La Storia delle Nostre Città

Dove viviamo

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    Ci sono posti, Città, Storie di paesini sconosciuti
    che hanno in se stessi molte cose da raccontare,
    oltre a farceli conoscere ci potrebbe invitare di andarli a visitare!!!!!!!!!!!!!!!!
    Vediamo che siamo capaci di trovare :)





    Roghudi Nuovo e Roghudi Vecchio
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    Roghudi (C.A.P. 89060) appartiene alla provincia di Reggio Calabria e dista 30 chilometri da Reggio Calabria, capoluogo della omonima provincia.

    Roghudi conta 1.365 abitanti (Roghudesi) e ha una superficie di 36,5 chilometri quadrati per una densità abitativa di 37,40 abitanti per chilometro quadrato. Sorge a 55 metri sopra il livello del mare, il territorio del comune risulta compreso tra i 24 e i 1.818 metri sul livello del mare.
    La caratteristica principale del comune di Roghudi è quella di essere, unico caso in Italia assieme a Sinnai (CA) (e la frazione Solanas), suddiviso in due differenti porzioni non confinanti poste a grande distanza l'una dall'altra (circa 40 km nel caso di Roghudi, oltre 30 km nel caso di Sinnai). La prima di esse è posta nelle vicinanze di Melito di Porto Salvo, del cui territorio comunale costituisce un'enclave contenente l'attuale sede comunale e l'abitato di Roghudi Nuovo, la seconda è posta all'interno sulle pendici meridionali dell'Aspromonte e nella quale si trova l'abitato ora abbandonato di Roghudi Vecchio. A seguito di due fortissime alluvioni avvenute nell'ottobre 1971 e nel gennaio 1973 l'abitato di Roghudi vecchio, fino ad allora sede comunale, fu dichiarato totalmente inagibile. Fu di conseguenza deciso di trasferire gli abitanti di Roghudi Vecchio, nonché la sede comunale, in un abitato di nuova fondazione che fu costruito in un territorio in prossimità della costa ionica alla periferia occidentale di Melito di Porto Salvo e che venne denominato Roghudi Nuovo.
    Nel cuore della grecanità, nell’idioma neogreco Roghudi significa "rupestre", denominazione che ben si adatta a questo centro situato nel cuore dell’Aspromonte, isolato (fino a pochi anni fa) anche dai centri vicini. Roghudi ha origini remotissime e mantenne un ordinamento feudale sino al 1811, anno in cui venne eretta a Comune. Subì gravi danni per il terremoto del 1783. Grazie alla sua posizione isolata ha potuto conservare più a lungo dei centri vicini i suoi costumi, le sue usanze, e soprattutto il suo dialetto che mantiene inalterate tutte le caratteristiche degli idiomi neogreci, ormai definitivamente perdute dai centri vicini. Infatti, Roghudi attualmente costituisce una zona etnografica e folklorica di rilevante interesse. Le recenti alluvioni hanno purtroppo distrutto il paese, costringendo gli abitanti a rifugiarsi nei centri vicini (soprattutto a Melito Porto Salvo). La nuova Roghudi, sorta vicinissima a Melito Porto Salvo, è dotata di confortevoli case in cemento armato, costruzioni, tuttavia, anonime, che nulla hanno a che vedere con le tradizioni culturali del centro. La vecchia Roghudi, situata su uno sperone roccioso, è ormai accomunata al destino di tutti i paesi abbandonati: circondata da un eterno e suggestivo silenzio, lentamente va incontro alla definiva distruzione, sopravvivendo solo nella memoria di qualche vecchio abitante del luogo. La frazione di Chorio, sempre viva, è ubicata in una zona riparata. Vi abitano intagliatori e tessitrici di ginestra, che ripetono gli antichi motivi ornamentali della tradizione greco-latina. La qualità del formaggio locale (i cui stampi sono realizzati dagli intagliatori, insieme ad una miriade di altri oggetti caratteristici) è pregiata, per cui si tratta di un prodotto molto ricercato dagli abitanti dei paesi limitrofi. L’economia di questo centro è agricola, con una buona produzione di grano e olive. Ha grande importanza la pastorizia.

     
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    Ecco a voi Urbino

    Urbino è una città di 15.444 abitanti (2007) nella regione Marche, capoluogo (insieme a Pesaro) della Provincia di Pesaro e Urbino. Dal 1998 il suo centro storico è patrimonio dell'umanità UNESCO.
    La città romana di Urvinum Metaurense divenne un centro importante durante le Guerre gotiche nel VI secolo. Venne poi presa nel 538 dal bizantino Belisario, togliendola ai Goti, e venne frequentemente nominata dallo storico bizantino Procopio. Passò quindi nel dominio dei Longobardi e poi dei Franchi. Il re dei Franchi Pipino offrì Urbino allo Stato della Chiesa. Comunque, le tradizioni indipendenti e autonome si espressero nella forma di governo del Comune finché, intorno al 1200, cadde sotto il dominio dei nobili che combattevano tra loro nel vicino Montefeltro. Questi nobili non avevano diretta autorità sul comune, ma esercitavano pressioni per la loro elezione a podestà, titolo che Bonconte di Montefeltro riuscì a ottenere nel 1213, con il risultato che gli urbinati si ribellarono, formarono un'alleanza con il comune indipendente di Rimini (1228) e nel 1234 si reimpossessarono del controllo della loro città. Successivamente, però, i Montefeltro riuscirono a riprendere le redini della città che controllarono poi fino al 1508. Durante questo periodo, Urbino prese l'aspetto che in parte ancora oggi ha, con le sue cinta murarie. Nelle battaglie tra guelfi e ghibellini, i signori di Urbino del XIII e del XVI secolo erano capi dei ghibellini delle Marche e della Romagna, e si associavano con famiglie o città ghibelline.

