Antichi sapori,alimenti di altri tempi,spezie ,intingoli ,utensili dimenticati,ricordi e ...dintorni

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  1. la sirenetta
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    La conservazione degli alimenti sott’aceto, come quella sott’olio o sotto sale, è una delle più antiche, già in uso presso gli antichi greci e romani.
    Si basa sul principio che alcuni batteri mal sopportano ambienti acidi: l’aceto abbassa il pH dei cibi, inibendo lo sviluppo di microrganismi patogeni.
    E’ bene osservare però che non tutti i microrganismi muoiono a causa di questa reazione, per cui a questa tecnica possono essere associati altri metodi di conservazione. Spesso gli alimenti infatti sono sottoposti a cottura prima di essere invasati nei barattoli per la conservazione, che in seguito possono essere sterilizzati.

    La conservazione sott’aceto è molto diffusa in ambito domestico. E’ importante però seguire alcune norme base per evitare di incorrere in errori che potrebbero risultare nocivi per la nostra salute.

    - Anzitutto, il grado di acidità dell’aceto.
    Come abbiamo detto, per contrastare lo sviluppo dei microrganismi, è necessario mantenere un certo pH. Quando utilizziamo questa tecnica con le verdure, dobbiamo tenere presente che contengono molta acqua, per cui è necessario eliminarla tramite salagione o facendole bollire insieme all’aceto.
    L’aceto deve avere un grado di acidità almeno al 7%. Più le verdure sono acquose, maggiore deve essere il grado di acidità.

    - In secondo luogo, la qualità della materia prima: le verdure da conservare sott’aceto ( come nel caso della conserva sott’olio o sotto sale) devono essere fresche e mature al punto giusto. Infatti, per quanto banale, è opportuno ricordare che i metodi di conservazione non sono rigenerativi. Conservare, con qualsiasi tecnica, un alimento al termine del proprio processo di vita, è assolutamente inutile.

    - Anche i materiali utilizzati per la preparazione e la conservazione sono importanti:
    per la cottura in acqua e aceto sono da preferire casseruole in acciaio inox o pirex.
    Per quanto riguarda i barattoli, esistono in commercio dei vasi appositi per le conserve, con i tappi a chiusura ermetica.
    Questi barattoli possono essere utilizzati più volte, se lavati e asciugati accuratamente; i tappi possono rovinarsi facilmente nella ghiera di gomma, per cui è opportuno sostituirli: infatti si vendono separatamente.

    - Un altro accorgimento da tenere presente è che gli alimenti devono essere totalmente immersi nell’aceto, per evitare che si ammuffiscano.

    - Infine la sterilizzazione dei vasi: deve avvenire in pentole partendo dall’acqua fredda. Ricordate di avvolgere i barattoli in panni per evitare che, cozzando tra loro, si scalfiscano.

    Gli alimenti che più comunemente si conservano sott’aceto sono gli ortaggi: cipolline, cetriolini, peperoni, o la classica giardiniera, ovvero un mix di diverse verdure che può servire da ottimo accompagnamento per secondi piatti di carne o come antipasto. Anche ortaggi grigliati, come zucchine o melanzane, possono essere conservate sott’aceto. Alcuni pesci cosiddetti “poveri”, come sgombro o alici, si prestano a questo tipo di conservazione. Un alimento che tradizionalmente si prepara in questo modo è il classico capitone della vigilia.
    L’aceto da utilizzare è generalmente di vino, tenendo presente che a verdure chiare si abbina un aceto bianco. Esistono in commercio anche altri tipi di aceti venduti appositamente per queste preparazioni, spesso aromatizzati con erbe o spezie. Anche a livello casalingo si possono aggiungere nei barattoli alcuni odori che si accompagnano bene al prodotto da conservare: alloro, maggiorana, rosmarino, basilico o, nel caso della frutta, cannella, chiodi di garofano e anche miele.

    Rispetto alla conservazione sott’olio, le conserve sott’aceto presentano alcuni vantaggi: anzitutto mentre l’olio ha una funzione essenzialmente isolante, l’acidità dell’aceto svolge anche una funzione battericida. In secondo luogo l’apporto calorico, che nelle conserve sott’aceto è notevolmente inferiore.
    L’unico svantaggio è che gli alimenti possono continuare a “cuocere” nell’aceto, diventando troppo svantaggio morbidi o troppo acidi.
     
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  2. la sirenetta
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    Da sapere sui formaggi

    Non comprate formaggi fusi ne tantomeno dateli ai bambini: è fatto con formaggio deteriorato o di resa, o comunque di bassa qualità. Inoltre contiene polifosfati che ostacolano i processi di calcificazione delle ossa. L'alta percentuale di acqua poi, li rende anche costosi. Spesso si parla di formaggi magri intendendo formaggi freschi: il fatto è che i formaggi freschi contengono più acqua e quindi la percentuale di grasso sul peso totale è inferiore. Ma attenzione a non mangiarne di più proprio per questo motivo. Tenete anche conto che, dato il loro contenuto in acqua, come già detto, sono costosi. Togliete i formaggi dal frigo un'ora prima di servirli se volete gustare appieno i sapori.
     
