Si, viaggiare.... tra sogno e realtà

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  1. la sirenetta
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    TODI

    La storia

    Numerose sono le ipotesi circa l'origine della città, ma una leggenda narra che Todi sia sorta per volere dei Veii Umbri, una popolazione che viveva nella Valle del fiume Tevere; infatti mentre erano già stati iniziati i lavori per la costruzione della città sulle rive del fiume ecco che un'aquila arrivò mentre gli uomini stavano desinando e portò via con gli artigli la tovaglia trascinandola sul punto più alto del colle. Gli abitanti della Valle pensarono che ciò fosse un segno del destino e costruirono così la città di Todi sul colle. Anche l'origine del nome sembra essere incerta, ma molti lo fanno risalire al nome "Tutere" che significa confine ed infatti Todi dalla sua posizione domina la valle del Tevere e confina con l'antico territorio degli Etruschi. La storia vuole che invece Todi sia stata costruita dagli Etruschi tra il III e il I secolo a.C ed è in quest'epoca che viene costruita la prima grande cerchia di mura che racchiude la città. Nel I secolo a.C. Todi diventa Municipio Romano e della civiltà romana rimangono ancora alcuni resti come le imponenti Cisterne Romane scoperte recentemente sotto la Piazza del Popolo. Nel Medioevo la città assume l'aspetto tipico di un castello ed è controllata da potenti feudatari quali i conti Arnolfi, i conti di Montemarte e gli Atti. Nel 760 il Re dei Longobardi, Desiderio, e Papa Paolo I concordano i confini del territorio di Todi sul versante del Ducato di Spoleto. Dopo l'anno mille la città di Todi prospera e si espande e tornano a rifiorire tutte le attività commerciali ed artigianali e diventa libero Comune dai primi anni del XII secolo. Il 1236 vede la nascita di uno dei più illustri cittadini: Jacopone, discendente di una famiglia nobile. Fu un importante uomo di legge, ma a 32 anni, dopo un episodio che lo toccò interiormente si convertì e cominciò a condurre una vita povera e monastica. Dell'opera letteraria di Jacopone si ricordano soprattutto le "laudi" nelle quali egli esprime soprattutto il senso di distacco tra la condizione umana e la figura di Dio. Dagli inizi del XIV secolo inizia un periodo di lenta, ma continua decadenza. Successivamente, anche grazie al Vescovo Angelo Cesi la città di Todi subisce un nuovo impulso e torna a rifiorire; infatti sotto la sua guida vengono effettuati importanti lavori urbanistici ed architettonici quali la costruzione della Fontana della Rua o Cesia, della Chiesa del Crocifisso e del Tempio della Consolazione completato dopo la sua morte.

    Le bellezze di Todi

    Per ammirare meglio le bellezze della città, si consiglia di iniziare il cammino dal meraviglioso Tempio di Santa Maria della Consolazione, sito alle porte di Todi. Salendo l'alberato Viale della Consolazione, dopo i Giardini Pubblici, sulla destra si incontra il Tempio di San Fortunato. Dietro al Tempio si trova un sentiero che porta all'interno del Parco della Rocca. Tornando ai piedi della scalinata di San Fortunato e proseguendo per Via Mazzini si nota, sulla destra, il Teatro Comunale. Proseguendo lungo la via, si arriva nella splendida Piazza del Popolo dove si ammirano: Palazzo del Popolo, Palazzo del Capitano, Palazzo dei Priori, il Duomo. Sotto la Piazza del Popolo è inoltre possibile ammirare le Cisterne Romane: oltre 5 chilometri di cunicoli e gallerie, più di 30 cisterne, preromane, romane e medievali, 500 pozzi di varie epoche formano il ricchissimo patrimonio sotterraneo della città. Accanto alla Piazza del Popolo ve ne è un'altra che prende il nome dalla statua dell'illustre personaggio che vi troneggia: Piazza Garibaldi. Da qui, scendendo per Corso Cavour, troviamo sulla destra la Fontana Cesia. Proseguendo si arriva alla Porta Marzia. Dopo pochi metri, svoltando a sinistra, si possono ammirare i Nicchioni Romani. Procedendo lungo questa via si arriva alla Chiesa di S.Carlo. Poco oltre si trova la Fontana di Scarnabecco e più avanti si può ammirare la Chiesa di Santa Prassede. Tornando indietro per riprendere Corso Cavour, si scende ancora e si svolta a destra per arrivare alla Chiesa di Santa Maria in Cammuccia. Alla fine della discesa troviamo Porta Amerina; da qui, percorrendo Via della Circonvallazione verso sinistra, si giunge a Porta Romana. Fuori dalle mura, a 300 metri da Porta Romana, si vede il Tempio del Crocifisso. Da Porta Romana, continuando a percorrere la Circonvallazione, si trova Porta Perugina e, ancora oltre, i resti di Porta Orvietana. Da qui un lungo viale alberato conduce al Convento di Montesanto.

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  2. la sirenetta
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    FORLì

    « Chi conosce Forlì sa bene che questa città sta a sé e non assomiglia affatto a tutte le altre città del mondo. Ha un suo cuore, una sua particolare intelligenza, un suo modo inconfondibile di vedere le cose... »


    Forlì (Furlè in dialetto romagnolo, Forum Livii in latino) è una città di 117.471 abitanti (al 2 gennaio 2010), capoluogo della provincia di Forlì-Cesena, dopo essere stata, per quasi tutto il XX secolo, capoluogo della provincia di Forlì, nome sotto il quale era compreso anche il territorio ora facente parte della provincia di Rimini. Forlì è nota anche col soprannome dialettale di "Zitadon", il "Cittadone". Nella storia, è stata anche chiamata col nome di Livia.

    Forlì è una città dell'Emilia-Romagna ed in particolare si trova in Romagna, di cui è, come dice Dante nel De Vulgari eloquentia, "meditullium", cioè l'area centrale. Questo primato è, in parte, anche linguistico, nel senso che il forlivese costituisce il dialetto romagnolo tipico: nelle altre parlate, a mano a mano che ci si allontana dal centro della regione linguistica, si vanno perdendo ora l'una ora l'altra delle caratteristiche.

    La città, fondata secondo la tradizione nel 188 a.C., sta per celebrare i suoi 2200 anni di vita (nel 2012-2013), i suoi primi 22 secoli.

    Cenni storici

    La località dove Forlì sorge fu abitata sin dal Paleolitico, come dimostrano i copiosi ritrovamenti di Monte Poggiolo, con migliaia di reperti datati a circa 800.000 anni fa. La città è poi sorta su un antico insediamento commerciale, chiamato dagli Etruschi "Ficline" (Figline, cioè terra di vasai, per le ceramiche che vi venivano prodotte e che saranno famose anche nei secoli XIV-XVI), sito sulla linea di confine che separava il territorio controllato dai Lingoni da quello dei Senoni. Il nome è di origine romana (Forum Livii): il castrum fu probabilmente fondato nel 188 a.C., secondo la tradizione, da Caio Livio Salinatore, figlio del console Marco Livio Salinatore che, nel 207 a.C., sconfisse l'esercito cartaginese guidato da Asdrubale nella battaglia del Metauro. La città, dunque, celebrerà, nel 2012 i 22 secoli di storia. Della città romana rimangono pochi resti, specialmente sotterranei (ponti, strade lastricate, fondazioni). Il forum doveva essere all'altezza dell'attuale piazza Melozzo, mentre è probabile l'esistenza di un castrum nella zona dei Romiti, sulla via per Faenza. Il castrum chiamato Livia e il forum detto Livii rifondarono l'etrusca Ficline dando luogo a Forlì. Un importante pagus risalente agli anni in cui era Imperatore Costanzo II è stato rinvenuto nei pressi della località Pieveacquedotto, dove transitava l'acquedotto di Traiano.

    Caduto l'Impero Romano d'Occidente, dopo il breve dominio di Odoacre, fece parte del regno degli Ostrogoti, poi dell'impero di Bisanzio. Rimase bizantina ai tempi dell'invasione longobarda, nel VI secolo, poi fece parte delle donazioni di Pipino il Breve alla Chiesa.

    Nata, ovviamente per motivi di difesa, su un'isola alla confluenza di due fiumi, Forlì fu però lungamente travagliata dalle inondazioni, così, intorno al 1050, venne risistemato l'impianto dei corsi d'acqua con vari lavori di ingegneria che allontanarono dal centro abitato il rischio di nuovi allagamenti.

    La città fu protagonista delle vicende del territorio romagnolo durante il Medioevo: il complesso stemma allude a diversi momenti della sua storia: la città ebbe dai Romani lo scudo vermiglio, su cui poi fu posta, in ricordo della partecipazione dei Forlivesi alla Prima Crociata, una croce bianca; un secondo scudo, bianco, attraversato dalla scritta LIBERTAS, testimonia dei periodi in cui la città si erse a repubblica (la prima volta nell'889, l'ultima nel 1405): i colori della città, pertanto, sono il bianco ed il rosso; l'aquila sveva in campo d'oro fu invece concessa da Federico II, per l'aiuto datogli nella presa di Faenza (1241), essendosi Forlì schierata dalla parte dei ghibellini.

    L'Imperatore elargì alla città, nell'occasione, anche un'ampia autonomia comunale, compreso il diritto di battere moneta.

    Il passaggio dal libero comune alla signoria fu piuttosto tormentato: emersero, fra gli altri, i tentativi di Simone Mastaguerra, Maghinardo Pagani e Uguccione della Faggiola, ma il successo nel dominio cittadino arrise alla dinastia della famiglia Ordelaffi, che resse, sia pure con qualche interruzione, la città dalla fine del XIII fino all'inizio del XVI.

    Dal punto di vista tecnico, si può segnalare il fatto che Forlì, nel XIV secolo, fu una delle prime città a dotarsi di orologio meccanico, posto nella torre civica.

    La Forlì medioevale vide anche la presenza di una fiorente comunità di Ebrei: si ha notizia dell'esistenza d'una scuola ebraica in città fin dal XIII secolo, mentre il più antico esempio italiano di immagine araldica ebraica (1383) proviene da Forlì; inoltre, uno statuto civico forlivese del 1359 ci testimonia la stabilità della presenza degli Ebrei e dei loro banchi. Ad esempio, è noto il fatto che, nel 1373, Bonaventura Consiglio e socio prestarono 8.000 ducati ad Amedeo VI di Savoia, avendone come garanzia la corona ed altri valori. Va poi notato che, nel Medio Evo, gli Ebrei a Forlì potevano possedere terreni e fabbricati. Col Cinquecento, però, la possibilità si restrinse ai soli fabbricati, anche a causa del passaggio della città al dominio diretto dello Stato della Chiesa.

