Antichi sapori,alimenti di altri tempi,spezie ,intingoli ,utensili dimenticati,ricordi e ...dintorni

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  1. la sirenetta
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    È un falso frutto il cibo delle fate


    Complici le temperature registrate negli ultimi tempi, assistiamo ad un vero e proprio boom di primizie sui banchi di verdure e ortaggi, con le prime fragole che fanno anch'esse la loro apparizione, con un po' di anticipo rispetto al solito. Già apprezzate dai romani, che le diedero il nome di "fragrans" per via dell'ottimo profumo, le fragole hanno raccolto nel corso della storia elogi illustri, come quello di Shakespeare che le descriveva come "cibo per le fate", e fatto bella mostra delle loro forme e colori, come testimoniato ad esempio dalla passione di Luigi XIV, che le faceva coltivare nei giardini di Versailles.

    Preziose per i loro molteplici utilizzi in cucina, dal consumo al naturale abbinato al succo di arancia e limone fino alla preparazione di marmellate, gelati e dolci, ma perché no anche in primi piatti a base di riso, le fragole sono un "falso frutto", nel senso che i frutti veri e propri sono i cosiddetti acheni, ovvero quei semini gialli in superficie, mentre quello che convenzionalmente chiamiamo frutto è costituito dal ricettacolo del fiore che si ingrossa. Ma non solo in cucina esse dimostrano le loro proprietà, visto che schiacciate o frullate, e quindi applicate sul viso, si rivelano utili come impacchi nutrienti per la pelle o per combattere le scottature solari. Addirittura, tagliate a metà e applicate sulle vescicole, sono utili per contrastare il fastidio dell'herpes.

    Da sempre considerate afrodisiache, forse anche a causa del mito di essere nate proprio dalle lacrime di Venere sulla tomba di Adone, nell'immaginario esprimono al massimo il loro potenziale romantico quando abbinate ad un calice di champagne, e sono state addirittura le protagoniste dell'indimenticabile scena a due davanti al frigorifero tra Mickey Rourke e Kim Basinger in "Nove settimane e mezzo". Ma le proprietà delle fragole non si fermano certamente a questo. Ricche di vitamine e antiossidanti, di proprietà diuretiche, toniche e lassative, sono anche dietetiche, a patto di consumarle senza affogarle nello zucchero o in un quintale di panna, per le poche calorie contenute. Tra l'altro un recentissimo studio di un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Medicina Interna dell'Ohio State University riconosce loro la facoltà di rallentare la crescita precancerosa delle cellule neoplastiche nell'esofago, consigliando sei mesi di consumo di fragole (meglio se disidratate) come cura sicura e facile da attuare.

    Le varietà sono molto numerose, ma tutto il mondo conosce certamente le fragole di Nemi, nella provincia di Roma, dove ogni anno si tiene la Sagra delle fragole, un appuntamento tradizionale dove un'enorme coppa viene riempita di fragole locali, prima di essere innaffiata con spumante fragolino. E se qualche volta, recandosi a fare acquisti, ci si spaventa imbattendosi in fragole industriali un po' troppo gonfie, frutto della produzione intensiva, ci si può consolare con prodotti d'eccellenza come le delicate e profumatissime fragoline di Ribera, un Presidio Slow Food nelle valli di Ribera e Sciacca.
    Falsi frutti, capaci di scatenare passioni più che reali.

     
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  2. la sirenetta
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    Un pieno di fagiolini

    Ne esistono di gialli, di violetti e di blu, anche se è la classica versione verde quella che si trova più facilmente: ecco i fagiolini, altrimenti chiamati anche cornetti, tegolini o mangiatutto. In realtà sono i baccelli immaturi del fagiolo, che crescono su piante nane dai fiori color bianco, rosa o violaceo. La loro forma tipica è quella allungata, cilindrica e sottile, ma possono essere anche lunghi e piatti.

