Bastian contrario...discorsi...e cose cosi

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  1. la sirenetta
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    Un vantaggio inestimabile è il possedere sin da principio tanto da poter vivere comodamente in vera indipendenza, cioè senza lavorare, anche nel caso ciò sia possibile soltanto per la propria persona e senza una famiglia. Ciò significa l'esenzione e l'immunità dal tormento e dall'indigenza inerenti alla vita umana, significa cioè l'emancipazione dal chinar la testa, che è destino naturale per i figli della terra. Solo con un tale favore del destino possiamo nascere come uomini veramente liberi, poiché solo così si è davvero sui juris, signori del proprio tempo e delle proprie forze, e si può dire ogni mattina: "il giorno è mio".
     
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  2. *Sjiofn*
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    Una volta in Inghilterra la condanna ai lavori forzati veniva applicata appendendo il condannato al disopra di una ruota azionata a forza d'acqua, obbligando così la vittima a muovere in un certo ritmo le gambe che altrimenti gli sarebbero state sfracellate. Quando si lavora si ha sempre il senso di una costrizione di quel genere.

     
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  3. la sirenetta
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    Dirsi ciao al cellulare

    Anche il «Ciao» non è più quello di una volta. Se al telefono - cellulare, s’intende -, o via email, termini la conversazione con: «Ciao», l’interlocutore conclude: È arrabbiato con me. Anche se non è vero. Perciò sempre più spesso si dice: «Ciao, ciao, ciao»; accelerando progressivamente la sequenza così: «Ciaociaociaociao» (le ultime vocali sono sfumate).



    Perché? La prima ragione riguarda il gesto del telefonare. Poiché non c’è più una cornetta da appoggiare, chiudere la telefonata al cellulare comporta un vocalizzo e non più un movimento; il «Ciaociaociao» è l’equivalente del gesto. O ancora: l’aspetto paralinguistico della telefonata - quello che riguarda le sfumature del parlato, il tono di voce, ecc. - è diventato molto più importante a causa della «incorporazione» del telefono stesso; la dimensione - il cellulare si mette in tasca -, ma anche la forma del telefonino - una sottile lamina -, spingono l’utente a considerarlo parte integrante del proprio corpo, quasi un’estensione; di conseguenza si accentua l’aspetto fonico del parlato. Il «Ciaociaociao» diventa il congedo più adatto, e viene smorzato il tutto con quel tono soffiato.



    Il saluto ora vale come un allontanamento senza fratture. Sarebbe a dire che l’uso del cellulare ha accresciuto l’intimità tra le persone e ora entra nella sfera privata dei singoli, che non è più lo spazio privato, la casa o la stanza, ma il corpo stesso di chi risponde o chiama. È l’estrema personalizzazione del telefono. Come ha spiegato, quasi un secolo fa, George Simmel, l’intimità si riferisce etimologicamente a ciò che è «situato all’interno dell’animo»; quindi il termine è passato a indicare la natura del rapporto tra le persone: una strettissima amicizia; in ogni caso, sempre con un chiaro significato spaziale. Il senso chiamato a definire, per addizione o per sottrazione, l’intimità è stato sin qui la vista. La sfera dell’intimità è quella che non è sottoposta all’ispezione visiva, allo sguardo, inaccessibile agli altri in generale. Ma quando l’orecchio diventa il senso prevalente nella comunicazione ravvicinata, cosa succede? Ecco allora che quel «Ciao» a fine conversazione assume un altro ruolo, e viene sostituito dal «Ciaciaociao». In origine la parola «Ciao», viene dal veneto schiao, forma sincopata di schiavo. Voleva dire: «Servo suo», come saluto. Oggi con il cellulare c’è da sospettare che siamo diventati servi tre volte.
     
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  4. *Sjiofn*
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    Oriol Valls, che si occupa dei neonati in un ospedale di Barcellona, dice che il primo gesto umano è l'abbraccio. Dopo essere venuti al mondo, al principio dei loro giorni, i bebè agitano le mani, come per cercare qualcuno.
    Altri medici, che si occupano di quelli che hanno già vissuto, dicono che i vecchi, alla fine dei loro giorni, muoiono cercando di alzare le braccia.
    Ed è così, per quanto si voglia rigirare, e per quanto se ne parli.
    A questa cosa, così semplice, si riduce tutto:
    tra due batter d'ali, senza altre spiegazioni, trascorre il viaggio.

     
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  5. la sirenetta
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    Angelo, il pastore romeno che guida le greggi dalla Val Formazza alla Lomellina

    pastore_gozzano

    Trecento e cinquanta pecore, con un centinaio di agnelli e poco meno di venti caprette. A guidarle nella transumanza dalla Val Formazza, dove hanno trascorso l’estate, sino alla Lomellina, è Angelo, un pastore romeno che da otto anni ha deciso di trasferirsi in Italia. Adesso il gregge è fermo nei prati accanto alla strada dei rubinetti, tra Gozzano e Borgomanero, e ci resterà qualche settimana perché, dice Angelo, «prati così belli e boschi con tante ghiande si trovano ormai raramente. Quando ci sono, meglio fermarsi un po’».