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    Molto conosciuto e visitato è il Palazzo Ducale, uno dei più interessanti esempi architettonici ed artistici dell'intero Rinascimento italiano. Il palazzo è sede della Galleria nazionale delle Marche, ed è caratteristico per i torricini che ne delimitano la parte posteriore.
    La Casa di Raffaello si trova nell'omonima via, al civico 57. Qui si può ammirare un suo affresco giovanile, oltre che gli ambienti e gli arredi della casa dove visse il celebre pittore.
    Il Duomo, di stile neoclassico (architetto Giuseppe Valadier), contiene alcune tele di Federico Barocci.
    Di particolare interesse sono il monastero di Santa Chiara, che ha visto l'intervento del celebre architetto senese Francesco di Giorgio Martini.
    Il Monumento a Raffaello dello scultore Luigi Belli, ed il Museo archeologico lapidario.
    L'Oratorio di San Giovanni magnificamente affrescato dai fratelli Salimbeni.
    L'Oratorio di San Giuseppe dove si trova il bellissimo presepe del Brandani.
    Le facoltà di Scienze della Formazione (Magistero) e soprattutto di Economia (palazzo Battiferri) sono esempi di interventi architettonici moderni equilibrati in un tessuto urbano antico, senza creare anacronismi o falsi storici, mentre i Collegi Universitari, situati sul colle dei Cappuccini, sono a livello mondiale considerati capolavori dell'architettura degli anni settanta, per la densità di significati che contengono (architetto Giancarlo De Carlo).
    Ad Urbino vi è anche il collegio dove Giovanni Pascoli ha studiato fino all'età di 12 anni; il Collegio intitolato a Raffaello era retto da Padri Scolopi e aveva la sua sede in Piazza della Repubblica nel palazzo dove ora sono dislocati alcuni uffici della Prefettura.
    Il Mausoleo dei Duchi, poco fuori della cinta muraria cittadina, realizzato da Donato Bramante nella seconda metà del XV secolo per volere del duca Federico II, ospita le tombe di Federico II e Guidobaldo I Montefeltro duchi d'Urbino. In origine vi era conservata, sull'altare maggiore, la celebre pala d'altare di Piero della Francesca, raffigurante la Madonna, Federico II e alcuni santi, ora alla Pinacoteca di Brera a Milano.
    La rocca del Sasso di Montefeltro.
    La Chiesa di San Francesco, risalente al XIII secolo ma sistemata nella forma attuale nel 1742 dall'architetto Luigi Vanvitelli, mantenendo della presistente chiesa gotica: il campanile con la sottostante cappella, il nartece e una parte di un affresco, raffigurante la crocifissione di Cristo, opera dei fratelli Salimbeni.La chiesa attuale è il "Pantheon" urbinate, perchè vi hanno sepoltura: Federico Barocci, Giovanni Santi(pittore e padre di Raffaello Sanzio) e la moglie Magia Ciarla, il Beato Pelingotto, il Conte Antonio da Montefeltro, Timoteo Viti(pittore urbinate), Federico Comandino (matematico), Bernardino Baldi (letterato), Antonio Galli (poeta), Marco Montano (poeta), Muzio Oddi (architetto) e tanti altri.Inoltre la chiesa ospita un bel quadro di Federico Barocci, intitolato "il Perdono di Assisi", collocato sull'altare maggiore.
    Porta Valbona, è la principale porta d'accesso alla città. Eretta nella forma attuale nel 1621 per le nozze del futuro duca Federico Ubaldo Della Rovere con Claudia de'Medici.
    La Data ovvero le stalle ducali, potevano contenere fino a 300 cavalli, affacciate sulla grande piazza del Mercatale, assieme alla Rampa Elicoidale da cui si aveva accesso ad esse, sono opera dell'architetto Francesco di Giorgio Martini; recentemente ristrutturate dall'architetto Giancarlo De Carlo.
    La Chiesa di San Domenico, risalente al XIV secolo ma fu rifatta internamente nel 1729, mantenne sull'esterno i resti della chiesa gotica e un notevole portale rinascimentale opera di Luca della Robbia, relizzato nel 1450.
    Grotte del Duomo, si trovano sotto alla Basilica Cattedrale, risalgono al XVI secolo, composte da quattro cappelle, un tempo sede della Confraternità della Grotta; da segnalarsi la mirabile "Pietà" opera di Giovanni Bandini detto dell'Opera.
     
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    Taormina (Taurmina in siciliano) è un comune di 10.991 abitanti della provincia di Messina. E' uno dei centri balneari di maggiore rilievo della provincia, ma anche di tutta la regione. Il suo aspetto, il suo paesaggio, i suoi luoghi, le sue bellezze riescono ad attirare turisti provenienti da tutto il mondo.
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    Preistoria e antichità [modifica]
    Sull'origine di Taormina (Tauromenion, Tauromenium) molte sono le notizie, ma incerte per documentazione e poco attendibili.

    Diodoro Siculo nel 14° libro attesta che i Siculi abitavano la rocca di Taormina, vivendo di agricoltura e di allevamenti di bestiame, già prima dello sbarco dei greci di Calcide Eubea nella baia di Taormina (832 a.C.), dove alle foci del fiume Alcantara, fondarono Naxos (odierna Giardini Naxos), la prima colonia greca di Sicilia. Dionisio di Siracusa ,di origine dorica, tollerò per un po' la presenza degli Ionici di Calcide Eubea a Naxos ma poi mosse contro di essi che andarono ad occupare il Monte Tauro in, cui vivevano i Siculi insieme ad altri jonici che si erano precedentemente lì insediati da Naxos.

    Ma negli anni della XCVI Olimpiade (396 a.C.)i nassioti in massa, minacciati da Dionisio, tiranno di Siracusa, si trasferirono a Tauromenion, spinti da Imilcone, condottiero dei Cartaginesi, alleato degli jonici contro i dorici, perché il colle era da considerarsi fortificato per natura. Volendo il tiranno di Siracusa riprendersi con violenza il territorio dei Tauromenitani, essi risposero che apparteneva loro di diritto, poiché i propri antenati greci ne avevano già preso possesso prima di loro stessi, scacciando gli abitatori locali.

    Afferma Vito Amico che la suddetta versione sulle origini di Taormina fornita da Diodoro è contraddetta nel 16° libro, quando sostiene che Andromaco, dopo l'eccidio di Naxos del 403 a.C., radunati i superstiti li convince ad attestarsi nel 358 a.C. sulle pendici del vicino colle "dalla forma di toro", e di conseguenza il nascente abitato prese il nome di Tauromenion, toponimo composto da Toro e dalla forma greca menein, che significa rimanere.

