Antiche civiltà,popoli leggendari.... abitanti di continenti lontani. Viaggio nella storia.

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  1. la sirenetta
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    Cartagine

    Cartagine importante città dell'antichità, sulla costa settentrionale dell'Africa, vicino alla moderna Tunisi. La città, che nacque probabilmente come stazione commerciale fenicia verso la fine del IX secolo a.C., fu fondata secondo la tradizione dalla regina Didone. I più antichi manufatti ritrovati dagli archeologi sul sito risalgono all'800 a.C. La città era conosciuta dai suoi abitanti punici o fenici come la "città nuova", probabilmente per distinguerla da Utica, la "città vecchia". Costruita su una penisola che si protende nel golfo di Tunisi, Cartagine aveva due ottimi porti collegati da un canale e dominati da una colle, sul quale era la Byrsa, una fortezza cinta da mura.

    Estensione dell'impero cartaginese

    Verso il VI secolo a.C. Cartagine aveva sottomesso le tribù libiche locali e annesso le colonie fenicie più antiche, giungendo così a controllare l'intera costa dell'Africa settentrionale, dall'oceano Atlantico al confine occidentale dell'Egitto, oltre alla Sardegna, a Malta, alle isole Baleari e a parte della Sicilia. Nel V secolo a.C. il generale cartaginese Annone intraprese un viaggio lungo la costa atlantica del Nord Africa. La potenza marittima dei cartaginesi permise loro di estendere gli insediamenti e le conquiste, formando un grande impero dedito ai commerci. L'oggetto dei loro traffici comprendeva i prodotti delle miniere di argento e di piombo, la manifattura di letti e la biancheria, un'industria del legno, la produzione di ceramica, gioielli e vetri semplici e di poco valore e infine l'esportazione di animali selvaggi (provenienti dalle giungle africane), frutta, noci, avorio e oro.

    La maggior parte dei prodotti artistici di questo primo periodo era costituita da imitazioni di opere egiziane, greche e fenicie. In letteratura apparve solo qualche opera di carattere tecnico. Così, conosciamo molto poco della vita quotidiana, della forma di governo o della lingua dell'antica Cartagine. La religione prevedeva anche il sacrificio umano agli dei principali, Baal e Tanit (l'equivalente della dea fenicia Astarte). Vennero apportate modifiche ai culti associati alle divinità greche Demetra e Persefone e alla dea romana Giunone per adattarli alle pratiche religiose cartaginesi.

    Cartagine fu in guerra quasi ininterrottamente con la Grecia e con Roma per 150 anni. Le guerre con la Grecia avevano per obiettivo il controllo della Sicilia, che costituiva un ponte naturale tra il Nord Africa e l'Italia. Cartagine fu dapprima sconfitta in Sicilia nel 480 a.C., quando le forze guidate dal generale Amilcare vennero battute da Gerone, il tiranno di Gela e di Siracusa. I successivi tentativi cartaginesi di conquistare la Sicilia furono ostacolati dagli eserciti guidati dai tiranni siracusani Dionisio il Giovane, Dionisio il Vecchio, Agatocle, e da Pirro, re dell'Epiro. Anche dopo la sconfitta finale nel 276 a.C., tuttavia, i cartaginesi continuarono a possedere territori nella Sicilia occidentale. Dodici anni dopo ebbe inizio la prima delle guerre contro Roma.
     
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  2. *Sjiofn*
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    Guatemala, scavi portano alla luce il “Re falco” Maya

    In questa zona umida e boscosa si trova il parco archeologico Takalik Abaj, a 190 km di distanza da Città del Guatemala, un nome che in lingua quiche significa “Pietra eretta”. In questa zona da decenni sono stati realizzati importanti ritrovamenti archeologici ma nessuno come quello della tomba del “Re falco” come è stato battezzata dagli scopritori per il ricco corredo, i monili di giada azzurra, gli abiti di finissimo pregio e le offerte riportate alla luce. Secondo gli esperti si tratterebbe della più importante scoperta archeologica dell’America centrale.”Questa sepoltura sembra essere quella di uno dei primi governatori maya di Takalik Abaj data la ricchezza di giade e offerte. Si tratta di una delle rare tombe maya che dimostra una chiara evidenza di potere politico”.Secondo gli esperti, i reperti rinvenuti nel sito del “Re falco” dimostrano che la località segna il passaggio dall’era olmeca a quella maya e che, forse, lo stesso “Re falco” contribuì in maniera determinate a quella decisiva transizione. E forse contribuiranno a chiarire un altro enigma storico.La civiltà a Takalik Abaj durò circa 1.700 anni e secondo gli archeologi gli abitanti abbandonarono la città nel 900 dopo Cristo ma nessuno è riuscito a spiegare perché e dove siano andati. Gli studiosi sperano che sia il “Re falco” ha fornire la risposta.