    Il cammino di Angelo e del suo compagno di lavoro, Gheorghe, conta già un centinaio di chilometri, tutti a piedi e tutti percorsi di notte. «Quest’estate eravamo sopra la cascata del Toce, un posto straordinario per il pascolo. Quando arriva la brutta stagione abbiamo quattro mesi, quattro mesi e mezzo per arrivare a Breme Lomellina. Siamo scesi a Domodossola, abbiamo fatto tutta la valle, il lago di Mergozzo e il lago d’Orta, ed eccoci qua. Dobbiamo muoverci per forza di notte, per non intralciare il traffico. Una volta potevi girare anche di giorno, se lo fai adesso scoppia la guerra, nessuno ha più tempo per fare passare un gregge. Allora dobbiamo muoverci di notte».

    E dormire? «Quando si può risponde Angelo - ma adesso rispetto a prima stiamo benone. Fino a qualche anno fa si dormiva per terra, con una coperta, ed era dura, soprattutto quando c’era la pioggia. Adesso ci portiamo dietro una vecchia roulotte, che per noi va benissimo, almeno siamo riparati dall’acqua». Il problema più grosso per Angelo e Gheorghe è la cura degli agnelli: «Nel gregge ci sono quasi ogni giorno pecore che partoriscono, e allora devi aiutarle, assisterle come si farebbe con tua moglie o tua mamma, e poi controllare che gli agnellini stiano bene».

    A guidare le pecore ed evitare che non perdano la strada è invece Boris, il cane che sembra abbracciare Angelo tutte le volte che questi lo chiama.

    «Ho sempre fatto questo lavoro, prima in Romania, nella Moldova, dove ho ancora la moglie e tre figli, anche loro appassionati di animali, perché li allevano a casa. In Italia mi sono portato un figlio, che ha 23 anni e lavora in una stalla nel Vergante. Lui è stabile, io però preferisco questa vita, in mezzo ai boschi e ai prati, a camminare di notte. E’ dura, ma a Natale torno in Romania ad abbracciare la famiglia». Nostalgia di casa? «Certo, però quando c’è il lavoro non puoi pensare troppo alla casa. Poi sono stato abituato fin da piccolo a fare da solo, a stare lontano. Magari un giorno troverò un’occupazione in Italia anche per mia moglie e gli altri figli».

    Qualche pecora cerca di allontanarsi e si avvicina troppo alla strada, ma non fa tempo ad arrivarci che Boris scatta, la blocca e la riporta con le altre. «Queste pecore sono fortunate. Le ghiande di questi boschi per loro sono una prelibatezza».
     
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  6. *Sjiofn*
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    Rosario, l’uomo che cammina per 24 ore no stop

    Una camminata di 24 ore, quasi senza sosta, a una velocità media di 4 chilometri all’ora combattendo la stanchezza fisica e mentale. E’ l’impresa record di Rosario Catania, il trekker siciliano che utilizzando la tecnica del “Nordic Walking”, la camminata nordica, ha percorso, giorno e notte, una pista di atletica a Catania.”L’importante è arrivare, ovviamente, - ha detto - e cercare di fare meno pause possibili. Io mi sono posto come obiettivo di non superare il 5 per cento, quindi 72 minuti di pausa complessiva nelle 24 ore”L’atleta siciliano aveva già affrontato imprese estreme. Dopo aver scalato l’Etna dal mare alle quote sommitali del vulcano, ha camminato per 24 ore lungo il lago di Pergusa. Prove di endurance che richiedono una lunga preparazione:”Camminare, camminare parecchio e soprattutto prepararsi psicologicamente ad affrontare un percorso anche ad anello chiuso - spiega l’atleta - dove mentalmente magari può essere più faticoso”.L’impresa di Catania è stata monitorata da un team di medici.”A un certo punto l- dice il medico che lo ha assistito - a fatica è tale che le gambe e i piedi ti dicono di fermarsi. A quel punto, deve inevitabilmente subentrare la volontà, la forza di volontà che è poi quella che fa la differenza in questo tipo di prestazioni atletiche”.Dopo 24 ore di camminata Rosario Catania è riuscito a stabilire un nuovo record: “Sono contento perché ho chiuso a 111 km, ne avevo previsti più di 87 - conclude l’atleta - quindi è stato un netto successo e poi la soglia di pausa non doveva superare i 72 minuti e mi sono fermato a 47”.

     
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  7. la sirenetta
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    Gomme usate contro gli uragani

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    Il Guardian l’ha chiamato “l’uomo che vorrebbe fermare gli uragani con delle gomme d’auto usate”. In realtà Stephen Salter non è quel pazzo visionario che il titolo, peraltro corretto, del quotidiano britannico sembrerebbe tratteggiare. Professore emerito di ingegneria all’Università di Edimburgo, è uno dei più stimati scienziati marini del Regno.

