Film anni 30-40-50-60-70 Italiano ed Europeo

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  1. Oceanya
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    La grande guerra



    « Io dico che se vinciamo questa guerra con i mezzi che abbiamo, siamo davvero un grande esercito! »
    (Tenente Gallina nel film)



    La grande guerra è un film di Mario Monicelli del 1959, interpretato da Alberto Sordi e Vittorio Gassman, vincitore del Leone d'Oro al Festival del Cinema di Venezia ex aequo con Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini e nominato all'Oscar quale miglior pellicola straniera.

    Prodotto da Dino De Laurentiis, è considerato uno dei capolavori della storia del cinema,ed ottenne un enorme successo anche all'estero, soprattutto in Francia






    Anno: 1959
    Genere: drammatico guerra
    Regia: Mario Monicelli
    Cast: Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Silvana Mangano, Romolo Valli, Folco Lulli, Mario Valdemarin, Bernard Blier, Tiberio Murgia



    Trama: Il romano Oreste Jacovacci e il milanese Giovanni Busacca si incontrano durante la chiamata alle armi della prima guerra mondiale. Seppure di carattere completamente diverso sono uniti dalla mancanza di qualsiasi ideale e dalla volontà di evitare ogni pericolo e uscire indenni dalla guerra.

    Attraversate numerose peripezie durante l'addestramento, i combattimenti e i rari momenti di congedo (insieme ad un gruppo variegato di commilitoni e popolazione civile fra cui la prostituta Costantina, interpretata da Silvana Mangano), in seguito alla ritirata dopo Caporetto vengono comandati come staffette portaordini, mansione molto pericolosa, che viene loro affidata perché considerati come i "meno efficienti" a causa del loro limitato valor militare.

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    Dopo aver svolto la loro missione, si coricano nella stalla di un avamposto poco lontano dalla prima linea, ma una repentina avanzata degli Austriaci li trasporta in territorio nemico, dove vengono presto catturati. Sorpresi ad indossare cappotti dell'esercito asburgico nel tentativo di fuggire, vengono accusati di spionaggio e minacciati di fucilazione. Sopraffatti dalla paura ammettono di essere in possesso di informazioni cruciali sul contrattacco italiano sul Piave, e pur di salvarsi decidono di passarle al nemico.

    L'arroganza dell'ufficiale austriaco ed una battuta di disprezzo verso gli italiani («...courage?! Fegato dicono... Quelli conoscono soltanto fegato alla veneziana con cipolla, e presto mangeremo anche noi quello!») ridà forza alla loro dignità portandoli a mantenere il segreto fino all'esecuzione capitale, l'uno insultando spavaldamente il capitano nemico («Giovanni Busacca all'ufficiale austriaco: "...e allora...senti un po', visto che parli così... mi te disi proprio un bel gnènt!! Hai capito?!? Facia de merda!!!"») e l'altro che, dopo la fucilazione del compagno, finge di non essere a conoscenza delle informazioni e viene così subitaneamente fucilato poco dopo l'amico.

    La battaglia si conclude poco tempo dopo con la vittoria dell'esercito italiano che rioccupa poco dopo la postazione caduta in mano agli Austriaci, senza che nessuno venga a conoscenza del valore del loro sacrificio.

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    Descrizione

    « Oreste Jacovacci: "Ma che fai aoh, prima spari e poi dici chi va là?"
    Sentinella: "È sempre mejo 'n amico morto che 'n nemico vivo! Chi siete?"
    Oreste Jacovacci: "Semo l'anima de li mortacci tua!"
    Sentinella: "E allora passate!" »
    (dialogo tratto dal film)



    Felice connubio di tragedia e commedia, l'opera è un affresco corale, ironico e struggente, della vita di trincea durante la prima guerra mondiale.

    Le vicissitudini di un gruppo di commilitoni sul fronte italiano nel 1916, sono narrate con un linguaggio neorealista e romantico al tempo stesso, abbinando scansioni tipiche della commedia all'italiana ad una notevole attenzione verso i particolari storici.

    Le pregevoli scene di massa si accompagnano ad acute caratterizzazioni dei numerosi personaggi, antieroi umani ed impauriti, rassegnati e solidali, accomunati dalla partecipazione forzata ad una catastrofe che li travolgerà.

    Monicelli e gli sceneggiatori Age & Scarpelli e Vincenzoni raggiungono l'apice artistico della loro carriera combinando, con impareggiabile fluidità di racconto, comicità e toni drammatici, ed aprendo la strada ad un nuovo stile cinematografico nelle vicende di guerra.

    Memorabile il piano sequenza finale nel quale i due pavidi protagonisti si riscattano con un gesto coraggioso, sacrificandosi l'uno da “eroe spavaldo” e l'altro da “eroe vigliacco”. Quest'ultima figura viene qui concepita in maniera assai originale ed interpretata da un ispirato Alberto Sordi (vincitore del Nastro d'Argento come miglior attore protagonista).

