il suo ingresso in Rai è datato 1961 e si è protratto in pratica fino ai nostri giorni. Bisogna sottolineare che Biagi ha sempre espresso parole di gratitudine e di affetto nei confronti di questa azienda alla quale, indubbiamente, ha anche dato tanto. Nel corso della sua presenza nei corridoi di viale Mazzini, è riuscito a diventare direttore del Telegiornale mentre, nel 1962 fondò il primo rotocalco televisivo "RT". Inoltre, nel 1969 diede vita ad un programma tagliato su misura per lui e per le sue capacità, il celebre "Dicono di lei", basato su interviste a personaggi famosi, una sua specialità.

    Sono anni di intenso lavoro e di soddisfazioni non da poco. Biagi è richiestissimo e la sua firma, poco a poco, compare su La Stampa (di cui è inviato per una decina d'anni), la Repubblica, il Corriere della sera e Panorama. Non contento, dà avvio ad un'attività di scrittore mai più interrotta e che lo ha visto immancabilmente in testa alle classifiche di vendita. Si può tranquillamente affermare, infatti, che il giornalista abbia venduto nel corso degli anni qualche milione di libri.
    Anche la presenza televisiva, come detto, è costante. Le principali trasmissioni televisive condotte e ideate da Biagi sono "Proibito", inchiesta di attualità sui fatti della settimana e due grandi cicli di inchieste internazionali, "Douce France" (1978) e "Made in England" (1980). A queste si aggiungano una quantità notevole di servizi sul traffico d'armi, la mafia ed altri temi di stretta attualità della società italiana. Ideatore e conduttore del primo ciclo di "Film dossier" (datato 1982), e di "Questo secolo: 1943 e dintorni", nel 1983, ha conquistando il pubblico anche con numerose altre trasmissioni: "1935 e dintorni", "Terza B", "Facciamo l'appello (1971)", "Linea diretta (1985, settantasei puntate)"; nel 1986 presenta le quindici puntate del settimanale giornalistico "Spot" e, negli anni '87 e '88, "Il caso" (rispettivamente undici e diciotto puntate), nell'89 è ancora alle prese con "Linea diretta", seguita in autunno da "Terre lontane (sette film e sette realtà)" e "Terre vicine", incentrate sui mutamenti dei paesi ex comunisti dell'Est.

    Dal 1991 ad oggi Biagi ha realizzato con la Rai un programma televisivo all'anno. Di questi si possono enumerare "I dieci comandamenti all'italiana" (1991), "Una storia" (1992), "Tocca a noi", "La lunga marcia di Mao" (sei puntate sulla Cina), "Processo al processo su tangentopoli", e "Le inchieste di Enzo Biagi".

    Nel 1995 dà vita a "Il Fatto", programma giornaliero di cinque minuti su avvenimenti e personaggi italiani, che viene ripreso in tutte le stagioni successive, sempre con altissime percentuali di ascolto. Nel 1998 presenta due nuovi programmi, "Fratelli d'Italia" e "Cara Italia", mentre nel luglio 2000 è la volta di "Signore e Signore". Del 2001 è invece "Giro del mondo", un viaggio tra arte e letteratura: otto puntate con alcuni tra i grandi scrittori del Novecento. Dopo settecento puntate de "Il Fatto", Biagi è stato al centro di aspre polemiche a causa di una sua presunta faziosità negativa nei confronti dell'allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il quale ha espressamente rimproverato il giornalista di non essere equanime. Il Consiglio di Amministrazione della Rai, pur non avallando ufficialmente queste critiche, ha ad ogni modo modificato l'originaria e prestigiosa collocazione oraria del programma (posto poco dopo la fine del telegiornale della sera) il quale, in seguito alle proteste dello stesso Biagi, difficilmente vedrà ancora la luce.

    Dopo cinque anni di silenzio torna in tv nella primavera del 2007 con il programma "RT - Rotocalco Televisivo".

    A causa di problemi cardiaci Enzo Biagi è scomparso a Milano il 6 novembre 2007.
    Nel corso della sua lunghissima carriera ha pubblicato oltre ottanta libri.
     
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