    Vengono considerati un ortaggio piuttosto che un legume perché sono raccolti e consumati insieme con i semi ancora in embrione, immaturi. I fagiolini sono semplici da pulire, versatili in cucina e soprattutto dietetici e molto sani da mangiare. Infatti non fanno ingrassare, basti pensare che per 100 grammi si assumono solo 17 calorie. Essendo un alimento a cosi basso potere calorico e ricco di sali minerali, fibre, vitamina A e potassio e date le loro qualità diuretiche e rinfrescanti, sono consigliati a chi soffre di diabete e di stitichezza.

    Non bisogna consumarli crudi, però, perché contengono un enzima che disturba la digestione la cui azione viene annullata dalla cottura. Un'accortezza da prendere quando siamo di fronte alle cassette che contengono i fagiolini è quella di scegliere quelli in cui i semi, a vista, sono ancora piccoli e che hanno ancora il picciolo attaccato. Più sono croccanti e migliore è la qualità, diffidando sempre da quelli che si piegano ma non si spezzano e occhio al colore, che deve essere brillante. Si possono conservare in frigo per qualche giorno, massimo una settimana, mantenendoli chiusi nel sacchetto di plastica, oppure in freezer dopo essere stati scottarti, previa mondatura.

    Prima i cuocerli bisogna eliminare il filamento e lavarli più volte in acqua fredda. Per pulirli basta semplicemente tagliare via le due estremità. In cucina possono essere utilizzati in molte e gustose ricette, sia come contorno, lessati e conditi con olio e limone, ma anche saltati in padella con aglio ed erbe aromatiche. Un abbinamento tra i migliori è quello con le patate lesse, ma anche per creare torte salate, primi piatti e frittate.

    Si sposano bene anche con formaggi, pancetta e carne di maiale. Con un po' più di fantasia ci si può divertire tagliarli in tranci per cucinare un risotto, per esempio, sempre dopo averli cotti per un po' di minuti. Per ottenere la consistenza giusta occorre almeno un quarto d'ora di lessatura.


     
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  3. la sirenetta
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    Sul Lago Maggiore, un inedito invito al pranzo di nozze di Renzo e Lucia

    Qual è il piatto preferito da Don Abbondio? Il pranzo di nozze di Renzo e Lucia, quante portate avrà avuto? Domande alle quali Alessandro Manzoni non dà risposte ne «I promessi sposi». In sua vece, ci ha provato Patrizia Rossetti, ragioniera di Leggiuno, appassionata di cucina e autrice di «In cucina con i Promessi Sposi» edito da Macchione, che oggi sabato, alle 17,30, a Lesa, nel Salone dell’ex Società Operaia, proporrà un inedito viaggio nei luoghi e nelle cucine dei personaggi del romanzo.

    Proprio a Lesa, Manzoni ha soggiornato spesso, dopo le sue nozze con Teresa Borri Stampa, nella villa che oggi ospita la sala manzoniana, in cui sono raccolti mobili, oggetti, quadri e libri dell’autore. Il libro di Patrizia Rossetti, frutto di 4 anni di ricerche, non è un semplice manuale di cucina: «Oltre alle ricette, racconto la storia della cultura culinaria lombarda, così come è stata tramandata nei secoli» ha spiegato l’autrice. Espressione della cultura contadina, quella dei tempi di Renzo e Lucia, era una cucina povera: «Si tratta di pietanze semplici, spesso non molto saporite, o, al contrario, condite con molte spezie che oggi non sarebbero così gradite al nostro palato. Con qualche eccezione, come il risotto alla milanese, divenuto poi un piatto tipico regionale» ha precisato Rossetti. Nel libro, tutto da gustare, c’è anche l’estro creativo dell’autrice: «Ho immaginato il pranzo di nozze dei due sposi promessi, sostanzialmente costituito da quattro portate, o, come si diceva nel ‘600, da quattro servizi. Il primo, un antipasto con frutta secca, lardo, noci e l’immancabile gorgonzola; il secondo costituito da zuppa reale e risotto allo zafferano; come terza portata, del brasato di manzo con polenta e, infine, dei gamberi di fiume». Niente male, per le nozze di due poveri contadini. Nel libro c’è molto altro da scoprire e anche da assaggiare: «L’incontro sarà seguito da una degustazione di alcuni piatti realizzati con le ricette originali del libro, preparate dalla stessa autrice con la collaborazione della Pro Loco» dice Paola Grillo, presidente della Pro Loco di Lesa, che ha organizzato l’incontro. Ingresso libero.
     