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  3. la sirenetta
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    Proviamo a fare la marmellata di fragole

    ecco come

    INGREDIENTI:

    Kg 1 di fragole
    Kg 1 di zucchero
    Mezzo limone

    PREPARAZIONE:

    Scegliete al mercato delle fragole ben mature, ma non mollicce, dovranno anche essere dolci nel gusto, vi consigliamo di assaggiarle, se il commerciante ve lo permette, prima di acquistarle
    Lavate per bene le fragole e privatele del picciolo
    Tagliatele a pezzettoni ed aggiungete il succo di mezzo limone e lo zucchero
    Mettete il tutto in una capiente pentola e fate cuocere per circa una ventina di minuti
    Mescolate spesso per evitare che si attacchi
    Vedrete che poco a poco si addenserà per bene
    Versate ancora calda in vasetti di vetro e chiudete ermeticamente
    Conservate in luogo asciutto e fresco.
     
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  4. la sirenetta
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    Bizantini e longobardi non mangiavan solo cardi...
    Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente i principali protagonisti che si contendono il dominio della penisola dal punto di vista politico e... gastronomico sono i bizantini e i longobardi.
    In generale le sane abitudini che caratterizzano l'Italia al tempio dei romani non cambiano neanche nel Medioevo, specialmente in area bizantina: la dieta mediterranea continua a essere la protagonista della tavola.
    Ecco allora che sulle mense imbandite il posto d'onore spetta agli alimenti a base di cereali, all'olio ed al vino, integrati soprattutto da formaggi piccanti e dalla carne, il cui consumo varia però a seconda dei luoghi: nelle zone controllate dai longobardi la carne compare in abbondanza, molto meno presso i bizantini.
    Paese che vai arrosto che trovi: l'Emilia-Romagna è forse l'esempio migliore per capire come sono nate certe abitudini alimentari che ancora oggi caratterizzano questa regione.
    Infatti in Emilia, terra dei longobardi, regnava e regna sulla tavola incontrastato il maiale, mentre in Romagna, terra dei bizantini, il castrato era ed è tuttora il piatto forte!
    Per condire i cibi più raffinati i bizantini usano ancora il famoso garum e la passione per i piatti saporiti provoca un'ampia diffusione di spezie importate dall'oriente.
    E a fine pasto niente è meglio di un liquore delizioso come la malvasia, inventato proprio dai bizantini, il cui nome richiama un'isola della Grecia, la Monenvasia.
    Insieme a un bicchiere di vino, ora come allora, una fetta di colomba è l'ideale: secondo la leggenda, il il nostro tipico dolce pasquale trova le sue origini nel VI secolo, durante l'assedio longobardo del re Alboino alla città di Pavia. Una fanciulla, per suscitare la clemenza del re conquistatore, gli preparò un dolce a forma di colomba, simbolo di pace. Il dolce doveva essere davvero eccezionale se il re, noto per la sua ferocia, deliziato da tanta bontà, graziò la giovane!
    Un grande cambiamento che si verifica in questo periodo è l'abitudine di mangiare seduti a tavola e non più sdraiati mollemente su divani.
    Durante i banchetti di corte si apparecchiava con tante tovaglie, quante sono le portate, tutte una sopra l'altra, così si sparecchiava più in fretta!
    Inoltre, i saggi medici medioevali consigliavano, per essere in forma, una cena leggera. magari una bella zuppa di cereali, e di sfogare il proprio appetito durante il ricco pranzo di mezzogiorno, cioè esattamente il contrario di quello che avveniva nell'antichità.
    Sembra che l'uso di mangiare con la forchetta sia stato introdotto proprio a Bisanzio, che oggi si chiama Istanbul, e che solamente molto tempo dopo si sia diffuso in Italia.
    La prima testimonianza che conosciamo è una rappresentazione del re longobardo Rotari che, armato di forchetta e coltello, si accinge a gustare un bel pollo! Ovviamente la forchetta esisteva già da tempo, ma era utilizzata solo per cucinare e servire i cibi.

    (artiebeni culturali)

     
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  5. la sirenetta
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    La granita di limone è un qualcosa dal gusto antico e moderno allo stesso tempo
    in commercio ci sono granite di ottima qualità ed altre un pò meno buone.

    In pratica possiamo farla in casa riscoprendo i sapori di una volta.