    Ma la sua idea, che ha affascinato e convinto miliardari come Bill Gates e Nathan Myhrvold, è certo, a prima vista, bizzarra: disseminare migliaia di gomme usate sulla superficie dell’Oceano con cui far galleggiare dei giganteschi tubi di plastica, una specie di imbuti capaci di arrivare fino a 100 metri di profondità, con cui rimescolare le correnti e raffreddare la temperatura dell’acqua.



    “Basterebbe piazzare “fra 150 e 450” di queste strutture semoventi” - dotate di apparati per trasmettere segnali radar in modo da comunicare la propria posizione ed evitare il rischio di collisioni - sostiene Salter, per abbassare di un paio di gradi la temperatura e togliere così nutrimento agli uragani che si formano quando il calore della superficie marina supera i 26,5 gradi. Il progetto prende il nome di Salter Sink, in onore del suo inventore, e la sua prima genesi risale al 2007, quando fu presentato al governo americano subito dopo il disastro dell’uragano Katrina.



    La società di Seattle Intellectual Ventures gestita da Myhrvold e finanziata da Gates si innamorò del progetto, acquistando il relativo brevetto e definendolo “semplice e grandioso allo stesso tempo”.

    Sulla carta, l’idea di usare dei giganteschi sifoni per raffreddare l’acqua e calmare la furia degli elementi potrebbe anche funzionare, ma gli stessi responsabili di Intellectual Ventures ammettono che, prima averne la certezza occorrono ulteriori ricerche da parte di esperti nel campo dei cambiamenti climatici e dell’oceanografia.



    Gli oceani sono un ecosistema enormemente complesso e c’è il forte rischio, volendo risolvere un problema di crearne inavvertitamente degli altri, magari ancora più complessi da gestire. Resta il fatto però che quello degli uragani è un incubo che gli Stati Uniti e altri paesi della costa atlantica negli ultimi anni hanno dovuto fronteggiare sempre più spesso e che ha avuto dei costi umani e monetari spaventosi. Nessuna idea in quest’ottica sembra perciò troppo bizzarra.
     
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  8. la sirenetta
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    Quando nel 1933 Sigmund Freud fu informato del fatto che in Germania i suoi libri erano stati bruciati pubblicamente, esclamò: "E poi c'è chi nega il progresso! Oggi si accontentano di bruciare i miei libri, nel Medioevo avrebbero bruciato anche me".
     
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  9. *Sjiofn*
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    Professione ipocondriaco. L’arte di crearsi malattie.

    A quanti è capitato di provare qualche sintomo somatico e di concentrarsi su di esso? E quanti hanno tentato di comprenderne la natura cercandolo su internet? E quanti, ancora, hanno trovato proprio ciò che cercavano rimanendo intrappolati nell’angoscia di questa ricerca?

    Ecco ciò che hanno fatto, hanno creato una malattia dal nulla, partendo esclusivamente da segnali insignificanti e privi di una reale valenza patologica.

    Questa è la “professione” dell’ipocondriaco, creare dal nulla malattie e subirne le conseguenze.

    Ma entriamo nel merito di questa professione ed osserviamo con quanta abilità l’ipocondriaco professionista produce malattie. Prendiamo come esempio Tommy. Quest’ultimo è un vero professionista del settore in grado di produrre due o tre malattie gravi, se non mortali, al mese. Ma ciò che lo rende particolarmente in gamba nel suo campo è la capacità di viverle come se fossero reali e sentire sulla propria persona i segni tangibili della loro presenza. Come ha imparato Tommy ad acquisire competenze in questo ambito? In genere tali competenze vengono tramandate da genitore a figlio, come nelle migliori tradizioni, oppure il figlio impara il cosiddetto mestiere semplicemente osservando un membro della famiglia apprendendo, senza rendersene conto, i trucchi del mestiere, mettendoli poi in pratica in modo del tutto automatico e inconsapevolmente. In altre occasioni può semplicemente essere un talento naturale; da solo ha costruito le basi per produrre malattie senza aver appreso nulla da nessuno ma con una maestria ed una classe degna di un vero genio.

    Tommy ha una capacità di collegare i sintomi tra loro con grande competenza, fa ricerche di biologia, di fisiopatologia e, nonostante non sappia davvero nulla di medicina, è in grado di costruire una linearità straordinaria tra segni, sintomi e malattie senza che questi abbiano un vero legame tra di loro. E guai a dirgli che si sbaglia, la sua reazione sarebbe simile a quella che potrebbe avere Michelangelo se gli si dicesse che la volta della Cappella Sistina è fatta male e che andrebbe modificata. I geni difficilmente ammettono critiche!

    Tommy è soprattutto ferrato nelle ricerche via web ed uno dei trucchi insiti nel suo talento, in grado di confermare le sue ipotesi, è quello di non postare sui motori di ricerca i sintomi da verificare ma direttamente la malattia che sospetta. Un modo infallibile per confermarla! Ciò che appare di particolare interesse è che, spesso, la malattia si esprime proprio con i sintomi dai cui è assillato. Quest’ultimi, essendo straordinariamente generici, sono adattabili ad ogni patologia. Una cefalea, ad esempio, può spaziare da una semplice tensione muscolare fino ad un tumore, basta scegliere la malattia da inseguire. Ovvio, Tommy, essendo un ipocondriaco professionista, cosa pensate possa scegliere? Credete che si accontenti di una misera tensione muscolare? Non scherziamo!