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  4. la sirenetta
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    Lampone che passione!

    Basta guardarli e, in pochi secondi, non stupitevi se vi verrà l'acquolina in bocca: morbidi e profumati, composti da tanti chicchi succulenti resi vellutati da un finissima peluria, i lamponi si presentano come golosissime praline globose dal colore rosso/rosa e ricordano spesso altri due deliziosi frutti: le fragole e le more.

    L'estate è la loro stagione e, sebbene grazie al congelamento e alla lavorazione siano disponibili praticamente tutto l'anno, sotto forma di sciroppi, confetture, dolci, gelati e vari prodotti di pasticceria, sarebbe un vero peccato non gustarli freschi e non proporli ai nostri piccoli proprio nel periodo in cui è più facile reperirli, anche nei più comuni supermercati.

    Grazie all'elevata presenza di calcio e vitamina C, il lampone è infatti ideale per anziani e bambini, ma non si esauriscono qui le tante virtù di questo squisito frutto estivo. La quasi totale assenza di zucchero lo rende sicuro anche per i diabetici, mentre i tannini e i polifenoli in esso contenuti esercitano un utile azione contro i radicali liberi e agiscono come antinfiammatorio per i vasi capillari. Rinfrescante, energetico, depurativo e diuretico, offre un valido ausilio a chi soffre di acidità gastrica, bronchite, dolori reumatici e infezioni alle vie urinarie.

    Si narra che in antichità, quando le popolazioni del mediterraneo iniziarono a coltivare i lamponi, venivano consigliati alle donne incinte perché si riteneva che avessero la proprietà di scongiurare il rischio di aborto. Dalle credenze alla ricerca scientifica, ad oggi si evidenzia invece come l'acido ellagico in essi contenuto sia una potente molecola anticancerogena. Persino le foglie dei lamponi, essendo molto ricche di tannini, hanno qualità astringenti, tonificanti, diuretiche e depurative.

    Sono dunque innumerevoli le proprietà benefiche di questi frutto e al contrario sono molto rari i casi di allergia nella letteratura medica. Se volete comunque essere assolutamente prudenti, vi consigliamo di utilizzare anche con i lamponi le stesse precauzioni adottate con le fragole, un frutto notoriamente a più alto rischio allergico: attendete i due anni del piccolo e proponeteglieli prima a piccole dosi.

    Al naturale, insieme ad altri frutti per una golosa macedonia, ad impreziosire yogurt o fresche creme gelato: tantissimi sono anche i modi di servirli, non avrete che l'imbarazzo della scelta!


     
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  5. la sirenetta
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    Sulla costiera amalfitana tra papella e piedirosso

    La Costa d'Amalfi è conosciuta più per il mare, per le cittadine «bomboniera» e per il limoncello piuttosto che per i suoi vini. Ebbene si tratta di un grave errore, perché questo territorio ha molto da regalarci dal punto di vista strettamente enologico. I motivi d'interesse sono tantissimi: in primis, un sistema di coltivazione basato sui muretti a secco, costruiti nei secoli passati da un esercito di contadini affamati di terra. Caratteristica unica, poi, il fatto che gran parte delle piante sono allevate su piede franco, perché il suolo vulcanico riduce i rischi di attacco della fillossera. Infine, rivestono grande importanza i tantissimi vitigni autoctoni che rendono questo territorio tra i più ricchi di biodiversità dell'intera penisola: tra questi ricordiamo i bianchi falanghina, papella, ginestra, biancolella, e i rossi aglianico, piedirosso, tintore, sciascinoso.
     