    Mentre le notizie fornite da Cluverio concordano con la seconda versione di Diodoro, Strabone narra che Taormina abbia avuto origine dai Zanclei e dai Nassi. Ciò chiarirebbe in qualche modo l'affermazione di Plinio il quale afferma che Taormina in origine si chiamava Naxos.

    Testimone Diodoro Siculo, Taormina, governata saggiamente da Andromaco, progredisce, risplendendo in opulenza e in potenza. Nel 345 Timoleone da Corinto, sbarca e raggiunge Tauromenium, per chiedere l'appoggio militare al fine di sostenere la libertà dei Siracusani.

    Più tardi troviamo Taormina sotto il dominio del tiranno siracusano Agatocle, che ordina l'eccidio di molti uomini illustri della città e manda in esilio lo stesso Timeo, figlio di Andromaco. Anni dopo soggiace a Tindarione e quindi a Gerone, anch'essi tiranni Siracusani.

    Taormina rimane sotto Siracusa fino a quando Roma, nel 212 a.C., non dichiara tutta la Sicilia provincia Romana. I suoi abitanti sono considerati alleati dei Romani e Cicerone, nella seconda orazione contro Verre, accenna che la Città è una delle tre Civitates foederataee la nomina "Urbs Notabilis ". In conseguenza di ciò non tocca ai suoi abitanti pagare decime o armare navi e marinai in caso di necessità.

    Panorama di Taormina dal teatro greco Il palcoscenico del teatro greco Le tribune del teatro grecoNel corso della guerra servile (134 – 132 a.C.) Tauromenium è occupata dagli schiavi insorti, che la scelgono come caposaldo sicuro. Stretti d'assedio da Pompilio, resistono a lungo sopportando anche la fame e cedendo soltanto quando uno dei loro capi, Serapione, tradendo i compagni, lascia prendere la roccaforte.

    Nel 36 a.C. nel corso della guerra fra Sesto Pompeo ed Ottaviano, le truppe di quest'ultimo sbarcano a Naxos per riprendere la città a Sesto Pompeo che l'ha in precedenza occupata. Per ripopolare Tauromenium, dopo i danni della guerra subita, ma anche per presidiarla Ottaviano, divenuto Augusto, nel 21 a.C. invia una colonia di Romani, a lui fedeli, e nel contempo ne espelle gli abitanti a lui contrari.

    Strabone parla di Tauromenion come di una piccola città, inferiore a Messina e a Catania. Plinio e Tolomeo ne ricordano le condizioni di colonia romana.


    Avvento del cristianesimo e Medio Evo [modifica]
    Con l'avvento del Cristianesimo, Pietro apostolo destina a Taormina il vescovo Pancrazio, che già prestava la sua opera di conversione nella regione che costruisce la prima chiesetta sulle pendici di Taormina dedicata a san Pietro stabilendo la sede del primo vescovato in Sicilia.[senza fonte] Vescovi "prestantissimi per santità di costumi, zelo e dottrina", scrive Vito Amico, si succedono fino all'età araba. Poche sono le notizie in questo lasso di tempo, che annovera la caduta dell'Impero romano d'Occidente nel 447, l'invasione dei Goti, la presenza dei Bizantini, la conquista araba.

    Certo è che Taormina, occupa una posizione strategica importante per la tenuta militare del territorio circostante, per 62 anni fu l'ultimo lembo di terra dell'Impero romano d'Oriente insieme a Rometta e più volte resistette agli assalti dei saraceni (grazie alle sorgenti d'acqua potabile, alle cisterne ed agli acquedotti sotterranei), sin quando dopo un lungo assedio durato due anni la notte del Natale del 906, a causa del tradimento di un mercenario messinese tale Balsamo, fu presa e distrutta totalmente.

    I suoi abitanti maschi furono tutti decapitati come il vescovo di Taormina, san Procopio, la cui testa fu portata su un piatto d'argento al capo delle truppe saracene Ibrahim (al quale è intestata una via di Taormina). Le ragazze più belle furono portate al Califfo di Karaujan Al Moezzin e le altre furono rese schiave. I pochi superstiti fuggirono nelle montagne circostanti. La città fu ricostruita nella parte sud, laddove finiva quella greca-romana rasa al suolo dai saraceni e per quasi due secoli visse nella concordia e nella tolleranza fra arabi e cristiani. Gli arabi la abbellirono adornandola di bei giardini e fontane e la ribattezzarono con il nome di Almoezia dal Califfo Al Moezzin.

    Della città si impossessa il Gran Conte Ruggero, il quale espugnato Castronovo volge alla conquista del Val demone, cingendo d'assedio la Città, attraverso la costruzione di ben ventidue fortezze in legname: tronchi e rami formano un muro insuperabile; nondimeno i saraceni resistono per molto tempo prima di capitolare nel 1078.

    Taormina diviene Città Demaniale, compresa nella Diocesi prima di Troina e poi di Messina, quando la sede Vescovile viene qui trasferita.

    Segue le vicende della Sicilia, sotto gli Svevi e poi sotto gli Aragonesi. Nel 1410 il Parlamento Siciliano, uno dei più antichi d'Europa, svolge a Taormina la sua storica seduta, al Palazzo Corvaja alla presenza della regina Bianca di Navarra, per l'elezione del re di Sicilia , dopo la morte di Martino II.

    Nel secolo XVII Filippo IV di Spagna concede il privilegio che la Città appartenga stabilmente alla Corona.

    Nel 1675 è assediata dai francesi, che occupano Messina. La storia gloriosa volge al suo declino. I francesi di Casa D'Orleans non la ritengono Città importante. Gli Angioini ne aboliscono i privilegi di cui godeva. Con l'occupazione delle truppe napoleoniche di Napoli e del Sud e con il trasferimento della Reggia Borbonica a Palermo, Re Ferdinando I di Sicilia volle ringraziare Taormina per la sua fedeltà ai Borboni contro i francesi e Re Ferdinando in visita ufficiale nella fedele Taormina , in segno di riconoscimento donò al sindaco dell'epoca Pancrazio Ciprioti l'Isola Bella.