    Ma quando un professionista come Tommy possiede un particolare talento va oltre questa ricerca per rendere più grave la cosa. Dopo aver cercato la malattia, che ne conferma i sintomi (e non il contrario) cosa fa? Cerca subito la sua soluzione. Va a caccia delle cure più adeguate, dei centri specializzati e delle percentuali di sopravvivenza di chi è affetto dalla patologia che ha trovato. In pratica comincia a vivere la sua vita come se fosse davvero malato! La ricerca della cura conferma magicamente il fatto di esserne affetto. E quando scopre che in alcune occasioni non ci sono cure? Ne subisce le conseguenze reagendo con angoscia, depressione e ansia. Smette di cercare il divertimento o gli svaghi perché, immedesimato nella parte, sente che la sua fine può essere vicina. Perde interessi, l’appetito, dimagrisce, aumenta la sua debolezza. In pratica si ammala davvero. Ecco, il suo talento ha costruito una straordinaria malattia dal nulla. Il lettore si starà chiedendo: ma Tommy è stato da un medico? Certo, semplicemente ha deciso di non credergli o di credere che si sia sbagliato, in caso di diagnosi negativa. Tommy sa fare bene il suo lavoro!

    Ma come può uscire Tommy o un qualsiasi altro talentuoso costruttore di malattie da questa professione? Alcuni amano il loro lavoro e difficilmente accettano di trovarne un altro. Altri, invece, comprendono che cambiare questo lavoro può essere più salutare poiché cominciano a rendersi conto che costruire malattie può far davvero molto male e scelgono di affidarsi ad altri professionisti in grado di aiutarli. Tra una ricerca e l’altra, questi professionisti scoprono che alcune categorie di esperti in terapie strategiche e comportamentali possono offrire valide alternative al loro talento.

    Letture consigliate per allontanarsi da tale professione.

    -I segreti della mente non ansiosa di Armando De Vincentiis (in uscita)

    -Non c’è notte che non veda il giorno di Giorgio Nardone

    -Cogito ergo soffro di Giorgio Nardone

    Terapie consigliate per abbandonare definitivamente tale professione

    -Terapia breve strategica

    -Terapia cognitivo-comportamentale

    -Terapia sistemico-relazionale

     
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  10. la sirenetta
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    Una vita normale senza fissa dimora



    Io sono nessuno, afferma Wainer Molteni nel suo libro, con la mossa spiazzante di un Ulisse che disarma il ciclope. Con quella frase otto anni fa dichiarò la propria resa alla condizione di barbone. Non aveva più niente.



    E, senza lavoro, senza famiglia, senza casa, non poteva che ammettere di non essere nessuno, se non un «homeless», un «senza tetto», un clochard. Aveva toccato il fondo. E aveva fatto il suo ingresso in quel nuovo stato dell’essere (o del non-essere), nello status di indigente e bisognoso, attraverso la porta girevole del centro di aiuto della stazione centrale di Milano: Sos Centrale. «È bene che impariate che c’è un simile punto di soccorso, di questi tempi», avverte beffardo oggi.



    «Che ci faccio qui? Come è successo? Via, sarà per poco», diceva a se stesso negli estremi sussulti di resistenza al destino della strada. Esattamente le stesse domande e lo stesso timido tentativo di rassicurazione gli rivolse il sorridente impiegato del centro di accoglienza.



    Il quale, prima di fornirgli l’elenco delle mense, i punti doccia, i guardaroba, i dormitori – gli indirizzi utili per chi non avrebbe altra scelta che fare dei vagoni fermi di notte sui binari la propria alcova e dei corridoi riscaldati della biblioteca comunale il proprio salotto -, prima di introdurlo sui binari dell’assistenza sociale istituzionalizzata, gli aveva chiesto di indicare quali tappe lo avevano condotto a quella svolta e a quel triste capolinea (anche ferroviario).



    E così, dopo i numerosi frustranti tentativi di trovare un lavoro presentando in un curriculum il suo eccezionale iter di studi e esperienze, prima della stesura della sua strabiliante confessione-autobiografia («Io sono nessuno», appena uscita da Baldini Castoldi Dalai), il signor nessuno si era ritrovato a raccontare la sua storia.



    Orfano dei genitori militanti di estrema sinistra espatriati a Marsiglia, cresciuto dai nonni a Mombello, sul Lago Maggiore, aveva dimostrato un certo talento fin da ragazzino. Studiava il minimo indispensabile e andava bene a scuola. Premiato da nonno Emilio col regalo di un formidabile impianto stereo – mixer a quattro canali, amplificatore, piastra di registrazione – si improvvisò deejay nelle balere e nei club della Brianza, e si fece notare e ingaggiare nelle discoteche milanesi di tendenza.



