Antichi sapori,alimenti di altri tempi,spezie ,intingoli ,utensili dimenticati,ricordi e ...dintorni

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  1. la sirenetta
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    consumi-1

    Amici vi starete chiedendo come mai queste notizie son qui e non nella sezione ''cucina''
    fidatevi...questi argomenti che tratteremo di volta in volta ,non riguarderanno solo le ricette in sè ,cioè il lato pratico ,ma sarà un viaggio nei sapori del passato ,nei ricordi ,nei modi di preparare qualcosa ''alla vecchia maniera''.
    si troveranno quindi di volta in volta ,consigli ,modi di rivisitare un antico sapore ,piccoli segreti sulle spezie e tanto altro ancora.

    Ci sono dei piatti che ti rimangono nella testa perchè non sono legati solo a un sapore piacevole, a una pura questione di gusto, ma perchè richiamano ricordi lontani, un misto di sensazioni che coinvolge tutti i sensi, e che colpisce il cuore.

    Oppure ci sono degli oggetti che usavano le nostre nonne ,utensili da cucina ormai spariti,ma che a volte possiamo ritrovarci tra le mani senza sapere bene come utilizzarli ,bè dai mettetevi comodi .......



    parliamo di....patate e piselli.

    Questo contorno è legato alla mia infanzia, se vado indietro con la mente sento ancora il profumo delle patate che cuociono e si insaporiscono nel brodo, il rumore dei piselli, prima un leggero soffritto e poi il ribollire nella pentola, vedo la luce della cappa che è l’unica illuminazione della cucina in quel momento, il tramonto è appena passato, tra non molto sarà pronta la cena.

    La mia versione della ricetta si adatta ai tempi moderni, uso i piselli in scatola e il brodo granulare, ma volendo si possono preparare i piselli liberandoli dai baccelli e si può fare un buon brodo di quelli fatti in casa.


    La pentola adatta per una preparazione ''antica'' è quella di coccio

    pentole%20da%20fuoco

    Il coccio è adatto perché la terracotta ha un'alta capacità termica che permette di mantenere la preparazione ad una temperatura uniforme solo con piccole variazioni della fiamma.

    Le pentole di coccio sono fragili ma meno di quanto si immagini; indubbiamente sono un po' ingombranti e richiedono alcune attenzioni ma sono utilissime ed anche belle da portare in tavola.

    Prima dell'uso, una pentola di coccio nuova deve essere messa in ammollo in un catino di acqua fredda per almeno 12 ore, si vedranno salire delle bollicine di aria dalla sua superficie con un perlage addirittura migliore di quello dello champagne! Le pentole di terracotta sono porose: sono smaltate su tutta la superficie tranne che sul fondo, fondo dal quale assorbono l'umidità (ad esempio durante il lavaggio). L'operazione di immersione permette di reidratare la terracotta, che si è seccata durante la cottura, in maniera uniforme. Un'altra accortezza è quella di passare uno spicchio d'aglio sbucciato sul fondo non smaltato prima del primo utilizzo per impermeabilizzarlo leggermente.

    Una volta lavata la pentola di coccio deve essere lasciata ad asciugare rovesciata in modo che l'umidità possa evaporare dal fondo, non deve essere asciugata e messa via.

    Non utilizzare il coccio sulla fiamma diretta ma utilizzare sempre lo spargifiamma di rete che permette una distribuzione del calore uniforme. Inoltre è bene non utilizzare che recipienti tondi sul fuoco, quelli rettangolari riservarli per la cottura in forno.

    Mai mettere sotto l'acqua fredda il coccio appena levato dal fuoco, lo sbalzo di temperatura lo romperebbe.

    Ultima accortezza, non usare strumenti metallici per mescolare altrimenti si rischia di graffiare la smaltatura.


    Le pentole di coccio si lavano molto facilmente, una nota ditta produttrice consiglia addirittura di mettere in ammollo la pentola di coccio dopo l'uso e di lasciarvela per una notte: il giorno dopo basterà sciacquarla senza utilizzare saponi! Dal canto mio preferisco il normale lavaggio che è comunque molto più facile e veloce rispetto a quello di una pentola di metallo.

    e adesso brevemente come fare per la ricetta ,per gli ingredienti regolatevi in base al numero di commensali..e gustatevi questo sapore di altri tempi.

    Soffriggete ,cipolla ,carota e sedano a pezzi grossolani ,poi aggiungete le patate ,i piselli e un buon brodo ,preparato in precedenza ,fate cuocere lentamente ,poi quando tutto sarà amalgamato bene e quasi ridotto in purea ,ma senza far ''seccare''il brodo ,servite su crostini di pane abbrustolito.

    Edited by Oceanya - 15/1/2013, 02:30
     
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  2. la sirenetta
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    Antichi utensili domestici

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    Un corredo di Vasi Minoici ritrovati in Grecia.