    Da ricordare è anche il fatto che a Forlì operò e morì il rabbino Hillel da Verona, che con i suoi scritti poté influenzare anche l'immaginario di Dante, ospite in città poco dopo la sua scomparsa.

    Insomma, Forlì fu un importante centro di affari e di vita culturale ebraica.


    Durante il Rinascimento, la città vantò molteplici intrecci con la storia nazionale italiana: sua signora fu Caterina Sforza, che, vedova di Girolamo Riario (nipote di Papa Sisto IV), sposò, nel 1497, Giovanni de' Medici (detto "il Popolano"), matrimonio dal quale nacque, l'anno successivo, Ludovico (poi Giovanni) detto Giovanni dalle Bande Nere, il famoso capitano di ventura, padre di quel Cosimo I de' Medici che sarà il primo Granduca di Toscana. Caterina, nonostante un'eroica resistenza nella rocca di Ravaldino, in Forlì, fu sconfitta da Cesare Borgia nel piano di espansione dei possedimenti papali in Romagna.

    Dopo un effimero tentativo di ritorno degli Ordelaffi, il Papa Giulio II, di passaggio a Forlì nel 1506, riuscì ad imporre, almeno provvisoriamente, la pace tra i guelfi e i ghibellini.

    Tornata sotto il dominio papale, Forlì costituì il centro della Romagna pontificia, tanto che ancora oggi sono in molti ad usare "romagnolo" e "forlivese" come sinonimi, anche se ciò non è corretto.

    Pur tra varie vicissitudini, come il saccheggio operato dagli Austriaci nel 1708, la situazione rimase sostanzialmente immutata in pratica fino all'Unità d'Italia, eccetto che per un breve periodo di indipendenza politica dalla Chiesa attorno al 1797, quando divenne capoluogo del dipartimento del Rubicone nella nuova divisione amministrativa dettata dalle truppe di Napoleone al seguace Regno d'Italia. Tra le leggi imposte dal nuovo codice civile napoleonico c'era la possibilità di divorzio e un cittadino di Forlì ne fece richiesta (prima causa di divorzio a oltre 150 anni dalla legge attuale). Inoltre, i funzionari napoleonici si occuparono di indagare gli usi e costumi delle popolazioni sottomesse, producendo una notevole mole di dati sulle tradizioni popolari di questa parte di Romagna. Un forlivese riuscì a recuperare parte di quelle indagini (per la verità in gran parte provenienti da Sarsina, ma in uso anche a Forlì) e ne pubblicò un testo che è uno dei primi lavori sulle tradizioni romagnole, poi seguito dall'opera del Pergoli verso la fine dell'Ottocento, che si occupò della raccolta di canti anche a Forlì e a San Martino in strada (frazione di Forlì).

    Nella prima metà del XIX secolo, la legazione pontificia di Forlì, affidata ad un Cardinale legato, comprendeva anche le città di Cesena e Rimini.

    Dal punto di vista culturale, prosegue la scuola forlivese di pittura, con autori come Francesco Menzocchi e Livio Agresti nel XVI secolo, ma anche con i loro epigoni dei secoli successivi.
    Nella seconda metà del XIX secolo Forlì diventa il "zitadòn" (cittadone) della Romagna: un centro grande rispetto alle altre realtà urbane limitrofe, la cui prosperità deriva dall'agricoltura - molto diffuso il tipico contratto di mezzadria - e dal commercio del sale tramite la via diretta verso Cervia e le sue saline, nonché dal suo posizionamento sulla strategica via Emilia, a metà strada fra Bologna e Rimini. Non mancarono personalità di spicco durante il Risorgimento: Aurelio Saffi, repubblicano mazziniano e Piero Maroncelli, amico di Silvio Pellico e imprigionato come lui per il suo ideale di un'Italia unita e libera da dominazioni straniere o religiose.

    La città piange i suoi martiri della Grande Guerra, ma è con l'ascesa del Fascismo e la Seconda guerra mondiale che Forlì torna a far parlare di sé. A 15 km dalla città, a Predappio, nasce Benito Mussolini: quando egli diviene prima presidente del consiglio, poi duce, inevitabilmente Forlì gode di una certa fama di ritorno, cominciando a essere presentata nella propaganda ufficiale come "la città del Duce". Questo ha comportato conseguenze negative negli anni del dopoguerra, quando si poté assistere, a mo' di contrappasso, a quella che uno storico ha definita un'implicita conventio ad tacendum: tutte le volte che non fosse proprio inevitabile citarla, Forlì non doveva essere nemmeno menzionata

    Solamente con gli inizi del nuovo secolo, il XXI, il presupposto per cui parlare di Forlì sarebbe sintomo di nostalgie fasciste sta cominciando a cadere.

    Durante il regime, comunque, Forlì si sviluppò oltre il suo ambito territoriale ed economico tradizionale: gli architetti del regime si sbizzarrirono nel progettare nuovi edifici corrispondenti al gusto del momento, come ad esempio la nuova stazione ferroviaria, il nuovo Palazzo delle Poste e quello degli Uffici Statali nella centrale piazza Saffi, viale Benito Mussolini (ora viale della Libertà). Crebbero poi le industrie locali (Forlanini, Mangelli); nel 1936 viene inaugurato l'aeroporto "L.Ridolfi", che, nel dopoguerra fu a lungo polo di traffici commerciali con i Paesi dell'Europa comunista.

    La città pagò il suo conto di vite umane alla guerra, sopportando inoltre la perdita di inestimabili tesori artistici, come la chiesa di San Biagio o il teatro comunale; anche la Torre civica fu bombardata, per poi venire ricostruita in seguito. Il campanile della Basilica di San Mercuriale venne invece risparmiato dai tedeschi in ritirata, le voci del popolo indicano per intercessione e supplica del parroco don Giuseppe Prati detto, amabilmente, don Pippo. Certa è l'opera del vescovo di allora della città, monsignor Rolla, che sicuramente pagò un prezzo molto consistente in termini di vettovaglie e bestiame per l'esercito tedesco in ritirata. Recentemente alcuni voci "nostalgiche" vorrebbero indicare nell'intervento diretto di Benito Mussolini la causa del salvataggio del campanile. Questa possibilità è in realtà remota. All'inizio del '900 lo stesso Mussolini, fervente anticlericale, diede alle fiamme il portone della medesima chiesa subendo anche una condanna riportata dalle cronache di allora.

    Tra i momenti tragici della guerra, va anche ricordato l'eccidio di Forlì, nel quale, presso l'aeroporto cittadino, furono uccise 42 persone, nel settembre del 1944. Altri eccidi furono consumati nel forlivese: L'eccidio di San Tomè
    Forlì venne liberata relativamente presto, rispetto alle altre zone del Nord Italia: il 9 novembre 1944, dopo una accanita battaglia per il valore simbolico che Forlì aveva in quanto "città del Duce", tanto che Hitler aveva ordinato di non cederla facilmente, le truppe alleate britanniche ed indiane entravano in città, provenienti da Cesena, con l'appoggio delle brigate partigiane. Proprio in quanto città-simbolo, i britannici vollero riservare a sé l'onore di entrare a Forlì, precedendo sia gli stessi partigiani sia i Polacchi di Władysław Anders, che già avevano preso Predappio. Ancora oggi è presente e visitabile, quasi di fronte al Cimitero Monumentale, il ben curato Cimitero degli Indiani, a ricordo di quanti di loro persero la vita in questa occasione.

    Primo sindaco della Forlì liberata fu Franco Agosto, cui oggi è dedicato il Parco Urbano, polmone verde urbano sull'ansa che il fiume Montone forma nei pressi di Porta Ravaldino.

    Forlì è tra le Città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione perché è stato insignito della Medaglia d'Argento al Valor Militare per i sacrifici e il coraggio delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra .


    Nel dopoguerra la città si è stabilizzata nelle sue attività tradizionali legate al settore agricolo e artigianale, sviluppando una dinamica realtà di piccole imprese artigianali o cooperative.

    Forlì fu anche teatro di un omicidio targato Brigate Rosse. Il 16 aprile 1988 (a dieci anni dall'assassinio di Aldo Moro, e proprio pochi giorni dopo la nascita del nuovo governo presieduto da De Mita, che Ruffilli aveva contribuito a creare), assassinarono il senatore Roberto Ruffilli nella sua casa di Corso Diaz, nel rione Ravaldino.

    Il 5 aprile 2009, intorno alle ore 22,20, fu avvertita una scossa tellurica di magnitudo 4,7 tra le città di Forlì e Faenza, che anticipò il terribile terremoto del 6 aprile 2009 de L'Aquila.


    LUOGHI DA VEDERE

    San Domenico: soppressa per volere di Napoleone nel 1797, la grande chiesa di San Giacomo Apostolo era il fulcro dei domenicani della città, che, già a partire dal Trecento, eressero un convento che, dopo secoli di abbandono, di recente è stato restaurato ed ora accoglie mostre ed esposizioni di livello internazionale. È anche sede della Pinacoteca e dei Musei civici.
    San Tommaso di Canterbury: chiesa scomparsa in tempi antichi, già nei pressi dell'attuale corso Garibaldi. La parrocchia del Duomo prende il nome di San Tommaso Cantauriense benché la cattedrale sia dedicata a Santa Croce.
    Basilica di San Pellegrino Laziosi, o Chiesa dell'Ordine dei Servi di Maria: santuario celebre perché ospita le spoglie mortali di San Pellegrino Laziosi, santo patrono dei malati di tumore, di AIDS e di malattie incurabili in genere. È stata insignita del titolo di basilica da Paolo VI.
    Chiesa del Carmine: a metà strada di corso Mazzini, fulcro del Rione San Pietro, è nota per il bel portale in marmo (secolo XV), opera di Marino Cedrini.Di origine trecentesca, è stata completamente ristrutturata tra il 1735 e il 1746 su progetto di Giuseppe Merenda.