    Lo appassionavano le storie di banditi, così si laureò «cum laude» in Sociologia e ottenne un dottorato in Criminologia alla Scuola Normale di Pisa. Il prestigioso istituto fu il suo trampolino di lancio verso gli Usa. Per tre anni frequentò un master a Quantico, in Virginia, al centro di ricerca e addestramento dell’Fbi. Poteva fermarsi là e fare carriera accademica. Ma accettò la proposta del padre di un amico che lo assunse come responsabile del personale di una catena di supermercati. Poco avventuroso, ma sicuro. Sembrava…



    Finché la catena di grande distribuzione fece bancarotta e lui restò disoccupato. Iniziò allora in cammino in discesa del giovane «laureato, dottorato, masterizzato» che si vedeva respinto a tutti i colloqui perché troppo qualificato. I soldi - «li guadagnavo, li spendevo» - finirono in fretta. I famigliari non c’erano più. Sugli amici non voleva pesare.



    Piuttosto si sarebbe insediato – come fece – nella villa lasciata sfitta a Portovenere da due ricchi ottantenni americani. Ma «la Liguria non era il posto più stimolante del mondo» e, dopo tre anni da nullafacente, salì sul treno che da La Spezia lo condusse fino al suddetto Sos di Milano. Fino a quel fondo toccato giusto per risalire e riscuotersi.



    «Clochard alla riscossa», appunto, è il nome del movimento cui Wainer Molteni, grazie alla sua intraprendenza e passione politica, si è messo a capo. In otto anni ha occupato dormitori. Ha organizzato distribuzioni di sacchi a pelo e pasti caldi. Ha collaborato con la giunta Moratti e Pisapia («Ma non da “consulente” come dicono: non mi hanno mai assunto, ci chiamano solo quando occorre»). Ha ottenuto un alloggio popolare e poi una fattoria nel Pistoiese, gestita da senzatetto come agriturismo («Abbiamo cinque stanze per gli ospiti, il frutteto, l’uliveto. Questa settimana abbiamo iniziato la raccolta delle olive»).



    Ha dormito tante notti all’addiaccio. E proprio chiuso nel sacco a pelo ha iniziato ad annotare su foglietti sparsi il racconto della sua avventura. «Solo qualche mese fa, quando mi hanno regalato un computer, l’ho stesa per intero. La mia è una storia normale. Una vita normale - dice - può succedere a chiunque. In coda alle mense dei poveri oggi ci sono uomini con un passato manageriale e imprenditoriale».



    Non è un malaugurio. Anzi: «La molla che fa scattare la rivalsa e permette di andare avanti è proprio la consapevolezza di non avere niente da perdere. Il bello di quando perdi ogni cosa è che puoi ricominciare da dove vuoi».


     
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  11. la sirenetta
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    L’eroismo di Gigino custode
    dell’ultimo Eden dei limoni



    Gigino Aceto era riuscito ad acquistare un bellissimo pezzo di terra nel centro di Amalfi. Un colpo da maestro. Diverse terrazze, dove crescevano alcuni alberi di fichi e ulivi, e su una si trovava anche una costruzione, minuscola, a malapena una stanza, ma pur sempre una costruzione. E, quanto al panorama, non ne parliamo: si vedeva il Duomo con il campanile romanico, rivestito di ceramiche maioliche a mosaico, un po’ oltre il mare e, ancora più lontana, Conca dei Marini con il promontorio dove si vanno a pescare le aragoste e dove avevano una meravigliosa villa Carlo Ponti e Sophia Loren.



    Gigino era diventato il fortunato proprietario di questo paradiso negli Anni 80, quando ancora non esistevano gli aerei in grado di scoprire dall’alto una costruzione abusiva, e ancor meno Google Maps con la sua capacità di entrare nei territori altrui. La Costiera non era nemmeno protetta dai rigidissimi vincoli imposti dall’Unesco, che l’ha dichiarata Patrimonio dell’Umanità.

    Se fosse stato un italiano medio, avrebbe coperto tutto con delle stuoie di paglia e, senza fretta, avrebbe pensato a come ingrandire l’immobile. Al primo condono avrebbe pagato quello che c’era da pagare e ora sarebbe il proprietario di una tenuta da fine del mondo da affittare ai turisti stranieri, ricavandoci di che sfamare figli e nipoti senza fare altro dalla mattina alla sera.



    Gigino Aceto non è un italiano medio, è un contadino della Costiera Amalfitana. «Sono nato, cresciuto e vivo sotto i limoni. Sotto un limone sono stato concepito, perché ero l’ottavo di tredici figli e i miei genitori avevano un’unica stanza per tutti». Ma avevano anche un giardino di sfusati, i particolari frutti che crescono solo da Vietri a Positano. Quando volevano appartarsi, andavano sotto un albero di limoni, racconta Gigino. Nel 1941 le grandi potenze, Italia compresa, sono in pieno conflitto mondiale, Gigino ha sei anni, non va a scuola, e inizia ad imparare come si coltivano i limoni e a venderli ai mercati locali. Negli Anni 50 gira mezza Italia per trovare acquirenti dei suoi sfusati. E alla fine degli Anni 60 ha abbastanza soldi e credibilità per acquistare la sua prima proprietà.