    Atene, Gli archeologi greci hanno comunicato lo scorso martedì la scoperta di un ingente quantitativo di rari pithoi, grandi vasi di ceramica usati per la conservazione, più di 3000 anni fa, in un palazzo Minoico sull´isola di Creta.


    "E´ la prima volta che abbiamo trovato così tanti pithoi" ha detto l´archeologo Yannis Sakellarakis, capo degli scavi al sito di Archanes a sud della città di Eraklion.


    Gli scavatori si sono sorpresi nel ritrovare 26 pithoi, alcuni rotti, ma per la maggior parte in perfette condizioni e ancora sigillati, quando hanno aperto una vasta stanza nel palazzo di Archanes, datato intorno al 1600 aC.




    Distrutti dal fuoco.


    Le giare alte 1 metro e 60 cm circa (5 piedi) erano utilizzate ai tempi dei Minoici per conservare qualsiasi alimento, dall´olio di oliva e vino, finanche a vestiti e beni familiari.


    Sakellarakis ha riferito alla radio greca che a prima vista alcuni pithoi sembrerebbero contenere materiale organico, ma che ci vorranno degli anni prima che il contenuto possa essere propriamente esaminato.


    Si pensa che il palazzo di Archanes sia stato distrutto dal fuoco, la stessa sorte che toccò al più famoso palazzo miceneo a Cnosso nel 1400 aC circa, quando ebbe fine quella che si crede essere stata la prima civiltà d´Europa.



    Manufatti Litici del Castelliere di Verezzi

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    Il Castelliere di Verezzi è un insediamento fortificato di altura, datato all'Età del Ferro (che, in Liguria, si sviluppò fra il 900 ed il 180 a.C.), sito presso l'abitato di Crosa, nel territorio del Comune di Borgio Verezzi (Provincia di Savona).

    Nel perimetro del Castelliere, verso la vetta, si possono individuare alcuni manufatti litici molto ben conservati con presenza di coppelle e di profondi solchi, canalette ed incisure .

    I manufatti osservati potevano essere utilizzati come mortai per la macinazione di cereali e/o legumi, onde ottenere farine alimentari, oppure come vaschette di raccolta di acqua per l'abbeveramento degli animali ivi presenti. Un'ultima funzione potrebbe anche essere quella di raccogliere il sangue di detti animali dopo la loro uccisione, sia a scopo alimentare che sacrificale.

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  3. la sirenetta
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    GIUGGIOLE

    frutto dimenticato da rivalutare

    L’espressione andare in brodo di giuggiole si deve proprio a questi frutti ormai poco noti e da cui si ricavava un liquore dolcissimo e a cui si attribuivano doti medicamentose, principalmente sedative.

    Conosciute già dai tempi di Fenici ed Egizi, e decantate da Erodoto che le paragonava ai datteri per la loro dolcezza, si coltivano – seppur ormai molto raramente - in zone soleggiate ma crescono anche allo stato selvatico e si possono gustare fresche o leggermente appassite oppure utilizzate nella preparazione di marmellate e gelatine.

    Interessanti le proprietà di questi piccoli frutti simili ad olive dal colore scarlatto: preparate in infuso sono ottime nella cura delle infiammazioni orali grazie al loro potere lenitivo e antipiretico e sono ricche in vitamina C.

     
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  4. la sirenetta
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    Ecco alcune notizie che riguardano il vino ,le spezie e.....la storia nell'Italia antica.

    Vino e spezie
    Nullam, Vare, sacra vite prius severis arborem (Non piantare, o Varo, alcun albero prima della vite sacra). E’ questa la raccomandazione che Orazio, ripetendo quanto già era stato espresso dal poeta greco Alceo, rivolge all’amico Varo, ricordando così quanto fosse importante la coltivazione di questa pianta. In Plinio poi, si legge che l’Italia, per quanto concerneva la coltivazione della vite, aveva una tale supremazia da dare l’impressione di avere superato, con questa unica risorsa, le ricchezze di ogni altro paese.

    Il vino, dopo l’acqua, era la bevanda più utilizzata nel mondo romano antico. Nel vino, come ricorda Properzio, era il rimedio agli affanni. Il vino, si legge ancora in Orazio, contribuiva ad allontanare le preoccupazioni che rendevano la fronte corrugata e anche Seneca ricorda come in particolari circostanze fossero benefici gli effetti del vino: “Ogni tanto – dice - è bene arrivare fino all’ebbrezza, non perché questa ci sommerga ma perché allenti la tensione che è in noi. L’ebbrezza scioglie le preoccupazioni, rimescola l’animo dal più profondo e, come guarisce da certe malattie, così guarisce anche dalla tristezza”. Ma aggiunge la raccomandazione, che era stata anche di Teognide, che bisognava essere moderati nell’uso del vino.