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    Edited by la sirenetta - 4/12/2010, 21:57
     
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    PESCASSEROLI

    Pescasseroli è un comune italiano di 2.204 abitanti della provincia dell'Aquila in Abruzzo.

    Cenni storici

    Dominio della famiglia Borrello (XI secolo), Pescasseroli passò come "suffeudo" ai di Sangro. Da questi, dopo la caduta degli svevi, giunse, per via femminile, ai d'Aquino. Nel 1349, quando Adenolfo II d'Aquino perì, con tutta la famiglia, sotto le rovine del castello di Alvito, andò al ramo dei conti di Loreto. Nel 1461, la baronia di Pescasseroli fu ereditata da Antonella d'Aquino, marchesa di Pescara.

    Alla fine del XVI secolo, il feudo fu venduto a Giovan Giacomo di Sangro, che morì nel 1607. Messo all'asta, si registrò da questo punto fino all'inizio del XVIII secolo una lunga successione di diversi possessori, finché nel 1705, per il prezzo di 15.770 ducati, fu acquistato dai Massa di Sorrento, che furono gli ultimi baroni di Pescasseroli, prima dell'affacciarsi della nuova borghesia ottocentesca, nel caso specifico esemplificata dalla famiglia Sipari

    Il nome pare derivare da Pesculum Serulae che significa "roccia affiorante sul Sangro"

    Luoghi da visitare

    Pescasseroli è conosciuta come stazione climatica, luogo di villeggiatura sia estiva che invernale, e come principale centro del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise
    Nel paese, infatti, si trovano un museo e un centro di visita con alcuni esemplari della fauna autoctona, fra cui l'orso marsicano, oltre alla ricostruzione della tomba dei resti di una donna che abitò la zona nel VI secolo a.C.
    Nel centro storico spicca Palazzo Sipari (costruito nel 1839) , sede della Fondazione intitolata ad Erminio Sipari, deputato e fondatore del Parco, ove il 25 febbraio 1866 nacque il celebre filosofo Benedetto Croce. Degna di rilievo è anche l'Abbazia dei Santi Pietro e Paolo, fondata intorno al 1100. In essa si trova una statua lignea raffigurante la Madonna col bambino datata intorno al XIII secolo. L'8 settembre 1752 il Capitolo Vaticano, inviando una preziosa corona d'oro, procedette alla Solenne Incoronazione della statua.

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  4. la sirenetta
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    Santiago di Compostela

    Santiago de Compostela è, realmente e non solo sulla carta ed a parole, patrimonio vivente dell’umanità poichè nella sua maestosità medievale e romanica perfettamente conservata, amata e continuamente restaurata.

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    La Capasanta o conchiglia di San Giacomo è il simbolo del Pellegrinaggio nella città di Santiago de Compostela.

    Il Pellegrino o “Peregrino” nel corso dei secoli ha da sempre raccolto sulle spiagge galiziane e sulla costa di Finis Terrae (in lingua galiziana Fisterra) le conchiglie di San Giacomo di Compostela.

    La conchiglia di San Giacomo doveva essere cucita sul mantello o sul cappello ed era l’indicazione o il simbolo da mostrare a tutti che il Pellegrino aveva raggiunto e visitato la tomba di San Giacomo nella lontanissima e verdeggiante regione della Galizia nella penisola iberica.

    “Las conchas” di San Giacomo nel medioevo e nei secoli successivi diventavano delle testimonianze e delle certificazioni simili a dei documenti con sigillo dell’avvenuto pellegrinaggio nella città di Santiago de Compostela e della visita alla tomba dell’apostolo di Gesù e servivano come certificazione da mostrare una volta rientrati nella città o paese natale per ottenere esenzioni dalle tasse o dal pagamento di pedaggi lungo il viaggio di ritorno.

    Oggi,nei moderni pellegrinaggi, le conchiglie di San Giacomo possono essere trovate e comprate lungo tutto il tratto del “Cammino” da Roncisvalle fino all’arrivo nella città di Santiago de Compostela e vengono esibite con orgoglio sui moderni e utili zaini a testimonianza del moderno sacrificio lungo tutto il tratto del pellegrinaggio.

    La città di Santiago de Compostela è capoluogo della regione autonoma della Galizia ed è situata nella zona Nord-Ovest della Spagna.
    Santiago de Compostela ha un clima Atlantico temperato-umido con estati fresche, inverni miti e con piogge abbondanti e ben distribuite nell’arco dell’anno.

    Le temperatura medie che si registrano nella città oscillano intorno agli 8°-9° durante l’inverno e superano di rado i 27° durante i periodi estivi.

    L’ingresso del vento proveniente dall’Oceano Atlantico e la presenza di montagne che circondano la città fanno di Santiago de Compostela una delle città europee con più precipitazioni durante l’anno.

    Il migliore periodo per visitare la città è durante il mese d’agosto o durante il periodo estivo con estati calde, ma mai afose.

    Presenza di nebbia non di rado durante la stagione estiva specie durante la notte e piogge frequenti durante la primavera e l’autunno .

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    Edited by la sirenetta - 10/11/2010, 12:12
     
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    MONTEPULCIANO(SIENA)

    Città di origine etrusca, sull’estremo limite della provincia di Siena, Montepulciano era già nota nel 715 come "monte o castello Politiano". Le lotte medioevali tra Firenze e Siena per il suo possesso, risoltesi nel 1511 a favore del capoluogo toscano, non impedirono il fiorire dei commerci che garantirono ricchezza e fortuna alla città per tutto il Rinascimento.

    La bellezza della cittadina, costruita su un crinale a S che si sviluppa dall’alto verso il basso, è opera di grandi architetti e artisti medioevali e rinascimentali, chiamati ad abbellire il suo centro storico. Lungo il Corso Centrale, cuore della città cinquecentesca, si susseguono imponenti edifici di tale periodo: Palazzo Avignonesi, Palazzo Cocconi, Palazzo Cervini, Palazzo Cagnoni-Grugni, Palazzo Benincasa. Elementi umanistici e tardo-gotici si sovrappongono nella Chiesa di Sant'Agostino, progettata da Michelozzo.

    In Piazza Grande, ridisegnata dal Michelozzo, si erge il Palazzo Comunale, simile per le sue linee al Palazzo della Signoria di Firenze; il Palazzo del Capitano del Popolo è di impianto gotico; la cattedrale, con l'incompiuta facciata di muro grezzo, è una costruzione tardo rinascimentale sorta sul luogo dell'antica Pieve di Santa Maria.

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    Ma a Montepulciano è possibile visitare anche elementi caratteristici che ricordano le antiche corporazioni artigiane: la Città sotterranea, nata su una tomba etrusca, base di importanti edifici e destinata all’invecchiamento del vino Nobile di Montepulciano, ora ospita anche una mostra permanente di strumenti di ferro gotico-rinascimentali.

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  6. la sirenetta
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    ROVERETO

    Con 35.000 abitanti Rovereto è, dopo Trento, la seconda città trentina per numero di abitanti e per importanza culturale, economica e sociale.

    Il dominio veneziano ha lasciato importanti tracce architettoniche nel centro storico.
    La città di Rovereto è conosciuta da chi ama l’arte moderna soprattutto per i suoi importanti rappresentanti del futurismo italiano, tra cui Fortunato Depero. Per questo motivo, Rovereto è diventata la principale sede del MART, il museo di arte contemporanea del Trentino. Il museo, in pochi anni, è diventato uno dei poli culturali europei più conosciuti per l’arte moderna, ed è luogo di mostre e di una importante collezione permanente.
    A testimoniare gli orribili tempi della grande guerra, l’Ossario di Castel Dante, in cui sono custodite le spoglie di Fabio Filzi, Damiano Chiesa e di migliaia di soldati, la Campana dei Caduti sul Colle Miravalle, i cui rintocchi suonano ogni sera in memoria dei caduti di tutte le guerre, invocando pace e fratellanza tra le genti del mondo.
    Il Museo della Guerra è situato all’interno delle mura del Castello di Rovereto.

    Rovereto (204 m s.l.m.) è il capoluogo della Comunità della Vallagarina del Trentino, nonché centro principale dell'omonima valle, situata nella zona meridionale della regione. La Vallagarina, caratterizzata da ampie distese di vigneti, è percorsa dal fiume Adige, in passato importante asse commerciale tra Veneto e Trentino-Alto Adige; legna e merci venivano trasportate per mezzo di zattere lungo il fiume. Dalla città, verso est, hanno inizio la valle di Terragnolo e la Vallarsa, percorsa dal torrente Leno: poco sopra Rovereto trova luogo la diga di san Colombano, che ha permesso il crearsi di un piccolo bacino lacustre, il lago di san Colombano, sovrastato dall'omonimo eremo. Le vette più importanti in prossimità di Rovereto sono il Monte Stivo (2059 m.), dove trova sede il Rifugio Marchetti (e da dove è visibile anche il lago di Garda), il Monte Zugna (1864 m.), il Monte Finonchio (1603 m. circa) e il Monte Biaena (1615 m.). Numerose sono le stazioni sciistiche facilmente raggiungibili da Rovereto: Folgaria, Fondo Piccolo, Fondo Grande, Passo Coe, Polsa e San Valentino. Un "polmone verde" della città è costituito dal cosiddetto "Bosco della città", una zona boschiva fornita di sentieri e anche percorsi attrezzati per lo sport, oltre a panchine situate in punti panoramici da cui è possibile vedere tutta Rovereto.

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  7. la sirenetta
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    Sotto il Monte

    Sotto il Monte Giovanni XXIII è un comune italiano di 4.151 abitanti della provincia di Bergamo in Lombardia.

    Situato all'estremità settentrionale dell'isola bergamasca e delimitato dalle propaggini del Monte Canto, dista circa 18 chilometri dal capoluogo orobico

    primi insediamenti sul territorio comunale ebbero origine in località Bercio, e dovrebbero risalire al IX secolo quando l’intera provincia di Bergamo era assoggettata al dominio dei Franchi, i quali crearono l’istituzione del Sacro Romano Impero e con essa il feudalesimo.

    Questi territori, posti in una posizione soleggiata sui declivi del monte Canto, vennero infeudati al vescovo di Bergamo, il quale a sua volta li diede in gestione ai monaci benedettini che vi si stanziarono in località Fontanella.