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    La ricostruzione bellica dell'opera è, da un punto di vista storico, uno dei migliori contributi del cinema italiano allo studio del primo conflitto mondiale.

    Per la prima volta la sua rappresentazione venne depurata dalla propaganda retorica divulgata durante il fascismo e nel secondo dopoguerra, in cui persisteva il mito di una guerra favolosa ed eroica dell'Italia, e per questo la pellicola ebbe problemi di censura al momento dell'uscita nelle sale, e fu vietata ai minori di 18 anni.[7] Fino a quel momento infatti i soldati italiani erano stati continuamente ritratti come valorosi disposti ad immolarsi per la patria. Emblematica ed indimenticabile in questo senso la scena dei festeggiamenti nel paese (subito trasformatisi in silenzioso dolore) e della retorica ostentata da autorità ed intellettuali al rientro delle truppe dalla sconfitta di Caporetto.

    Il film denunciò inoltre l'assurdità e la violenza del conflitto, le condizioni di vita miserevoli della gente e dei militari, ma anche i forti legami di amicizia nati nonostante le differenze di estrazione culturale e geografica. La convivenza obbligata di questi regionalismi (e provincialismi), mai venuti a contatto in modo così prolungato, contribuì a formare in parte uno spirito nazionale fino ad allora quasi inesistente, in forte contrasto con i comandi e le istituzioni, percepite come le principali responsabili di quel massacro.

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    Origini

    “La grande guerra” nacque da un'idea di Luciano Vincenzoni, influenzato dal racconto “Due amici” di Guy de Maupassant. Pensato inizialmente per il solo Gassman, fu il produttore Dino De Laurentiis a decidere di introdurre anche un personaggio per Sordi.
    La sceneggiatura integrava figure e situazioni provenienti da due libri famosi: Un anno sull'Altipiano di Lussu, e “Con me e con gli alpini” di Jahier.
    Il giornalista e scrittore Carlo Salsa, che aveva combattuto realmente in quei luoghi, prestò la sua opera di consulente, arricchendo la trama, i dialoghi e lo sfondo, di particolari vividi ed originali.

    Le scene per la maggior parte vennero girate in provincia di Udine, Gemona del Friuli, nei dintorni di Venzone, a Sella Sant'Agnese, nel forte di Palmanova e a Nespoledo di Lestizza dal 25 maggio a metà giugno del 1959. Altre scene vennero girate in Campania a San Pietro Infine e nel Lazio lungo il torrente Farfa tra Fara Sabina e Montopoli di Sabina.

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    La recensione

    La rappresentazione degli orrori umani propria di ogni guerra ha conosciuto gli albori praticamente all'inizio del secolo con i primi rudimentali cortometraggi, in cui si impose lo schema seguente: protagonista (individuo, pattuglia od esercito), missione da compiere, conflitto, raggiungimento dell'obiettivo, gratificazione eroica finale; quasi sempre il nucleo narrativo era rappresentato e raccontato, durante la missione o l'evento bellico in atto, da un solo punto di vista così da ottenere la formula tanto sfruttata nei film di guerra: esercito buono (del quale fa parte il protagonista eroe) e nemico cattivo solitamente crudele ed efferato. Con il tempo molti registi si sono allontanati, o almeno hanno cercato di farlo, da questi cliché, facendo nascere l'esigenza di una revisione critica degli avvenimenti iniziando a donare ai film quel carattere antiretorico tanto criticato dalla stampa, preoccupata della demitizzazione della storiografia patriottica che da sempre aveva nascosto i massacri compiuti durante le guerre mettendo in risalto soltanto il coraggio ed il sacrificio dei soldati.
    L'impresa di abbattere il tabù culturale del mito della vittoria stava lentamente prendendo forma.

    E' sulla scia di "Orizzonti di gloria" di Stanley Kubrick, uscito appena un anno prima, che lo sceneggiatore Vincenzoni trova l'ispirazione per scrivere una storia sulla guerra dal titolo "Due eroi"; la curiosità del grande regista Monicelli e l'intraprendenza del produttore italiano di maggiori ambizioni dell'epoca Dino De Laurentis fanno sì che da questa storia i due realizzino una straordinaria tragicommedia dall'indirizzo decisamente anticonformista.

    Siamo nel 1917; in un distretto militare il destino fa incontrare il romano Oreste Jacovacci (Alberto Sordi) con il milanese Giovanni Busacca (Vittorio Gassman). La personalità del primo ci è mostrata fin dalle prime battute: l'uomo promette di far riformare l'altro dietro compenso, ingannandolo; lo stesso destino, tempo dopo, fa ritrovare i due in divisa militare su un treno: all'iniziale "scontro" segue la riappacificazione e la loro comune avversione alla guerra li unisce in una profonda amicizia. Inevitabilmente arriva il giorno in cui i due vengono mandati al fronte e nonostante i ripetuti tentativi di imboscamento si ritrovano in trincea.