    Il vino, ricorda ancora Orazio, dava anche libero sfogo ai sentimenti nascosti. Dice infatti: “Che cosa non dischiude l’ebbrezza?” e parimenti Plutarco afferma che quello che era racchiuso nel cuore dell’uomo sobrio era, invece, sulla lingua dell’uomo ubriaco che, proprio sotto l’effetto del vino, pronunciava parole delle quali poi si sarebbe pentito. E’ quanto espresso anche da Marziale con cognizione di causa in quanto avendo, sotto l’effetto del vino, promesso incautamente una cena ad un amico, si era reso conto della pericolosità dell’ubriachezza soltanto quando l’amico si era presentato alla cena e si lamenta dicendo: “Ti sei annotato le parole di un uomo non sobrio” e termina con un detto greco: “Odio il commensale che ricorda”.

    La raccomandazione di non abusare dei doni del dio Bacco è anche in Orazio che ricorda, comunque, quanto fosse piacevole lasciarsi trasportare e godere dei piaceri del vino che, scendendo nelle vene diffondeva nel corpo una piacevole sensazione di ebbrezza, che contribuiva a creare speranze e ad allontanare preoccupazioni, tensioni e malinconie.

    Il vino, come si legge frequentemente, era anche richiesto per essere complice di notti d’amore: “nox, mulier, vinum” è quanto desiderato, ma ad esso si ricorreva anche per alleviare i problemi d’amore che potevano essere sopiti solo per l’effetto di abbondante vino o di vino puro.

    Il vino, infatti, si beveva solitamente unito all’acqua in una proporzione che di volta in volta veniva stabilita, nei banchetti, dal magister bibendi. Se poi il magister bibendi era Postumia, come ricorda Catullo, che prescriveva si dovesse servire del vecchio Falerno puro, allora si comprendeva bene il tono della serata. Nei Thermopolia, che si aprivano nelle strade delle città, il vino veniva servito caldo, accompagnato da cibi che, già pronti, potevano essere mangiati con facilità. Una ostentazione di ricchezza era invece, bere il vino raffreddato facendolo passare attraverso la neve, mentre particolarmente ambito e ricercato, era il vinum consulare (vino consolare) come viene chiamato da Marziale o un vino memore di un console antico come viene ricordato da Tibullo.

    Vini che erano stati sistemati nelle “cantine” sotto il consolato di un antico console, oppure quando ancora i consoli non c’erano o, addirittura, vini che erano stati sistemati quando regnava il re Numa, sono ricordati ancora da Marziale e questi vini venivano presi fuori dalle cantine solo in particolari circostanze.

    I romani, frequentemente, bevevano il mulsum, cioè il vino unito al miele e Apicio ricorda un vino mielato condito con pepe e numerosi altri ingredienti. Ancora Apicio ricorda un vino mielato condito con il solo pepe e, aggiunge che questo vino si conservava e veniva dato ai viandanti. Sappiamo inoltre che l’imperatore Alessandro Severo beveva, ogni giorno, due sestari di vino mielato con il pepe e quattro senza aggiunta di pepe.

    Si legge in Macrobio che, per avere un vino mielato gradevole al palato, occorreva mescolare miele fresco dell’Imetto e vino vecchio Falerno. Anche Plinio consiglia di impiegare il vino vecchio, che per sua caratteristica aveva un sapore leggermente amaro, perché quello dolce non si univa altrettanto bene al miele. Marziale però non è dello stesso avviso perché preferiva gustare il prelibato Falerno senza l’aggiunta del miele. Columella suggerisce, per ottenere dell’ottimo mulsum, di impiegare il mosto derivato dal naturale gocciolamento dell’uva prima che venisse pigiata.

    Un condimento abbastanza frequente del vino era la resina (resinata vina) che infondeva nel vino il suo caratteristico sapore. Marziale, però, considera questo vino scadente.

    Il vino poteva essere aromatizzato anche con la pece e con la mirra che era considerata, quest’ultima, un ottimo condimento. Infatti Marziale suggerisce, a coloro che bevevano il Falerno caldo, di unirvi la mirra perché ne avrebbe esaltato il sapore.

    Columella, Plinio e Palladio insegnano anche come preparare il vino al sapore di mirto, ma non si trattava di un vero e proprio vino “condito” da presentare nei banchetti, infatti Catone lo ricorda, insieme ad altri vini, che venivano preparati a scopo medicamentoso.

    Apicio, per condire il vino, ricorda un metodo semplice per gli ingredienti utilizzati. Si trattava di mettervi in infusione dei petali di rosa, bene asciutti, ai quali era stata tolta l’”unghia” bianca e questo procedimento doveva essere ripetuto per tre volte ogni sette giorni. Quando si trattava di utilizzare questo vino: rosatum, bisognava aggiungervi del miele. Se poi al posto dei petali di rose si utilizzavano dei petali di viole, si otteneva il violacium. Sempre in Apicio si legge che il rosatum si poteva ottenere anche prendendo delle foglie verdi di limone che, dopo averle sistemate in un cestino fatto con foglie di palma, dovevano essere messe nel mosto e lasciate in infusione per 40 giorni. Al momento dell’utilizzo vi si doveva aggiungere del miele.

