Film anni 30-40-50-60-70 Italiano ed Europeo

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  1. Oceanya
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    Ladri di biciclette[/color]



    Ladri di biciclette è un film italiano del 1948 di Vittorio De Sica (regia, produzione e sceneggiatura), ritenuto tra le massime espressioni del neorealismo cinematografico italiano.

    Il film, girato con un'ampia partecipazione di attori non professionisti, è basato sul romanzo (1945) di Luigi Bartolini adattato al grande schermo da Cesare Zavattini.



    Trama:Roma, secondo dopoguerra: Antonio Ricci (Lamberto Maggiorani), disoccupato, trova lavoro come attacchino comunale. Per lavorare, però, deve possedere una bicicletta e la sua è impegnata al Monte di pietà: la moglie Maria decide di dare in pegno le lenzuola per riscattarla. Sfortunatamente, proprio il primo giorno di lavoro, la bicicletta gli viene rubata mentre incolla un manifesto cinematografico: Antonio rincorre il ladro, ma inutilmente. Andato a denunciare il furto alla polizia, si rende conto che le forze dell'ordine non potranno aiutarlo a ritrovare la bicicletta.

    Disperato e amareggiato, coinvolge nella ricerca un compagno di partito che mobilita i suoi colleghi netturbini: all'alba Antonio, insieme ai suoi compagni e al figlio Bruno[1] (che anche se piccolo già lavora ad un distributore di benzina), va a cercarla prima a Piazza Vittorio e poi a Porta Portese [2], luoghi dove tradizionalmente vanno a finire gli oggetti rubati.

    Ma non c'è niente da fare: la bicicletta, ormai smembrata delle sue parti, non si trova. Per la disperazione, Antonio si rivolge persino ad una santona, una sorta di veggente, che riceve in casa gente afflitta e disgraziata che vuole farsi predire il futuro. Il responso sibillino della santona è quasi una presa in giro: «O la trovi subito o non la trovi più».

    A Porta Portese Antonio vede un vecchio barbone insieme al ladro della sua bicicletta: lo rincorre ma questi riesce a dileguarsi. Anche il vecchio vorrebbe sfuggirgli ma viene raggiunto in una mensa dei poveri dove dame di carità della pia borghesia romana distribuiscono minestra e funzioni religiose agli affamati. Antonio cerca invano di costringere il barbone a rivelare il recapito del ladro ma è solo per caso che, mentre attraversa un rione malfamato, si imbatte in lui: la delinquenza locale però fa quadrato intorno al malvivente. Anche il buon carabiniere (figura tipica e popolare dell'uomo giusto e benevolo), chiamato da Bruno, preoccupato per il padre, gli spiega che in assenza di testimoni non può fare alcunché per arrestare il ladro.

    Sfiniti, Antonio e Bruno aspettano l'autobus per tornare a casa quando il padre scorge una bicicletta incustodita: tenta di rubarla ma viene aggredito dalla folla. Solo il pianto disperato di Bruno, che muove a pietà i presenti, gli eviterà il carcere.

    Il film si chiude con il mesto ritorno a casa di Antonio e di Bruno che gli tiene la mano, mentre su Roma scende la sera.


    Genere: drammatico
    regia: Vittorio de Sica
    Cast: Lamberto Maggiorani,Enzo Staiola,Lianella Carell,Gino Saltamerenda,Giulio Chiari,Michele Sakara,Vittorio Antonucci,Memmo Carotenuto,Nando Bruno
    Soggetto: Tratto dal romanzo omonimo di Luigi Bartolini




    La storia del film




    Dopo l'insuccesso commerciale di Sciuscià presso un pubblico abituato ai film dei "telefoni bianchi" degli anni del ventennio fascista o ai "filmoni" che venivano da Hollywood, De Sica volle a tutti i costi realizzare questo secondo film al punto da investire i propri denari nella sua produzione. Del romanzo originale come delle sceneggiature, oltre sei più quella dello stesso De Sica, nel film non è rimasto nulla. Il racconto alla fine sistemato da Cesare Zavattini mostra però la traccia di queste numerose sceneggiature nella serie di quadri che accompagnano la vicenda del protagonista. Sono dei bozzetti che vogliono "realisticamente" mostrare al pubblico la vita italiana dell'immediato dopoguerra. «Un ritorno alla realtà», così avevano detto i critici in occasione della proiezione di "Sciuscià"; una realtà a cui voleva tornare lo stesso De Sica dopo le sue esperienze di attor giovane canterino nei film di Mario Mattoli e Mario Camerini degli anni trenta.