    INGREDIENTI:

    gr 400 acqua
    gr 150 zucchero semolato
    2 limoni
    1 bustina di vaniglina

    PREPARAZIONE:

    Prendete la ciotola che dovrete utilizzare e ponetela nel freezer per circa dieci minuti
    Dopodichè prendete la vostra ciotola ben fresca e versate l’acqua che anch’essa dovrà essere fresca
    Aggiungete lo zucchero e fate sciogliere bene
    Mescolando aggiungete il succo dei due limoni
    E’ il momento di aggiungere la vostra vaniglina, a secondo dei vostri gusti decidete di metterla tutta o meno
    Mettete la vostra ciotola nel freezer avendo cura di mescolare di tanto in tanto, almeno per un paio d’ore
    Gustatela per colazione, insieme ad una brioches ben calda.
     
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  6. la sirenetta
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    Le ciliegie sotto spirito

    Ecco ciò che vi occorrerà per conservare le vostre ciliege:

    INGREDIENTI:

    Kg 1 di ciliege
    1/2 chilo di zucchero semolato
    1/2 litro d’acqua
    1/2 litro di alcool puro
    3 chiodi garofano
    1 stecca di cannella
    PREPARAZIONE:

    Compriamo al mercato delle ciliege mature ma non troppe, non dovranno essere molliccie o avere ammaccature varie
    Laviamole per bene togliendo il picciolo
    In una pentola mettiamo mezzo litro d’acqua aggiungiamo mezzo chilo di zucchero, portiamo ad ebollizione, lasciamo raffreddare e poi aggiungiamo l’alcool, mescoliamo per bene
    Procuriamoci un contenitore di vetro a chiusura ermetica disponiamo le ciliegie , aggiungiamo la cannella ed i chiodi garofano, ed il succo già preparato prima con l’alcool, lo zucchero e l’acqua
    Chiudiamo il contenitore e lasciamo risposare in luogo fresco almeno per tre mesi prima di gustarle.
     
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  7. la sirenetta
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    E’ tra le piante più comuni che si possono reperire allo stato selvatico, utile sia in cucina che in fitoterapia. “Malva” deriva dal greco con significato di molle, emolliente, “Sylvestris” perché cresce nei luoghi selvatici. Questa pianta, di origine mediterranea, è stata decantata già nel VIII sec. a.C. quando i germogli venivano presentati sulle mense dei dignitari.
    Pitagora sosteneva che la malva dovesse essere mangiata ogni giorno per calmare le passioni e purificare la mente. Cicerone ne era ghiottissimo, e Marziale oltre che usarla come antidoto alle sue notti brave, la consigliava a chi aveva problemi di stitichezza. Orazio l’accompagna alla cicoria e Apicio la consacra nella cucina ricca, pur essendo cibo contadino e popolano, dedicandole due ricette.
    Continuiamo a ritrovare la malva nei secoli successivi, e la Scuola Salernitana la loda perché “risana e scioglie il corpo”.
    Durante il medioevo veniva comunemente coltivata negli orti e i suoi principi attivi, utilizzati diffusamente fino al ‘900, erano il rimedio contro artriti, accessi, infiammazioni gengivali, stitichezza e obesità.
    Oggi in gastronomia le foglie di malva, appena spuntate, sono mangiate crude nelle insalate, oppure cotte nelle minestre con orzo o riso. Sempre le foglie cotte, entrano come ingrediente nella preparazione di ripieni per ravioli e polpette.
    Le contadine del secolo scorso d’alcune regioni, mettevano dei fiori di malva nel corredo della sposa perché si diceva aiutassero a conservare la bellezza anche con l’avanzare dell’età.

    (taccuinistorici)
     
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  8. la sirenetta
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    Così l'Idrolitina rendeva effervescente gli Anni 60

    Diceva l’oste al vino: tu mi diventi vecchio, ti voglio maritare con l’acqua del mio secchio. Rispose il vino all’oste: fa’ le pubblicazioni, sposo l’Idrolitina del cavalier Gazzoni»: questi versi indimenticabili per chi era adolescente negli Anni 60 del ‘900 si trovavano nelle confezioni di un prodotto oggi impensabile in un’Italia in cui l’acqua del rubinetto sembra non volerla bere più nessuno (anche se per difenderla è stato fatto un referendum). Allora invece c’era chi aveva inventato le bustine per rendere effervescente quell’acqua.

    Oltre all’Idrolitina, sui banchi dei supermercati che all’epoca iniziavano a costellare piccole e grandi città si trovavano tra le altre anche la Cristallina, la Frizzina, la Salitina M. A. In tutte c’erano bicarbonato di sodio, acido malico e acido tartarico in polvere, che a contatto con l’acqua la facevano diventare «frizzante». L’Idrolitina in particolare prevedeva in bottiglie con il classico tappo a molla un doppio intervento con due bustine, e se non eri capace a seguire i tempi giusti rischiavi che l’acqua anziché frizzante diventasse una semplice schifezza. Ma quei prodotti ci parlano anche di un’Italia dove il vino non era ancora un arnese da gioielleria e c’era chi lo «arricchiva» con l’acqua frizzante e chi (orrore) ci metteva dentro fette di limone o lo mescolava (orrore doppio) con l’aranciata. A pensarci bene l’Idrolitina è uno splendido simbolo di anni forse più poveri ma certo più effervescenti, in cui eravamo tutti, come avrebbe potuto cantare Celentano, ragazzi della via glu-glu.