    L’imperatore Eliogabalo offriva al popolo vino rosatum o vino mielato, oltre a vino aromatizzato, appositamente sistemato in piscine e in tinozze da bagno. Anche l’imperatore Gordiano II amava bere il vino rosatum come pure il vino aromatizzato dal lentischio, dall’assenzio e da altri aromi delicati. Comunque l’uso di aromatizzare i vini con la resina di lentischio, con la menta o con altre essenze era stato introdotto, per la prima volta da Eliogabalo e sempre quell’imperatore aveva fatto correggere il sapore del rosatum facendovi aggiungere anche un trito di pigne. Lampridio sottolinea che non si aveva notizia che questa raffinatezza fosse stata utilizzata prima di lui.

    Altre spezie ed erbe aromatiche quali la senape, il coriandolo, il ligustico, il cumino, l’aneto, il timo, la ruta, l’apio, l’aglio, la cipolla, i bulbi, il finocchio, lo zafferano, il macerone, il pepe, il laser venivano frequentemente utilizzate, come è riportato in Apicio, per salse e intingoli che costituivano una parte molto importante nella cucina romana antica. Si legge in Ateneo, infatti, che tutti amavano i condimenti e che senza di questi nessuno avrebbero mangiato volentieri carne e pesce. Era importante, per la buona riuscita di un banchetto, conoscere le salse e quindi le spezie e, soprattutto, era importante saperle accompagnare ai cibi. Si legge, a questo proposito, in Orazio che non bastava, al mercato, prendere dal costoso banco dei pescivendoli tutti i pesci se non si conosceva la salsa che li avrebbe poi accompagnati.

    Le salse modificavano il sapore dei cibi, li rendevano più gustosi anche se non si poteva certo dire che il loro odore fosse altrettanto invitante. Plauto infatti dice che l’odore che si sprigionava dalle salse era analogo a quello che derivava dalla mescolanza del sudore e degli unguenti.

    Abbondante pepe e abbondante vino rendevano più saporite le biete insipide e il solo pepe è anche consigliato per accompagnare un beccafico così come, ancora il pepe, è utilizzato per condire un pollo fatto a pezzi e cucinato in casseruola con brodo bollente. La fresca menta poi che, come ricorda Plinio, con il solo aroma stimolava l’appetito, veniva unita in ugual misura alla lattuga o per accompagnare piatti di pesce o di uova.

     
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  5. la sirenetta
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    Si ci sono ancora ,ma sono un qualcosa dal gusto antico...

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    Lathyrus sativus

    Il Lathyrus sativus, è un legume, comunemente chiamato Cicerchia, appartenente alla famiglia delle Fabaceae diffusamente coltivato per il consumo umano in Asia, Africa orientale e limitatamente anche in Europa ed altre zone. È una coltura particolarmente importante in aree tendenti alla siccità ed alla carestia, detto cultura di assicurazione poiché fornisce un buon raccolto quando le altre colture falliscono. È anche nota con il nome di pisello d'erba, veccia indiana, pisello indiano, veccia bianca, almorta o alverjón (Spagna), cicerchia (Italia), guaya (Etiopia), e khesari (India). Il consumo di questa pianta leguminosa in Italia è limitata ad alcune aree del centro-sud ed è in costante declino.

     
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  6. la sirenetta
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    Chi è spesso in cucina tra pentole e fornelli lo sà,le nostre mani sono a contatto con tante cose e a volte può capitare di dover affrontare un inconveniente...

    Sicuramente saràcapitato anche a te di stare ore ed ore in cucina per preparare un pranzo particolare, magari hai organizzato una bellissima cena con i tuoi amici, e dopo aver finito ti ritrovi con mani puzzolenti in maniera sgradevole anhe se già per diverse volte le hai lavate con i normali detergenti che abitualmente usi, i cattivi odori rimangono e non sei per niente soddisfatta di ritrovarti delle mani poco profumate.

    ecco come dovrai procedere:

    Se le tue mani puzzano di aglio strofinale con del prezzemolo fresco, dopodichè sciacqua abbondantemente

    Se le tue mani puzzano di cipolla strofinale con un mazzetto di sedano fresco risciacqua con acqua fresca. Puoi anche preparare una pasta di acqua e bicarbonato strofinare tra le mani e risciacquare con acqua fredda.

    Se le tue mani puzzano di pesce, in una bacinella mischia acqua fredda con un cucchiaio di acqua ossigenata, risciacqua per bene.
     
