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Oceanya.
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La grande guerra
« Io dico che se vinciamo questa guerra con i mezzi che abbiamo, siamo davvero un grande esercito! »
(Tenente Gallina nel film)
La grande guerra è un film di Mario Monicelli del 1959, interpretato da Alberto Sordi e Vittorio Gassman, vincitore del Leone d'Oro al Festival del Cinema di Venezia ex aequo con Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini e nominato all'Oscar quale miglior pellicola straniera.
Prodotto da Dino De Laurentiis, è considerato uno dei capolavori della storia del cinema,ed ottenne un enorme successo anche all'estero, soprattutto in Francia
Anno: 1959
Genere: drammatico guerra
Regia: Mario Monicelli
Cast: Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Silvana Mangano, Romolo Valli, Folco Lulli, Mario Valdemarin, Bernard Blier, Tiberio Murgia
Trama: Il romano Oreste Jacovacci e il milanese Giovanni Busacca si incontrano durante la chiamata alle armi della prima guerra mondiale. Seppure di carattere completamente diverso sono uniti dalla mancanza di qualsiasi ideale e dalla volontà di evitare ogni pericolo e uscire indenni dalla guerra.
Attraversate numerose peripezie durante l'addestramento, i combattimenti e i rari momenti di congedo (insieme ad un gruppo variegato di commilitoni e popolazione civile fra cui la prostituta Costantina, interpretata da Silvana Mangano), in seguito alla ritirata dopo Caporetto vengono comandati come staffette portaordini, mansione molto pericolosa, che viene loro affidata perché considerati come i "meno efficienti" a causa del loro limitato valor militare.
Dopo aver svolto la loro missione, si coricano nella stalla di un avamposto poco lontano dalla prima linea, ma una repentina avanzata degli Austriaci li trasporta in territorio nemico, dove vengono presto catturati. Sorpresi ad indossare cappotti dell'esercito asburgico nel tentativo di fuggire, vengono accusati di spionaggio e minacciati di fucilazione. Sopraffatti dalla paura ammettono di essere in possesso di informazioni cruciali sul contrattacco italiano sul Piave, e pur di salvarsi decidono di passarle al nemico.
L'arroganza dell'ufficiale austriaco ed una battuta di disprezzo verso gli italiani («...courage?! Fegato dicono... Quelli conoscono soltanto fegato alla veneziana con cipolla, e presto mangeremo anche noi quello!») ridà forza alla loro dignità portandoli a mantenere il segreto fino all'esecuzione capitale, l'uno insultando spavaldamente il capitano nemico («Giovanni Busacca all'ufficiale austriaco: "...e allora...senti un po', visto che parli così... mi te disi proprio un bel gnènt!! Hai capito?!? Facia de merda!!!"») e l'altro che, dopo la fucilazione del compagno, finge di non essere a conoscenza delle informazioni e viene così subitaneamente fucilato poco dopo l'amico.
La battaglia si conclude poco tempo dopo con la vittoria dell'esercito italiano che rioccupa poco dopo la postazione caduta in mano agli Austriaci, senza che nessuno venga a conoscenza del valore del loro sacrificio.
Descrizione
« Oreste Jacovacci: "Ma che fai aoh, prima spari e poi dici chi va là?"
Sentinella: "È sempre mejo 'n amico morto che 'n nemico vivo! Chi siete?"
Oreste Jacovacci: "Semo l'anima de li mortacci tua!"
Sentinella: "E allora passate!" »
(dialogo tratto dal film)
Felice connubio di tragedia e commedia, l'opera è un affresco corale, ironico e struggente, della vita di trincea durante la prima guerra mondiale.
Le vicissitudini di un gruppo di commilitoni sul fronte italiano nel 1916, sono narrate con un linguaggio neorealista e romantico al tempo stesso, abbinando scansioni tipiche della commedia all'italiana ad una notevole attenzione verso i particolari storici.
Le pregevoli scene di massa si accompagnano ad acute caratterizzazioni dei numerosi personaggi, antieroi umani ed impauriti, rassegnati e solidali, accomunati dalla partecipazione forzata ad una catastrofe che li travolgerà.
Monicelli e gli sceneggiatori Age & Scarpelli e Vincenzoni raggiungono l'apice artistico della loro carriera combinando, con impareggiabile fluidità di racconto, comicità e toni drammatici, ed aprendo la strada ad un nuovo stile cinematografico nelle vicende di guerra.
Memorabile il piano sequenza finale nel quale i due pavidi protagonisti si riscattano con un gesto coraggioso, sacrificandosi l'uno da “eroe spavaldo” e l'altro da “eroe vigliacco”. Quest'ultima figura viene qui concepita in maniera assai originale ed interpretata da un ispirato Alberto Sordi (vincitore del Nastro d'Argento come miglior attore protagonista).
La ricostruzione bellica dell'opera è, da un punto di vista storico, uno dei migliori contributi del cinema italiano allo studio del primo conflitto mondiale.
Per la prima volta la sua rappresentazione venne depurata dalla propaganda retorica divulgata durante il fascismo e nel secondo dopoguerra, in cui persisteva il mito di una guerra favolosa ed eroica dell'Italia, e per questo la pellicola ebbe problemi di censura al momento dell'uscita nelle sale, e fu vietata ai minori di 18 anni.[7] Fino a quel momento infatti i soldati italiani erano stati continuamente ritratti come valorosi disposti ad immolarsi per la patria. Emblematica ed indimenticabile in questo senso la scena dei festeggiamenti nel paese (subito trasformatisi in silenzioso dolore) e della retorica ostentata da autorità ed intellettuali al rientro delle truppe dalla sconfitta di Caporetto.
Il film denunciò inoltre l'assurdità e la violenza del conflitto, le condizioni di vita miserevoli della gente e dei militari, ma anche i forti legami di amicizia nati nonostante le differenze di estrazione culturale e geografica. La convivenza obbligata di questi regionalismi (e provincialismi), mai venuti a contatto in modo così prolungato, contribuì a formare in parte uno spirito nazionale fino ad allora quasi inesistente, in forte contrasto con i comandi e le istituzioni, percepite come le principali responsabili di quel massacro.
Origini
“La grande guerra” nacque da un'idea di Luciano Vincenzoni, influenzato dal racconto “Due amici” di Guy de Maupassant. Pensato inizialmente per il solo Gassman, fu il produttore Dino De Laurentiis a decidere di introdurre anche un personaggio per Sordi.
La sceneggiatura integrava figure e situazioni provenienti da due libri famosi: Un anno sull'Altipiano di Lussu, e “Con me e con gli alpini” di Jahier.
Il giornalista e scrittore Carlo Salsa, che aveva combattuto realmente in quei luoghi, prestò la sua opera di consulente, arricchendo la trama, i dialoghi e lo sfondo, di particolari vividi ed originali.
Le scene per la maggior parte vennero girate in provincia di Udine, Gemona del Friuli, nei dintorni di Venzone, a Sella Sant'Agnese, nel forte di Palmanova e a Nespoledo di Lestizza dal 25 maggio a metà giugno del 1959. Altre scene vennero girate in Campania a San Pietro Infine e nel Lazio lungo il torrente Farfa tra Fara Sabina e Montopoli di Sabina.
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