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  9. la sirenetta
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    Né aglio né cipolla, lo scalogno

    Si pensa sia stato portato dai popoli che migrarono dal Medio Oriente verso l'Europa, e che fosse originario della città di Ascalone di Giudea. Ovidio lo considerava un potente afrodisiaco, così come fecero gli antichi prima di lui, e si sa che venne coltivato nei giardini di Carlo Magno. È lo scalogno (Allium Ascalonicum), un "parente" di aglio e cipolla (appartiene alla famiglia delle Liliacee) i cui bulbi, dalle dimensioni che ricordano quelle dei bulbi d'aglio, si differenziano dalla cipolla per via di un sapore più delicato e aromatico, e dall'aglio per il gusto meno pungente.

    In cucina si presta a diversi usi, sia a crudo che come ingrediente per un soffritto. In particolare, le foglie, raccolte ancora verdi e tagliate finemente, sono ideali per insaporire insalate, mentre i bulbi sono spesso decisivi nella preparazione di salse e gustosi come ingrediente per un ragù. Come per quel che riguarda la cipolla, le lacrime sgorgano al momento del taglio: in prima battuta, con l'azione del coltello, si libera infatti acido propensolforico, il responsabile della lacrimazione, mentre il caratteristico odore è dato allo scalogno dal solfuro di allile, che risulta utile al nostro organismo come un ottimo disinfettante intestinale, ed è indicato anche per favorire le funzioni digestive, come vermifugo e come battericida. In più, è un ottimo antiradicalico, quindi un valido alleato nel contrastare l'invecchiamento.

    Nella nostra penisola è molto apprezzato lo scalogno coltivato nei territori tra Faenza, Forlì e Imola, ovvero quello Scalogno di Romagna che fin dal 1997 ha ottenuto il marchio IGP. Uno scalogno che ha un sapore suo particolare, più forte e profumato di quello della cipolla e più dolce di quello dell'aglio, e che presenta una particolarità molto interessante: non producendo fiori non fornisce la possibilità di uno scambio di pollini tra infiorescenze di più piante, perciò è fondamentale conservare una parte dei bulbi raccolti nel corso dell'anno da poter piantare per ottenere un nuova produzione.

    Sono molte le proprietà benefiche per l'organismo dello scalogno. Intanto per il contenuto di selenio, che risulta importante per l'accrescimento e ha una azione antiossidante, e di silicio, fondamentale per il buon funzionamento del nostro corpo. Quindi per il contenuto in vitamina C, anche se c'è da considerare che per assimilarla al meglio, lo scalogno dovrà essere mangiato crudo, visto che la cottura la distrugge. Ma lo scalogno è anche ricco di fibre, contiene fosforo, le vitamine del gruppo B, la vitamina A, le antocianine, sostanze che conferiscono quel colore violaceo al bulbo, utilissime per i capillari e per la circolazione in generale. Inoltre contiene flavonoidi, sostanze vegetali ed azione antibiotica, e in particolare la quercitina, alla quale recenti studi scientifici attribuiscono proprietà utili nella prevenzione dei tumori.

    Si terrà l'annuale Fiera dello Scalogno di Romagna nel centro storico di Riolo Terme, dominato dall' imponente Rocca Sforzesca. Nelle vie centrali del paese ci sarà la mostra mercato dove sarà possibile incontrare i produttori, i ristoranti non mancheranno di proporre pietanze a base di scalogno e sarà allestito uno stand gastronomico tutto dedicato al piccolo bulbo, naturalmente con menu a tema.

     
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  10. la sirenetta
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    Serve il pascolo turnato per fare lo storico bitto

    Formaggio di grande tradizione e straordinaria attitudine all'invecchiamento, il bitto si produce storicamente nelle valli formate dal torrente da cui prende il nome: Gerola e Albaredo, in provincia di Sondrio. Qui si pratica il pascolo turnato: nei tre mesi di alpeggio, la mandria è condotta dalla stazione più bassa a quella più alta. Lungo la via, i tradizionali calècc (millenarie costruzioni in pietra) fungono da baita di lavorazione itinerante, in modo che il latte non debba viaggiare. Un'altra pratica, promossa dai produttori storici, è la monticazione, insieme alla mandria bovina, delle capre orobiche.