     
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  3. la sirenetta
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    Neanderthal “moderni” e raffinati:
    monili e strumenti scoperti in Francia

    Prove inaspettate delle capacità artigianali dei Neanderthal vengono da alcuni reperti rinvenuti nella Grotta delle renne, vicino ad Arcy-sur-Cure nella Francia centrale, e nel sito di Saint Cesaire nella parte sud-occidentale del Paese. La scoperta è pubblicata sulla rivista dell’Accademia americana delle scienze Pnas .



    Nei due siti i resti della popolazione preistorica sono associati con diversi manufatti attribuiti alla cultura del Castelperroniano, diffusa nella zona centrale e sud-occidentale della Francia e nella parte settentrionale della Spagna.



    I ricercatori, guidati da Jean-Jacques Hublin dell’Istituto Max Planck di antropologia evolutiva a Lipsia, hanno datato questi reperti estraendo la proteina collagene e analizzando il radiocarbonio grazie a uno spettrometro di massa con acceleratore.



    Dai risultati è emerso che i manufatti rinvenuti nella Grotta delle renne risalgono a un periodo compreso fra 44.500 e 41.000 anni fa, mentre una tibia di Neanderthal trovata a Saint Cesaire risale a 41.950 anni fa: questa opera di datazione è molto importante, perché ci riporta a un’epoca di transizione, quella compresa tra i 50.000 e i 40.000 anni fa, in cui in Europa ci fu il passaggio di testimone tra l’uomo di Neanderthal e l’uomo moderno, che molti esperti fino a oggi ritenevano essere il vero autore dei manufatti del Castelperroniano.



    Gli autori dello studio, invece, affermano che i monili e i sofisticati strumenti di osso trovati nei due siti francesi sono opera dei Neanderthal, anche se non escludono che questa produzione sia iniziata in seguito al contatto con i primi uomini moderni arrivati in Europa.

     
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  4. *Sjiofn*
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    piramidi-egiziane_257810_407x229

    Stop alle visite alla tomba di Tutankhamon

    Il suo fascino vale da solo il viaggio: a deludere i turisti in vacanza in Egitto una triste notizia relativa alla chiusura al pubblico della tomba di Tutankhamon, a Luxor là dove, a causa del respiro dei visitatori, i livelli di umidità sono saliti a tal punto da provocare il distacco di alcune parti delle pareti in gesso dipinte.

    In alternativa, dal prossimo 14 novembre, sarà possibile visitare una perfetta replica realizzata ad opera della Factum Arte, inaugurata nel centro de Il Cairo.

     
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  5. *Sjiofn*
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    Francia, trovato perfetto scheletro di mammut

    Gli archeologi che lo hanno scoperto lo hanno chiamato “Helmut”. Si tratta di uno scheletro di mammut perfettamente conservato, trovato in Francia nel dipartimento di Seine et Marne, probabilmente vissuto 50mila anni fa. La scoperta è sensazionale per i francesi se si considera che l’ultimo reperto simile risale a 150 anni fa. Bruno Foucray, dirigente dei Beni culturali.”Quando sarà tolto dal terreno - ha detto - il mammut sarà portato in laboratorio per studiarne lo scheletro e per verificare le eventuali tracce lasciate dall’uomo di Neanderthal”Già, perchè la scoperta del mammut sembra molto importante anche per sapere di più sul nostro misterioso antenato. Vicino ai resti sono stati trovati degli strumenti rudimentali appuntiti. Due pezzi di selce sono stati rinvenuti accanto al cranio, un elemento che suggerisce un contatto tra il mammut e l’uomo di Neanderthal. E l’analisi delle ossa dovrebbe fare luce su questi aspetti. Ma ancora non si capisce se si sia trattato di caccia o di sciacallaggio. L’archeologo Pascal Depaepe:”Queste due ipotesi sono importanti - ha detto - perché per molto tempo si è creduto che Neanderthal non fosse un cacciatore. Negli ultimi anni c’è invece una tendenza a pensare che i nostri antenati avessero tutte le capacità cognitive e le competenze tecniche per essere dei grandi cacciatori”.