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  7. la sirenetta
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    Come fare le verdure surgelate in casa

    La Congelazione dei Vegetali: Principi Generali
    Gli enzimi che si trovano nella frutta e nella verdura rallentano la loro attività, ma non vengono distrutti dalla congelazione; per questo motivo e' necessario disattivare questi enzimi che possono causare cambiamenti nella colorazione e nel sapore e anche perdita di sostanze nutritive. Le verdure congelate, ma anche molti frutti, non possono essere usate crude, dato che la congelazione le rende molli, acquose e con sviluppo rapido di colori, aromi e sapori ossidati
    Sbianchimento delle Verdure
    Gli enzimi contenuti nella verdura vengono inattivati tramite il processo di sbianchimento, che consiste nel scaldarli a T sufficienti a distruggere gli enzimi presenti nei tessuti. Questo si ottiene o tramite una breve passaggio in acqua bollente, o tramite esposizione a vapore. I risultati migliori si ottengono tramite il secondo metodo che, però, richiede più tempo. È necessario raffreddare immediatamente in acqua fredda le verdure appena sbollentati per evitare che cuociano. Alcune pubblicazioni sostengono il contrario, ma è necessario sbollentare per ottenere la massima qualità possibile per la verdura surgelata.
    Inoltre sbollentare distrugge i microrganismi che si trovano alla superficie delle verdure ed aiuta a risparmiare spazio nel congelatore.

    E' importante rispettare i tempi di sbianchimento ottimali per ogni vegetale; sbollentare troppo a lungo cuoce il cibo, compromettendone il sapore, il colore ed il contenuto nutrizionale. Per tempi troppo brevi stimola l'attività enzimatica con risultati peggiori a quelli del non sbollentare. Prima di sbollentare pulire e lavare la verdura e tagliare a pezzi la verdura molto spessa (come cavolfiori, cavoli, carote, cavolini di Bruxelles, pannocchie di granturco (che vanno sgranate dopo lo sbianchimento), pomodori)
    Sbianchire in Acqua
    Riempire una pentola capace per 2/3 d'acqua, coprire e portare a bollore. Mettere le verdure in un colino o in un contenitore da cottura a vapore e sommergere nell'acqua. Coprire e sbollentare per il tempo previsto dalla tabella. Se ci vuole più di un minuto perchè l'acqua riprenda i bollore sono stati aggiunti troppi vegetali.

    Sbianchire a Vapore
    Riempire una pentola alta con coperchio che chiuda bene con un colino o un contenitore da cottura a vapore che non entri in contatto con l'acqua. Coprire e portare a bollore. Mettere le verdure nel contenitore in uno strato sottile (non più di 5cm), coprire e lasciare per il tempo previsto dalla ricetta.



     
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  8. la sirenetta
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    Al gallo non far sapere quanto è buono il vino col miele

    Secondo le malelingue greche e latine gli etruschi erano il popolo più goloso e mangione della terra: sempre a tavola circondati da bellissimi schiavi che servivano loro cibi succulenti e grandi coppe colme di vino inebriante.
    Certo la fertile terra di Etruria offriva orzo, farro e grano in grande quantità, legumi, olio, vino e fichi.
    La fama del benessere etrusco era tale da varcare anche le Alpi: i galli, infatti, attraversavano le montagne per poter gustare le prelibatezze della città etrusca di Chiusi, come racconta una famosa leggenda.
    Come al solito, però, la realtà doveva essere ben più "magra" della maliziose dicerie degli invidiosi vicini.
    Di certo un contadino non poteva permettersi i lussuosi banchetti che vediamo raffigurati sulle pareti di molte tombe.Secondo la moda imposta dai greci, durante le feste, gli etruschi mangiavano semisdraiati su morbidi divani, davanti ai quali piccoli tavolini ospitavano stuzzicanti leccornie.
    La musica allietava i loro pasti; ovviamente non c'era lo stereo, ma persone in carne ed osa con i loro strumenti: flauti, cetre, tamburelli.
    Nelle cucine cuochi provetti preparavano grossi tranci di carne da arrostire o bollire e da condire con salse a base di cereali, verdure e spezie. Come accompagnamento alla carne, vero e proprio cibo di lusso, focacce, uova, verdure e per concludere frutta e dolciumi.
    Il tutto era annaffiato da ottimo vino allungato con acqua e, pensa un po', insaporito da spezie, miele o formaggio grattugiato!
    Ed ecco una cosa inconcepibile agli occhi di un severo greco: anche le donne sdraiate sui divani a banchettare insieme ai maschi di casa. Mai e poi mai una vera signora greca avrebbe partecipato a queste feste con tutti questi uomini.
    Un buon pasto si mangia anche con gli occhi: raffinate stoviglie esaltano il gusto del cibo, scodelle, piattelli e vassoi, cucchiai e coltelli, ma niente forchette! E tanti, tanti recipienti per le bevande: ecco in tavola un bel servizio composta da zina, qutum, thafna, zavena! Forse è meglio chiamarli con il loro nome italiano, e allora avremo una grossa olla nella quale mescolare acqua e vino, una brocca per servire la bevanda così preparata dentro un calice o una tazza.
    Accanto ai vasi etruschi possono esserci costosi vasi greci con splendide decorazioni. ma perché accontentarsi di semplice ceramica quando si possono abbagliare gli ospiti con sfavillanti servizi di bronzo!
    Forse non sapete che a Mantova, antica città etrusca nel cuore della Pianura Padana, gli archeologi hanno fatto una scoperta inquietante: hanno trovato tantissimi scheletri di maiali... senza le zampe posteriori! Già allora gli etruschi erano famosi produttori e commercianti di... prosciutto!
     