    Il latte di questi animali entra per un 10-20% nella produzione del bitto e gli conferisce una speciale aromaticità e persistenza. Il bitto stagionato è straordinario da tavola, e quando poi si prolunga l'affinamento per 6-7 anni o più, diventa uno dei rarissimi formaggi da meditazione del mondo. Il Presidio Slow Food nasce per valorizzare la produzione d'alpeggio dell'area storica e per fare in modo che i produttori ricevano la giusta remunerazione per il loro lavoro di conservazione del territorio.
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  11. la sirenetta
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    Il progresso navigava
    con la noce moscata

    Fin dagli inizi del ’400, dalla Fortaleza de Sagres a Cabo de São Vicente, nel Sud del Portogallo, Enrico il Navigatore scrutava l’oceano e immaginava terre da esplorare oltre l’orizzonte che il suo sguardo non riusciva a superare. Organizzò una scuola di navigazione perché si mettesse a punto, in segreto, un tipo di nave capace di sfondare quel limite. Un vero e proprio laboratorio, in cui chiamò a cooperare geografi, matematici ed esperti di tecnica velica. Fu lì che nacque la caravella, prima nave tecnologicamente capace di dimostrare che il mondo non finiva lì dove cominciava il mare. Le imbarcazioni portoghesi presero ad avventurarsi lungo la costa occidentale africana, spesso tornando cariche di schiavi da scaricare e mettere in vendita nel porto di Lagos. Ma bisognò attendere quasi la fine del secolo perché Vasco de Gama arrivasse fin dove l’Africa finiva e scoprisse che si poteva continuare a navigare virando verso Est, oltre quello che fu chiamato Capo di Buona Speranza: andò così incontro agli aromi delle spezie d’Oriente lungo una via tutta liquida, navigando al largo, in questo modo liberando il lungo percorso da tutti gli ostacoli che dovevano superare le spedizioni via terra.

    Perché non è che avventurandosi sempre più a fondo nel mondo ignoto grazie allo sviluppo della tecnologia marittima l’uomo occidentale scoprì le spezie. Furono piuttosto l’inseguimento delle spezie e la ricerca della via più scorrevole per commerciarle a stimolare l’esplorazione del pianeta. Di questo si dichiara convinto John Keay, autore di una recente e ricca ricostruzione storica e geografica ( La via delle spezie , Neri Pozza). «La scoperta delle Americhe, la circumnavigazione dell’Africa e l’individuazione del collegamento mancante nella circonferenza del mondo che fu il Pacifico - ribadisce deciso Keay - furono tutti rinvenimenti incidentali rispetto alla ricerca di odori forti e fragranze». Beni di lusso, le spezie, inessenziali, il cui fascino consiste proprio nella loro «gloriosa irrilevanza». Ma poiché la storia, per dirla con Keay, ama il paradosso, ecco che «le spezie diedero impulso allo sviluppo dell’ingegneria navale, della scienza della navigazione e di quella balistica che, con il tempo, conferirono alle potenze marinare dell’Europa occidentale la superiorità sulle altre nazioni consentendo loro di assurgere alla supremazia e all’impero».

    Almeno due millenni prima di Vasco de Gama già le civiltà più evolute si spingevano avventurosamente verso i punti dove si poteva intercettare il passaggio di sostanze come la noce moscata, il chiodo di garofano e la cannella. Percorsi tortuosi via mare e via terra, infilandosi lungo ampi spezzoni terrestri della Via della Seta, che partiva dalla Cina. Il periodo greco-romano ha preceduto quello indo-arabo. E i cinesi, dal lato opposto, arrivavano a fornirsi alla stessa fonte. Plinio, Erodoto e Seneca ne fanno ampi cenni. Navigatori temerari e anche un po’ inaffidabili come il persiano Burzuk raccontano storie più fantasiose di quelle delle Mille e una notte . Diaristi di bordo e visionari di varie specie, come Mandelville, già viaggiante, stando ai suoi racconti, all’epoca di Ibn Battuta. A Oriente delle Indie affermava d’aver visto gente con la testa di cane o di uccello, quando non addirittura senza testa e con gli occhi piantati sulle spalle, e altre mostruose stranezze.

    Descriveva isole lontane in cui cresceva ogni tipo di spezie, Mandelville. Già, ma quali isole? Quando Vasco de Gama trovò il varco liquido per l’Oceano Indiano, le isole Molucche e le Banda, galleggianti ancora più a Est, oltre il Mar della Cina, dove l’Oceano diventava Pacifico, non erano ancora state calpestate da piedi europei mossi da brama di Conquista, sostantivo che anche nelle bolle pontificie aveva sostituito quello di Esplorazione. Era lì, appena superato il Borneo e appena sopra l’ultimo sottile lembo d’Indonesia, il cuore della produzione delle spezie più pregiate e appetite. Ci arriverà un po’ più tardi Antonio d’Abreu, nominato comandante come premio per l’eroismo manifestato durante l’ultimo cruento assalto portoghese a Melaka, strategico porto della Malesia. Ma ormai la rotta per arrivarci da Nord-Ovest era tracciata. Scavallato il Capo di Buona Speranza si risaliva al largo della costa orientale africana, fino ad attraversare il Mare Arabo e raggiungere i porti di Goa, Calicut e Cochin nel Malabar, sulla costa occidentale indiana. Una volta poste lì le basi si circumnavigava l’India e Ceylon per attraversare il Golfo del Bengala e infilarsi nello Stretto di Malacca, tra Malesia e Sumatra, e procedere lungo tutta l’Indonesia fino ad approdare alle «isole delle spezie», su tutte Ambon, Timor e Ternate.