     
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  6. la sirenetta
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    Declino dei Maya provocato da una lunga siccità

    Il declino della civiltà Maya è stato provocato da un lungo periodo di siccità: è questa la conclusione di una ricerca internazionale pubblicata negli Stati Uniti, che conferma una ipotesi controversa già avanzata in passato.
    "L'ascesa e il crollo dei Maya sono l'esempio perfetto di una civiltà sofisticata incapace di adattarsi al cambiamento climatico", dice James Baldini, del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Durham, in Gran Bretagna, uno dei principali co-autori dello studio pubblicato sulla rivista Science. "Dei periodi di piogge eccezionali (tra il 450 e il 660 d.C.) hanno accresciuto la produttività dei sistemi agricoli Maya, provocando una rapida espansione della popolazione e un sovrasfruttamento delle risorse", spiega il ricercatore.
    Successivamente il clima divenne sempre più secco, causando un esaurimento delle risorse, la destabilizzazione del sistema politico e lo scoppio di guerre, aggiunge Baldini. E "dopo anni di privazioni, la siccità - durata quasi un secolo, dal 1020 al 1100 - ha definitivamente segnato il destino della civilità Maya".
     
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  7. la sirenetta
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    “È con l’immaginazione
    che siamo diventati invincibili”

    altamira_paleo8--330x185

    Siamo tipi chiacchieroni. Parliamo di tutto e le banalità non ci fanno paura. Se fosse questo il motivo del successo della nostra specie?

    Ian Tattersall è uno dei maggiori antropologi e il suo ultimo libro - «Masters of the Planet» - prova a spiegare il nostro trionfo di Homo Sapiens che equivale anche alla nostra solitudine. Abbiamo convissuto con altre quattro specie di ominidi, ma un po’ alla volta sono sparite. Gli ultimi sono stati i Neanderthal, spazzati via all’incirca 25 mila anni fa. Da allora la Terra è soltanto per noi e ne abbiamo approfittato anche troppo.



    Chiacchieroni e soprattutto fantasiosi, dotati di un’immaginazione contagiosa, nel bene e nel male. Alla chiusura del Festival della Scienza di Genova, lo scorso 4 novembre, Tattersall ha raccontato le luci e le ombre di un patchwork di attitudini che hanno permesso la vittoria totale.



    Professore, siamo stati più intelligenti o anche più cattivi? La violenza della nostra specie, in fondo, ci caratterizza almeno quanto le nostre capacità intellettuali.

    «E’ una domanda che sorge naturale. Sappiamo che agli albori della nostra storia di Sapiens c’erano ominidi diversi da noi in giro per il mondo. Poi, d’improvviso, quando acquisiamo le capacità simboliche moderne, le altre specie scompaiono. Credo che sia dovuto al fatto che possedere la capacità di costruire nella propria testa nozioni alternative del mondo, invece di limitarsi alla reazione alle situazioni, e immaginando così realtà differenti, permetta di pianificare molti tipi di comportamenti. Nessun altro ominide era stato capace di fare una cosa simile prima di noi. E’ questa abilità - tanto che si sia espressa con conflitti aperti quanto con forme di competizione economica - che ci ha permesso di conquistare rapidamente il mondo. Se poi si osserva il modo in cui ci comportiamo oggi, è molto improbabile che la conquista non abbia richiesto anche una certa dose di violenza, ma prove evidenti non ne abbiamo».



    La nostra specie è vecchia di «sappena» 200 mila anni e tuttavia questa metamorfosi intellettuale si è verificata molto più tardi: perché?