    Negli Anni 80, quando riesce a comperare il terreno nel centro di Amalfi, è ormai uno dei principali produttori di sfusati della Costiera Amalfitana e, quindi, del mondo. Ha oltre cinquant’anni, è andato al di là di ogni sogno di bambino. I suoi limoni si vendono in Italia e all’estero, da ogni angolo della Terra arrivano a fare visita alla sua azienda. Sarebbe anche giusto riposarsi un po’, smetterla con il lavoro nei campi, aprire un piccolo albergo, un ristorante, qualcosa da lasciare ai nipoti che prima o poi arriveranno.

    Neanche per sogno. «Chi mi conosce mi dà del poeta – ammette lui – perché gli altri pensano a fare soldi, mentre io penso a portare avanti un prodotto e un mondo in cui mi riconosco» racconta lui, il poeta dei limoni.

    Quando prende possesso del nuovo terreno, gli occhi azzurrissimi gli luccicano e sa già che cosa vuole creare. Ha solo bisogno di tempo e pazienza, perché di tanto tempo e pazienza hanno bisogno gli alberi di limoni per crescere.

    Elimina fichi, ulivi, uva e aranci e ovunque pianta sfusati.



    Oggi Gigino Aceto ha quasi ottant’anni, il Quirinale l’ha nominato Cavaliere della Repubblica e il pezzo di terra sembra un giardino delle meraviglie uscito dalle Mille e una notte. Ogni anno raccoglie 100-150 quintali di limoni, dipende dalle stagioni, ognuna è diversa. E’ una piccolissima parte del raccolto della sua azienda, il primo, quello che matura già a marzo-aprile, per via del sole che arriva diretto sulle piante.

    L’immobile è ancora lì, 18 metri quadrati, la stessa stanza che mai ingrandirà, non gli interessa. Il suo orgoglio sono i limoni innestati su aranci amari, gli alberi secolari che lui cura con le sue mani curve. «Essere patrimonio dell’Umanità ci responsabilizza, con i limoni dell’azienda sappiamo di parlare non a noi ma all’Italia e al mondo intero».



    E quindi riempie Amalfi di alberi di limoni, così come farebbero tutti gli altri contadini di questo tratto di costa rimasti a coltivare sfusati in una terra difficile, che impone ritmi e gesti fermi al secolo scorso. Se fosse per loro, il problema delle frane non esisterebbe. Li stanno costringendo a cedere uno dopo l’altro, lasciando incolte intere colline, e l’acqua delle piogge libera di cadere giù. Li hanno trasformati in piccoli, grandi eroi, gli ultimi custodi di un Patrimonio che il mondo intero ci invidia. Che futuro hanno gli sfusati? La voce di Gigino Aceto si incrina: «Mi fa una domanda triste. Non lo so». Un modo elegante per dire che tra venti anni la gran parte dei contadini di sfusati saranno morti e nessuno li avrà sostituiti. Ma intanto Gigino Aceto pianta nuovi alberi.
     
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  12. la sirenetta
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    Quando il nazismo dichiarò
    guerra ai canti di Natale



    Il totalitarismo nazista non risparmiò neanche le tradizionali canzoni di Natale in Germania. Nei testi tutti i riferimenti ebraici, nonché tutti i termini non tedeschi, a partire da “Alleluia” e “Amen”, vennero infatti sistematicamente eliminati e sostituiti con altri “neutri”, senza tener conto neanche dello schema metrico dei versi, scrive la Welt sul suo sito.



    Ecco allora che nella seconda strofa di “Stille Nacht” (“Astro del Ciel”) “attraverso gli angeli Alleluia” dovette lasciare il posto a “attraverso gli angeli la parola santa risuona forte da luogo a luogo” - un’espressione talmente lunga da risultare quasi impossibile da cantare. Oppure in “Es ist ein Ros’ entsprungen” (“È spuntata una rosa”), una delle più famose canzoni natalizie tedesche, il passaggio “la specie arrivò da Iesse” - cioè dal padre del re Davide - fu cambiato in “la specie arrivò dal cielo”. In altri casi i nazisti non riscrissero affatto le strofe: vietarono piuttosto l’intero canto.



    In realtà già prima dell’arrivo di Hitler al potere alcuni esperti di musica sacra avevano iniziato a “entjuden” (“degiudaizzare”) il repertorio musicale religioso tedesco. Nel 1932 l’esperto del Vecchio Testamento Wilhelm Caspari, originario di Kiel, setacciò le 342 canzoni del “Libro evangelico tedesco dei canti” alla ricerca di termini come “Sion” (il monte sinonimo della città di Davide), “Gerusalemme” o “seme di Abramo” e li sostituì. Così, ad esempio, “Sion ode cantare i custodi” diventò “Chi ode là cantare i custodi”. L’anno dopo Caspari pubblicò uno studio intitolato “Dei riferimenti al Vecchio Testamento nel libro evangelico dei canti e della loro eliminazione”.