    Fondato da Alberto da Prezzate, il priorato di Sant'Egidio caratterizzò profondamente la vita del borgo, a partire dagli edifici come la torre di San Giovanni, posta sulla sommità del monte. Conseguentemente il borgo che si sviluppò ai piedi di esso venne quindi identificato come Sotto il monte dei frati, poi ridotto in Sotto il Monte.

    Durante il periodo medievale non si verificarono episodi di particolare rilievo, nemmeno i famigerati scontri tra le fazioni guelfe e ghibelline che imperversavano nel resto della provincia e nei comuni limitrofi. A tal riguardo si pensi che la torre di San Giovanni non venne mai utilizzata per fini difensivi o bellici, tanto da essere trasformata in torre campanaria già nel XIV secolo.

    L'elemento che caratterizzò quei secoli fu la povertà degli abitanti, dediti a vivere con quello che il lavoro nei campi era in grado di fornire, riuscendo a malapena a soddisfare i requisiti minimi di sussistenza. A tal riguardo è chiara una testimonianza di quel tempo:

    « Qui non vi sono trafichi né mercantie, le persone sono povere lavoradori da terre et bracenti, quali non raccogliono a pena grani per il loro vivere; et questi non hanno alcun privileggio ma sottoposti a tutte le gravezze et a datii... »


    È chiaro che le dominazioni che si susseguirono poco interessarono gli abitanti del borgo, che mantennero la struttura del nucleo abitativa quasi immutata fino al XX secolo.

    Ed è proprio dopo la metà di quel secolo che per il paese di Sotto il Monte le cose cambiarono radicalmente: in primo luogo cominciò a svilupparsi un fenomeno di industrializzazione che cambiò il modo di vivere degli abitanti, che poco a poco abbandonarono l'agricoltura, ma soprattutto una persona originaria del borgo, Angelo Roncalli nato in frazione Brusicco il 25 novembre 1881, assurse agli onori delle cronache quando, il 28 ottobre 1958, venne elevato al soglio pontificio con il nome di Papa Giovanni XXIII.

    Da quel momento Sotto il Monte balzò agli onori delle cronache e si legò indissolubilmente al nome del suo illustre cittadino, che ricordò sempre con orgoglio le sue umili origini

    « …vedete, bambini miei, queste pianure così ricche, sono i figli di San Benedetto venuti qui per primi dall'altro versante della montagna, che hanno insegnato ai nostri antenati, mille anni fa, a vangarle, zapparle, e renderle feconde »
    (Papa Giovanni XXIII)

    Dopo la morte del pontefice il paese, in suo onore, assunse l’attuale denominazione ufficiale di Sotto il Monte Giovanni XXIII.

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  8. la sirenetta
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    Cáceres (Spagna)

    Cáceres è una città di 92.187 abitanti della Spagna centro-occidentale, capoluogo della provincia di Cáceres, in Estremadura, all'altitudine media di 430 metri, fra la Sierra de la Mosca e la Serrilla. Per estensione il comune è il più grande della Spagna.

    È il centro di architettura civile e religiosa più importante per lo stile rinascimentale spagnolo, che ha anche elementi del Rinascimento italiano, ma è un misto di gotico fiorito e di plateresco. La città vecchia (o Ciudad Monumental) conserva ancora le sue mura; questa parte della città è anche famosa per la sua moltitudine di nidi di cicogne. Il suo centro storico nel 1986 è stato dichiarato patrimonio dell'umanità dall'UNESCO con la motivazione che, "cinto da mura, è ricco di palazzi in pietra che formano un tessuto urbano perfettamente conservato". Caceres è sede dell'Università dell'Estremadura ed è sede vescovile insieme a Coria.



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    Buon viaggio amici !

    Edited by Tauré - 29/11/2010, 16:49
     
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  9. la sirenetta
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    Ragusa (Croazia) Dubrovnik


    Dubrovnik, in italiano anche Ragusa di Dalmazia, in dalmatico Raugia), è una città della Croazia meridionale situata lungo la costa della Dalmazia. La città, che ha lungamente mantenuto la sua indipendenza, vanta un centro storico di particolare bellezza che figura nell'elenco dei Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO e che le è valso il soprannome di "perla dell'Adriatico".

    Ragusa è il capoluogo della regione raguseo-narentana, nonché la maggiore città della Dalmazia meridionale. La città di Ragusa è stata fondata originariamente su un'isola rocciosa e poi collegata alla terraferma mediante interramento di un sottile braccio di mare (che corrisponde oggi alla parte pianeggiante della città). Le fortificazioni attuali risalgono al XVII secolo, quando in seguito ad un devastante terremoto la città venne ricostruita quasi interamente. Dal punto di vista urbanistico, il centro storico (che è tassativamente pedonale) è diviso a metà da un lungo stradone lastricato (detto appunto Stradún) che termina in prossimità del porto e lungo il quale si affacciano i palazzi più significativi della città. Di fronte alla città vi è l'isola di Lacroma.

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  10. la sirenetta
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    BAGNARA CALABRA

    Centro della Costa Viola, posta in fondo ad un'ampia insenatura tra le colline che scivolano a strapiombo sul mare, gode di una splendida quanto peculiare posizione geografica, incastonata a guisa di anfiteatro in un semicerchio collinare, coltivato a vigneti, Bagnara Calabra si specchia sulle acque del basso Tirreno, con la visione ammaliante dello Stretto di Messina, dello Stromboli e delle isole vaganti di Eolo, che ne fanno allo sguardo del visitatore uno dei panorami più incantevoli d'Italia, secondo la descrizione di Eduard Lear, datata 1847.

    Bagnara Calabra, è una cittadina costiera sita in un'ampia insenatura a fasce che, per le sue stupende sfumature violacee che assumono le ombre dei monti circostanti sul mare, è conosciuta col nome di Costa Viola. Impossibile non farsi rapire dalle infinite attrattive che questo piccolo angolo di Tirreno offre, sia a livello turistico, culturale, che monumentistico. Dall'antica torre di Capo Rocchi, le cui origini ancor oggi sono oggetto di studio di storici e archeologi, all'abbazia normanna voluta da Roggero nel 1085, che venne chiamata "Maria SS dei XII apostoli" e che oggi possiamo ammirare nell'ultima delle sue innumerevoli ricostruzioni. Grande importanza ebbero nel passato le confraternite, che, nate intorno ai secoli XVII e XVIII, ancora oggi offrono il loro contributo soprattutto per la formazione spirituale e sociale dei cittadini di Bagnara.

    L'economia di Bagnara è basata prevalentemente sulla pesca del pesce spada, sull'agricoltura (viticultura) e sul turismo. A Bagnara si arriva uscendo dalla A3 (Scilla) e rientrando a (Palmi). La deviazione merita il tempo in più speso, per l'indimenticabile panorama che si può godere dalla parte alta del paese, verso lo stretto di Messina e la Costa Viola.

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  11. la sirenetta
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    ACITREZZA

    Acitrezza ha una storia che comincia all'epoca della dominazione spagnola in Sicilia e si sviluppa per circa tre secoli e mezzo.
    Agli inizi del ‘600 la "Terra di Trezza" era una zona disabitata nella quale alcuni mercanti della città di Aci Aquilia (che nel 1642 avrebbe preso il nome di Acireale) tenevano vasche di acqua stagnante (le "gurne") per farvi macerare lino e canapa e lavorarli come cordame.
    Nel 1639 la comunità di Aci Santi Antonio e Filippo ottenne di staccarsi da Aci Aquilia e quindi venne data in feudo alla famiglia dei principi Riggio (o Reggio) di Campofiorito. La "Terra di Trezza" era lo sbocco a mare del feudo, una fascia di pochi chilometri incuneata tra Capomulini e il Castello di Aci (entrambi rimasti sotto il dominio della città di Aci Aquilia), e la famiglia Riggio ideò di creare in questa zona disabitata, di fronte all'isola e ai faraglioni, un piccolo scalo marittimo al servizio commerciale di tutto il feudo.
    Il dominio dei principi Riggio si sviluppò per circa un secolo, dalla seconda metà del ‘600 alla fine del ‘700. Indicati popolarmente come "i Principi di Jaci", dirigevano il feudo da Aci S. Antonio dove nel 1702 si fecero costruire in contrada Catena un grande palazzo (ora palazzo Càrcaci).

    Personaggi notevoli della dinastia dei Riggio furono il Principe Stefano, che fondò il paese di Aci Trezza alla fine del ‘600 costruendovi una chiesa e un piccolo molo, e il suo fratello "cadetto" Andrea, che fu Arcivescovo di Catania.


    La chiesa costruita dal principe Stefano Riggio come primo edificio della "Terra di Trezza" venne ultimata nel 1687 e dedicata a S. Giuseppe. Fu però distrutta dopo pochi anni, dal terremoto che l'11 gennaio del 1693 devastò tutta la Sicilia orientale. Ne venne costruita subito un'altra, ultimata nel 1696, che venne dedicata a S. Giovanni: è quella tuttora esistente al centro del paese.


    Agli inizi del '700 Acitrezza aveva già circa 150 abitanti e nel corso del secolo la zona cominciò ad essere sempre più apprezzata come punto di approdo per la pesca delle sarde. L'autorità del principe feudatario era rappresentata localmente da un amministratore (chiamato "giudice segreto", forse perché nominato a discrezione insindacabile del principe), coadiuvato da "giurati" (che formavano il "decurionato"), da un responsabile dell'ordine pubblico ("capitano") e da un esattore del "fisco" (per i tributi finanziari).


    Non esisteva ancora una strada costiera tra Acireale e Catania, che erano collegate soltanto mediante una carrozzabile che passava sulle colline, attraverso Valverde e Nizeti: la costiera (quella che è ora la strada statale 114) verrà costruita solo nel 1835. L'unico collegamento viario di Acitrezza era la cosiddetta "strada del principe", una carrozzabile che dal porto saliva fino al palazzo Riggio in contrada "Catena" di Aci S. Antonio.
    Alla fine del Settecento la dinastia dei Riggio si impoverì e in breve scomparve definitivamente dal panorama pubblico della zona. Intanto, la Sicilia, dopo essere appartenuta per breve tempo ai Savoia (dal 1713 al 1718), era tornata sotto il dominio spagnolo e poi, dal 1816, formò con il regno di Napoli il regno delle Due Sicilie.
    Nei primi decenni dell'Ottocento il governo borbonico attuò nella zona un riassetto amministrativo in seguito al quale, nel 1828, Acitrezza (assieme a Ficarazzi) fu separata dal Comune di Aci S. Filippo e venne aggregata a quello di Acicastello.


