Antichi sapori,alimenti di altri tempi,spezie ,intingoli ,utensili dimenticati,ricordi e ...dintorni

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  1. la sirenetta
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    Peperoncino

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    Con i primi freddi l'ideale è scaldare il palato e l'animo con il peperoncino, una delle spezie più antiche, presente nelle cucine di tutto il mondo in svariati tipi di pietanze. Ricco di antiossidanti, vitamine e sali minerali, il peperoncino accende i sapori, colora i piatti, scalda il palato, richiede una cucina semplice e la rende intrigante e sincera.
     
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  2. *Sjiofn*
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    Pantelleria01g_1

    Pantelleria "perde" la nave, ora rischia anche lo zibibbo

    Sono arrivati pure a buttare l’uva già raccolta a terra, i contadini di quest’isola nera di lava e di rabbia. I chicchi preziosi di zibibbo, il cibo degli dei degli dell’Olimpo, gettati come scarti nella Pantelleria che da quattro giorni aspetta invano la nave che la colleghi con il mondo. Le Cantine Pellegrino, l’unica azienda vinicola che ammassa l’uva per portare poi il mosto nella casa madre di Marsala, ha i silos strapieni. Non c’entra più un goccio.

    Allora stop alla vendemmia, stop a quel raccolto che qui, dove il sole rende i chicchi dolcissimi, dove anche vip come Carole Bouquet si divertono a produrre bottiglie di qualità di moscato e di passito, è l’appuntamento clou di tutto l’anno. Perché questa, dove Armani, Dolce e Gabbana e mezzo mondo dorato si dà appuntamento ogni estate tra yacht e villone, in realtà è un’isola di contadini. Ci sono vecchi dell’entroterra che al mare nella vita non sono mai andati.

    L’aveva detto la gente di lunga memoria, l’aveva gridato il sito Pantelleria news, che è la voce on line dell’isola, che una sola nave non sarebbe bastata né per il turismo né per il commercio. Che l’imbarcazione Ro.Ro. Cossyra della «Traghetti delle isole», sacrificata l’8 luglio scorso sull’altare dei tagli alla Regione, era necessaria per trasportare uomini e cose. Adesso il primo banco di prova è arrivato con la vendemmia. «Il ricevimento delle uve è sospeso fino a data da destinarsi, fino a quando cioè non riusciremo a trasferire parte del mosto in terraferma», spiegava giovedì Nicola Poma, enologo delle cantine Pellegrino. Quattro giorni fa.

    Da allora anche il maltempo ci ha messo lo zampino e il traghetto della Siremar, l’unico rimasto a collegare l’isola ogni giorno con Trapani, non è più arrivato. «Siamo ripiombati nel 1985 – dice Salvatore Gabriele, direttore di Pantelleria news e memoria storica nell’isola – è un colpo gravissimo alla nostra economia». La pioggia, poi, ha esasperato ancora di più gli animi. Perché abbassa il grado zuccherino dell’uva, che più è alto più rende i grappoli redditizi.

    Unica speranza per l’agricoltura dell’isola in ginocchio: trent’anni fa, raccontano gli anziani, si cominciò a parlare di crisi quando la produzione era di 360 mila quintali. Adesso si arriva a stento a 25 mila, e 12 mila sono proprio quelli delle Cantine Pellegrino, il colosso di Pantelleria con timbro dop, l’unica rimasta a comprare e ad ammassare l’uva dopo il fallimento di due consorzi. Le altre sono produzioni di nicchia.

    Così l’isola freme di rabbia, proprio quando le celebrità sono tornate alle loro residenze invernali e qui si fanno i conti con i problemi di sempre. Che non sono soltanto legati all’agricoltura. Con il taglio della nave, è saltato l’approvvigionamento stabile delle merci pericolose, come le bombole del gas, che qui sono indispensabili, la fornitura di carburante, di materiali per l’ospedale, perfino dell’alcol. La Protezione civile ci ha messo una pezza, garantendo per questo due corse settimanali che a settembre diventeranno una.