    «E’ successo in un periodo tra 100 e 60 mila anni fa. E’ significativo che la struttura fisica e la capacità della mente di manipolare l’informazione così come la conosciamo oggi sono apparse in coincidenza con la riorganizzazione dell’intero organismo che si verificò all’origine della nostra specie di Sapiens. Ma questo vasto potenziale era tutto da scoprire prima della sua effettiva utilizzazione. È un processo per alcuni aspetti analogo a quello degli antenati degli uccelli, che svilupparono le piume milioni di anni prima che si manifestasse l’attitudine al volo».



    Che rapporto c’è tra questo impressionante salto evolutivo e le migrazioni dei Sapiens fuori dall’Africa verso il Medio Oriente e l’Europa?

    «Devono aver lasciato l’Africa piuttosto presto, intorno a 100 mila anni fa. E le testimonianze archeologiche nel Levante dimostrano che erano ancora “pre-cognitivi”, vale a dire simili ai Neanderthal che vivevano in quell’area. L’esodo vero e proprio, invece, avvenne intorno a 60 mila anni fa, quando ormai erano diventati esseri “cognitivamente simbolici”. E fu allora che iniziarono a conquistare il mondo».



    Eravamo pronti al viaggio da un continente all’altro perché il cervello era profondamente cambiato?

    «E’ così. Certo, non fu un viaggio intenzionale, semmai un’avventura opportunistica, probabilmente dettata da motivi demografici. Nel corso di questo processo - come dicevo - il pianeta era già popolato da altri tipi umani, altri “parenti”, ed è probabile che siano stati soppiantati in seguito al modo in cui i Sapiens avevano imparato a pensare e immaginare».



    Ci si è molto interrogati sulle cause della nostra «rivoluzione neuronale»: lei è tra chi pensa che sia stato il linguaggio. Può spiegare?

    «Penso che sia stato questo lo stimolo più probabile. Ce ne voleva uno di tipo culturale, capace di far capire ai Sapiens le proprie potenzialità ancora inespresse».



    Il linguaggio, anche tra i cosiddetti «primitivi», è sofisticato. Come esplose questo «stimolo»? Si manifestò un pacchetto pronto o fu un’evoluzione sofferta?

    «E’ una bella domanda e non ho una risposta certa! Ma sappiamo che il linguaggio può essere spontaneamente inventato: si è visto negli Anni 70 e 80, quando molti bambini sordi nicaraguensi furono riuniti per la prima volta in alcune scuole. Qui svilupparono una lingua dei segni, strutturata in modo simile a quella parlata. Credo, perciò, che il linguaggio sia un prodotto di una proprietà emergente del cervello, disegnato per generarlo: dev’essere rapidamente diventato un oggetto sofisticato e altrettanto velocemente si diversificò».



    Ci fu un’unica lingua, frammentata poi in una confusione babelica?

    «E’ difficile spingersi oltre la barriera di 5 mila anni fa. Ma, studiando i fonemi anziché le parole, si è scoperto che più ci si allontana dall’Africa e minore è il loro numero. È proprio ciò che ci si aspetta, se, com’è probabile, il primo linguaggio è nato là, nel continente delle nostre origini».
     
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  8. la sirenetta
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    Europa-Asia come si inventa il nemico

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    I procedimenti mentali intesi a dare alla nozione di Europa un contenuto storico, o addirittura politico, organicamente unitario sono votati al fallimento: questo non impedisce, ovviamente, che abbiano successo come pseudoconcetti della retorica comiziale.



    Tentativi del genere si ripetono nel tempo, e prendono le mosse dagli spunti più diversi.

    Tra le risorse più utilizzate vi sono, com’è noto, due remotissimi avvenimenti storici, la guerra di Troia (circa 1200 a.C.) e le guerre persiane (490 e 480-478 a.C.). Entrambi proverebbero che Europa e Asia si sono scontrate da sempre, e comunque ab immemorabili tempore, e che dunque oggi - in tempi di crescita esponenziale dell’economia indiana e, ancor più, di quella cinese - è giunto il momento della riscossa europea ancora una volta contro l’Asia: «fare fronte» (come dicevano un tempo gli attivisti dell’ultradestra eversiva) nel nome di Agamennone e di Menelao e, perché no, di Temistocle. Né importa che proprio lui, Temistocle, il vincitore di Serse a Salamina (con buona pace degli «europeisti da comizio») sia poi fuggito in Persia ostracizzato dagli Ateniesi, e ospite di Artaserse fino alla fine dei suoi giorni, in qualità di governatore della satrapia persiana di Magnesia al Meandro per ordine di Artaserse I. La storia, si sa, è complicata, e, se studiata da presso, smentisce la retorica comiziale.



