Antichi sapori,alimenti di altri tempi,spezie ,intingoli ,utensili dimenticati,ricordi e ...dintorni

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. la sirenetta
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    La melagrana: gusto e benefici di un frutto dalle antiche origini.

    Non è difficile in questo periodo imbattersi in una pianta di melograno carica di frutti maturi, anche perché non avendo in Italia l'abitudine ad una coltivazione intensiva di queste piante, le si possono trovare un po' ovunque, come sottolineano da Slow Food "dalle rosse fuoco della collina di Torino alle ottime di Pachino in Sicilia". Una sorta di garanzia di qualità per le melagrane nostrane, che forniscono quindi la certezza di non aver subito alcun trattamento chimico durante il loro sviluppo.

    Originaria probabilmente del Medio Oriente, la melagrana è un frutto che ha assunto nel tempo un valore simbolico a fianco di quello prettamente legato al suo utilizzo in cucina, tanto che è stata un simbolo di fertilità per lungo tempo, soprattutto per la caratteristica di proteggere al suo interno centinaia di piccoli semi dal colore rosso acceso, la parte edibile del frutto. Le giovani spose romane intrecciavano fra i capelli i rami della pianta, e la tradizione turca vuole che le spose gettino a terra una melagrana come auspicio per avere una prole numerosa, ovvero tanti figli quanti sono i chicchi rossi che rimangono al suolo. Ma la "mela con i semi" assume significati sia nella tradizione ebraica, dove è simbolo di giustizia (avrebbe 613 chicchi all'interno, come le leggi della Torah), sia in quella cristiana (viene più volte rappresentata in celebri dipinti) o addirittura in quella egizia.

    Ricca dal punto di vista nutrizionale, ad esempio di vitamine e antiossidanti, è al centro di numerosi studi tesi ad indagare circa le sue proprietà benefiche per l'apparato cardiovascolare e antitumorali. Una volta acquistata, o colta direttamente dall'albero, è consigliabile tagliarla a spicchi per eliminare la buccia e la pellicola che riparano i frutti. Immergendo gli spicchi in acqua per una decina di minuti sarà più facile separare la buccia dai semi, anche perché questi ultimi cadono sul fondo, lasciando galleggiare in superficie solo le parti da eliminare.

    In cucina la melagrana era stata molto usata, in particolare nei ripieni, nel Medio Evo, poi aveva pian piano perso quella funzione di "contrasto" e si era accontentata di un uso decorativo, o come ingrediente per dolci. Oggi però non mancano gli chef che la ripropongono sia in abbinamento alle carni, oppure nei risotti, per sfruttare quel sapore dolce e un po' acidulo tipico del frutto. Frutto che più di qualcuno considera il "re dei frutti", anche per via di quella specie di corona che pare adagiata sulla rossa rotondità.

     
    Top
    .
  2. la sirenetta
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    L'orto fonte popolare di aromi

    Carlo Magno già alla fine dell'VIII sec. riconosceva l’importanza dell’orto nel suo Capitulare de villis.
    In questo trattato è possibile leggere: “volumus quod in horto omnes herbas habeant” (vogliamo che nell’orto ci siano tutte le erbe). Più di settanta le specie elencate, utilizzate per uso alimentare, aromatico e medicinale.
    Furono i monasteri i luoghi dove lavorare l'orto divenne un'arte, legata a conoscenze e capacità non solo empiriche ma anche botaniche ed erboristiche.
    In genere la cultura medioevale europea, assai attenta a segnalare le differenze di ceto anche con gli usi alimentari, identificava le verdure come “cibo da poveri”, e il fetore d’aglio, cipolla o porri veniva spesso evidenziato negli scritti dell’epoca.
    Invece, nei ricettari italiani di corte, per la profonda condivisione di saperi tra mondo contadino e quello cittadino-nobiliare, comparivano con naturalezza non solo verdure, ma anche funghi, tartufi ed erbe odorose come maggiorana e menta (i due profumi caratteristici della cucina medievale e rinascimentale), rosmarino, prezzemolo, salvia, aneto.

     
    Top
    .
  3. la sirenetta
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    Vi presento Madama Cicerchia

    I romani la chiamavano "cicercula", le regioni centrali e del sud del nostro paese ne conoscevano qualcosa come una ventina di varietà che con il tempo si sono sempre più andate assottigliando, e se non fosse per la volontà, ma potremmo anche chiamarla "resistenza alimentare", di alcuni determinati contadini, adesso difficilmente potremmo trovare questo legume, prezioso in molte epoche di carenza di cibo per il suo contenuto proteico, sulle nostre tavole, se non nella standardizzata versione industriale.