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  6. la sirenetta
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    Quando l'oca nell'agnello
    faceva la gioia dell'imperatore

    Il re Zhou della dinastia Shan, regnante dal 1570 al 1045 a.C., andava pazzo per le zampe d’orso al miele. Già procurarsi una zampa d’orso non è semplice, ma poi la ricetta prevedeva che andasse frollata per almeno un anno, meglio due, avvolta nel riso in un vaso ermeticamente sigillato con la calce. L’imperatore Gaozu della dinastia Han (dal 206 avanti Cristo al 221 dopo) era invece ghiotto di cane brasato in brodo di tartaruga, ricetta che a noi cheap ricorda irresistibilmente uno degli episodi di Fantozzi. Infine, quella fine gastronoma dell’imperatrice Wu Zetian della dinastia Tang (dal 618 al 907) si comportava come certi signori rinascimentali da noi, però mezzo millennio dopo. Piatto preferito era l’oca farcita arrostita dentro un agnello: una volta cotto il tutto, buttava l’agnello e mangiava l’oca.

    Ecco una mostra che riscatta da molti tristi risi nei ristoranti cinesi scadenti (quando poi si va in quelli buoni, o magari in Cina, ci si innamora subito di una cucina di funambolica bontà). S’intitola «Les séductions du palais», «Le seduzioni del palazzo», cioè «Cucinare e mangiare in Cina» ed è aperta fino al 30 novembre al Museo del Quai Branly, a Parigi: ma, su 130 oggetti esposti, 113 arrivano dal Museo nazionale di Cina di Pechino. Mostra, intendiamoci, serissima, accompagnata da un bel catalogo con saggi ponderosi e citazioni di LéviStrauss, perché ormai nessuno può dubitare che per raccontare una civiltà si debba considerare anche cosa si metteva nella pancia, e come lo cucinava.

    Si parte con il primo mattarello, credo, della storia umana: questo, di pietra, ha da un minimo di quattro a un massimo di diecimila anni. Poi ogni epoca e dinastia fa i suoi progressi. Nel Neolitico antico l’invenzione è il «fan», i cereali bolliti; in quello medio, il forno; in quello tardo, le bevande alcoliche. Sotto gli Zhou, mille anni prima di Cristo, nelle cucine del palazzo lavorano 2271 persone. Sotto gli Han trionfano la lacca e le bacchette (e gli spiedini si cuociono su un grill uguale a quello dei barbecue attuali); sotto i Tang i cinesi mettono le mani in pasta, inventando spaghetti e ravioli.

    Il vino di cereali diventa un monopolio statale, proprio come oggi, e viene introdotta la più tipica delle bevande cinesi: il tè. Con i Qing, nel XVIII secolo, siamo al parossismo. Il servizio di bocca imperiale conta 400 persone più 150 eunuchi, che sfornano 12 mila pasti al giorno per la corte che affolla la Città proibita.

    E vengono codificati i tipi di banchetto: per i compleanni imperiali, per la promozione dei funzionari, per i vassalli, per i matrimoni e i funerali (che notoriamente mettono appetito, forse per reazione), per i sacrifici e via mangiando.

    Unica delusione, i servizi da tavola. Il catalogo parla d’oro, argento, smalto, giada, avorio e ovviamente di porcellana, ma in mostra ce n’è poco e quel poco è chic, però tutt’altro che spettacolare. Insomma, a Versailles, ma anche nelle regge dei principotti italiani, le tavole erano più scintillanti. Tant’è: resta il fascino di questo modo di cucinare la storia e raccontare queste storie di cucina. Del resto, i cinesi i veri amici non li salutano con un buongiorno, ma strillando: «Chifanle meiyou!», avete mangiato!
     