    Mette conto osservare, peraltro, che l’operazione di collegare passato e presente per cavarne insegnamenti attuali fu già compiuta in antico, ma non tanto a sostegno della presunta polarità Europa/Asia quanto, semmai, per suffragare il fondamento antico dell’antagonismo Grecia/Asia e portare argomenti alle aspirazioni egemoniche imperiali di chi voleva dominare sui Greci e accampava di chiamarli a raccolta per proseguire la storica, inestinguibile guerra contro l’Asia.



    Un tale argomento fu il cemento ideologico dell’impero ateniese nel V secolo e fu ripreso e amplificato - con l’aiuto di devoti propagandisti - da Filippo di Macedonia nel secolo seguente. Ma in un caso come nell’altro si trattava per l’appunto di una copertura propagandistica delle aspirazioni egemoniche sul mondo greco tanto da parte di Atene quanto da parte di Filippo.



    Un bell’esempio di come poté svilupparsi questo genere di operazioni ideologiche a base storiografica è dato dalla tardiva nascita della «cornice» dell’opera di Erodoto.



    Per quanto la prudenza si imponga quando si cerca di stabilire attraverso indizi la stratigrafia compositiva di un’opera antica (per la quale in genere mancano informazioni esterne che rivelino il cammino compiuto dall’autore), è tuttavia ragionevole pensare che la «cornice» riassuntiva iniziale mirante a proiettare molto indietro nel tempo le radici del conflitto greco-persiano sia nata per l’appunto quando il racconto erodoteo si è concentrato, negli ultimi libri, sulle due invasioni persiane della Grecia. A quel punto si sono verificati, in modo convergente, alcuni fenomeni che hanno contribuito a far nascere quella «cornice» che solo molto tardi Erodoto deve aver collocato al principio della sua opera. E cioè: (a) il dilatarsi oltre misura del racconto di quelle due guerre e soprattutto dell’invasione di Serse, la più pericolosa e la più durevole; (b) il fatto che dunque tale racconto veniva a costituire la metà almeno dell’intera historíae; (c) il fatto che la vittoria sui Persiani venisse da tempo e stabilmente adoperata da Atene per giustificare il proprio impero imposto agli alleati greci; (d) la crescente insofferenza dei Greci verso tale uso imperialistico della vittoria sui Persiani, «nemico storico», nemico «di sempre»; (e) la scelta di Erodoto di far propria quella propaganda nel momento in cui Pericle stava portando Atene verso un micidiale conflitto intergreco; (f) la necessità propagandistica di dare al conflitto da cui la potenza imperiale ateniese era sorta lo sfondo storico mitico di un conflitto eterno, di una minaccia sempre presente da cui Atene aveva salvato i Greci tutti, ivi compresi quelli che ora le si opponevano o le si ribellavano.



    Di qui la «cornice» in cui quel conflitto «eterno» viene teorizzato ed esemplificato: una cornice che dà unità a tutta l’opera imponente dello storico di Alicarnasso fattosi ateniese di adozione e pericleo di simpatie politiche.

    Grecia e Asia, dunque: non Europa e Asia, stante che l’«Europa» di Erodoto è una Grecia un po’ più vasta, non un continente.



    Erodoto è consapevole del carattere ideologico di una tale impostazione. In lui il propagandista generoso della giustificazione periclea dell’impero convive con l’etnografo che sa bene quanto Asia e Grecia e Africa siano realtà compenetrate, non contrapposte, e quanto, semmai, la Grecia debba a quegli altri due mondi, coi quali sin dal principio aveva convissuto mescolandosi.
     