    Aveva detto De Sica : «La letteratura ha scoperto da tempo questa dimensione moderna che puntualizza le minime cose, gli stati d'animo considerati troppo comuni. Il cinema ha nella macchina da presa il mezzo più adatto per captarla. La sua sensibilità è di questa natura, e io stesso intendo così il tanto dibattuto realismo» (cfr. “La Fiera letteraria”, 6 febbraio 1948)".

    Fu per questo, che il regista nonostante le grande difficoltà a reperire fondi per la realizzazione del film, rifiutò i sostanziosi aiuti dei produttori americani che però avrebbero voluto al posto di Maggiorani addirittura Cary Grant.

    L'attrice che interpretò il personaggio di Maria, la moglie del protagonista, fu Lianella Carell, una giovane giornalista e scrittrice romana, che dopo un incontro con De Sica per un'intervista, fu sottoposta ad un provino, dopo il quale la giornalista entrò, in questo modo inaspettato, nel mondo del cinema. In seguito la Carell girerà altri film ma senza la stessa fortuna professionale di quella prima pellicola.

    Il pubblico del cinema Metropolitan di Roma non accolse bene il film, anzi rivoleva indietro i soldi del biglietto. Tutt'altra accoglienza alla proiezione del film a Parigi con la presenza di tremila personaggi della cultura internazionale. Entusiasta e commosso, René Clair abbracciò al termine del film De Sica dando il via a quel successo mondiale che ebbe in seguito il film e con i cui proventi il regista riuscì finalmente a pagare i debiti fatti con "Sciuscià".

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    Critica

    Il film, girato nel 1948, può essere preso come un termine di riferimento storico per un confronto della realtà sociale della Roma dell'immediato dopoguerra, con quella di oggi, per capirne i difetti e apprezzarla, se possibile, negli aspetti moderni.

    Si è scritto unanimemente della grande interpretazione dei due protagonisti (a cui certo contribuì in modo determinante la guida della regia di De Sica) "presi dalla strada", come allora si diceva.

    Ma in realtà c'è una terza protagonista nel film che è la città di Roma con i suoi abitanti. È una Roma che, rappresentata nel bianco e nero della pellicola, appare nella sua grandezza non deturpata e resa piccola dall'informe ammasso di veicoli e di varia umanità che oggi la caratterizza. Le sue strade appaiono semivuote, larghe, caratterizzate da una monumentalità oggi scomparsa: le sue vie e le piazze del centro sono libere da quello strato informe di lamiere che nascondono la sua grande architettura. Anche i rioni del centro, quelli allora ancora proletari, appaiono belli nella loro struttura, povera e malandata ma che richiama l'aspetto, quasi medioevale, di quelli che erano nelle età passate, i quartieri della città. Persino l'estrema periferia dei palazzoni popolari, ancora più campagna che città, conserva una forma architettonica genuina, contadina che si riflette nelle fattezze e nei modi dei suoi abitanti.(cfr. "Il Cinema, Grande storia Illustrata" op.cit.)

    L'estrema povertà del dopoguerra è quasi riscattata da questa originaria autenticità di una città "pulita" nella sua architettura e nella spontanea moralità dei suoi cittadini. L'umanità romana presentata nel film è fatta di gente che, nei suoi vari strati popolari, dai compagni di partito di Maggiorani, ai netturbini, agli stessi malavitosi di quartiere, ai postulanti della santona, alle dame di carità, al "buon carabiniere", si caratterizza per uno spirito di partecipazione solidale con gli altri, non è chiusa nella sua indifferenza, è aperta e genuina come le strade e i palazzi della Roma di "Ladri di biciclette". È ancora un'umanità che, come appare nelle scene corali del film, condivide le sue necessità e miserie.[4]

    È un film che va visto oggi per capire le nostre differenze con il passato.