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  7. la sirenetta
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    Fin dall'antichità il pane
    è il miglior amico dell'uomo

    Il pane è il miglior amico dell'uomo. Fin dall'antichità,dove veniva condito con i circenses . Più tardi sono state inventate la panzanella (per chi non osava raccontare grandi panzane) e la bruschetta (per chi aveva modi ruvidi e non disdegnava l'aglio). Per Dante quello altrui era sempre salato. E dire che l'autore della Divina Commedia non aveva mai avuto modo di entrare in una di quelle boutique che costellano le grandi città dove per un chilo di pane (ovviamente con lieviti naturali e cotto nel forno a legna) devi fare un mutuo. Torino, dove un tempo imperava la biova e oggi la baguette da supermercato, ha conosciuto varie mode.

    Negli Anni 50, l'arrivo dei ristoratori toscani lanciò il pane di Altopascio, negli Anni 60 con l'immigrazione dal Sud non c'era panetteria che non avesse il pane pugliese di Altamura (ma in Lucania c'è chi sostiene che sia quello di Matera il miglior pane del mondo). Per un certo periodo sempre sotto la Mole trionfò invece il pane sardo (ma non il carasau) in grandi forme con un bollino dai quattro mori. Inutile dire che in Sicilia sono convinti che sia quello di Castelvetrano il pane più buono e che a Ferrara per la loro ciopa ociupeta (ossia coppia) di pane scioperebbero (morirebbero in piemontese). Insomma è il campanilismo la caratteristica del nostro paese, anche per ciò che riguarda il pane. Per questo era l'unica cosa che non veniva portata in dono dai diplomatici: ambasciator non porta pane.

     
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  8. la sirenetta
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    La pizza alimento perfetto: connubio tra antico e moderno

    pizzeria

    Un nutrizionista scozzese, in collaborazione con un imprenditore alimentare, ha ideato la “pizza perfetta”, il più popolare piatto al mondo in una nuova versione nutrizionalmente bilanciata che farebbe da piatto unico.

    La pizza, vanto dell’Italia, è uno tra i più popolari alimenti al mondo e consumato ogni giorno in milioni di pizzerie sparse sul pianeta. Come si sa, questo cibo, è composto da diversi ingredienti che possono renderlo un piatto unico in grado di sostituire un pasto completo. Tuttavia, il problema è che spesso questi ingredienti possono non essere del tutto bilanciati, per cui si rischia di seguire una dieta scorretta. Questo uno dei motivi che ha spinto il dottor Mike Lean dell’Università di Glasgow (Uk) insieme all’imprenditore Donnie Maclean a voler creare la pizza bilanciata (nutrizionalmente), e a loro detta pare ci siano riusciti, secondo quanto riportato dalla BBC.

    Poiché già la pizza di per sé si ritiene contenga il 30% della razione giornaliera di vitamine e minerali indicate per un adulto e un terzo di quella raccomandata di calorie, proteine e carboidrati, si trattava soltanto di bilanciare meglio gli ingredienti: e così pare abbiano fatto. L’idea era quella trovare il pasto completo il più bilanciato possibile, dopo l’aver constato che quelli in vendita non lo sono. «Abbiamo recentemente studiato dei piatti pronti prodotti dai primi cinque supermercati in Scozia, alimenti comuni consumati in grandi quantità, e sono irrimediabilmente sbilanciati – ha infatti commentato il prof. Lean – Essi contengono sale, tanto quanto si dovrebbe assumerne in un intero giorno o più». Allo stesso modo, fa notare Lean, contengono molti grassi saturi e le sostanze nutritive di cui abbiamo bisogno ogni giorno sono assenti.

    Una volta costatato l’insalubrità dei pasti pronti, i due intraprendenti esperti hanno deciso quali dovevano essere gli ingredienti ideali per la pizza perfetta: alghe al posto del sale (o comunque per ridurne la quantità) ricche di iodio, vitamina B12 e altri componenti utili; il peperone rosso che, mescolato al pomodoro, aumenta il contenuto di vitamina C… e poi, magnesio, potassio, folati, vitamina A. «Ci siamo concentrati sulla pizza come alternativa per un pranzo o una cena. Ogni pizza offre un pasto completo, con tutte le sostanze nutritive che coprono il 30% del fabbisogno giornaliero», conclude Lean. Le “nuove” pizze saranno distribuiti al supermercato in forma surgelata. Bisogna però assaggiarle per vedere che oltre a essere bilanciate siano anche buone.
     