    Ci si poteva arrivare anche dall’altra parte, come dimostrò Magellano trovando il passaggio a Sud-Ovest che dall’Atlantico immetteva nel Pacifico, ma fu sulla rotta di Vasco de Gama, tracciata a forza rivelando indole sanguinaria e carattere irascibile, che si svolse il più della lotta colonialista per il dominio sul commercio delle spezie, al cui primo periodo portoghese-spagnolo seguì quello olandese-inglese. Sfide sanguinose per il controllo delle basi necessarie al controllo di quel traffico: ne fecero le spese soprattutto i nativi, con un’attenzione particolare per quelli delle isole Banda, i più recalcitranti alla sottomissione e riguardo i quali le potenze europee condividevano un’opinione sintetizzata nelle istruzioni impartite ai capitani inglesi che definivano i bandanesi «irascibili, perversi, diffidenti e perfidi… perfino disgustosi, in certe occasioni, e quando si muovono sono più fastidiosi delle vespe». Un’opinione che «giustificò» torture, riduzione in schiavitù, deportazioni. E una soluzione finale chiamata «il massacro di Ambon».

    L’egemonia lungo la «via delle spezie» passava di mano, ma il commercio rimase florido fino all’800. Il fascino di quei prodotti esotici non è però evaporato, anche se oggi irretisce prevalentemente i pacifici gourmet.


     
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  12. la sirenetta
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    Il frutto del diavolo

    Sarà celebrata tra qualche giorno a Bologna, con la terza edizione della settimana della Patata in Bo, che si svolgerà dal 26 settembre al 2 ottobre. È la patata, tubero dalle antichissime origini importato nel Vecchio Continente con la scoperta delle Americhe, che solo dopo qualche secolo ha finito per affermarsi sulle tavole europee, ed anche italiane, dopo essere stato considerato con diffidenza, ad esempio a causa del fatto di dover essere consumato previa cottura, ed aver fatto bella mostra di sé principalmente come pianta ornamentale. Un alimento che si è rivelato un prezioso sostentamento per le classi più umili, ed ancor più in tempo di guerra, costituendo la dieta principale di molte popolazioni.

    Solo dopo il 1845, con l'attacco di quella peronospora che in Irlanda provocò la distruzione dei raccolti e innescò quella che viene oggi ricordata come la Grande Carestia, anche in Italia la patata è stata studiata e rivalutata a dovere, diventando protagonista di moltissime ricette. Come quella delle "chips", ovvero le sfoglie sottili fritte che oggi troviamo nelle buste di plastica insieme alle sorpresine per i bimbi. Il cuoco George Crum le preparò per la prima volta a New York nel 1853, reagendo così alla provocazione di un cliente che reputava le sue "french fries" troppo spesse. Crum preparò delle sfoglie tanto sottili da non poter essere infilzate con una forchetta, ma, come spesso accade nelle storie a lieto fine, il cliente apprezzò invece di sentirsi offeso, e come lui ordinarono quella novità anche molti dei presenti.

    Sarà proprio l'appuntamento bolognese a cavallo tra la fine di settembre e l'inizio di ottobre a contribuire a far conoscere al grande pubblico le patate tipiche d'Italia e le relative ricette tradizionali. Dopo il successo delle due precedenti edizioni, Patata in Bo aprirà le sue porte forte della partecipazione di oltre 100 ristoratori da tutta Italia e di oltre 400 panificatori che, in occasione dell'evento, riscopriranno l'antica ricetta del "pane alla patata" e per tutta la settimana la riproporranno. Sarà l'occasione per celebrare anche la varietà locale "Primura", vanto del territorio riconosciuta con la Denominazione di Origine Protetta che si è affermata nella zona a partire dagli Anni '60/70, selezionata in Olanda e buona per tutti gli utilizzi in cucina.

    Ma la manifestazione celebrerà anche le altre varietà di patate, come la bianca del Melo, quella di Regnano, della Sila e di Santa Maria a Monte, la rossa di Colfiorito, la tipica Trentina di montagna e quella della Valle Belbo. Sono infatti oltre 40 le patate tipiche italiane e ciascuna di esse appartiene ad un territorio, spesso ricco di piatti tipici che la contemplano. Dal pane di patate agli gnocchi, passando per le crocchette, il purè, il gateau e le patate al cartoccio, c'è solo l'imbarazzo della scelta per la realizzazione di una ricetta a base di patate.