    Nella seconda metà del secolo scorso, ad esempio, erano rimasti in pochi i contadini di Serra de' Conti, nell'anconetano, che coltivavano la varietà minuta e giallognola locale, che ha bisogno di un ammollo di cinque/sei ore e cuoce in una quarantina di minuti. Appena prima della definitiva scomparsa, un gruppo di giovani agricoltori si è riunito nella cooperativa "La Bona Usanza" proprio per salvare la cicerchia di Serra de' Conti, Presidio Slow Food, che tra le sue qualità presenta una buccia poco coriacea e un gusto meno amaro delle altre varietà. Dalla cooperativa arriva voce che sia "ottima in zuppe e minestre, ma anche cucinata in purea o servita come contorno dello zampone". In più, con la farina di cicerchie, si preparano maltagliati e pappardelle.

    Ma anche nel napoletano, nella zona dei Campi Flegrei, vi è una lunga tradizione che lega i contadini a questo legume, che qui si semina all'inizio dell'anno per essere raccolto tra luglio e agosto. La cicerchia dei Campi Flegrei si presenta spigolosa, di piccole dimensioni e con colorazioni che vanno dal grigio al marrone chiaro, ed è famosa per avere una forte resistenza alle condizioni anche molto difficili, una caratteristica che la rende particolarmente simile agli abitanti di quello stesso territorio. La raccolta è ancora manuale, e per separare il seme dal baccello si usa il vivilo, un antico attrezzo contadino. Una raccomandazione: prima di metterle in ammollo fate attenzione ad individuare eventuali sassolini, che potrebbero confondersi per forma e colore con le cicerchie.

    Una maniera interessante di gustare le cicerchie in cucina, oltre che in zuppa? Dalle parti del Conero si usa servirle con un guazzetto di calamari, con cipolle e pomodoro. Una ricetta che sarebbe piaciuta di sicuro anche alla Madama Cicerchia della canzone napoletana del 1903, di Salvatore Gambardella e Aniello Califano, quella che "Diente 'mmocca nun tene cchiù e vò' ancora 'o zùchetezù" (Denti in bocca non ne ha più e vuole ancora divertirsi).
     
    Top
    .
  4. la sirenetta
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    Dalle cipolle alle cassate
    in Italia è tutta glassa che cola


    Fedele al vecchio proverbio cinese «Quel che passa tutto inglassa», la cucina italiana vede molte specialità con la glassa. Artusi però rifiutava questo termine di origine francese e preferiva al posto del verbo glassare il verbo crostare. Il che però toglie fascino all’idea di avvolgere in uno strato caramelloso cose tanto dolci quanto salate.

    Un classico sono infatti le cipolline e le carote glassate. In genere si fanno prima bollire e poi si mettono in una padella, con burro, zucchero e aceto e si lasciano rosolare per quasi un’ora. Se dal salato passiamo al dolce al Nord trionfano i marron glacé che altro non sono che castagne glassate. La loro preparazione richiede varie fasi e oggi in pasticceria è più facile trovare castagne candite che non autentici marron glacé .

    Sempre al Nord da non dimenticare le piccole glasse al cioccolato o a gusti vari che ricoprono i bigné nei classici «cabaret di pastarelle» (come cantavano Ric e Gian e Lola Falana in una celebre trasmissione della domenica pomeriggio ai tempi della tv in bianco e nero).

    In Sicilia la glassa di zucchero (a volte è verde perché contiene anche il pistacchio) ricopre le cassate di piccole e grandi dimensioni. Insomma in Italia è tutta glassa che cola. Per questo di una cosa si può essere certi, che nonostante la crisi economica non c’è nessuna agenzia di rating internazionale in grado di deglassare l’Italia.

     
    Top
    .
  5. la sirenetta
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    La rapa piace anche se non è una cima

    Diciamolo subito la rapa è un ortaggio che non gode di buona fama, basti pensare a espressioni popolari come «testa di rapa», per indicare una persona non proprio intelligente, o «cavar sangue da una rapa», per esprimere uno sforzo del tutto inutile.

    Eppure la rapa qualche pregio ce l’ha: ci riporta a un mondo contadino e povero dove anche una radice come la brassica rapa (questo il nome scientifico) trovava in cucina una sua utilizzazione, ad esempio gratinata oppure cotta con il lardo o in zuppa con il riso.