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  9. la sirenetta
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    Torta caprese, inno alla luna

    caprese

    La storia della gastronomia è ricca di piatti che nascono per caso o addirittura per errore. Ne sono un antico esempio il panettone e la torta Sacher. Ne offre una conferma più recente la Torta Caprese.

    Vuole la storia (o la leggenda?) che la prima sia stata realizzata per sbaglio sull’isola dei faraglioni verso il 1920. Un pasticcere, tal Carmine di Fiore, stava preparando una torta di mandorle con il cioccolato per alcuni gangster d’Oltreoceano, venuti fino in Italia per comprare delle ghette (i sovrascarpe di moda all’epoca) per Al Capone. Non si sa se abbia dimenticato nell’impasto di mettere la farina o se questa fosse finita. Sta di fatto che fece un impasto di uova, zucchero, burro, mandorle tritate e cioccolato fondente, senza lievito. Tirato fuori dal forno si rivelò la prelibatezza che conosciamo.

    Nel corso dei decenni ha avuto molte varianti, così c’è chi ad esempio fa la caprese al limone. Ma se andate a Capri o sulla penisola sorrentina non dimenticate di specificare «torta» caprese, se no vi porteranno la classica insalata di mozzarella, pomodori e basilico, che è pur sempre una bontà ma d’altra natura. Tra l’altro la torta ricorda per la forma e per lo zucchero a velo quella «luna caprese» dolce-amara resa famosa da un celebre canzone di Peppino di Capri.

     
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  10. la sirenetta
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    La "bomba" viene da Vienna

    krafen

    «Cocco, cocco fresco, bomboloni caldi». L’urlo si diffonde in questo periodo sulle spiagge italiane, per la gioia di molti bambini e la preoccupazione di molte mamme.

    Ma cosa sono i bomboloni o «bombe», come li chiamano in Toscana e in Romagna, le regioni in cui hanno ribattezzato in italiano il termine krapfen con cui sono conosciute nel resto d’Italia?

    Perché le bombe o i bomboloni altro non sono che le ciambelle o le frittelle ripiene diffuse in Austria, in Germania e nell’Europa Orientale. Ad inventarle pare sia stata nel ‘500 una pasticcera viennese che all’anagrafe faceva Cecilie Krapf, ma c’è anche chi sostiene che il nome deriverebbe da un antico termine germanico che significa gancio o artiglio.

    La ricetta autentica prevederebbe il ripieno di marmellata, meglio se di lamponi, e una spolverata di zucchero a velo, ma le varianti nei vari Paesi (Bola de Berlim in Portogallo, berliininmunkki in Finlandia, sufganiyah in Israele, bola de fraile in Argentina e bismark in Canada e negli Usa) fanno sì che la crema pasticcera sia più che accettata.

    In realtà sarebbero dolci di Carnevale, ma è inutile spiegarlo ai bambini che sotto l’ombrellone non aspettano altro dell’uomo che grida: «Cocco, cocco fresco, bomboloni caldi».
     
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  11. la sirenetta
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    Le ciambelle dell'abbondanza

    ciambelle

    Lo vedi ecco Marino la sagra c’è dell’uva, fontane che danno vino, quant’abbondanza c’è..» recitava una celebre canzone romanesca. E il vino che secondo la canzone zampilla dalle fontane nei Castelli romani, può essere utilizzato anche come ingrediente per dolcetti, le ciambelline al vino.

    Un tempo le «ciammellette» come le chiamano a Roma erano legate alla tradizione natalizia, oggi si possono invece trovare e gustare tutto l’anno.