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  9. la sirenetta
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    Risolto un “giallo” dell’antico Egitto
    Ramses III sgozzato dalla concubina

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    Al Museo Egizio di Torino è custodito un papiro che descrive uno dei crimini più atroci accaduti nell’Antico Egitto: a metà del XII secolo a.C. nel gineceo del Faraone, la concubina Tij pianificava l’uccisione del suo coniuge, il sovrano divino Ramses III. L’obiettivo era mettere sul trono suo figlio Pentawer. Qualcosa andò però storto: la congiura fu scoperta e tutte le persone coinvolte vennero condotte in tribunale e punite. Oggi uno studio rivela se la morte di Ramses III è da ricondurre alla congiura.



    Il team di ricerca, guidato dall’egittologo Zahi Hawass, da Carsten Pusch, esperto di genetica dell’Università di Tubinga e da Albert Zink, paleopatologo dell’Accademia Europea di Bolzano (EURAC), ha sottoposto la mummia del faraone a TAC, ad analisi genetico-molecolari e a indagini radiologiche. Le immagini della tomografia computerizzata, esaminate a Bolzano e al Cairo, hanno rivelato che al faraone fu tagliata la gola quando era ancora in vita. «Solo grazie alla TAC si è potuta vedere la ferita alla gola, nascosta da una benda sul collo», riferisce Zahi Hawass, che, al momento degli studi, era Segretario generale del Consiglio supremo delle antichità egizie e ha quindi ottenuto l’accesso alla mummia in numerose occasioni. «Eravamo già a conoscenza del fatto che Ramses morì nel 1156 a.C., all’età di circa 65 anni. Rimanevano da indentificare le cause della morte» continua Hawass.



    Un amuleto per la vita nell’oltretomba

    Analizzando le immagini della TAC, i ricercatori hanno inoltre scoperto un amuleto inserito nella ferita. Si tratta del cosiddetto occhio di Horus, un simbolo molto diffuso nell’Antico Egitto, usato per la protezione dagli incidenti e la rigenerazione del corpo. «Il taglio alla gola e l’amuleto provano chiaramente che il faraone è stato assassinato - spiega Albert Zink -. L’amuleto fu collocato nella ferita dopo la morte per favorire una guarigione totale nell’aldilà». Ma Ramses III fu davvero ucciso durante la congiura dell’harem, come suggerito dal Papiro Giuridico di Torino?



    Identificato il figlio di Ramses III

    Alcune prove a supporto di questa ipotesi sono state individuate in un’altra mummia. Grazie ad analisi del dna, gli esperti hanno provato che Ramses III era direttamente imparentato con una mummia conosciuta finora col nome di “Unknown Man E”. Si era già ipotizzato che questa mummia, appartenente a un uomo di 18-20 anni, potesse essere Pentawer, il figlio di Ramses che presumibilmente aveva fomentato la congiura insieme a sua madre, con l’intenzione di sottrarre il potere al padre. L’équipe di ricerca è riuscita ora, analizzando le impronte genetiche, a scoprire una corrispondenza del 50 per cento tra il materiale genetico di Ramses III e quello della mummia non identificata. «La mummia è quindi, con tutta probabilità, uno dei figli di Ramses III. Per esserne certi al 100 per cento, bisognerebbe sequenziare il genoma della madre» spiega Carsten Pusch, esperto di genetica molecolare all’Università di Tubinga. Sfortunatamente, la mummia di Tij, concubina di Ramses III e madre di Pentawer, non è mai stata trovata.



    Suicidio del figlio?

    Albert Zink e il suo team hanno condotto dei test radiologici anche sulla mummia che potrebbe appartenere a Pentawer. «A colpire la nostra attenzione è stato il fatto che il corpo fosse piuttosto gonfio. Inoltre, c’era una strana piegatura della pelle sul collo. Potrebbe essere il risultato di un suicidio per impiccagione. Infine il corpo è rivestito solo con pelle di capra - elemento considerato impuro - e fu mummificato senza aver prima rimosso gli organi interni e il cervello» affermano gli scienziati. Il fatto che il corpo del figlio di Ramses sia stato sepolto in un modo non consono a un principe potrebbe suggerire che fu proprio lui uno dei promotori della rivolta dell’harem. A Pentawer potrebbe essere stata offerta la possibilità di suicidarsi per evitare una pena peggiore nell’aldilà, come confermato dal Papiro Giuridico di Torino.
     
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83 replies since 11/11/2010, 10:18   5860 views
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