    Con il progredire dell'Ottocento, via via che scomparivano i maceratoi per la lavorazione di lino e canapa, l'economia di Acitrezza andò orientandosi sempre più decisamente verso la pesca, ma con risultati economici molto limitati che a malapena permettevano la sopravvivenza dei pescatori e delle loro famiglie.
    A metà dell'Ottocento la popolazione era di circa 750 abitanti raggruppati in circa 250 famiglie. La popolazione restò pressoché invariata fino agli inizi del Novecento.


    Per la maggior parte del Novecento, l'attività dei pescatori, via via più agevolata dalla diffusione dei motori come propulsori di pescherecci sempre più grandi, fu la principale fonte di reddito del paese.
    Poi, verso la fine del '900, mentre crescevano in maniera imponente le dimensioni del commercio ittico, Acitrezza registrò un fortissimo sviluppo edilizio, spesso disordinato, sia per la costruzione di vari alberghi sia per la realizzazione di numerosi gruppi di "villini" destinati in gran parte ad ospitare catanesi sempre più attratti dai valori paesaggistici della zona.
    Nell'ultimo ventennio, infine, l'industria turistica è andata ampliandosi affiancando agli alberghi numerosi esercizi di ristorazione e ritrovi di svago che costituiscono, specie in estate, un costante motivo di attrazione per quanti abitano o visitano la vicina città di Catania.

    La fama turistica


    La fama delle bellezze del paesaggio di Acitrezza cominciò a diffondersi in tutt'Europa tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento. Se ne fecero portavoce i "viaggiatori" del cosiddetto "Grand Tour", cioè gli uomini di cultura soprattutto francesi, tedeschi e inglesi, che all'antica destinazione di Roma cominciarono ad aggiungere alla fine del sec. XVIII il meridione d'Italia.
    Un grande editore francese, l'Abbé de Saint-Non, pubblicò a Parigi, tra il 1781 e il 1786, un'opera monumentale, il "Voyage pittoresque à Naples et en Sicile", che descriveva le località più belle dell'Italia del Sud illustrandole con 411 disegni. L'opera dedicava in particolare ad Acitrezza due tavole: una che raffigura i faraglioni (con la rocca di Acicastello lontano sullo sfondo) e l'altra che mostra, tra due faraglioni, la rocca di Acicastello e un veliero.

    Il monumentale album di incisioni ebbe un eccezionale successo commerciale e diventò patrimonio delle biblioteche degli uomini di cultura di tutt'Europa.

    Ancora nella seconda metà del Settecento l'architetto francese Jean Houel, pittore di corte di re Luigi XVI, giunse in Sicilia e ne riportò a Parigi disegni ed acquerelli che, tra l'altro, raffiguravano l'isola e i faraglioni antistanti Acitrezza. Le opere di Houel ora sono esposte in varie pinacoteche francesi e nel museo russo dell'Ermitage a San Pietroburgo.

    E prima ancora che finisse il Settecento arrivò in Italia anche il più grande poeta tedesco, Wolfgang Goethe, che restò incantato dalla Sicilia e annotò nel suo diario: "L'Italia senza la Sicilia non lascia alcuna traccia nell'anima: è qui la chiave di tutto". Il diario, con il titolo "Viaggio in Italia", venne poi pubblicato più di quarant'anni dopo la conclusione del viaggio, nel 1829.
    In questa sua opera, ora celeberrima, alla data del 5 maggio 1787, Goethe annotò che a Catania l'albergatore gli propose "una passeggiata a mare sulle rocce di Iaci, la più bella escursione che si faccia da Catania"; un gruppo di inglesi, che avevano preso persino una barca con la musica per accompagnarli -gli fu detto- ne aveva tratto "una gioia al di sopra di ogni immaginazione".


    Il paese dei Malavoglia
    Lo scrittore Giovanni Verga ambientò ad Acitrezza la vicenda del suo romanzo più famoso, "I Malavoglia".


    L'opera, ritenuta un grande capolavoro del "verismo", racconta le vicende di una famiglia di pescatori oppressi dalla miseria. Venne pubblicata nel 1881. Lo sviluppo della storia abbraccia un periodo di circa dieci anni a cavallo del 1870, epoca nella quale la spedizione dei Mille aveva da poco debellato il Regno dei Borboni e la Sicilia era passata sotto il dominio nazionale dei Savoia.

    La barca attorno alla quale ruota il destino amaro dei protagonisti del libro, la "Provvidenza", è l'imbarcazione più celebre di tutta la letteratura italiana. La famiglia sfortunata dei Toscano e la loro "casa del nespolo" rappresentano emblematicamente una condizione sociale di sofferenza che opprime anche gli altri pescatori del paese e, in generale, il mondo dei lavoratori sfortunati e rassegnati, un mondo che Giovanni Verga guarda e raffigura con una infinita addolorata pietà.
    Nella visione di Verga, molto attenta alla situazione sociale dell'epoca, "I Malavoglia" era il primo volume di un ciclo letterario dedicato ai "vinti" dalla vita. L'insieme doveva comporre una sorta di "Commedia umana", un grande affresco, ad intonazione decisamente pessimistica, delle "degradazioni" umane ai vari livelli sociali, dalla miseria anche morale degli ambienti più poveri all'avidità o alla colpevole ignavia delle classi più abbienti.
    La seconda tappa di questo ciclo letterario fu costituita dal romanzo "Mastro don Gesualdo" (pubblicato nel 1889), ma del terzo libro, "La duchessa di Leyra", ambientato a Palermo, lo scrittore siciliano compose solo un capitolo. Gli altri libri ideati da Verga (che dovevano intitolarsi "L'onorevole Scipioni", ambientato a Roma, e "L'uomo di lusso", ambientato a Firenze) non vennero scritti.
    Verga, deluso per l'accoglienza momentaneamente "distaccata" della critica letteraria verso "I Malavoglia" e "Mastro don Gesualdo" (che però successivamente, nel corso del Novecento, sarebbero stati riconosciuti universalmente come grandi capolavori), negli ultimi decenni della sua vita si chiuse in uno sdegnato "silenzio produttivo". Non valse a riconciliarlo con gli ambienti letterari neppure la nomina a Senatore del Regno concessagli nel 1920 da re Vittorio Emanuele III.
    Lo scrittore morì a Catania, dove era nato il 2 settembre del 1840, il 27 gennaio del 1922.
    Acitrezza ha dedicato a Giovanni Verga la piazza principale, dove nel 1939 è stato apposto un altorilievo, dello scultore Mimmo M. Lazzaro, che raffigura alcune donne in attesa del ritorno dei pescatori dopo una tempesta (con la citazione verghiana "E quei poveretti sembravano tante anime del purgatorio...").
    Nella stessa piazza, nel 1999, è stata impiantata anche una stele con un busto dello scrittore che ha reso universalmente celebre il paese di Acitrezza.

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    I “Faraglioni illuminati”

    Sono passati quasi trent’anni da quando l’Amministrazione comunale di Acicastello ideò e realizzò un’iniziativa straordinaria, l’illuminazione notturna dei “Faraglioni”, ma il suo ricordo è ancora vivo ad Acitrezza.

    L’impegno risultò molto costoso. Fu necessario acquistare una complessa centralina elettrica di comando, i cavi sottomarini per portare l’energia elettrica dalla terraferma fino agli isolotti e potenti riflettori a tenuta stagna da sistemare nei punti strategici prescelti e poi impiantare il tutto e farlo funzionare: per una spesa complessiva di varie centinaia di milioni di lire.

    L’opera, comunque, fu portata a compimento e accadde così che, alla vigilia della festa patronale di San Giovanni, la sera del 24 giugno del 1982, ai festoni del paese si aggiunse lo spettacolo dei “Faraglioni” illuminati.

    L’effetto spettacolare risultò eccezionalmente superbo. Il mare antistante Acitrezza assunse un aspetto da favola e risultò ragionevole pensare che –sotto il profilo dell’attrattiva turistica- era stato aggiunto un altro motivo di grande richiamo alla bellezza naturale del paesaggio.

    I guai, però, non si fecero attendere.

    Era, quello degli anni ottanta, un periodo nel quale cominciavano a far sentire la loro voce gli “ambientalisti” che poi, nei successivi venticinque anni, avrebbero caratterizzato con le loro idee le scelte politiche italiane (fino a quando la loro intransigenza, spesso assolutamente eccessiva, è stata spazzata via dalle elezioni politiche del 2008 che hanno cancellato i cosiddetti “verdi” dal panorama del Parlamento italiano).

    Sull’isola Lachea, a causa dello “isolamento” rispetto alla terraferma, si è andata sviluppando nel tempo una particolare forma endemica di piccoli rettili, alla quale gli studiosi hanno dato il nome di “Podarcia sicula ciclopica”. Queste lucertole sono leggermente diverse da quelle della terraferma, ma gli scienziati non hanno potuto ancora stabilire se costituiscono una semplice “varietà” come tante altre oppure se formano una vera e propria “sottospecie endemica”.

    Fatto è che un gruppo si “ambientalisti” condusse un’accanita polemica giornalistica sostenendo che l’illuminazione notturna dei faraglioni disturbava il sonno della “lucertola ciclopica”.

    Gli ambienti politici, all’epoca, per motivi elettorali, tenevano in gran conto le tesi dei “verdi” che via via con il tempo si sarebbero spinti fino a condizionare lo sviluppo nazionale ostacolando la costruzione di autostrade, la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina e la realizzazione di centrali elettriche nucleari (per cui ora l’Italia deve comprare dalla Francia l’energia elettrica).

    La conseguenza dell’accanita campagna di stampa dei “verdi” portò ad Acitrezza allo spegnimento della luce sui faraglioni dopo appena un paio di settimane dall’inaugurazione. E i cavi sottomarini e i fari furono lasciati a marcire giacché ci si rese conto che la loro rimozione avrebbe comportato una spesa quasi analoga a quella dell’impianto.

    L'isola Lachea
    L'isola Lachea, nata dalla eruzione di un vulcano sottomarino, ha un'altezza massima di circa 70 metri e una circonferenza calcolata intorno ai 700 metri. Il nome, di origine grecobizantina, significa "pianeggiante".