    Le conseguenze di un simile fenomeno sono riassunte in un caso citato dalla Welt: a causa di una svista, nel programma di un concerto organizzato l’8 ottobre 1937 nella Gustav-Adolf-Kirche di Berlino comparivano dei termini ebraici; il solista baritono dovette pertanto improvvisare, cantando delle strofe senza alcun senso.

    Solo pochi musicisti sacri si opposero allo stravolgimento dei canti religiosi, finalizzato a trasformarli in uno strumento dell’ideologia antisemita nazista. Tra questi l’organista e direttore di Colonia Julio Goslar, che prese posizione contro Caspari e riuscì addirittura a pubblicare delle tesi in cui criticava le sue modifiche. Nel 1935, però, circa 10.000 musicisti sacri evangelici vennero passati al vaglio dalla Reichsmusikkammer, un’istituzione nazista che aveva il compito di incentivare la musica in linea con l’ideologia nazista e di reprimere quella che contrastava con essa. Julio Goslar fu messo in congedo forzato. Nel 1936, quando provò a tornare al lavoro in una chiesa di Colonia, una parte del presbiterio si dimise in segno di protesta, ricorda la Welt. Molti nazisti minacciarono di fare irruzione nella chiesa se solo avesse osato suonare di nuovo l’organo.
     
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  13. la sirenetta
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    Renato, Carla e gli altri
    quelli che mollano tutto



    Allontanamento volontario. Pratica archiviata. Dopo cinque mesi di indagini la Procura ha chiuso il fascicolo sulla scomparsa di una coppia, Renato Bono, 49 anni, e Carla Franceschi, di 51, residenti a Fiavé, provincia di Trento, commercianti di ceramiche, svaniti nella notte che precedeva un viaggio in Kenya dove dicevano di voler acquistare un resort. Sparivano tre giorni dopo l’aggiornamento delle cifre ufficiali del Viminale: tra il 1° gennaio e il 30 giugno 2012 erano spariti e ancora perduti nel mistero 279 minori, 228 maggiorenni, 34 over 65, in una nuova realtà dove trovi in Internet consigli per non lasciar tracce e agenzie dai nomi che evocano la nuova chance, che aiutano a divenire, con metodo e non per caso, un pirandelliano ma moderno «fu Mattia Pascal».



    Renato e Carla, reduci da matrimoni finiti, ciascuno con figli, gestiscono il negozio al piano terra della loro casa, ma progettano di lasciare tutto e andarsene in Africa. La sera del 2 luglio vanno a cena con i genitori di lui e la figlia di lei, parlano del viaggio dell’indomani, destinazione Kenya. Tornano a casa sereni, prima di coricarsi giocano a carte con gli anziani. Sono d’accordo con Christel, la figlia di Carla, d’incontrarsi ancora la mattina. Ma la mattina non rispondono e lei apre con le sue chiavi. I letti sono intonsi, i bagagli aperti, un lavoro non finito. Passaporti, carte d’identità, un telefonino sono lì, mancano le patenti di guida. E manca la Opel Antara grigia di lui: era nel cortile all’una di notte, non c’è alle 8. Anche l’altro cellulare è spento. L’IPad è sulla Peugeot cabriolet della donna, con alcuni gioielli. Unica «vita» è una luce dimenticata, o lasciata, nel retro della bottega. L’aereo per Roma, da dove imbarcarsi per il Kenya, non l’hanno preso. Avevano prenotato i biglietti per il volo intercontinentale, però mai li hanno pagati e ritirati. L’uomo che doveva far da intermediario in Africa spiega: «Sono partito da Verona. A Roma sono salito sull’aereo, non c’erano, sono sceso».



    Sul fascicolo il pm Maria Colpani scrive un’ipotesi investigativa, «sequestro di persona», i beni vengono bloccati, ma i carabinieri del capitano Francesco Garzya non individuano né moventi né il minimo segno di rapimento. Sezionano le esistenze di lui e di lei, interrogano conoscenti, persone in affari con loro, ipotizzano e vagliano difficoltà economiche. I parenti insistono: non sono tipi che se ne vanno in quel modo. Però in un appello tv la figlia non ha detto: «Lasciateli liberi», ha invocato: «Tornate a casa». Vagliati tutti gli elementi, il procuratore di Trento, Giuseppe Amato, firma: archiviare. Con il 3 luglio i 228 adulti nelle cifre del Viminale sono, almeno per ora, saliti a 230.



    I dati del Commissario straordinario del Governo per le Persone Scomparse hanno un impatto forte: dal 1° gennaio 1974 al 30 giugno 2012 sono 25.453 gli ingoiati dal vuoto. Lì sono numeri anche il fisico Ettore Majorana (primavera 1938) e l’economista Federico Caffè (aprile 1987), i minori come Denise Pipitone e Angela Celentano (adesso per lei si riparla d’una pista). Sono realtà drammatiche che famiglie scontano per anni tra fiducia inscalfibile e dirupi della speranza. E, per gli adulti scomparsi, il tormento: davvero è una scelta meditata e preparata, davvero vicino a me viveva l’«Arthur Newman» che Dante Ariola ha appena portato al Torino Film Festival?