    Peraltro la rapa è una pianta versatile e non se ne utilizza solo la radice (una specie molto diffusa è la «palla di neve», di moda in questo periodo), ma anche la cima, ossia l’inflorescenza, prima che fiorisca. E si può dividere il Bel Paese a seconda di quale parte della rapa consuma: al Nord si mangia soprattutto la radice, al Centro (in Toscana si chiamano rapini) e al Sud soprattutto le cime. Siccome ogni regione ha il suo lessico e ama confondere le acque, in varie regioni del Sud le cime di rapa si chiamano anche broccoletti, a Napoli invece friarielli o broccoli di rapa, mentre con il termine di broccoli di foglia si intende una variante del broccolo.

    In Puglia uno dei cibi di culto sono le orecchiette con le cime di rapa, ma queste ultime si possono gustare anche lessate e poi ripassate in padella con aglio, olio, peperoncino e pan grattato. Sono un piatto che si cucina molto di frequente: ad ogni morte di rapa.


     
    Top
    .
  6. la sirenetta
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    La Sibilla amava le mele rosa

    Le mele rosa si coltivano da sempre nelle Marche, dalle aree pedecollinari fino alle valli appenniniche e ai versanti dei Monti Sibillini. Un tempo erano ricercate per la loro serbevolezza: raccolte dalla fine di agosto alla fine di ottobre, possono essere consumate fino a tutta la primavera successiva. La loro coltivazione era stata quasi abbandonata, ma da qualche anno è ripresa grazie al lavoro della Comunità Montana dei Sibillini. Il Presidio Slow Food ne ha individuato otto ecotipi, appartenenti a tre gruppi: le prime sono verdi con striature rosa o giallo aranciato e polpa soda e croccante; le seconde sono tenere e gialle, con sovracolore rosso vivo nella parte soleggiata del frutto; quelle del terzo gruppo, infine, sono sode, verdi, con striature rosso vinoso e sode. Tutte e tre le tipologie sono piccoline, irregolari, leggermente schiacciate, dal peduncolo cortissimo; la polpa è acidula e zuccherina, il profumo intenso e aromatico. I produttori del Presidio sono riuniti in un'associazione che si adopera per un'efficace promozione, un'adeguata commercializzazione e remunerazione.
     
    Top
    .
  7. la sirenetta
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    I cardi, questi sconosciuti

    Non si parla spesso dei cardi, tipici della stagione invernale, ma bisogna sapere che si tratta di un ottimo ortaggio. Simile al sedano ma appartenente alla famiglia dei carciofi, è difficile da coltivare. I loro gambi, cioè la parte commestibile, si presentano piuttosto duri e dal sapore amarognolo: per contrastare l'amaro i cardi devono essere coltivati il più possibile senza luce, per poter eliminare il colore verde e renderli più candidi.

    Quello che conta molto sono le pochissime calorie che possiede e il fatto che, mangiando un piatto a base di cardi, ci si senta sazi e soddisfatti. Può essere quindi arricchito di sapore anche utilizzando una certa quantità di grassi. Tra le specie più conosciute spicca il cardo gobbo, che si presenta curvato, quasi fosse accartocciato su se stesso, e il cardo selvatico, che cresce allo stato spontaneo e viene utilizzato in cucina come il cardo coltivato.

    Le varietà più diffuse in Italia sono: il cardo di Bologna, privo di spine, con costole piene, di media grossezza; il cardo di Chieri, molto diffuso in Piemonte, di buona qualità, poco spinoso e facilmente conservabile; il cardo di Tours, che seppur di varietà pregiata è poco diffuso perché spinoso; il cardo gigante di Romagna, coltivato nell'intera area romagnola; il cardo alato, che si trova comunemente nelle zone umide ed erbosee e il cardo triste, che si distingue per i copolini fiorati rosso porpora.

    Solo i cardi di ottima qualità, come quelli gobbi, si possono mangiare crudi, gli altri vanno sottoposti a cottura anche piuttosto prolungata che va dai 30 ai 60 minuti. Per evitare che si scuriscano, vanno cotti immediatamente oppure conservati in acqua acidulata. In genere si cucinano gratinati al forno o fritti: la prima cottura, che impiega svariate ore, viene generalmente fatta nel latte o in acqua.