    L'isola è attraversata da est ad ovest da un solco profondo nel quale, a circa 14 metri sul livello del mare, si notano incrostazioni calcaree perforate da molluschi marini e contenenti cocci di terracotta, a testimonianza di un sollevamento dal mare in tempi relativamente recenti.

    Probabilmente, in un'epoca antichissima, fu abitata o venne usata esclusivamente come necropoli da antiche popolazioni che abitavano sulla costa: nella parte sud, infatti, vi sono tombe (che gli archeologi ritengono dell'epoca dei Siculi), alcune a forma di orcio e altre di tipo comune.

    Sempre nella parte sud ci sono anche varie caverne, tra le quali la "grotta del monaco" (così chiamata forse in memoria di un eremita che sarebbe vissuto nell'isola). Alcuni decenni addietro, inoltre, vi furono trovati primordiali strumenti litici, cioè di pietre molate, e due tombe preistoriche.

    Nel sec. XVIII l'isola e i faraglioni facevano parte, come Acitrezza, del feudo di Aci S. Antonio e S. Filippo appartenente alla famiglia dei principi Reggio di Campofiorito.
    Alla fine dell'Ottocento l'isola era da molti decenni di proprietà della famiglia catanese dei marchesi Gravina. Il marchese Luigi Gravina -che era stato deputato alla Camera dei Deputati ininterrottamente dal 1861 al 1876, poi era stato nominato senatore nel 1876 e da quest'anno era stato prefetto prima di Bologna, poi di Napoli e successivamente di Roma e quindi di Milano- nel 1898, con un atto notarile perfezionato l'anno successivo, donò l'isola all'Università di Catania, a condizione però che l'Università vi facesse svolgere studi scientifici e sperimentali sulla fauna marina. La casetta in cima all'isola, così, ospita un piccolo museo universitario di fauna ittica.

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  12. la sirenetta
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    TAORMINA

    La città nacque con il nome Tauromenium, nome che ancora conserva anche se trasformato in Taormina, che significa abitazione sul Tauro, il monte su cui sorse. Lo storico Diodoro attribuisce l’assegnazione del nome alla città sia ai Siculi, che ai Greci. Secondo Pietro Rizzo, che ha scritto una storia di Tauromenium, furono probabilmente entrambi i popoli a chiamarla così.
    Non mancano leggende che fanno derivare il nome da altre fonti. Una favoleggia di un Minotauro, che figura in monete antiche, al quale attribuisce la fondazione e il nome della città. Un’altra evoca due principi di Palestina, Taurus e Mena, che avrebbero fondato la città, dandole il nome Tauromena.
    Attorno a Taormina fiorirono tante altre leggende. Alcune hanno per protagonista Pitagora, che avrebbe parlato nello stesso giorno a Taormina e a Metaponto, avrebbe fatto adottare a Taormina le leggi del catanese Caronda, avrebbe placato i furori erotici di un giovane taorminese suonando il suo magico flauto frigio. In realtà, Pitagora visse in un periodo storico nel quale Tauromenium non era stata ancora fondata.



    Torre militare
    Nel secolo XI gli arabi rafforzarono le difese della città, facendo costruire una torre, che successivamente costituì il nucleo attorno a cui fu costruito il Palazzo Corvaja. Si tratta di una torre a forma di cubo, che ricordava agli arabi la loro sacra Al Ka ‘bah e, cioè, il dado che, secondo Maometto, era il primo tempio innalzato a Dio da Abramo alla Mecca. Comprende due ambienti quadrati sovrapposti, un piano terra e un primo piano.

    Necropoli araba
    Si trova a poche centinaia di metri dalla porta nord, lungo la provinciale che da Capo Taormina sale fino al centro della città. Si presume sia stata realizzata tra il IX e l’XI secolo. Viene definita a metodo colombario (celle simmetriche poste l’una sull’altra).

    Il Castello
    Si trova in cima al Monte Tauro. Qui sorgeva l’antica acropoli greca. E’ anche noto come castello saraceno, perché ricostruito, nel XIII secolo, dagli arabi. Ha forma trapezoidale ed è dotato di una torre, che era adibita come torre di vedetta. Ancora oggi si possono notare le cisterne per la raccolta delle acque piovane ed un corridoio sotterraneo per il deposito di vettovaglie ed armi. E’ dominato da Castelmola, un paesino in cima al monte.



    Chiesa di San Pancrazio
    Fu costruita nella seconda metà del 1600 sulle rovine di un tempio dedicato dai greci a Giove. E' in stile barocco, ma una parte del muro esterno risale all'era greca. Il portale ha lo stipite e l'architrave in pietra di Taormina ed è ornato, ai lati, da due colonne di stile jonico.
    All'interno vi è la statua di San Pancrazio, primo vescovo della Sicilia, decorata con oro zecchino. Un quadro di tela ad olio rappresenta il martirio del vescovo S. Nicone e dei suoi 99 frati uccisi dai musulmani e un altro affresco raffigura lo sbarco di San Pancrazio a Naxos nel 40 d.C.

    Chiesa di San Giuseppe
    Fu costruita nella seconda metà del 1600. Sul pavimento una grande lapide rettangolare in marmo copre l'ossario.

    Fontana di piazza Duomo
    Costruita nel 1635, si poggia su un basamento di tre gradini concentrici in pietra di Taormina. Al centro, su un altro basamento ottagonale poggiano quattro putti, di cui due, nella parte est, sostengono due puttini che fanno da base ad una vasca ottagonale ornata da tre foche. Dal centro di questa vaschetta si ereggono tre figure mitologiche, che, con le braccia incrociate sulla testa, sostengono una vasca più piccola di foggia circolare. Al centro di quest'ultima, una sfera fa da base alla centauressa bipede incoronata, che, nella mano sinistra, regge il mondo e, nella mano destra, lo scettro del comando, simbolo di Taormina. Ai quattro lati del basamento sono poste quattro fontanelle, sormontate da quattro cavalli marini dalla cui bocca sgorga l'acqua.

    Corso Umberto
    Lungo corso Umberto si possono riconoscere oltre alla facciata del palazzo Caprino, balconate, mensolini, portici ed angoli con evidente decorativismo barocco.


    Il Teatro Antico
    Il Teatro Antico non è soltanto un pezzo del patrimonio archeologico di Taormina, ma è anche un luogo d’incomparabile bellezza panoramica. L’occhio spazia dalla baia di Naxos, alle coste calabre, all’Etna, a Castelmola.
    E’ greco o romano? Su questo interrogativo si sono cimentati esperti e critici. La risposta più probabile è che sia stato costruito in epoca greca e ristrutturato ed ampliato in epoca romana. Una prova che il teatro sia di origine greca è data dalla presenza, sotto la scena, di blocchi di pietra di Taormina (simili al marmo), che costituiscono il classico esempio del modo di costruire dei greci. Si pensa che i Romani per ricostruirlo abbiano impiegato decine d’anni. Le misure attuali sono di 50 metri di larghezza, 120 di lunghezza, 20 d’altezza. Per dimensione è il secondo della Sicilia, dopo quello di Siracusa. Si divide in tre parti: la scena, l’orchestra e la cavea.
    La parte più importante è la scena, che parzialmente conserva la forma originale. Il muro scenico ha la lunghezza di m. 30 per 40. Due stanzoni laterali chiudevano la scena e la platea, impedendo il passaggio al pubblico. Il tetto di essi era costituito da due grandi terrazze, ancora esistenti.
    La cavea è incavata nella roccia ed ha un diametro di 109 metri. E’ costituita dalla gradinata, che, partendo dal basso, sale fino alla sommità. I primi posti della cavea erano riservati alle autorità, mentre la parte alta era riservata alle donne. La plebe sostava sulle terrazze, che non avevano comunicazione con l’interno del teatro. Un ampio velario riparava gli spettatori dal sole e dalla pioggia. La cavea era divisa in cinque corridoi anulari e verticalmente da otto scalette, formate da trenta gradini ciascuna. Le scalette partivano dalla cavea e arrivavano in alto al muro terminale, dove, in corrispondenza, si aprivano otto porticine, attraverso le quali si accedeva al corridoio coperto. Nel muro terminale le nicchie, ancora ben visibili, contenevano statue in esposizione. L’orchestra, posta al centro, divide la scena dalla cavea. Ha un diametro di 35 metri.
    Per il rifacimento ed ampliamento del Teatro i Romani usarono mattoni d’argilla e calce. Fu anche costruito un sistema di canali per far defluire le acque piovane. E’ da annotare che era decorato con colonne di marmo bianco e granito grigio. Purtroppo, quasi tutte le colonne sono state perdute.
    Il Teatro antico è una delle principali attrazioni di Taormina. Perfettamente funzionante ed agibile, dopo aver ospitato per anni il premio David di Donatello, la manifestazione cinematografica più importante d’Italia, è sede oggi di Taormina Arte, festival internazionale che dura tutto il periodo estivo con la rassegna del cinema, del teatro, del balletto e della musica sinfonica.

    L’Antiquarium
    E’ il piccolo museo archeologico, ospitato in due stanzette della casa (in passato chiamata casa degli inglesi) del custode del Teatro Antico. I reperti custoditi sono pochi, perché la maggior parte è stata trasferita in musei di Napoli, Messina e Siracusa. Tra i più interessanti una base, in pietra di Taormina, della statua di Olimpio, atleta tauromenita vincitore delle corse a cavallo nelle gare di Olimpia, un’altra base di statua dedicata a Caio Claudio Marcello, due pilastri (la Tavola degli Strateghi e la Tavola dei Ginnasiarchi), un sarcofago di marmo, piccolo e ovale, che molto probabilmente è la forma di un bambino (la parte esterna è scolpita ad altorilievo con scena baccanale di bambini), blocchi di pietra levigati con incisi rendiconti finanziari della polis.



    Guy de Maupassant in La Vie errante, 1885, scrisse: Se qualcuno dovesse passare un solo giorno in Sicilia e chiedesse: "Cosa bisogna vedere? risponderei senza esitazione: Taormina.