    I Borboni ,resero più facile l'accesso alla città ,che sin dai tempi dei romani avveniva dall'angusta Consolare Valeria che si inerpicava fra le colline, tagliando il promontorio del Catrabico realizzando così una strada litoranea che congiungeva facilmente Messina a Catania e realizzando,dopo la Napoli-Portici ,la seconda strada ferrata del Regno. Che tale e quale (ad unico binario è rimasta sino ai nostri tempi!).

    Da parte di molte nazioni europee e di famosi scrittori ed artisti (Goethe, Maupassant, Rouel ed altri) si manifestò un interesse verso l'amenità del luogo e verso le sue bellezze archeologiche. Taormina da adesso in poi si svilupperà, divenendo luogo di residenza del turismo elitario, inizialmente proveniente soprattutto dall'Inghilterra come Lady Florence Trevelyan, figlia del Barone Spencer Trevelyan e la cui nonna paterna era Lady Maria Wilson una prima cugina della Regina Vittoria, alla cui Corte Florence era cresciuta attorniata dai cani che adorava come la "zia Vittoria" che, però, lei puritana, per impedire uno scandalo a Corte ,la obbligò all'esilio con un ricco vitalizio, per una sua relazione con suo figlio, il Re Edoardo VII che era sposato con l'austera Alessandra di Danimarca e che decise di vivere a Taormina dove sposò il ricco filantropo Salvatore Cacciola, sindaco di Taormina ed amico del Duca di Kent.


    Età moderna [modifica]
    Lady Florence Trevelyan acquistò dal sindaco Pancrazio Ciprioti l'Isola Bella e comprò 82 vecchie casupole di pescatori e lotti di terreno che abbatté per realizzare lo splendido giardino che, dopo la sua morte, divenne il giardino pubblico di Taormina con le caratteristiche costruzioni ispirate ai suoi viaggi in estremo oriente, aiutò i La Floresta ad ampliare il primo albergo di Taormina, l'Hotel Timeo; dall'Inghilterra arrivò anche il Re Edoardo VII(dopo due anni, però, dalla morte della madre la Regina Vittoria nel 1903, 1904, 1907, 1908) e dalla Germania personaggi come Johann Wolfgang von Goethe, che citò Taormina nel suo Viaggio in Italia (Italienische Reise), il fotografo barone Wilhelm von Gloeden, il pittore Otto Geleng, Nietzsche (dal 1882) che qui scrisse Così parlò Zarathustra, Richard Wagner, il Kaiser Guglielmo II di Germania (1896-1897-1904, 1908), Oscar Wilde, lo Zar Nicola I, Ignazio Florio e Franca Florio, "la stella d'Italia" come la chiamava il Kaiser ed amica della Trevelyan, Gabriele D'Annunzio, Klimt, Freud, De Amicis e banchieri, magnati, aristocratici di tutto il mondo . [1]

    Ben presto Taormina divenne famosa in tutto il mondo sia per le sue bellezze paesaggistiche, per i suoi panorami variopinti, per i quadri dell'Etna innevato e fumante che declina sino al mare turchese e che fecero il giro del mondo, ma anche per la sua permissività, per la sua "trasgressione",per i suoi "dotti cenacoli", per il "mito d'Arcadia", per la sua sfrenata "dolce vita".


    Età contemporanea [modifica]
    "I pazzi a Taormina" dello scrittore catanese Massimo Simili[2] descrive un periodo in cui non passava giorno che a Taormina, non accadesse qualcosa di "folle" grazie ai suoi estrosi e famosi frequentatori. Ciò che era permesso a Taormina creava scandalo persino nella "internazionale" Capri dove, per esempio, l'armiere tedesco Krupp aveva cercato, senza riuscirvi di ricreare i "cenacoli taorminesi " in cui efebi locali ed ancelle erano al centro delle "scene". Krupp a Capri fu travolto dallo scandalo e pochi giorni dopo si tolse la vita per la vergogna a Brema.

    Sorsero tanti alberghi tutti gestiti da famiglie taorminesi. Il paese di pescatori e contadini e di benestanti borghesi si trasformò in un paese di commercianti, albergatori, costruttori. Durante la seconda guerra mondiale fu sede del Comando tedesco della Wermacht per cui il 9 luglio del 1943, giorno del patrono San Pancrazio, Taormina subì due devastanti bombardamenti aerei alleati che distrussero parte della zona sud e persino un'ala del famoso albergo San Domenico in cui era in corso una riunione dell'alto comando tedesco.

    Essendo un città turistica internazionale molte spie inglesi durante il fascismo si erano ben camuffate e uscirono alla scoperto appena entrarono le truppe alleate. Nel dopoguerra Taormina si ingrandì senza alterare le proprie bellezze naturali e sino al 1968 era una città turistica prettamente invernale per un turismo ricco ed individuale, tant'è che i migliori alberghi aprivano ad ottobre e chiudevano a giugno ed era frequentata da scrittori di fama come Roger Peyrefitte, Truman Capote, Andrè Gide, L.H.Lawrence, da nobili (Giuliana d'Olanda), dai reali di Svezia e di Danimarca, dal Presidente della Finlandia Urho Kekkonen da personaggi illustri e famosi come Soraya, Ava Gardner, Romy Schneider, che fecero amicizia anche con alcuni affascinanti play boys del luogo, nonché Liz Taylor, Richard Burton, Dino Grandi, Willy Brandt, Greta Garbo, che svernavano per mesi negli alberghi taorminesi trascorrendo le giornate, ma soprattutto le notti nei tipici locali notturni dell'epoca e continuando, così, quella dolce vita iniziata con la Belle Epoque.

    Centro d'incontro per tutti (artisti, nobili, playboy, scrittori, personaggi curiosi) era il Cafè Concerto "Mocambo" dell'estroso play boy Robertino Fichera. Robertino, con i suoi mitici amici Chico Scimone e Dino Papale,quest'ultimo fondatore della Women's Tennis Association, (raffigurati tutti e tre in prima fila) volle rappresentare in un murales, che fece dipingere nel salone del suo famoso Cafè affinché rimanessero "immortali" seduti accanto a Sigmund Freud e Albert Eistein, quelli che erano i veri protagonisti del grande teatrino taorminese cioè quella umanità "viva", composta da playboy, artisti e "pazzi", che "creava" ogni giorno la "dolce vita" taorminese. "Che la festa inizi" è il titolo del murales. Ma la festa stava per finire, ed anche la vita terrena di Robertino!