    Gli ingredienti base sono vino rosso, zucchero, olio (secondo la tradizione dovevano essere in parti uguali) cui si aggiunge la farina in quantità variabile per rendere l’impasto compatto. Ma come succede spesso in pasticceria non tutto è così semplice, perché le varianti sono infinite, prime fra tutte quella di Genzano che prevede nell’impasto anche un cucchiaio di liquore sambuca e dei semi d’anice. Ma c’è anche chi punta ancor di più sullo speziato e ci mette pure la cannella.

    Ora siccome l’anice rimanda nell’aroma al finocchio, che era usato dai cantinieri romani per ingannare il gusto degli avventori, anche con le ciambelle al vino, l’importante è non farsi infinocchiare.


     
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  12. la sirenetta
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    Varietà e proprietà delle prugne

    I colori della buccia variano dal giallo al rosso scuro, al viola, così come colorata è la polpa, che spazia dal giallo-verdastro fino al rosso, e le loro forme e dimensioni si modificano a seconda della varietà: dalle rotondità delle Regina Claudia alle Florentia a forma di cuore, dai piccoli Rusticani alle grosse Burbank. Sono le prugne, o susine, frutti dall'origine non del tutto chiara (per qualcuno sono originarie dell'Asia, ma non manca chi le considera provenire da Europa o America) che ancora per qualche tempo ci accompagneranno da fresche, visto che è possibile trovarne più o meno fino alla metà del mese di settembre, mentre essiccate (o sciroppate) possono essere reperite in ogni momento dell'anno.

    Non dovevano certo essere la passione di Pellegrino Artusi, che bollava la conserva di susine come "la peggiore di tutte" o nel migliore dei casi come "una delle meno apprezzate", ma la sua ricetta delle "Prugne giulebbate" ci svela una curiosità: quel velo bianco che le ricopre, ovvero la pruina, dalle funzioni protettive, a Firenze si chiamava "fiore". A differenza dell'Artusi, lo chef Davide Castoldi riconosce alle prugne (quelle essiccate della California in particolare, che secondo una ricerca americana sono risultate l'alimento più efficace nella battaglia contro i radicali liberi) una grande duttilità, capaci di "dare un tocco particolare alle preparazioni della nostra tradizione gastronomica". Nel suo "Prugne della California" (Gribaudo Edizioni) diventano infatti le protagoniste di ricette dolci e salate, dalle frittelle all'hot dog di tacchino, abbinate di volta in volta a carne, pesce, formaggi o pasta.

    Ma non di solo gusto si vive, e proprio alle prugne è stato recentemente riconosciuto dalla scienza un ruolo importante per le ossa delle donne in menopausa, oltre alle già ben note proprietà lassative e depurative. Secondo i risultati di una ricerca della Florida State University, diretta dal dottor Bahram Arjmandi e pubblicata sul British Journal of Nutrition, le prugne secche si sono rivelate molto preziose per il miglioramento dello stato dello scheletro, sia a livello di prevenzione che per la capacità di contrasto verso la perdita ossea, tipica dell'età. Una buona notizia per quante decidessero di tentare di affrontare l'osteoporosi anche con l'aiuto delle prugne, con una sola precauzione d'obbligo: visto che la dose giornaliera consigliata è di dieci frutti secchi (pari a 100 grammi circa), per evitare noiose e sgradite ripercussioni sarà meglio partire gradualmente, aumentando poi via via fino a raggiungere la dose consigliata…

     
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  13. la sirenetta
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    I "pisgheini" che piacevano a Fellini

    pisgheini

    L’estate sta finendo lo sai che non mi va, cantavano qualche anno fa i Righeira. E con l’estate se ne va anche il sapore delle pesche che di questa stagione sono forse con l’anguria, il frutto simbolo.

    In Romagna, dove di pesche se ne producono in gran quantità, hanno inventato un dolce (diffuso anche nelle Marche e in Toscana) fatto apposta per ricordare tutto l’anno, se non nel gusto, almeno nella forma, i frutti dell’estate. Si tratta delle pesche dolci all’alchermes, o come si chiamano nel dialetto di Fellini, pisgheini .