    Taormina è nata come città turistica, perché Siculi, Greci, Romani, Bizantini, Saraceni la scelsero per soggiornarvi a lungo e non solo per motivi politici. I Normanni, in particolare, la consacrarono come sede turistica residenziale e divenne, sin da allora, centro di congressi e di convegni, di visite e di soggiorni.
    Scrive Filippo Calandruccio in Beehive che i viaggiatori andarono e vennero in numero sempre crescente e non pochi rappresentarono artisticamente le loro reazioni emotive. Nel 1770 giunse Patrick Brydone e nel 1787 J.W. Goethe, accompagnato dal disegnatore Kniep. Ma fu soltanto verso la fine del diciannovesimo secolo che Taormina raggiunse l’apice della notorietà come luogo di soggiorno internazionale. Cominciarono ad affluire in misura sempre più massiccia nobili e benestanti inglesi e molti di loro acquistarono delle ville. Presto furono affiancati da nordamericani, austro-ungarici, baltici, belgi, svizzeri, olandesi, tedeschi. I personaggi più prestigiosi di tutta Europa visitarono Taormina. Si ricordano tra i tanti altri artisti e letterati, oltre al citato Goethe, Truman Capote, Salvador Dalì, Edmondo De Amicis, Alexander Dumas, Gabriel Faure, Anatole France, Andrè Gide, Paul Klee, Gustav Klimt, D.H. Lawrence, Guy de Maupassant, Vladimir Nabokov, Luigi Pirandello, Bertrand Russel, Leonardo Sciascia, John Steinbeck, Elio Vittorini, Oscar Wilde.
    Il giovane pittore prussiano Otto Goelen giunse a Taormina per una breve visita, ma vi restò fino alla morte. Tra i musicisti e i direttori d’orchestra si ricordano Johannes Brahms, Leonard Bernstein, Nikita Magaloff, Richard Wagner. Tra gli uomini di cinema, teatro e spettacolo, che innumerevoli hanno visitato Taormina, si ricordano Michelangelo Antonioni, Ingmar Bergman, Francis Ford Coppola, Edoardo De Filippo, Marlene Deitrich, Eleonora Duse, Federico Fellini, Greta Garbo, Cary Grant, Marcello Mastroianni, Gregory Peck, Tyrone Power. Tra gli uomini di Stato, magnati della finanza e case regnanti Willy Brandt, Lord Carrington, Alcide de Gasperi, il kaiser Guglielmo II, re Gustavo, re Juan di Borbone, Huro Kekkonen, Mitterand, re Olaf, granduca Paul di Russia, Sandro Pertini, Philippe d’Orleans, Rothschild, Nelson Rockfeller, Umberto di Savoia.
    Se si vuole ancorare la storia turistica moderna di Taormina ad una data iniziale, si può fissare la data del 1870, anno in cui viene completata la ferrovia Siracusa-Catania-Messina. Un altro evento importante è l’inaugurazione nel 1874 dell'Hotel Timeo. Nel 1904 questi erano gli alberghi più importanti di Taormina, come risulta in una pubblicazione edita a New York: San Domenico, Timeo, Metropole, Castello a Mare, Naumachie, Vittoria.
    In oltre cent’anni il turismo a Taormina ha avuto degli alti e bassi. Ma la città è rimasta e rimane sempre il sogno dei turisti di tutto il mondo che amano le bellezze della natura e vogliono provare le emozioni dell’arte.
    Scrive Pietro Rizzo nel suo libro Tauromenium: Dal monte Tauro, dal teatro, dalla chiesa della Madonna della Rocca e dal Castello, la vista scorre liberamente dai monti al mare e all’orizzonte litoraneo del sud verso Catania, per le falde al cratere fumante dell’Etna immenso ed imponente, e si ammirano verso nord le linee della costa che corre verso Messina sempre bella e pittoresca. Da quei diversi luoghi si aprono prospettive e paesaggi meravigliosi di luce e di colore, lontananze vaporose e colline verdeggianti, scorci e profili campestri e rupi erte e pendenti, poggioli verdi coronati di casette bianche e spiagge marine su cui le ombre delle case della spiaggia si riflettono allungandosi capovolte nell’acqua sotto una luminosità chiara ed abbagliante.
    Scrive, a sua volta, Filippo Calandruccio in Beehive: Come nelle Mille e una notte non vi è chi non si senta come Bulukiya, il giovane sultano che s’incammina per le strade del mondo per incontrare Maometto e sarà un’isola di raro incanto, assai simile al paradiso dell’Islam, a placare la sua ansia di ricerca. Ora questa Taormina, isola felice, è realtà ed è favola.



    Provenendo da Messina, dopo Capo S. Alessio e Letojanni, cittadina con spiagge splendide, frequentate da moltissimi turisti, si arriva nella zona rivierasca tra le più belle e famose del mondo. Ecco Taormina Mare con Spisone, Mazzarò, capo Sant’Andrea, capo Taormina. Si susseguono ampie e dolci insenature e curve che morbidamente modellano la riviera. Roccia, ghiaia e sabbia sono incorniciate dalla vegetazione tipica mediterranea. Nel mare, cristallo liquido palpitante d’azzurro e di verde cupo, l’Isolabella, quasi dinanzi a Mazzarò, grumo di roccia fittamente ammantata di vegetazione, gemma geologica di scogliere scolpite d’incomparabile bellezza, aumenta il fascino della costa taorminese. A Capo Sant’Andrea si possono raggiungere in barca bellissime grotte marine.
    Nella fascia costiera da Letojanni a Giardini Naxos è possibile praticare tutti gli sport nautici.
    Gli appassionati di attività subacquee possono visitare le grotte e le fessurazioni della costa taorminese, ricche di gorgonie, spirografi, e di organismi viventi nel palpito della luce e delle ombre del mondo sommerso. Si segnala, in particolare, lo scoglio di zi gennaro, davanti a capo Sant’Andrea, che è un vero spettacolo: qui il fondale non supera i 10 metri, ma verso il largo cade improvvisamente a 45 metri di profondità.



    Parole e scritti di uomini illustri

    Johannes Wolfang Goethe
    …Lo sguardo abbraccia tutta la lunga schiena montuosa dell’Etna, a sinistra la spiaggia fino a Catania, anzi fino a Siracusa. L’enorme vulcano fumante conchiude il quadro sterminato, ma senza crudezza, perché i vapori dell’atmosfera lo fanno apparire più lontano e più grazioso. Se poi da questo spettacolo si volge l’occhio ai corridoi costruiti alle spalle degli spettatori, ecco a sinistra tutte le pareti della roccia, e fra queste e il mare la via che serpeggia fino a Messina, e gruppi e ammassi di scogli nello stesso mare, la costa di Calabria nell’ultimo sfondo, che solo spiando attentamente si discerne tra le nubi che s’innalzano dolcemente…Osservare come questa regione, in tutti i particolari interessanti, si sprofondava a poco a poco nelle tenebre, è stato spettacolo di una bellezza indicibile.

    Alexandre Dumas

    …La vista di Taormina ci mandò in estasi. Alla nostra sinistra, chiudendo l’orizzonte, s’innalzava l’Etna, quella colonna del cielo, come la chiamava Pindaro, stagliava la sua massa violetta in un’atmosfera rossastra perché tutta attraversata dai raggi nascenti del sole. In secondo piano, due montagne fulve che si sarebbero dette ricoperte da un’immensa pelle di leone. Dopo aver apprezzato ben bene quello spettacolo così grande, magnifico e splendido, - tanto che Jadin, impressionato, non pensò nemmeno di farne uno schizzo, - volgemmo la prua verso est.

    Guy de Maupassant

    Se qualcuno dovesse passare un solo giorno in Sicilia e chiedesse: "Cosa bisogna vedere?" risponderei senza esitazione: "Taormina".
    E’ soltanto un paesaggio, ma un paesaggio in cui si trova tutto ciò che sembra creato sulla terra per sedurre gli occhi, la mente e la fantasia.
    Dove sono mai i popoli che saprebbero fare, oggi, cose simili?
    Dove sono gli uomini capaci di costruire, per il piacere delle folle, opere come queste?
    Quegli uomini, quelli di una volta, avevano anima e occhi diversi dai nostri; nelle loro vene, con il sangue, scorreva qualcosa di scomparso: l'amore e il culto per la Bellezza.

    D.H. Lawrence

    Qui ci si sente come se si fosse vissuto per un migliaio di anni…Non che Taormina aspetti solo me, aspetta tutti gli uomini.

    Edmondo De Amicis

    …Quello che si vede è uno spettacolo di cui non ha l’eguale né Napoli, né Rio Janeiro, né Costantinopoli. Sotto, la piccola città ridente, che si stende ad arco fra i mandorli, gli aranci, i cactus, i pini; a tergo della città, un semicerchio di monti che slanciano al cielo i vertici rocciosi coronati di castelli e villaggi; più in là l’Etna enorme, col capo bianco tinto di rosa, che sovrasta il mar Jonio, e par che s’avanzi per immergervi il fianco; a destra e a sinistra quasi tutta la costa orientale della Sicilia…e questa doppia immensa fuga di seni, di promontori, di boschi, di paesi, di giardini ride sopra la bellezza di un mare e sotto la bellezza di un cielo di cui non può dare idea la parola umana…Credo poco all’inferno, ma credo al paradiso, perché l’ho visto…ed è questo.

    Truman Capote

    …La primavera siciliana comincia a gennaio, e si raccoglie in un bouquet degno di una regina, nel giardino di un mago dove tutto è sbocciato…L’aprile, scrive Eliot, è il mese più crudele: ma non qui. Qui è luminoso come le nevi sulla sommità dell’Etna…Notai con sorpresa su quel muretto un vecchio con i calzoni di velluto, avvolto in un mantello nero…Era una sorprendente apparizione teatrale e null’altro; solo dopo aver guardato con maggiore attenzione mi accorsi che si trattava di Andrè Gide…

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  13. la sirenetta
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    CAPRACOTTA

    Comune montano che sorge nel cuore dell’Appennino molisano più precisamente nella provincia di Isernia nei pressi del confine molisano-abruzzese. La località sorge a 1421 metri sul livello del mare ed è il comune più alto del centro sud Italia, terzo a livello nazionale. Capracotta vanta una lunga tradizione storica, che vede la fondazione dell’insediamento umano in periodo medioevale durante l’occupazione longobarda, dalla cui ritualità religiosa deriva anche il nome della località. Capracotta è un’importante meta turistica del Molise, questo grazie allo splendido ed incontaminato ambiente montano, che offre sia in estate che in inverno delle rare suggestioni panoramiche oltre che ad una veramente vasta offerta sportiva. In inverno non è raro imbattersi in vere e proprie bufere di neve il cui accumulo può raggiungere anche i due metri e talvolta superarli, creando dei veri e propri muri di neve di addirittura tre metri.

