I rapporti imposti alla convivente possono essere violenza sessuale

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  1. Oceanya
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    I rapporti imposti alla convivente possono essere violenza sessuale

    coppia

    Se la convivenza è caratterizzata da sesso a "tinte forti", accompagnato da offese e percosse è legittimo parlare di violenza sessuale. Soprattutto se i rapporti vengono imposti come azione ritorsiva, dettata da una gelosia ossessiva (Cassazione, sentenza 619/12).



    Il caso


    Una ragazza sceglie di andare a convivere con un uomo. Tutto bene, fino a quando la gelosia del compagno non esplode. La convinzione del tradimento, infatti, lo rende violento e ossessivo. Gli effetti? Tra l’altro, percosse, rapporti sessuali imposti con la forza, e addirittura appartamento chiuso a chiave per impedire alla donna di uscire. Eppure, nonostante tutto ciò, la Corte d’Appello, riformando la sentenza del Tribunale, condanna l’uomo solo per il reato di lesioni personali aggravate, comminandogli una pena di 6 mesi di reclusione. Assoluzione invece per i reati di violenza sessuale e sequestro di persona, che, in primo grado, avevano portato a decretare 7 anni e 6 mesi di reclusione. Per i giudici d’Appello, difatti, si evidenzia, anche dalle parole della vittima, un legame tra «gli atti violenti» dell’uomo e «la sua gelosia», ma si esclude che le condotte, riguardanti l’aspetto sessuale, «abbiano superato i limiti propri di un rapporto di reciproca attrazione». E, peraltro, secondo la ricostruzione dei fatti, l’appartamento utilizzato dalla coppia aveva a disposizione una porta secondaria, che avrebbe potuto consentire alla donna di fuggire in qualsiasi momento.
    Secondo la visione complessiva della pronuncia d’Appello è probabile che «la giovane, stanca della gelosia e delle violenze, abbia deciso di rientrare presso i genitori ed abbia rafforzato l’immagine di vittima del convivente, anche mediante un racconto delle relazioni sessuali che mettesse in evidenza l’aspetto violento delle pretese e la propria impossibilità di opporsi». Durissime le contestazioni mosse, sia dal Procuratore Generale che dalla vittima, alla sentenza d’Appello, con ricorso per cassazione. Obiettivo: riaffermare la correttezza della ricostruzione effettuata dal Tribunale, e, quindi, la legittimità della dura condanna emessa in primo grado nei confronti dell’uomo. E le contestazioni trovano pieno accoglimento tra i giudici di Cassazione, per i quali la pronuncia di secondo grado presenta «evidenti e gravi vizi logici», tanto da doverla annullare e rimettere la questione nuovamente nelle mani della Corte d’Appello. Su quali basi si fonda questa decisione? Soprattutto sulla considerazione che è un errore ritenere che «le ragioni di gelosia impediscano di qualificare le aggressioni della sfera sessuale come reato», anzi, al contrario, secondo i giudici, poiché il reato di violenza sessuale è caratterizzato «dal dolo generico, consistente nella coscienza e nella volontà di offendere la sfera e la dignità sessuale della persona offesa», esso è inquadrabile anche come «ritorsione dettata dalla gelosia». Peraltro, proprio le dichiarazioni della vittima – che non possono essere considerate credibili ‘a targhe alterne’ – attestano che l’uomo «dopo aver maturato la convinzione di un tradimento da parte della convivente, le abbia imposto ripetuti atti sessuali agendo con violenza e contro la sua volontà». Di rimando, quindi, non hanno fondamento le valutazioni, in Appello, sulla presunta decisione della ragazza di estremizzare il racconto delle violenze subite per rafforzare il proprio ruolo di vittima e per salvaguardare la propria immagine pubblica. E, allo stesso tempo, non è comprensibile, secondo i giudici di piazza Cavour, l’affermazione che i rapporti sessuali narrati dalla vittima «possano essere compiuti consensualmente, anche se accompagnati da una apparente violenza», perché gli episodi raccontati possono essere ritenuti «falsi e calunniosi, ma in nessun modo riconducibili alla sfera del consenso».



    da la stampa
     
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0 replies since 5/3/2012, 18:47   63 views
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