     
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  13. la sirenetta
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    57ma edizione per il Festival Internazionale delle ostriche e dei frutti di mare.

    In Irlanda sapore di ostriche e frutti di mare


    Ambiente e cultura, storia e folklore... e gastronomia. Incredibile Irlanda: orfana del boom economico che sembrava averla improvvisamente risarcita da secoli di miseria, ma vivace, irrequieta e ospitale come solo gli irlandesi sanno esserlo. Di sicuro non troverete soltanto loro lungo le strade e nei ristoranti di Galway, capitale dell’omonima contea, il 23, 24 e 25 settembre. Appuntamento con il Festival Internazionale delle ostriche e dei frutti di mare, ormai alla 57° edizione. Da non perdere, sabato 24, il Campionato Mondiale di apertura delle ostriche che ogni anno attira centinaia di concorrenti da tutto il mondo: chiunque può mangiare ostriche, la vera sfia è aprirle e sgusciarle a tempo record: operazione non necessariamente semplice. Provare per credere.

    Il Festival nella pittoresca cittadina attraversata dal fiume Corrib è uno degli innumerevoli specchi nei quali si riflette la storia di un Paese che non si finisce mai di scoprire: così come si specchiano nelle onde grige dell’Atlantico le colossali scogliere di Moher affacciate sulla costa a Ovest. A proposito: se decidete di puntare sulle Cliffs, concedetevi una sosta a Ballyvaughan, dove potrete gustare sandwiches stratosferici farciti con salmone affumicato e polpa di granchio freschissima.

    Nel caso di Limerick, altra capitale di contea ma decisamente più a Sud, il pezzo da novanta è il King John’s Castle, possente castello anglo-normanno. Imperdibili le segrete, specie per i bambini, dove un impianto audio replica il cigolio della corda di un impiccato. Prima di Limerick vi accoglie la cittadina di Ennis, palpitante di suoni, colori e profumi. Una piccola deviazione è sufficiente per raggiungere Quin: il chiostro medievale dell’abbazia francescana, tra i meglio conservati d’Irlanda, si sposa a meraviglia con i piatti robusti forniti dal pub locale. Si chiama "The Monks Well": le fette di bacon bollito, tagliate spesse e servite con l’insalata di cavolo, soddisfano i palati più esigenti.

    Da Limerick, tagliando orizzontalmente l’isola verso Est, si raggiungono in tre ore d’auto Waterford, poi Wexford - dove il profumo della salsedine fa il paio con i colori pastello dei pescherecci ormeggiati lungo il molo - e infine il porto di Rosslare. A metà strada tra Waterford e Wexford, ma più a Sud, il più antico faro d’Europa. Risalente al 1172, e tuttora in servizio, sfida i marosi arroccato sulla rossa arenaria. La costa, ricca di fossili e popolata da foche e uccelli marini, offre splendide occasioni di passeggiate.

    Sono i tesori di un Paese bello e sfortunato, dove le guerre sono sempre andate di pari passo con la fame. La seconda, culminata con la Grande Carestia del 1945-48, la trovate riassunta sui ponti del "Dunbrody", il veliero ancorato nel porto di New Ross, a Nord del faro. Da qui, ma anche da Cork, da Westport e da Cobh, frotte di disperati si imbarcavano per una traversata che dopo settimane di tribolazioni li dirottava in Sud America o in Australia. La vista delle cuccette di seconda classe e i monologhi dei figuranti a uso del pubblico rendono l’idea.

    Risalendo l’isola tenendosi a Nord Est, in uno dei mille itinerari alla scoperta dell’Irlanda più vera, vi imbattete nelle rovine di Glendalough - il monastero fondato da San Kevin nel VI secolo - sintesi del Paese lentamente strappato dal cristianesimo agli antichi culti pagani. Emblematica la torre cilindrica in pietra che domina il complesso, estrema difesa contro le scorribande dei Vichinghi. Qui troneggiano alcune delle più belle croci celtiche d’Irlanda. Consigliabile una visita alla vecchia prigione di Wicklow, dove sarete accolti e trattati come veri galeotti da aguzzini in costume. La vicina Brittis Bay offre vedute mozzafiato.

    Ancora più a Nord Dublino, che però fa storia a sè. Ad appena un’ora di macchina dalla capitale si staglia il pretenzioso museo intitolato alla battaglia del Boyne, con i vecchi cannoni lucidati esposti all’ingresso e le divise storiche. Rimanda a un’altra Irlanda: quella lacerata dal secolare conflitto tra cattolici e protestanti. Fa specie pensare che tutto ebbe inizio tra queste placide colline irrorate dal fiume Boyne nel 1690, quando le truppe protestanti di Guglielmo d’Orange sconfissero quelle di Giacomo II spianando la strada alla repressione dei cattolici.