    E davvero si può sparire così? In Internet ci sono consigli su consigli, le accortezze per il cellulare, per la navigazione sul Web, lo slalom fra le telecamere di sicurezza, gli acquisti, le carte di credito e i contanti, destinazioni ideali, come i bassifondi di Città del Messico (con il rischio di sparire davvero, ma sotto terra), utilità e rischi d’aver complici, oggetti utili o sconsigliabili, arte del mentire, vivere la nuova solitudine psicologica. In Rete il presunto uomo di un’Agenzia, senza mai parlare del prezzo, spiega che può esser necessario far credere alle persone più care di essere defunti. Come Arthur Newman o, più profondamente, come Mattia Pascal. Ma proprio Mattia insegna che l’avventura può finire solitaria con le braccia tese a deporre fiori sulla «propria» tomba.
     
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  14. la sirenetta
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    In viaggio fino alla fine del mondo



    Mi piace pensare che i Maya non avessero del tutto torto. Che il 21.12.12 non finirà il mondo, ma un altro comincerà a prendere forma. Anch’io avrò la possibilità di farne parte, se smetterò di fidarmi ciecamente dei sensi, che intercettano solo una piccola fetta di realtà, e imparerò a rinvigorire il muscolo rattrappito dell’intuizione: «La voce degli dei» come la chiamava Jung, l’unica parte immutabile e immortale di me stesso.



    Per chi non ha, o non ha più, un lavoro o un affetto, la fine del mondo è già arrivata e questi sembreranno discorsi astratti, brodini caldi per anime intirizzite. Ma non è così. La crisi psicologica e poi - solo poi - economica in cui versiamo è anzitutto una crisi del modello materialista che ha dominato il Novecento. Se non torniamo a chiederci chi siamo, e non solo cosa abbiamo, finiremo per non avere più nulla. Qualunque profezia non va presa alla lettera: è l’indicatore di un cambiamento spirituale. Da qualche settimana ho chiesto a coloro che fanno parte della mia vita di regalarmi i ricordi più belli della loro vita e in cambio ho offerto parole da mettere in valigia, tratte dai libri che mi hanno temprato il cuore. Per ultimo ho tenuto il più importante: il Simposio di Platone. Buon viaggio.
     
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  15. la sirenetta
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    L’uomo da undici milioni di miglia



    E’ l’uomo da undici milioni di miglia. Tom Stuker, consulente vendite di automobili, ha messo a segno un record tanto singolare quanto lunghissimo. Da quando nel 1983 si è iscritto al MileagePlus di United Airlines, ovvero il programma delle miglia percorse negli aerei della compagnia americana, il cittadino di Chicago ne ha accumulate undici milioni, divenendo il primo uomo sulla terra a superare le barriera dei sette zeri. Un primato che ha raggiunto grazie ai tantissimi viaggi fatti per motivi di lavoro, in particolare in Asia e Australia, ed in tutti i 50 Stati americani.



    Solo quest’anno l’instancabile maratoneta dei cieli ha preso oltre 400 voli, per un totale di un milione di miglia, mentre sono 6 mila quelli su cui è salito da 30 anni a questa parte. Per capire il tempo che Stuker trascorre in aereo United ha spiegato che solo nel 2012 il suo prezioso cliente ha fatto l’equivalente di 40 giri del mondo per un totale di 73 giorni passati a bordo. «E’ stato un anno straordinario questo - spiega l’uomo da undici milioni di miglia - tutto il personale di United, dal servizio clienti ai tecnici in pista, hanno fatto il massimo affinché i miei spostamenti non fossero stancanti e complicati».



    Il «globetrotter» dei cieli, sembra tuttavia avere una specie di passione irrefrenabile per l’alta quota, dal momento che anche quando non si muove da un continente all’altro per motivi di lavoro, lo fa per divertimento. Al suo attivo quest’anno, ad esempio, ci sono un viaggio di due giorni a Buenos Aires, in Argentina, fatto lo scorso gennaio, una fuga alle Hawaii per la ricorrenza del «President Day», e una settimana romantica ad Aprile tra Parigi e Praga. A vederlo, del resto, il 59 enne Stuker sembra non accusare fisicamente lo sforzo di tanti spostamenti e non disdegna neanche i pasti di bordo. Primato nel primato: mai una situazione di emergenza nella sua infinita maratona in alta quota, nessun decollo o atterraggio non riuscito. E’ una passione reciproca quella tra il consulente e United visto che la compagnia ha iscritto il suo nome su un Boeing della propria flotta in segno di riconoscenza per la sua fedeltà e per aver dato una mano a pagare salari e stipendi.
     
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29 replies since 12/9/2012, 01:27   449 views
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