    Nel 1968, accadde il terremoto del Belice che fece paura per le ripercussioni che avrebbe potuto avere sul turismo ad alcuni operatori turistici taorminesi che frettolosamente si indirizzarono verso il turismo di massa facendo contratti con i maggiori tour operator europei. Taormina, così, rapidamente si trasformò. Gli alberghi "vendevano" le camere a contratto annuale ai grandi tour operator del turismo di massa rinunciando al turismo classico individuale che sino allora aveva reso ricca e famosa Taormina con un taglio decisamente di alta classe e di prestigio.

    Col turismo di massa la cittadina si espanse nelle adiacenti zone verdi, fu rapidamente e disordinatamente cementificata, nacquero nuovi alberghi e tante nuove attività commerciali e siccome i taorminesi non si volevano dedicare ai lavori umili, vi fu una invasione dall'arretrato entroterra siciliano di gente povera di diversa cultura in cerca di fortuna, che in poco tempo, richiamò a Taormina amici e parenti che si improvvisarono albergatori, ristoratori, commercianti.

    Taormina divenne, in breve tempo, una cittadina balneare per un turismo di massa, una nobile decaduta.

    Gli alberghi ora chiudevano a novembre per riaprire a Pasqua. Fu il crollo per quasi tutte le famiglie di antichi albergatori taorminesi che non riuscirono ad adeguarsi ai nuovi tempi ed in pochi anni persero i propri alberghi che furono acquistati da società venute da fuori che miravano più ai bilanci che alla qualità dei servizi.

    Gli alberghi non erano più le seconde case di lusso dei viaggiatori che venivano accolti con grande cortesia dai proprietari e con i quali si familiarizzava, si conversava e si prendeva il thè ... ma erano degli anonimi alberghi con degli anonimi clienti come tanti di tutto il mondo. Fu una rivoluzione anche nel tessuto economico sociale tradizionale di Taormina a causa dei tanti immigrati arrivati a Taormina in cerca di fortuna, che non solo dettero vita alla speculazione edilizia, avendo necessità di costruire abitazioni per essi, per gli amici e per i parenti, ma si insediarono anche nelle strutture di potere della città.

    Fu la fine anche della dolce vita taorminese, i cui protagonisti erano stati tanti estroversi personaggi della aristocrazia siciliana e alcuni affascinanti play boy locali che, fra le dolcezze della natura taorminese, intrattenevano turiste famose e non, inducendole a ritornare annualmente più volte a Taormina, proprio come avveniva agli albori del secolo con Geleng e Von Gloeden.

    Taormina veniva, quindi, "spersonalizzata", perdeva la propria "identità" di città di artisti e di "pazzi" in cui ognuno poteva vivere come non poteva nella propria città e Taormina rischiava di morire a causa del "provincialismo" dei tanti immigrati che erano venuti a Taormina per cercar fortuna e che, avendola trovata ed essendosi anche arricchiti avevano ben presto occupato i posti di potere snaturando,così la città che perdeva la sua identità e veniva invasa dal cemento, come tante altre famose città turistiche e ciò anche a causa del turismo "mordi e fuggi" prediletto da una categoria di audaci mercanti.

    Si perdeva soprattutto l' "identità" del taorminese ospitale e colto anche perché il centro storico veniva svuotato in quanto molti taorminesi svendevano le loro vecchie case ed al loro posto sorgevano tante seconde e terze case per villeggianti della provincia, sin quando, all'inizio del III millennio, alcuni imprenditori non hanno iniziato a creare nuovamente alberghi di gran lusso, maisons de charme, che, aperti tutto l'anno, hanno in poco tempo, fatto si che Taormina sia nuovamente una città turistica di fama internazionale, elegante, con un salotto buono (il Corso Umberto I) in cui sono presenti splendidi negozi con le maggiori griffe mondiali ed in cui, grazie anche ai tanti prestigiosi eventi culturali, una per tutte Taormina Arte, vi è una stagione turistica che dura tutto l'anno con delle punte massime in agosto e minime a gennaio-febbraio e che accoglie sia clientela di lusso, sia un turismo di massa (d'estate) medio-alto. Attualmente Taormina è considerata una delle città più belle, più accoglienti e più affascinanti di tutta l'intera Sicilia; questo suo nobile aspetto è dovuto essenzialmente alla caratteristica del paesaggio circostante: da un lato vi è il mare con la sua attraente spiaggia, tipico aspetto della zona costiera della Sicilia, mentre dall'altro è circondata interamente da montagne e colline varie, caratteristico di tutta la parte centrale della regione; è proprio questa la principale particolarità che spinge ogni anno milioni di turisti a visitare questa perla sperduta tra il Mar Mediterraneo.
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    Dopo Urbino, metto anche Forlì :D

    Forlì (Furlè in romagnolo, Forum Livii in latino) è una città di 116.034 abitanti (al 29 settembre 2008), capoluogo della provincia di Forlì-Cesena, dopo essere stata, per quasi tutto il XX secolo, capoluogo della provincia di Forlì, nome sotto il quale era compreso anche il territorio ora facente parte della provincia di Rimini. Forlì è nota anche col soprannome dialettale di "Zitadon", il "Cittadone".