    Un'altra protagonista del film è la bicicletta, divenuta da mezzo popolare di trasporto, un elemento vitale di sopravvivenza per il protagonista del film. Le biciclette attraversano tutta la storia del film, appaiono e scompaiono (isolate o in mucchi, integre o fatte a pezzi) come un incubo agli occhi del piccolo Bruno e di suo padre. La bicicletta rappresenta la tentazione che spinge Antonio a rubare, l'esca con cui il pedofilo di Piazza Vittorio attira il piccolo Bruno, la perdita del lavoro e la disperazione finale di una povera famiglia che aveva riposto in quell'umile oggetto tutte le sue speranze di sopravvivenza..


    Premi

    PREMIO OSCAR (1949) PER IL MIGLIOR FILM STRANIERO
    GRAN PREMIO AL FESTIVAL MONDIALE DEL FILM E DELLE ARTI DEL BELGIO (1949)
    NASTRO D'ARGENTO (1949) PER MIGLIOR FILM, SOGGETTO, REGIA, SCENEGGIATURA, FOTOGRAFIA, E MUSICA
    PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA AL IV FESTIVAL DI LOCARNO (1949)
    PREMIO AL BRITISH FILM ACADEMY (1950)
    INOLTRE E' STATO GIUDICATO IL "SECONDO MIGLIOR FILM DI TUTTI I TEMPI" ALLA CONFRONTATION DI BRUXELLES (1958


    Note:

    1.^ Bruno era interpretato dal piccolo Enzo Staiola che De Sica trovò nel popolare quartiere romano della Garbatella. Staiola girerà poi circa 80 film con grandi interpreti come Anna Magnani ed Ava Gardner ma, con il naso a patata, con la giacchetta sdrucita e più grande di lui, con la sciarpetta delle dimensioni di una esigua striscia di stoffa rimane indimenticabile nella storia del cinema solo per "Ladri di biciclette". Bruno è come un controcanto, un'ombra che, sempre all'inseguimento frenetico del padre (il quale quasi si dimentica di lui nella sua disperazione), lo accompagna con le sue gambette per tutto il racconto del film. Fuori è un bambino nei tratti e nelle movenze ma non lo è dentro perché già condivide il malessere degli adulti.
    2.^ A Porta Portese, Antonio e Bruno vengono sorpresi da un temporale e riparano sotto un cornicione dove arriva anche un gruppo di seminaristi stranieri, bagnati fradici, che parlano ad alta voce nella loro lingua sotto lo sguardo stupefatto dei due protagonisti, meravigliati di quel linguaggio incomprensibile. Tra questi c'è un prete che altri non è che Sergio Leone, il grande regista degli "spaghetti western".
    3.^ «Tutta la vita di Roma passa in questo film chiuso nel rigido giro d’un sabato e d’una domenica; tutta la vita della Roma periferica, dai quartieri più miseri a quelli borghesi di Piazza Vittorio: i mercatini di Porta Portese, la Messa del Povero, il Banco dei Pegni, i commissariati, le rive del Tevere, lo Stadio, persino le case più equivoche...(Da Il Tempo, 22 novembre 1948)
    4.^ «È questo mondo De Sica ha voluto offrire di nuovo alla nostra meditazione e alla nostra emozione; un mondo che non è più quello sconvolto e tragico di Sciuscià, ma che, come quello, è altrettanto disperato ed autentico, altrettanto perentorio nell'esortarci a una solidarietà cui solo l'anima italiana di De Sica poteva dare intenzioni così profondamente italiane.» (Da Il Tempo, 22 novembre 1948)
    5.^ «La bicicletta di Antonio è rubata insieme con i suoi sogni di una vita migliore...La perdita della bicicletta era una tragedia enorme per Antonio e la sua famiglia, come era analogo per la perdita o la mancanza di qualsiasi elemento essenziale di vita che previene la povertà e la sofferenza.» [color=green]Da corriere della sera 8 settembre 1999







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