    Il cardo si sposa molto bene con le acciughe sotto sale, infatti è un accompagnamento obbligatorio per la bagna cauda, la salsa bollente piemontese a base di acciughe, burro e aglio. In Sardegna viene prodotto un tipico liquore a base di cardo e sono noti i cardi selvatici sott'olio.

     
    Top
    .
  8. la sirenetta
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    Nocciola: a mezzanotte
    va la tonda del piacere

    Tanto gentile e tanto tonda pare...: così Dante avrebbe potuto cantare la nocciola, una prelibatezza che unisce l’Italia. Le nocciole più pregiate (le tonde gentili) infatti si trovano nelle Langhe e a Giffoni in provincia di Salerno (ce n’è anche una romana che non è gentile, ma la cosa non stupisce).

    Oltre a essere tonda e gentile, la nocciola è anche tosta, perché prima di essere utilizzata in genere viene tostata. Difficile snocciolare tutte le qualità della nocciola, frutto del nocciolo, che gli antichi romani chiamavano Corylus avellana : erano soliti scambiarsi questa pianta come augurio di felicità.

    La stessa che sembra dare la nocciola quando è declinata nei mille modi che la nostra pasticceria è riuscita nel corso degli anni a inventare. Si va dalla classica Nutella, di cui la nocciola è un ingrediente fondamentale e che è oggi è una sorta di bandiera con il Tiramisù, dell’Italia dolce nel mondo. Ma ci sono anche le torte di nocciola, i nocciolati e anche gli occhi color nocciola, che non sono sempre dolci, ma hanno grande fascino. A Chivasso in provincia di Torino con la pasta di nocciola fanno i nocciolini, ma non si possono femminilizzare perché con il termine di noccioline, non solo a Chivasso ma in tutta Italia si intendono le arachidi.

    La nocciola piace ai bambini e anche agli adulti, tanto che un celebre tango di qualche anno fa recitava: «A mezzanotte va la tonda del piacere».

     
    Top
    .
  9. la sirenetta
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    Dal Pan Pepato al Pan Biscuit sognando Peter Pan

    Chi vuole rendere pan per focaccia, non ha in Italia che l’imbarazzo della scelta. Può puntare ad esempio sul pan pepato, che è un dolce tradizionale a base di frutta secca, miele, canditi, cioccolato e spezie comune a molte regioni.

    In Umbria però può provare il pan nociato, dove non mancano le noci e il pecorino, mentre in Lombardia si può affidare al pan de mei opan meino , un panino rustico che si preparava con la farina di miglio ed era anche detto pane dei poveri.

    In Toscana a Pasqua si preparava invece il Pan di ramerino, un pane dolce aromatizzato al rosmarino. Chi è esterofilo ha a propria disposizione dalla Francia il pan carré, il pan brioche e il pan biscuit. Dalla Spagna invece non può contare sul pan di Spagna, perché lì non esiste: siamo noi ad aver inventato questo nome. Per chi sogna il mare c’è il pan di sabbia (a Pavia viene chiamato torta sabbiosa: ha la superficie gialla e la scorza di limone dentro). Per chi sta a Siena c’è il panforte, per chi vive nel Lazio il pan giallo, che non ha gli occhi a mandorla, ma le mandorle nell’impasto.

    A Bologna trionfa a Natale il pan speziale, detto anche certosino, perché un tempo si faceva nella certosa vicina alla città. I frati delle certose si sa che avevano a volte qualcosa in comune con gli alchimisti, questi andavano alla ricerca della pietra filosofale e parlavano di fontane dell’eterna giovinezza. Un’eterna giovinezza che un solo pane può dare: si chiama Peter Pan.


     
    Top
    .
  10. la sirenetta
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    Con le barbe di frate
    la vita diventa agretta

    Appare in questi giorni sui banchi dei mercati un ortaggio che si chiama barba di frate. Ha l'aspetto di un ciuffo di fili lunghi e sottili che rassomigliano in effetti alla barbe incolte di certi frati cappuccini. Ma come molte cose nel campo della gastronomia, passando da Nord a Sud, con lo stesso nome si indica un'altra cosa, e la stessa cosa (ossia l'ortaggio di cui sopra) prende un altro nome.