    Forlì è una città dell'Emilia-Romagna ed in particolare si trova in Romagna, di cui è, come dice Dante nel De Vulgari eloquentia, "meditullium", cioè l'area centrale. Questo primato è anche linguistico, nel senso che il forlivese costituisce il dialetto romagnolo tipico, visto che, come è naturale, il Romagnolo tende a perdere questa o quella peculiarità a mano a mano che si avanza verso la periferia della Romagna e che la lingua subisce, per ciò, gli influssi delle zone circostanti.
    La località dove Forlì sorge fu abitata sin dal Paleolitico, come dimostrano i copiosi ritrovamenti di Monte Poggiolo, con migliaia di reperti datati a circa 800.000 anni fa.
    La città è poi sorta su un antico insediamento commerciale, chiamato dagli Etruschi "Ficline" (Figline, cioè terra di vasai, per le ceramiche che vi venivano prodotte e che saranno famose anche nei secoli XIV-XVI), sito sulla linea di confine che separava il territorio controllato dai Lingoni da quello dei Senoni.
    Il nome è di origine romana (Forum Livii): il castrum fu probabilmente fondato nel 188 a.C., secondo la tradizione, da Caio Livio Salinatore, figlio del console Marco Livio Salinatore che, nel 207 a.C., sconfisse l'esercito cartaginese guidato da Asdrubale nella battaglia del Metauro. Della città romana rimangono pochi resti, specialmente sotterranei (ponti, strade lastricate, fondazioni). Il forum doveva essere all'altezza dell'attuale piazza Melozzo, mentre è probabile l'esistenza di un castrum nella zona dei Romiti, sulla via per Faenza. Il castrum chiamato Livia e il forum detto Livii rifondarono l'etrusca Ficline dando luogo a Forlì. Un importante pagus risalente agli anni in cui era Imperatore Costanzo II è stato rinvenuto nei pressi della località Pieveacquedotto, dove vi scorreva l'acquedetto di Traiano.

    Antichità e Medioevo

    Caduto l'Impero Romano d'Occidente, dopo il breve dominio di Odoacre, fece parte del regno degli Ostrogoti, poi dell'impero di Bisanzio. Rimase bizantina ai tempi dell'invasione longobarda, nel VI secolo, poi fece parte delle donazioni di Pipino il Breve alla Chiesa.

    Nata, ovviamente per motivi di difesa, su un'isola alla confluenza di due fiumi, Forlì fu però lungamente travagliata dalle inondazioni, così, intorno al 1050, venne risistemato l'impianto dei corsi d'acqua con vari lavori di ingegneria che allontanarono dal centro abitato il rischio di nuovi allagamenti.

    La città fu protagonista delle vicende del territorio romagnolo durante il Medioevo: il complesso stemma allude a diversi momenti della sua storia: la città ebbe dai Romani lo scudo vermiglio, su cui poi fu posta, in ricordo della partecipazione dei Forlivesi alla Prima Crociata, una croce bianca; un secondo scudo, bianco, attraversato dalla scritta LIBERTAS, testimonia dei periodi in cui la città si erse a repubblica (la prima volta nell'889, l'ultima nel 1405): i colori della città, pertanto, sono il bianco ed il rosso; l'aquila sveva in campo d'oro fu invece concessa da Federico II, per l'aiuto datogli nella presa di Faenza (1241), essendosi Forlì schierata dalla parte dei ghibellini.

    L'Imperatore elargì alla città, nell'occasione, anche un'ampia autonomia comunale, compreso il diritto di battere moneta.

    Il passaggio dal libero comune alla signoria fu piuttosto tormentato: emersero, fra gli altri, i tentativi di Simone Mastaguerra, Maghinardo Pagani e Uguccione della Faggiuola, ma il successo nel dominio cittadino arrise alla dinastia della famiglia Ordelaffi, che resse, sia pure con qualche interruzione, la città dalla fine del XIII fino all'inizio del XVI.

    Dal punto di vista tecnico, si può segnalare il fatto che Forlì, nel XIV secolo, fu una delle prime città a dotarsi di orologio meccanico, posto nella torre civica.

    La Forlì medioevale vide anche la presenza di una fiorente comunità di Ebrei: si ha notizia dell'esistenza d'una scuola ebraica in città fin dal XIII secolo, mentre uno statuto civico forlivese del 1359 ci testimonia la stabilità della presenza degli Ebrei e dei loro banchi. Anzi, nel Medio Evo, gli Ebrei a Forlì potevano possedere terreni e fabbricati. Col Cinquecento, però, la possibilità si restrinse ai soli fabbricati, anche a causa del passaggio della città al dominio diretto dello Stato della Chiesa.[1]

    Insomma, Forlì fu un importante centro di affari e di vita culturale ebraica.

    Da segnalare, a tal proposito, è l'importante congresso dei delegati delle comunità ebraiche di Padova, di Ferrara, di Bologna, delle città della Romagna e della Toscana, nonché di Roma, che fu convocato a Forlì il 18 maggio 1418: vi si presero decisioni sul comportamento (etico e sociale) che gli Ebrei avrebbero dovuto tenere e si inviò una delegazione al Papa Martino V per la conferma degli antichi privilegi e la concessione di nuovi. Nasce, e poi fiorisce con Melozzo e Marco Palmezzano, la scuola forlivese nel campo della pittura.

    Ecco una foto di Piazza Saffi, la piazza principale di Forlì!!

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  5. Ciony
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    image Assèmini



    Stato: bandiera Italia
    Regione: Sardegna
    Provincia: stemma Cagliari
    Altitudine: 6 m s.l.m.
    Superficie: 117,50 km²
    Abitanti:
    26.310 31-10-2007 ( ISTAT )
    Densità: 223,91 ab./km²
    Frazioni: Macchiareddu, Sa Traia, San Leone, Sant'Andrea, Su Carroppu, Su Spinecu, Terrasili, Truncu Is Follas
    Comuni contigui: Cagliari, Capoterra, Decimomannu, Elmas, Nuxis (CI),
    San Sperate, Santadi (CI), Sarroch, Sestu, Siliqua, Uta, Villa San Pietro
    CAP: 09032
    Pref. telefonico: 070
    Codice ISTAT: 092003
    Codice catasto: A474
    Nome abitanti: asseminesi
    Santo patrono: San Pietro
    Giorno festivo: 29 giugno