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  9. la sirenetta
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    Il cardamomo

    L'olio essenziale di cardamomo è composta principalmente da acetato di terpinile e cineolo ed inoltre, sono presenti sabinene, limonene e linalolo ed è grazie a questi componenti l'olio è in grado di stimolare l'irrorazione sanguigna e di riscaldare.

    Dopo una giornata fredda fare un bagno aggiungendo all'acqua qualche goccia delle essenze di sandalo, arancio e cardamomo. Aiuta a riscaldare e sentire rilassati.

    Il cardamomo è una spezia nota come la terza spezia più cara al mondo (dopo zafferano e vaniglia). Il nome indica propriamente la Elettaria: una specie di pianta tropicale della famiglia delle Zingiberaceae (la stessa famiglia dello Zenzero).

    Era conosciuto fin dai tempi dei Greci e dei Romani, che lo utilizzavano per produrre profumi.

    Una volta che i semi vengono esposti all'aria perdono rapidamente il loro sapore; perciò vengono venduti all'interno del loro baccello in modo che siano protetti dall'aria.

    Tutte le varie specie e varietà di cardamomo sono utilizzate principalmente come spezie per la cucina e in medicina.
     
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  10. la sirenetta
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    La Carruba

    Gustoso frutto noto in tutto il napoletano come sciuscella. Termine che deriva dal latino iuscellum ossia brodetto che richiama l’antica usanza di preparare con le carrube liquidi e bevande medicinali che fan pensare a dei brodini. L’albero delle sciuscelle, il Carrubo (dall’arabo Kharrub), appartiene alla famiglia delle Fabaceae (ex Leguminose). Il nome scientifico della specie Ceratonia siliqua deriva dal greco Keration da Keras corno riferito alla forma allungata del frutto e dal latino Siliqua termine usato per indicare il baccello dei legumi. Pianta sempreverde, molto longeva, il Carrubo può vivere più secoli, di grande taglia raggiunge l’altezza massima di 10-12 metri e dal portamento maestoso, tronco robusto, grosso e tortuoso con corteccia ruvida, rossiccia o grigiastra.

    Le carrube per l’alto contenuto di zuccheri naturali, il relativamente alto contenuto di proteine, di fibre, di vitamine A, D, B1, B2 e B3 e di diversi ed importanti minerali come calcio, magnesio, potassio, sono un valido alimento nutritivo. Una fiorente economia era legata al commercio delle sciuscelle, importate dalla Sicilia, dove si coltiva il 96% delle carrube nazionali, venivano utilizzate come alimento base per l’alimentazione degli animali da lavoro. Volendo fare un paragone potremmo dire che i vecchi venditori di sciuscelle erano l’equivalente dei moderni distributori di carburante. Purtroppo l’avanzare della tecnologia ha fatto sì che gli animali da lavoro fossero soppiantati dalle macchine, questo ha segnato la fine di tutta l’economia legata al commercio delle sciuscelle. Oggi, infatti, questo importante frutto, quasi del tutto dimenticato, è venduto in maniera assai ridotta solo dai negozianti di mangimi zootecnici e nelle erboristerie.
     
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  11. la sirenetta
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    Brindisi rito del buon auspicio