    E il paradosso, nell’isola che si sente abbandonata, è che è stato appena inaugurato un aeroporto avveniristico per la cui inaugurazione sono venute qui le più alte autorità civili e religiose. Peccato che anche i collegamenti via cielo siano tutt’altro che garantiti. I soldi pubblici per convincere le compagnie aeree a garantire le tratte con la Sicilia sono finiti: alla vigilia dell’estate è stata messa una toppa d’emergenza con una proroga fino a ottobre, ma è l’ultima perché Enac non ha più fondi a disposizione.

    I giovani pochi mesi fa si sono ribellati all’abbandono, issando striscioni, convincendo i commercianti ad abbassare le saracinesche, mobilitando vecchi e famiglie. «Siamo felici che le celebrità amino quest’isola, ma ci siamo anche noi, 7.500 residenti», dice Margherita Casano, 24 anni, che qui è nata e qui è tornata dopo essersi laureata in Architettura a Roma. Ma poco da allora è cambiato.

     
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  3. la sirenetta
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    Slow Food: "Rischiamo di
    perdere i saperi ancestrali"

    Come i popoli hanno diritto ad alimentarsi secondo la propria tradizione, così deve esserci il diritto a curarsi secondo la cultura e il sapere tradizionale dei popoli».

    Carlo Bogliotti, consigliere nazionale di Slow Food Italia, commenta così le nuove norme sulla commercializzazione delle erbe medicinali. Non contrario a priori («C’era effettivamente un vuoto legislativo da colmare»), ma «occorre approfondire prima di esprimere un giudizio netto, anche perché, trattandosi di una direttiva, ogni Stato potrà in realtà recepirla in modi differenti o decidere ad esempio se adottare deroghe».

    Gli esperti etnobotanici dell’Università di Scienze gastronomiche hanno collaborato, all’inizio, alla stesura della direttiva. «L’allarme che è stato lanciato - ammette Bogliotti - forse è eccessivo e va ridimensionato, ad esempio perché non pregiudicherà la vendita di tisane e camomille. Tuttavia non possiamo dire che assolviamo la direttiva». Un punto critico è, ad esempio, «quando si impongono barriere altissime ai rimedi a base di erbe che non siano presenti sul mercato almeno da 30 anni, cosa che potrebbe creare problemi alle medicine tradizionali del mondo».

    «La normativa - ricorda Slow Food - aveva un impianto positivo: era nata per consentire a piccole aziende di avere un canale facilitato di registrazione di prodotti medicinali a base di vegetali tradizionali, per non dover passare attraverso le forche caudine delle procedure di validazione e registrazione dei medicinali tout court che avrebbero costi impossibili per piccole aziende. Purtroppo alla fine queste piccole aziende non si sono impegnate su questo tipo di validazione, che è pur sempre una validazione per distinguere un medicinale da un’erba».

    Una falla, nella direttiva, c’è in partenza. Anche per questo motivo, dice Slow Food, occorre un approfondimento sulla direttiva. «Se oggi qualsiasi multinazionale va in Cina, in India o in Africa, isola il principio attivo, lo brevetta e lo porta in Europa». Senza contare che in periodo di globalizzazione vietare in Europa e in Italia la vendita dierbe medicinali tipiche di un Paese significa in qualche modo impedire - a chi vive in Italia ma da quei Paesi proviene - curarsi secondo tradizione.

    Dal cibo ai rimedi terapeutici Slow Food - accanto a Terra Madre - rilancia l’appello al rispetto delle tradizioni. Oltre al rigore della scienza. «L’empiria di questi popoli ha saputo utilizzare al meglio certi rimedi ed è una ricchezza che non va venduta alle multinazionali, ma deve restare un patrimonio di conoscenza libero, esattamente come il brevetto sul mais». Come la sovranità alimentare, «deve essere conservata la libera scelta nella cura».
     
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  4. la sirenetta
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    Il Parrozzo dannunziano

    parozzo


    Gabriele D’Annunzio amava occuparsi di parole non solo per i discorsi infiammati a fini politici o per le poesie, ma anche alla sua maniera per quello che oggi definiremmo marketing: fu lui a dare il nome ai grandi magazzini della Rinascente e al liquore Aurum. Questo liquore pescarese si accompagna al parrozzo, un dolce natalizio che fu «inventato» nel 1920 da un pasticciere di Pescara che si chiamava Luigi D’Amico.