    ORIGINI DEL NOME

    Oggetto di indagini storico linguistiche fin dal secolo scorso, già lo Spano coglieva nel termine SHEMEN, cioè PINGUE, sonorità puniche; tuttavia nelle antiche carte geografiche si trova ARXEMINI.
    Il Pais sosteneva un’origine araba del toponimo ASHEMEN ossia “ottavo” sottinteso miglio, che traduceva il Latino “AD OCTAVUM “ la distanza tra il nostro centro e Karalis.
    Anche l’Alziator deduce un’origine araba da ARSEMINE. Contrariamente il Miglior sostiene che l’origine del nome dovrebbe derivare dalla particolare ricchezza faunistica del territorio, perciò dal greco ARTEMIS ovvero ARTEMIDE, Dea della caccia.
    Invece la tesi del Cherchi Paba punta su motivazioni di carattere politico-militare, sostenendo che il nome deriverebbe dal latino ARX MUNI o MUNITA cioè ACCAMPAMENTO FORTIFICATO.
    Queste teorie nella loro diversità mettono in rilievo il ruolo non certo marginale che Assemini ha esercitato e sono il segno di una storia di reciproca dipendenza e interesse, soprattutto con Cagliari principale centro politico, economico e militare dell’isola


    Assèmini (in sardo Assèmini) è un comune di 26.310 abitanti in provincia di Cagliari. È classificato secondo gli standard turistici "paese di antica tradizione della ceramica". Ospita gli stabilimenti di produzione della celebre birra Ichnusa. È sede di allenamento della squadra Cagliari Calcio nei campi intitolati a Ercole Cellino.
    Il paese sorge nella pianura del rio Cixerri, del Flumini Mannu e del rio Sa Nuxedda appena a nord dello stagno di Santa Gilla.
    Il territorio comunale è abbastanza vasto in confronto alla dimensione del centro abitato in quanto comprende un'isola amministrativa distaccata. L'isola è principalmente costituita da boschi incontaminati immersi in nella suggestiva vallata di Gutturu Mannu (termine sardo per "grande gola") a sua volta facente parte del Parco del Sulcis: la zona è oggetto di interesse naturalistico in quanto habitat naturale di specie quali il cervo sardo e l'aquila reale e archeologico per il ritrovamento di numerosi reperti di epoca romana che fanno supporre l'esistenza di un oppidum. In seguito all'individuazione di una strada che costeggia il Flumini Mannu tuttora visibile, si ipotizza inoltre che l'antico centro abbia intrattenuto rapporti con il porto punico di Nora.
    Assemini, come altri centri del Campidano, ha conservato numerosi esemplari di case tipiche campidanesi frutto di una architettura che alcuni specialisti definiscono minore. Si tratta di ampie abitazioni, di cui si ha notizia già nel periodo giudicale le cui tecniche di costruzione e caratteristiche architettoniche hanno subito vari cambiamenti in seguito alle lunghe e diverse dominazioni della Sardegna, risentendo soprattutto di un'ancor evidente influenza spagnola i cui effetti saltano subito all'occhio, per via delle analogie estetiche (e non solo) tra le case campidanesi e le hacienda diffuse nelle ex colonie ispaniche dell'America Latina.
    Queste abitazioni sono costruite con l'impiego di particolari mattoni crudi (in sardo làdiri dal latino later, argilla), e sono riconoscibili per i caratteristici cortili centrali in cui erano presenti pozzi, forni e mulini necessari alla lavorazione del grano; in particolare nelle case campidanesi di Assemini i cortili erano attrezzati ed utilizzati, già dal periodo della dominazione spagnola, per la lavorazione della ceramica: questa testimonianza fornisce un'ulteriore elemento in comune con le haciendas, anch'esse non semplici abitazioni di residenza, ma attrezzati luoghi di lavoro e punti d'incontro di artigiani.
    Sui cortili si affacciano (come anche nelle haciendas) grandi loggiati archeggiati o architravati (in sardo lollas, singolare lolla) in cui venivano anticamente svolte numerose attività quotidiane tipiche della cultura agro-pastorale e, cosa ancor più importante fungeva da corridoio d'accesso a tutte le camere della casa; questo particolare elemento aveva un ruolo fondamentale all'interno del contesto architettonico e veniva considerato essenziale in un'abitazione tanto da identificare con lo stesso termine lolla questa categoria di costruzioni abitative in sardo.
    La maggior parte di queste costruzioni è a due piani: il piano terra era (o è ancora) destinato ad uso abitativo; il primo piano invece era originariamente utilizzato per la conservazione dei raccolti e delle provviste che dovevano essere preservate dall'umidità; vi si accede tramite una botola dall'interno dell'abitazione principale.
    All'esterno di ogni casa campidanese si trova un particolare grande portale ad arco a tutto sesto, che ha funzione di ingresso principale al cortile centrale e alla lolla.
    Le case campidanesi sono considerate un patrimonio di grande valore storico e per questo tutelate dalle autorità competenti.
    Assemini è considerato "paese di antica tradizione della ceramica". I primi reperti, venuti alla luce nella zona di Sant'Andrea, che testimoniano questo tipo di pratica artigianale risalgono al periodo della dominazione punica della Sardegna. I reperti di maggiore importanza e in numero più consistente possono essere datati tra la fine del V e l'inizio del III secolo a.C. È molto probabile che la cospicua produzione di ceramiche (prevalentemente casseruole, scodelle, tegami e brocche nonché manufatti ornamentali) avvenisse in particolari cortili detti (in sardo) "strexiaius" (strexiu è un pluralia tantum che significa appunto stoviglie) in cui si trovavano pozzi per l'estrazione dell'argilla alcalina di cui il territorio è particolarmente ricco, vasche per la decantazione e la levigazione, il tornio, tettoie per essiccare i manufatti e forni a legna in mattoni crudi di forma cilindrica (probabilmente di derivazione orientale). Durante il Medioevo corporazioni apposite, dette Gremii, disciplinarono le attività creativa e commerciale degli strexiaius con statuti e regolamenti, onde imporre l'obbligo di non variare le forme e di non modificare i canoni fissati. Con l'avvento della dominazione spagnola che durò sino al XVIII secolo, gli strexiaius furono compresi negli ampi cortili delle case campidanesi di cui ancora oggi rimangono ben conservate numerose testimonianze.

    La tradizione della ceramica, così profondamente radicata nel territorio e negli asseminesi, trova la sua espressione anche nello stemma comunale che rappresenta, tra l'altro, un'antica brocca.