    La facile predisposizione all’innevamento della zona ha fatto si che la località diventasse nel corso degli anni una splendida meta per lo sci. Il comprensorio sciistico gode di due impianti uno per lo sci alpino e uno per lo sci di fondo. La stazione sciistica si inerpica lungo le pendici del Monte Caprano e offre una splendida discesa fra boschi di faggio con una pendenza di media difficoltà.

    Per i principianti nella disciplina sciistica Capracotta mette a disposizione la possibilità di usufruire di un tratto di discesa avente le caratteristiche di un vero e proprio camposcuola, con ampia visuale, declivi molto dolci e lunghezza contenuta, sui 300 metri. Alla disciplina dello sci alpino si accompagna l’offerta per lo sci nordico con gli anelli limitrofi della località di Prato Gentile. Gli amanti dello sci a Capracotta troveranno di sicuro un ambiente rilassato, in cui godere delle varie offerte stagionali in un clima che è ben distante dalle affollate piste delle mete invernali più frequentate. Oltre alle discipline sciistiche classiche si possono aggiungere le offerte sportive riguardanti le splendide vie escursionistiche, non è un caso che la zona sia famosa anche per attività quali sci alpinismo, sci escursionismo, e che disponga di ottimi itinerari fuoripista per tutti gli amanti dello snowboard su percorsi naturali.

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  14. la sirenetta
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    Rovaniemi

    Rovaniemi (Roavenjarga in lingua sami settentrionale) è il capoluogo della Lapponia, la provincia più settentrionale della Finlandia. Ha una popolazione di circa 58 mila abitanti.

    È situata 10 km a sud del circolo polare artico, tra le colline di Ounasvaara e Korkalovaara, alla confluenza del fiume Kemijoki e del suo affluente Ounasjoki. Il porto più vicino, a Kemi, è a 115 km.

    Il nome Rovaniemi è stato spesso ritenuto di origine lappone, in quanto "roavve" in Sami indica una collina boscosa. Nei dialetti della Lapponia meridionale "rova" significa invece cumulo di pietre o roccia.

    Probabilmente ci sono stati insediamenti umani stabili nell'area di Rovaniemi sin dall'età della pietra. Il disboscamento di terreni per utilizzi agricoli iniziò intorno al 750-530 a.C. Reperti rinvenuti nell'area fanno ipotizzare che un crescente numero di persone provenienti da est, dalla Carelia, da sud, da Hämeth e dalle coste dell'Oceano Artico, a nord, si stabilirono a Rovaniemi a partire dal 500 d.C.

    Le risorse naturali della Lapponia nel XIX secolo spinsero la crescita di Rovaniemi. La febbre dell' oro, e l'estensivo sfruttamento del legname attrassero migliaia di persone in Lapponia, e Rovaniemi divenne il centro economico della provincia lappone.

    Nella guerra lappone, durante la Seconda guerra mondiale, circa il 90% degli edifici cittadini fu distrutto dalle truppe tedesche. La ricostruzione di Rovaniemi iniziò nel 1946. Molti edifici pubblici e privati della città furono progettati dall'architetto finlandese Alvar Aalto, come ad esempio il Centro Amministrativo e Culturale, che comprende il municipio, il teatro cittadino e la biblioteca provinciale.

    Grazie all'ambiente naturale incontaminato che la circonda e alle numerose infrastrutture ricreative, il turismo è un importante settore economico a Rovaniemi. La città conta numerosi alberghi, situati sia in centro che nelle zone periferiche. La maggioranza dei suoi abitanti è impiegata nel settore dei servizi.

    Dato che Rovaniemi è la capitale della provincia della Lapponia, molte istituzioni governative hanno sede nella città. Si calcola che dei 35.000 abitanti circa 10.000 siano studenti, infatti a Rovaniemi si trovano l' Università della Lapponia e il Politecnico di Rovaniemi.

    Rovaniemi è il punto più a nord della ferrovia elettrificata del gruppo VR, con treni passeggeri diurni e notturni che partono dalla stazione di Rovaniemi verso Oulu, Tampere, Helsinki e Turku. Verso il nord-est della regione della Lapponia partono treni a motore Diesel che la collegano con Kemijärvi.

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  15. la sirenetta
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    Siena

    La città è universalmente conosciuta per il suo patrimonio artistico e per la sostanziale unità stilistica del suo arredo urbano medievale, nonché per il suo famoso Palio; il centro storico è stato infatti dichiarato dall'UNESCO patrimonio dell'umanità nel 1995.


    Siena si trova nella Toscana centrale al centro di un vasto paesaggio collinare, tra le valli dei fiumi Arbia a sud, Merse a sud-ovest ed Elsa a nord, tra le colline del Chianti a nord-est, la Montagnola ad ovest e le Crete Senesi a sud-est.

    La mitologia cittadina vuole la città fondata da Senio, figlio di Remo, il fondatore di Roma. Senio, col fratello Aschio, avrebbe infatti lasciato Roma perché perseguitati dallo zio Romolo, trovando rifugio nella nuova città.

    Un'altra leggenda la vorrebbe fondata più a sud, in un luogo che oggi si chiama Brenna, da Brenno capo della tribù dei Galli Senoni.

    Storicamente Siena fu fondata come colonia romana al tempo dell'Imperatore Augusto, prendendo il nome di Saena Julia. Le scarse notizie attendibili precedenti alla fondazione suggeriscono l'esistenza di una comunità etrusca sulla quale si insediò la colonia militare romana augustea.

    Il primo documento che conosciamo in cui viene citata la comunità senese risale all'anno 70 e porta la firma di Publio Cornelio Tacito che, nel IV libro delle sue Historiae, riporta il seguente episodio: il senatore Manlio Patruito riferì a Roma di essere stato malmenato e ridicolizzato con un finto funerale durante la sua visita ufficiale a Saena Julia, piccola colonia militare della Tuscia. Il Senato romano decise di punire i principali colpevoli e di richiamare severamente i senesi a un maggiore rispetto verso l'autorità.

    Dell'alto medioevo non si hanno documenti che possano illuminare intorno ai casi della vita civile a Siena. C'è qualche notizia relativa alla istituzione del vescovado e della diocesi, specialmente per le questioni sorte fra il vescovo di Siena e quello di Arezzo, a causa dei confini della zona giurisdizionale di ciascuno: questioni nelle quali intervenne il re longobardo Liutprando, pronunziando sentenza a favore della diocesi aretina.

    Ma i senesi non furono soddisfatti della sentenza e nell'anno 853, quando l'Italia passò dalla dominazione longobarda a quella franca, riuscirono ad ottenere l'annullamento della sentenza emanata dal re Liutprando. Pare, dunque, che al tempo dei Longobardi, Siena fosse governata da un gastaldo, rappresentante del re: gastaldo che fu poi sostituito da un Conte imperiale dopo l'incoronazione di Carlo Magno. Il primo conte di cui si hanno notizie concrete fu Winigi, figlio di Ranieri, nel 867.

    Dopo il 900 regnava a Siena l'imperatore Ludovico III, il cui regno non durò così a lungo, dal momento che nel 903 le cronache raccontano di un ritorno dei conti al potere sotto il nuovo governo del re Berengario
    Nel X secolo Siena si trova al centro di importanti vie commerciali e di pellegrinaggio che portavano a Roma, nel sud Italia e, di conseguenza, alle proiezioni marittime verso la Terrasanta, prima tra le quali la Via Francigena, ottenendo grazie ad esse un'importanza eccezionale.

    Nel XII secolo la città si dota di ordinamenti comunali di tipo consolare, comincia a espandere il proprio territorio e stringe le prime alleanze. Questa situazione di rilevanza, sia politica che economica, portano Siena a combattere per il dominio della Toscana, contro Firenze. Dalla prima metà del XII secolo in poi Siena prospera e diventa un importante centro commerciale, tenendo buoni rapporti finanziari con lo Stato della Chiesa, al quale i banchieri senesi offrivano i propri servizi di prestito o finanziamento.

    Alla fine del XII secolo Siena, sostenendo la causa ghibellina, si ritrovò nuovamente contro la guelfa Firenze: celebre è la battaglia di Montaperti combattuta nel 1260, nella quale i senesi, guidati da Manfredi di Sicilia, distrussero l'esercito fiorentino. La battaglia di Colle Val d'Elsa che vide la sconfitta dei senesi ad opera delle truppe fiorentine e colligiane, poi, portò nel 1287 all'ascesa del Governo dei Nove. Sotto questo nuovo governo Siena raggiunge il suo massimo splendore, sia economico che culturale, divenendo di fatto la città più importante della Toscana.

    Dopo la peste del 1348, però, cominciò la lenta decadenza della Repubblica senese, che raggiunse l'epilogo nel 1555, anno in cui la città dovette arrendersi alla supremazia fiorentina, dopo tre secoli di primato.

    Tra il 1799 ed il 1800, durante la prima occupazione francese, Siena si rese protagonista assieme ad Arezzo dei moti antigiacobini del Viva Maria, in cui alcuni fuoriusciti da Arezzo al grido di "Viva Maria" assaltarono la Sinagoga, prelevarono tutti gli ebrei in preghiera e li arsero vivi in Piazza del Campo.

    Pochi mesi più tardi, durante la seconda campagna d'Italia condotta da Napoleone, Siena divenne capoluogo del Dipartimento dell'Ombrone.


    Siena partecipò convintamente alle guerre del Risorgimento, per le quali partirono numerosi volontari. Cospicuo il numero di quelli che si batterono a Curtatone.

    Nel 1859 fu la prima città della Toscana a votare a favore dell'annessione al Regno d'Italia. Durante i decenni successivi, soprattutto tra le due guerre, Siena conobbe una rinascita grazie alla sua forza nel settore manifatturiero ed alla crescita dell'Università.

    Da ricordare nell'Ottocento i pittori Franchi, Aldi e Maccari. Nell'ambito della scultura furono preminenti Giovanni Duprè e Tito Sarocchi, importante per l'opera filologica di rifacimento delle statue di Fonte Gaia, deteriorate dal tempo (visibili ai piani inferiori del Santa Maria della Scala).

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289 replies since 19/10/2010, 13:31   21802 views
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