    Andiamo con ordine: con il nome di barba di frate si indica nell’Italia Centrale l’erba stella, mentre quella che al Nord si chiama barba di frate viene chiamata in Centro Italia agretto. E non è finita qui perché invece con il nome di agretto in alcune zone dell’Italia settentrionale si intende il crescione. Insomma ne è venuta fuori (e non poteva essere diverso visto che di frutti del'orto stiamo parlando) una bella insalata. Anche se il modo migliore di cuocere gli agretti o barba di frate che dir si voglia è di farli prima sbollentare in acqua calda e poi ripassarli in padella con aglio olio e peperoncino.

    D'altronde un certo immaginario popolare ha sempre associato ai frati qualcosa di piccante. Anche se parafrasando il grande Luciano Bianciardi (lo scrittore che come nessun altro ha saputo raccontare le contraddizioni dell'Italia del boom, ma anche la vita dei minatori toscani che morivano per gli scoppi di grisù come a Ribolla) si potrebbe dire che non sono certo le barbe di frate a rendere in questo periodo la vita agretta.

     
    Top
    .
  11. la sirenetta
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    Felici come una Pasqua grazie alla pastiera

    Le tradizioni pasquali attraversano tutta l’Italia e non c’è regione che non abbia una sua specialità. Certo le colombe, geniale invenzione di marketing relativamente recente, un po’ come la tv, o forse anche sull’onda della pubblicità tv, hanno omologato anche il dessert di questo giorno di festa. Resistono però dolci come la pastiera, che da Napoli sono emigrate, insieme con le pizzerie, un po’ in tutto il mondo. La pastiera è un dolce che si rifà ad antichi riti della terra: la leggenda vuole a che inventarla sia stata addirittura la sirena Partenope e i suoi ingredienti (il grano, la ricotta, le uova e anche l’acqua di fiori d’arancio) rimandano alle offerte alla dea Cerere. E farla in casa è un rito che richiede tempo e voglia, il grano va fatto cuocere in due tempi, la seconda volta anche con il latte. Poi si tratta di fare la pasta frolla. Insomma si fa prima a cercare una pizzeria o una pasticceria con specialità napoletane. Non c’è una pastiera uguale a un’altra perché al di là degli ingredienti base ci sono mille varianti c’è chi mette la cannella o i canditi e chi no. Di sicuro assaporare il contrasto tra la pasta frolla biscottata esterna e la morbidezza dell’impasto rende felici come una Pasqua.



     
    Top
    .
  12. la sirenetta
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    rom1337g

    Casseruola

    Recipiente in bronzo o argento con vasca e manico piatto, fabbricati in un solo pezzo.
    Il manico é talvolta leggermente sopraelevato all’imboccatura, raramente inclinato verso il basso. A volte con decorazioni sugli elementi di presa. Non se ne conosce la funzione, perchè su nessuna delle casseruole di Pompei o del Museo Nazionale di Napoli si riscontrano tracce di annerimento da fuoco. Questi recipienti sono praticamente gli unici stagnati e fanno parte dei pochi tipi di recipienti in bronzo bollati. Forse contenevano cibi che col bronzo o l'argento potevano deteriorarsi a contatto coi vari sali, e deteriorare il contenitore, il che spiegherebbe la stagnatura, visto che lo stagno è inerte agli acidi.
    Nel I sec. d.c. comparvero le casseruole d'argento, con anse a tralci vegetali, rosette, conchiglie e animali marini, un tirso (tesoro di Boscoreale); nel servizio della casa del Menandro é rappresentata in alto una testa di Medusa. Sicuramente ornamentali o contenitori di frutta secca etc.

     
    Top
    .
  13. la sirenetta
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    Nostalgia, lasagne e buon profumo di ragù

    Con il freddo che torna a farci venir voglia di domeniche in casa, l’idea di una lasagna al forno con ragù e besciamella è sempre invitante. Quest’idea è da sempre associata a quella della mamma o della nonna che si mette la domenica mattina con il mattarello a stendere la sfoglia, mentre dai fornelli si diffonde il profumo del ragù di carne tritata. Oggi questo rito è sempre più difficile da realizzare in toto a casa, così c’è chi compra le lasagne industriali e prepara solo ragù e besciamella, chi compra la besciamella al supermercato, chi taglia la testa al toro compra le lasagne al ragùgià pronte e la domenica mattina, nonostante il cielo grigio, se ne va al Valentino a leggersi il giornale. Per questa tipologia di mangiatore di lasagne abbiamo provato cosa propongono tre gastronomie cittadine. C’è da aggiungere che le lasagne, ossia le sfoglie sottili di pasta (in genere all’uovo ma c’è chi le fa di semola di grano duro) condita in vario modo, sono un classico della cucina emiliana e che dall’Emilia (terra di «sfogline», ossia di donne che preparano la sfoglia) si è estesa in tutta Italia. E che non esistono due case, due ristoranti, due gastronomie che le preparino allo stesso modo, perché nonostante gli ingredienti standard, le varianti e i segreti di famiglia sono infiniti.
    R. Moliterni