    Nella stessa zona potete godervi una sintesi dell’Irlanda preistorica disseminata di dolmen, steli e necropoli che culminano nel trionfo dei grandi tumuli circolari di Knowth, Dowth e soprattutto Newgrange. Con un di più che, nel caso di Newgrange, rimanda all’incursione del sole nel cuore della struttura. Succede una volta l’anno, all’alba del 21 dicembre; se durante la visita lasciate il vostro nome, potreste essere estratti a sorte e richiamati per condividere con un gruppo ristretto il privilegio di vedere la luce del sole penetrare come una lama fino alla camera sepolcrale.
     
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  14. la sirenetta
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    Le tisane



    Sebbene l'uso comune le abbia identificate con un preparato specifico, sono in realtà ogni preparato che utilizzi l'acqua come solvente, ovvero come veicolo per estrarre i principi attivi della pianta: decotti, infusi e macerati sono tisane. In assenza di specifiche indicazioni, si assumono:

    AL MATTINO a digiuno le tisane depurative, lassative, diuretiche, vermifughe, decongestionanti dello stomaco e dell'intestino;

    PRIMA O DOPO I PASTI quelle per il fegato, antireumatiche, antisettiche, antigottose, cardiotoniche, anticatarrali e quelle che regolano il flusso mestruale;

    VENTI MINUTI PRIMA DEI PASTI quelle dimagranti, ricostituenti, antiacide e rimineralizzanti;

    DOPO I PASTI le tisane digestive, sedative, antiacide, antifermentative e quelle per i gas intestinali;

    PRIMA DI DORMIRE le tisane sedative, lassative, cardiotoniche e per la circolazione sanguigna.


     
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  15. la sirenetta
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    L'eccellenza della nocciola

    Un prodotto di cui l'Italia è tra i primi produttori mondiali, le cui tracce più antiche sono state ritrovate in Nord Europa e risalgono all'incirca ad un milione di anni fa. Ma la coltivazione della nocciola, ovvero il frutto della pianta del nocciòlo, appartenente al genere Corylus, sarebbe arrivata molto più tardi, così come il riconoscimento delle varietà migliori e più adatte al consumo alimentare. Eppure per parecchio tempo le nocciole hanno rappresentato per le popolazioni nomadi un'importante fonte di sostentamento, grazie al contenuto significativo di aminoacidi essenziali e di vitamina E, ed alla ricchezza in lipidi, con un apporto calorico che risulta pari a 700 Kcal per 100g di nocciole secche.

    Le regioni italiane dove la coltivazione del nocciòlo è maggiormente diffusa sono la Campania, il Lazio, il Piemonte e la Sicilia, e le varietà più conosciute sono in particolare la Tonda di Giffoni (IGP), la Tonda Gentile Romana (DOP) e la Tonda Gentile delle Langhe (IGP), da più parti riconosciuta come la più pregiata al mondo. La Tonda di Giffoni si produce nel salernitano, e le sue caratteristiche peculiari sono la forma perfettamente rotondeggiante del seme, che presenta una polpa bianca, consistente, dal sapore aromatico, e il fatto di essere particolarmente adatta alla trasformazione industriale, dalla granella fino alle preparazioni dolciarie.

    La Tonda Gentile Romana, coltivata e selezionata fin dal XV secolo, ha come caratteristiche una "tessitura compatta e croccante, senza vuoti interni, con sapore e aroma finissimo e persistente" e una forma leggermente appuntita. Un prodotto cui viene destinata una percentuale consistente della superficie agricola del territorio, in particolare nella zona del viterbese, e che nel tempo si è affermato in molte ricette tipiche e viene celebrato in sagre e feste.

    Ultima, ma non certo in ordine di importanza, la Tonda Gentile delle Langhe, presente sul territorio fin dall'antichità ma coltivata sistematicamente solo a partire dagli anni '30 del secolo scorso, sulla spinta di un'industria dolciaria che ne aveva colto le enormi potenzialità e dopo il fortunatissimo incontro con il cioccolato, che ne esaltava al massimo le qualità. Oltre infatti ad un profumo intenso, un gusto pieno e un aroma persistente, questa nocciola è particolarmente apprezzata per la forma sferoidale del seme, il gusto ed l'aroma eccellenti dopo la tostatura, l'elevata pelabilità e la buona conservabilità. Un frutto tra l'altro dalle nobili proprietà nutrizionali, visto che rispetto alle altre varietà italiane ed estere presenta un alto contenuto in olio (circa il 70%).

    E dopo i recenti festeggiamenti di "Nocciolando in Alta Langa", l'evento che ha racchiuso sia la Fiera della Nocciola Piemonte IGP che la 10ª Assise Nazionale Città della Nocciola, tocca a Castellero d'Asti celebrare in questi giorni la nocciola più pregiata al mondo.
     
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80 replies since 4/11/2010, 09:26   3302 views
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