    E' l'invito a bere tutti insieme, fatto in genere alla fine di un banchetto, in onore di una persona o per celebrare un evento favorevole. Si trovano tracce del suo uso già nelle Bibbia, così come nei poemi omerici.
    Nel banchetto greco si mangiava e si beveva in due momenti distinti, e vi era un convitato, il simposiarca, che sovraintendeva alla preparazione delle bevande e all'argomentazione dei brindisi, dedicati ad inneggiare i presenti o le donne amate, secondo una sequenza prestabilita.
    Anche nel banchetto romano il brindisi era uso consolidato. Si usava farlo bevendo per auspicare e celebrare: prodezze amatorie o militari, la salute di uno degli astanti (doveva vuotare la tazza esclamando: "bene tibi", "vivas"), oppure la salute di persone assenti. Nel brindisi alla donna amata era uso vuotare tanti kyathoi uno dietro l’altro quante erano le lettere che componevano il nome di lei. Marziale così enuncia questa regola:
    “Sette calici a Giustina, a Levina sei ne bevi, quattro a Lida, cinque a Licia, a Ida tre. Col Falerno che versai numerai ogni amica, vien nessuna; dunque, o Sonno, vieni a me”.
    Nel Medioevo quest'abitudine, diffusa presso i popoli nordici, era disapprovata in Italia come risulta dalla "Cronica" di Fra Salimbene de Adam (1247).
    Durante il Rinascimento la pratica, pur cominciando a diffondersi nella nostra penisola, era ancora ritenuta barbara e pertanto biasimevole, come ricorda nel Galateo Giovanni della Casa.
    Due sono le versioni che sembra spieghino il termine "brindisi".
    La prima sarebbe da mettere in relazione con la città di Brindisi presso la quale i giovani Romani, dopo una cena di saluto terminata con augurali libagioni, s'imbarcavano per raggiungere la Grecia dove avrebbero perfezionato l'educazione.
    La seconda sarebbe legata al termine spagnolo “brindis”, variazione della formula tedesca “bring dir’s” (lo porto a te) trasmessa dai soldati mercenari lanzichenecchi alle milizie spagnole (XVI sec.).
    Dal XVII sec. il diffondersi dell'atto fece nascere anche una letturatura marginale ad esso collegata (brindisi poetico), che vide nella pubblicazione del Bacco in Toscana il suo riferimento.
    L’abitudine di accompagnare il brindisi con le parole: “salute” o “viva”, sarebbe ispirata al gesto secolare di versare un po’ del proprio vino nel bicchiere dell’ospite e viceversa, fatto per garantire che nessuno dei due fosse avvelenato.
    Per un brindisi "fortunato", al fine di scacciare le forze negative, la tradizione consiglia di spandere un po’ di bevanda facendo tintinnare i bicchieri.
     
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  12. la sirenetta
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    Per essere dei veri cultori del tè


    Se qualcuno ci osserva mentre si prepara il tè, sarà bene ricordarsi di due o tre segreti che ci renderanno immediatamente agli occhi degli altri dei veri cultori di questo rito, che è semplice solo in apparenza. Innanzitutto usare del tè in foglie, senz’altro migliore delle bustine, e servirlo sia con fettine di limone, alla francese, sia con il latte, secondo l’uso inglese. Insieme al tè si possono offrire biscotti e dolcetti secchi, una torta di frutta o il classico torcolo della nonna.


     
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  13. la sirenetta
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    CECI

    I ceci grazie al loro alto potere nutritivo sono stati fra i primi alimenti consumati dall'uomo, ed anche oggi rappresentano per importanza la terza leguminosa da granella, dopo soia e fagiolo.
    Pianta originaria dell'Oriente, sembra conosciuta già Ottomila anni fa, si diffuse prima in Egitto come cibo povero degli schiavi, e poi nel bacino del Mediterraneo. Orazio segnala che nel pensiero dei Romani una preparazione gastronomica molto apprezzata era quella dei ceci fritti nell’olio d’oliva.
    Il nome scientifico “cicer arietinum” deriverebbe dalla parola "aries" (ariete) che sta ad indicare la forma del seme.
    Presso i Romani il termine “cicer” era anche un soprannome (cognomen) dato a chi aveva sul volto un'escrescenza a forma di cece, e fu per questo che il celebre oratore Marco Tullio Cicerone venne così appellato.
    Nel mondo antico ai ceci si attribuivano virtù afrodisiache, oltre che per il valore nutritivo probabilmente anche per le ventosità intestinali provocate. Plinio scrive che quelli candidi chiamati “ceci di Venere” (genere colombina), venivano offerti e consumati nelle veglie rituali. Proprio durante alcuni di questi incontri riservati alle donne, “pervigilia Veneris”, si presume venissero celebrati riti orgiastici con l’assunzione di cibi rinvigorenti come i ceci.
    Anche Galeno attribuisce qualità afrodisiache a queste piante erbacee:
    “i ceci provocano il coito e generano molto sperma per cui alcuni li danno da mangiare agli stalloni”.
    Al legume sono inoltre legati i “Vespri Siciliani”, la rivolta popolare scoppiata a Palermo nel 1282 per porre fine al dominio Angioino. La parola ciceri (ceci) veniva fatta pronunciare a chi era sospettato di essere francese, e se l‘accentatura cadeva nella “i” finale, si desumeva trattarsi di uno straniero da passare di spada.
    Oggi questo legume è particolarmente diffuso in Medio Oriente e India dove rappresenta un alimento di base. Il seme, raccolto tra giugno e ottobre, viene impiegato in cucina allo stato secco, ricavandone farine, minestre e contorni.
     