    Si tratta di due palline o meglio mezze palline fatte di un impasto lievitato di burro, farina, latte, uova e zucchero, tra le quali si mette crema pasticcera, marmellata o cioccolata e che vengono rotolate nell’alchermes e nello zucchero. Assumono così nell’aspetto le sembianze di una vera e propria pesca, che raggiunge la perfezione se si mettono da un lato due foglioline di menta, come fossero vere foglie di pesco.

    Per i misteri che percorrono la gastronomia un dolce simile si trova anche nell’Europa dell’Est, dove vengono chiamate noci. Tanto in Romagna, quanto nei paesi dell’Est vengono sovente donate: è infatti un classico la pesca di beneficenza.

     
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  14. la sirenetta
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    Come sostituire le uova per chi è intollerante

    ■Nelle ricette dolci potrai sostituire ad ogni uovo una banana ben spappolata
    ■Il tofu ben frullato con altri ingredienti liquidi servirà a legarli tra di loro
    ■Potrai per far lievitare i tuoi dolci sostituire le uova con il bicarbonato
    ■Il Kuzu, una polverina bianca estratta da una radice è anch’esso un alternativa davvero valida alle uova, la troverai in vendita presso i negozi di prodotti naturali, scioglila in acqua calda ed assumerà la consistenza di un gel
    ■L’amido di patate è un’altra alternativa, 2 cucchiai di esso sostituiscono 1 uovo
    ■La farina di ceci o anche semi di lino tritati potranno sostituire le tue uova.
     
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  15. la sirenetta
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    Crauti, non solo in Germania

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    Va bene che il termine, usato in italiano sempre al plurale, derivi del tedesco Kraut, che vuol dire erba, erbaggio, e che li si associ sempre ai wurstel tipici della Germania, ma i crauti vengono cucinati anche in Austria, Svizzera, Polonia, Russia e sono molto diffusi in Italia, specialmente in Alto Veneto, Trentino Alto Adige e in Friuli Venezia Giulia.

    Pur appartenendo, dunque, alla tradizione culinaria tedesca e al di là del tipico cliché nutrizionale che li associa a patate e salsicce, anche da noi sono ben amati, soprattutto quando si accompagnano, oltre agli immancabili wurstel, allo stinco e ai piatti di maiale in genere. I crauti sono in realtà i cavoli cappucci, principalmente quelli bianchi, che vengono sottoposti ad un particolare tecnica di conservazione mediante fermentazione lattica naturale alla quale viene aggiunto sale da cucina, metodo che modifica il profilo organolettico del cavolo e conferisce ai crauti il sapore che li contraddistingue, quello deciso, intenso e un po' aspro che li rende molto più saporiti dei cavoli crudi e che permette di consumarli anche senza aggiungere altri condimenti grassi.

    I cavoli cappucci vengono privati del torsolo e delle foglie esterne, quindi tagliati a strisce sottili, salati e deposti in appositi tini di fermentazione. I crauti godono di parecchie caratteristiche nutrizionali, in primis favoriscono la digestione in quanto rinforzano la flora intestinale allontanando batteri e virus patogeni, poi sono ricchi di vitamina C e di fibre e mantengono gli stessi valori del cavolo, non avendo l'aggiunta di alimenti calorici.

    Anche se durante la fermentazione perdono l'acqua assorbita dal sale e vengono quindi concentrati, il valore nutritivo subisce solo un minimo aumento: si stima infatti che i crauti hanno circa 25 calorie contro i 19 del cavolo cappuccio crudo. Inoltre alcune ricerche hanno identificato nei crauti una serie di composti che risulterebbero essere utili per combattere il cancro, grazie al processo di fermentazione che produce isotiocianati, composti identificati come potenziali agenti antitumorali. L'unica avvertenza è solo per chi si appresta ad acquistare crauti in scatola: controllare sempre che sull'etichetta ci sia scritto "al naturale" e che non siano conditi con alimenti grassi.
     
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