    Con straordinaria abilità Monicelli introduce lo spettatore, attraverso i due protagonisti, nel mediocre ed impotente universo degli eserciti, dove si manifestano tutti i limiti di uno stato guidato da autorità capaci di fronteggiare la tragedia della guerra soltanto facendola pagare a poveri subalterni impreparati e totalmente demotivati.
    La drammaticità della guerra è descritta a 360 gradi con tutte le sue contraddizioni: il coraggio convive con la paura, la follia con la codardia, la vita con la morte, sentimenti che si mescolano insieme ai dialetti dei soldati unendo le esistenze, primarie e secondarie, in una coralità commovente; ne è un esempio il soldato Bordin, uomo buono e cordiale, disposto, in cambio di poche lire necessarie per sfamare la famiglia numerosa, a partecipare alle missioni più pericolose sostituendo i commilitoni meno coraggiosi oltre le linee. Questa vigliaccheria, rimanendo sempre nelle retrovie e mandando gli altri a rischiare la vita sotto gli assalti nemici, la vivono anche Jacovacci e Busacca ma non consapevolmente; l'incredulità di fronte ad avvenimenti tanto più grandi di loro e l'apatica mediocrità della loro esistenza hanno il sopravvento sulla razionalità e sulla presa di coscienza della loro situazione. L'indifferenza che consegue l'abitudine alla morte, che viene mostrata loro con la fucilazione di una spia o con l'uccisione a sangue freddo di un nemico mentre tutto solo consumava un rancio, è vissuta dai due come una totale negazione dei sentimenti umani, l'orrore che sostituisce l'amore, il senso del dovere in ambito militare rimane confinato in un limbo a loro sconosciuto.

    Il riscatto avviene nel finale, gestito con grande intelligenza da Monicelli, che riesce a raggirare la retorica pericolosamente seducente in questi casi; durante l'ennesimo imboscamento, i due amici si ritrovano in un casale per un rifornimento di materiale, mentre la loro compagnia a pochi chilometri subisce una sonora sconfitta dalle truppe nemiche. Sgomenti ma anche contenti dello scampato pericolo, vengono però fatti prigionieri dagli austriaci ed invitati da uno sprezzante ufficiale a fornire informazioni in cambio della vita sulla dislocazione di un ponte di barche italiano. La loro natura li sta per condurre alla confessione ed al tradimento, ma una frase dell'ufficiale austriaco dal contenuto misto tra ironia e disprezzo fa scattare la molla dell'orgoglio a Busacca che si rifiuta di confessare e viene condotto alla fucilazione; la stessa sorte toccherà a Jacovacci che però, tradito dall'istinto di sopravvivenza, non avrà coscienza della sua morte da eroe, e trascinato davanti al plotone di esecuzione inizierà a gridare "Non voglio morire, io sono un vigliacco, sono un vigliacco!": è il momento più drammatico ma anche più intenso e bello del film.

    Straordinaria la capacità di Monicelli di fornire una regia impeccabile, in grado di bilanciare lo spostamento di grandi masse con l'intensità dei primi piani dei protagonisti che con una sorprendente sequenza di sfumature psicologiche che vanno dal riso al pianto, dalla paura al coraggio, dalla sfrontatezza alla commozione ci regalano un' interpretazione straordinaria, con un Alberto Sordi se vogliamo inedito, pur mantenendo una caratterialità ormai collaudata, ed un Vittorio Gassman in un ruolo a lui abituale di personaggio un po' ipocrita, fannullone e sicuro di sè.
    Nel 1959 il film ha vinto il Leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia ex aequo con "Il generale Della Rovere" di Roberto Rossellini e l'anno seguente due nastri d'argento: Alberto Sordi come migliore attore e Mario Garbuglia per le scenografie.
    Da sottolineare l'ottima prova di tutti gli altri attori, da Folco Lulli (Bordin) a Romolo Valli (il tenente Gallina), da Nicola Arigliano (Giardino) a Ferruccio Amendola (Deconcini) e soprattutto alla ventata di allegria e spensieratezza che porta, in uno squallido panorama di morte, la prostituta dal cuore d'oro Silvana Mangano.

    La prima guerra mondiale non era mai stata raccontata, salvo mediocri e sporadici tentativi, dal cinema italiano, e che l'abbia fatto Mario Monicelli in questo modo, turbando la sensibilità di molti critici e neanche a dirlo delle autorità militari, incontrando comunque un grande successo di pubblico, dà la dimensione dell'intelligenza e del coraggio di questo grande regista italiano.



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    Recensione a cura di Marco Iafrate - aggiornata al 20/03/2008 fonte filmscoop.it

    Edited by Oceanya - 15/5/2014, 01:41
     
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14 replies since 27/8/2011, 23:00   15702 views
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