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  14. la sirenetta
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    Calici cerimoniali

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    Nel XVI sec. per le crescenti necessità d’eleganza dei banchetti, si afferma in Europa l’uso del calice cerimoniale.
    Si tratta di un bicchiere assai decorativo dotato di coperchio, che nella forma e nelle dimensioni mostra chiaramente la sua destinazione a brindisi e celebrazioni religiose.
    Spesso, tali calici erano in materiale prezioso ma anche di vetro soffiato e lavorato come una trina.
    Il corno “potorio” è una delle più interessanti versioni di bicchiere cerimoniale, diffuso già nel XV sec. e presente nei dipinti fiamminghi fino al XVII. Tali speciali contenitori, derivati forse dall’antico “rython” greco o dal “rithium” romano, erano in genere ricavati da un corno o zanna di animale (bove, bufalo, cervo, elefante), e montati in argento o argento dorato.
    Calici cerimoniali di vetro, elaborati a Venezia, compaiono spesso nelle nature morte fiamminghe del Seicento, accanto a quelli di metalli preziosi. Per tale motivo essi, ancor più dei comuni bicchieri, sembrano suggerire un collegamento simbolico con il calice mistico della celebrazione eucaristica, emblema della Passione di Cristo e della fede.
     
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  15. la sirenetta
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    Nelle epoche preistoriche l’alimentazione costituiva l’unico scopo della vita dell’uomo e dalle quali poche labili tracce sono pervenute fino a noi.

    Nonostante ciò, la ricerca archeologica è riuscita a ricostruire il processo di produzione del cibo ed a recuperare testimonianze di uno dei prodotti fondamentali, il pane. Ad esempio nel villaggio neolitico in località La Marmotta, sul lago di Bracciano, negli scavi dell’abitato terramaricolo di Castione dei Marchesi (Parma) ed anche in altri luoghi del bacino del Mediterraneo, come nel villaggio neolitico di Mersin, in Turchia, sono stati rinvenuti frammenti di pane non lievitato in contesti abitativi.

    Il pane è uno straordinario prodotto, l’unico nel quale si racchiudono numerosi saperi dell’uomo: dalla conoscenza della fertilità del territorio ai metodi di coltivazione della terra, dalla raccolta delle messi alla trasformazione dei semi, dalle diverse possibilità di consumo dei cereali al loro differente modo di cottura, l’unico ad avere una relazione strettissima con la Natura e con i suoi elementi fondamentali: terra, aria, acqua.

    La ricostruzione di molte delle “conquiste” di questa eccezionale tappa della storia umana che è il Neolitico parte dal momento in cui clima e ambiente mutano profondamente e consentono l’applicazione delle prime conoscenze dei prodotti della natura, cioè dalla cosiddetta rivoluzione neolitica rappresentata, fra l’altro, dalla diffusione di una serie di piante ad uso alimentare come il grano e l’orzo.

    Il grano e l’orzo sono infatti presenti allo stato selvatico solo in determinate zone del Vicino Oriente e pertanto il loro ritrovamento nel territorio pugliese, è la chiara testimonianza della presenza in loco di comunità che avevano adottato strategie economiche di produzione di cibo attraverso le tecniche agrarie di coltivazione dei cereali, fino ad allora assenti sul territorio.

    I dati archeobotanici derivati dall'analisi di macroresti vegetali carbonizzati (semi e frutti) e dallo studio di impronte negli impasti di frammenti ceramici e grumi di intonaco di diversi insediamenti neolitici della Puglia, evidenziano una grande variabilità nelle produzioni cerealicole, con produzione di cereali probabilmente destinati tanto alla panificazione quanto al consumo diretto, con presenza di grano vestito come Triticum monococcum (farricello) e Triticum dicoccum (farro), Hordeum sp. (orzo) accanto a cereali nudi di maggiore produttività come il grano tenero e quello duro (Triticum aestivum/durum).

    Le proprietà panificatorie e pastificatorie degli impasti ottenuti dalle diverse specie di grano sono infatti connesse al diverso contenuto di due proteine di riserva (gliadine e glutenine) che compongono il glutine insieme all’amido ed all’acqua.

    Il quadro che emerge in Puglia sembra essere quello di una agricoltura pienamente sviluppata già ai suoi esordi, probabilmente caratterizzata da coltivazioni estensive, con tecniche agrarie abbastanza sviluppate ed una articolata gestione dei campi, con modalità di conservazione ed immagazzinamento del raccolto a breve e medio termine (silos). Il padroneggiamento delle tecniche agricole consentì in breve tempo di giungere all’arricchimento della dieta con la felice introduzione di cibi a base di grano e di orzo, ottimi integratori alimentari.

    La conoscenza del processo di trasformazione del prodotto del raccolto e la capacità di sfruttare con l’aggiunta di acqua le proprietà degli impasti ottenuti derivano certamente da tradizioni più antiche, per esempio dalle attività di manipolazione e trasformazione di frutti e piante, su cui si inseriscono ora i nuovi apporti di esperienze, gesti e informazioni, molti dei quali ancora alla base del nostro vivere quotidiano.

     
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80 replies since 4/11/2010, 09:26   3292 views
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