    Si tratta di una sorta di cupola ispirata alle pagnotte (pan rozzo) che i contadini abruzzesi preparavano con la farina gialla di gran turco. D’Amico ci mise anche uova, farina di mandorle e ricoprì il tutto di cioccolato per simulare le bruciacchiature del pane al forno.

    Il dolce ebbe tanto successo da diventare in poco tempo uno dei simboli gastronomici della regione e il suo consumo si è esteso ben oltre il periodo natalizio. Si racconta che la prima persona cui il pasticciere fece assaggiare il suo «parrozzo» sia stato proprio D’Annunzio. Il vate fu talmente entusiasta della nuova creazione che arrivò anche a dedicagli una poesia, parrozzo , in cui tra l’altro diceva «e che dovente a poche a poche chiù doce de qualunque cosa doce…». Se lo si assaggia oltre una certa ora la colonna sonora d’obbligo è quindi «doce e’ notte».

     
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  5. la sirenetta
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    Il grechetto dei cavalieri

    Una delle più antiche e prestigiose istituzioni della civiltà occidentale e cristiana è quella del Sovrano Militare Ordine di Malta, fondato a Gerusalemme nell’anno mille. Le tracce di quell’epopea oggi si ritrovano anche in Italia e per quantomi riguarda molto in Umbria. Suggestivo è adesempio il Castello di Monterone, che èun relais di charme molto accogliente dove si è accasatouno chef di vaglia come Marco Bistarelli.

    Ma non da meno è lo splendido Castello di Magione, sorto ancora prima, nel 1100 come rifugio per dare ospitalità ai pellegrini sulla via Francigena. Da sempre gli utili della produzione agricola vengono destinati a opere assistenziali comela gestione di ospedali, cliniche, poliambulatori, presenti in un centinaio di Paesi del mondo. E qui si fa vino contando su 34 ettari (100 mila le bottiglie) di cui il 40 per cento impiantati a grechetto. Ora, per togliere ogni pregiudizio, va detto che questo è uno dei bianchi più sorprendenti, che dietro al suo diminutivo nasconde un vino di stoffa.

    Due sonole tipologie di grechetto che producono a Magione; quello con l'etichetta etichetta gialla e la selezione "Monterone" che, in questo momento, dà il miglior Grechetto umbro. Il Monterone 2008 è una doc le cui uve grechetto in purezza subiscono una soffice pressatura, decantazione statica a freddo e affinamento in acciaio. Note peculiari sono il colore paglierino con riflessi verde acqua, lo spiccato profumo di agrumi e note di frutta che ricordano la mela golden e la pesca. Mentre al palato è fresco, piacevolmente minerale, armonico, di buona persistenza. E va a braccetto con primi piatti di pesce o con le ricette che sfruttano i pesci dei laghi.

    La versione base di Grechetto ha una piccola aggiunta di uve chardonnay, mentre i rossi della doc Colli del Trasimeno- il Morcinaia e il Carpaneto - nascono da un blend di sangiovese, merlot e cabernet sauvignon (il secondo ha anche del gamay) fermentate in barrique e affinate 12 mesi. L’ultimo calice è per il Vino dei Cavalieri, in ossequio ai Cavalieri dell’Ordine Sovrano di Malta: uve sangiovese, con piccole quantità di merlot e gamay.
     
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  6. *Sjiofn*
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    riso

    Il Riso

    Il riso per tutto il Medioevo rimase un costoso prodotto d'importazione e si iniziò a coltivarlo nell'Italia settentrionale soltanto verso la fine dell'epoca. Il grano era comune in tutta Europa ed era considerato il più nutriente di tutti i cereali e di conseguenza il cereale più prestigioso e più caro. La farina bianca e finemente raffinata comune al giorno d'oggi era riservata alla produzione del pane delle classi superiori. Scendendo dalla scala sociale il pane diventava più grezzo e scuro, e il suo contenuto di crusca aumentava.

    Quando il grano scarseggiava o c'era una vera e propria carestia, i cereali potevano essere sostituiti con alimenti più economici e meno pregiati come castagne, legumi secchi, ghiande, semi di felce e un'ampia varietà di vegetali più o meno commestibili.

     
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80 replies since 4/11/2010, 09:26   3302 views
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