     
    Top
    .
  14. la sirenetta
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    Tutti i segreti della mozzarella di bufala

    Tutte le novità, i trend in cucina e nei consumi della Mozzarella di Bufala Campana Dop, eccellenza del Made in Italy, saranno svelate a Paestum dal 7 al 9 maggio, in occasione di Le Strade della mozzarella. L'evento, realizzato da BG Consulting in collaborazione con il Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana Dop e il Comune di Capaccio, vedrà l'arrivo dei più importanti chef italiani, degli opinion leader della comunicazione enogastronomica, del mondo dei foodblogger e di un vasto pubblico di turisti gourmand.

    "Il viaggio" è il tema dell'edizione targata 2012: e quello relativo alla Mozzarella di Bufala Campana Dop sarà un viaggio a 360 gradi. Nel corso delle tre giornate, infatti, i grandi chef ospiti proporranno il loro punto di vista sul più importante prodotto a marchio Dop del Centro-Sud Italia. Il Consorzio di Tutela curerà una serie di incontri e laboratori. Da segnalare l'appuntamento dedicato alla ricerca della migliore acqua in abbinamento alla mozzarella di bufala Dop, in programma l'8 maggio alle ore 19, e l'iniziativa alla scoperta dei diversi territori di produzione della Dop, il 9 maggio alle ore 17.

    Stavolta non non è il Consorzio a portare in giro per l'Italia e per il mondo il prodotto, ma è l'Italia dei tanti estimatori e dei tanti professionisti dell'enogastronomia che si riunisce in Campania per celebrare la mozzarella Dop. L'autorevolezza degli ospiti e la qualità degli appuntamenti sono il segnale concreto dell'appeal sempre più forte che registra il prodotto a livello internazionale. Questa è la strada che il Consorzio intende seguire, legando sempre più il consumo di mozzarella di bufala Dop all'alta ristorazione, ai piatti dei grandi chef, e nel contempo aprendosi al contributo dei foodblogger, che stanno avendo un ruolo fondamentale nel far conoscere e distinguere la mozzarella Dop da tutte le altre in commercio.

    A Paestum saranno presenti, con gli chef, i protagonisti del mondo della comunicazione enogastronomica, tra cui Enzo Vizzari direttore della Guida dell'Espresso, Luigi Cremona curatore della Guida del Touring Club, Clara Barra curatrice della Guida dei ristoranti del Gambero Rosso, Paolo Marchi ideatore di Identità Golose, e Fiammetta Fadda, critico gastronomico di Panorama.

     
    Top
    .
  15. la sirenetta
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    La voluttuosità delle Veneziane

    veneziane

    Una delle poche commedie erotiche della letteratura drammaturgica italiana si chiama La Venexiana , è di autore anonimo del ‘500 e racconta gli intrighi di due nobildonne della Serenissima che si contendono le grazie di un giovane lombardo approdato in Laguna.

    Con il nome di veneziana in tutta Italia, a Torino come a Roma, si chiama invece una brioche dolce ripiena (o meno) di crema pasticcera e ricoperta in parte di crema «cotta», di mandorle tostate e di granella di zucchero.

    Nella versione non ripiena era negli Anni 60 un dolce tipico da panetteria, di quelli che finivano nelle cartelle dei bambini per le merende dell’intervallo. Quelle veneziane erano di dimensioni maggiori di quelle che oggi si trovano nelle pasticcerie. Erano di una pasta brioche abbastanza rude e bianca e il piacere del gusto era quasi tutto concentrato in quella spirale di crema cotta che le sovrastava.

    Quelle di pasticceria sono di dimensioni più ridotte, il pan brioche è giallo perché ricco di uova, e il fatto che siano ripiene di crema pasticcera dà loro una voluttuosità che potrebbe far pensare alle nobildonne libertine della Venezia del ‘500. Però per uno dei tanti paradossi della gastronomia una brioche di questo tipo non esiste tra i dolci tipici che si fanno a Venezia.

     
    Top
    .
80 replies since 4/11/2010, 09:26   3302 views
  Share  
.
Top
Top