    Attualmente ad Assemini si producono stoviglie ornamentali, arricchite di motivi naturalistici (spesso ispirati a modelli molto antichi) o geometrici, in rilievo o a graffito. La destinazione d'uso di questi prodotti artistici è diversificata in quanto una parte di questi, per quanto raffinati, è destinata all'uso quotidiano (soprattutto stoviglie). Sebbene la foggia delle opere sia estremamente varia a seconda degli artisti, è possibile riscontrare nell'intera produzione numerosi elementi in comune che coinvolgono tanto i motivi decorativi quanto le tecniche di realizzazione: ciò conferisce alla produzione di ceramiche artistiche asseminesi uniformità e originalità in rapporto ad altre tradizioni, rendendola unica per i suoi tratti distintivi.

    Nel 1995 l'amministrazione comunale ha dato vita alla Mostra-mercato permanente della Ceramica Asseminese presso il "Centro Pilota per la Ceramica", uno spazio espositivo di circa 500 metri quadrati, nel quale possono essere ammirate molte opere dei più importanti ceramisti asseminesi.

    Nell'estate 2007 l'amministrazione comunale, tramite il lavoro dell'Assessorato alle Attività Produttive, ha inaugurato la “Mostra permanente della ceramica d'arte” negli stabili attigui al sopra citato Centro Pilota. La Mostra, che rappresenta una novità assoluta nel panorama regionale sardo, racchiude oltre 250 pezzi unici di valore inestimabile che, nel corso di oltre 30 anni, il Comune di Assemini ha acquistato al termine delle varie edizioni del Concorso Nazionale della Ceramica tenutesi nella cittadina. Questi pezzi, plasmati da artisti provenienti da tutta Italia, rappresentano la vetta massima dell'espressione artistica dei maestri ceramisti italiani. Iniziative di pari livello sono riscontrabili, in ambito nazionale, in realtà come Faenza e Senigallia.

    Assemini, come altri centri del Campidano, ha conservato numerosi esemplari di case tipiche campidanesi frutto di una architettura che alcuni specialisti definiscono minore. Si tratta di ampie abitazioni, di cui si ha notizia già nel periodo giudicale le cui tecniche di costruzione e caratteristiche architettoniche hanno subito vari cambiamenti in seguito alle lunghe e diverse dominazioni della Sardegna, risentendo soprattutto di un'ancor evidente influenza spagnola i cui effetti saltano subito all'occhio, per via delle analogie estetiche (e non solo) tra le case campidanesi e le hacienda diffuse nelle ex colonie ispaniche dell'America Latina.

    Queste abitazioni sono costruite con l'impiego di particolari mattoni crudi (in sardo làdiri dal latino later, argilla), e sono riconoscibili per i caratteristici cortili centrali in cui erano presenti pozzi, forni e mulini necessari alla lavorazione del grano; in particolare nelle case campidanesi di Assemini i cortili erano attrezzati ed utilizzati, già dal periodo della dominazione spagnola, per la lavorazione della ceramica: questa testimonianza fornisce un'ulteriore elemento in comune con le haciendas, anch'esse non semplici abitazioni di residenza, ma attrezzati luoghi di lavoro e punti d'incontro di artigiani.

    Sui cortili si affacciano (come anche nelle haciendas) grandi loggiati archeggiati o architravati (in sardo lollas, singolare lolla) in cui venivano anticamente svolte numerose attività quotidiane tipiche della cultura agro-pastorale e, cosa ancor più importante fungeva da corridoio d'accesso a tutte le camere della casa; questo particolare elemento aveva un ruolo fondamentale all'interno del contesto architettonico e veniva considerato essenziale in un'abitazione tanto da identificare con lo stesso termine lolla questa categoria di costruzioni abitative in sardo.
    La maggior parte di queste costruzioni è a due piani: il piano terra era (o è ancora) destinato ad uso abitativo; il primo piano invece era originariamente utilizzato per la conservazione dei raccolti e delle provviste che dovevano essere preservate dall'umidità; vi si accede tramite una botola dall'interno dell'abitazione principale.
    All'esterno di ogni casa campidanese si trova un particolare grande portale ad arco a tutto sesto, che ha funzione di ingresso principale al cortile centrale e alla lolla.
    Le case campidanesi sono considerate un patrimonio di grande valore storico e per questo tutelate dalle autorità competenti.
    Assemini è considerato "paese di antica tradizione della ceramica". I primi reperti, venuti alla luce nella zona di Sant'Andrea, che testimoniano questo tipo di pratica artigianale risalgono al periodo della dominazione punica della Sardegna. I reperti di maggiore importanza e in numero più consistente possono essere datati tra la fine del V e l'inizio del III secolo a.C. È molto probabile che la cospicua produzione di ceramiche (prevalentemente casseruole, scodelle, tegami e brocche nonché manufatti ornamentali) avvenisse in particolari cortili detti (in sardo) "strexiaius" (strexiu è un pluralia tantum che significa appunto stoviglie) in cui si trovavano pozzi per l'estrazione dell'argilla alcalina di cui il territorio è particolarmente ricco, vasche per la decantazione e la levigazione, il tornio, tettoie per essiccare i manufatti e forni a legna in mattoni crudi di forma cilindrica (probabilmente di derivazione orientale). Durante il Medioevo corporazioni apposite, dette Gremii, disciplinarono le attività creativa e commerciale degli strexiaius con statuti e regolamenti, onde imporre l'obbligo di non variare le forme e di non modificare i canoni fissati. Con l'avvento della dominazione spagnola che durò sino al XVIII secolo, gli strexiaius furono compresi negli ampi cortili delle case campidanesi di cui ancora oggi rimangono ben conservate numerose testimonianze.

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    La tradizione della ceramica, così profondamente radicata nel territorio e negli asseminesi, trova la sua espressione anche nello stemma comunale che rappresenta, tra l'altro, un'antica brocca.
    Attualmente ad Assemini si producono stoviglie ornamentali, arricchite di motivi naturalistici (spesso ispirati a modelli molto antichi) o geometrici, in rilievo o a graffito. La destinazione d'uso di questi prodotti artistici è diversificata in quanto una parte di questi, per quanto raffinati, è destinata all'uso quotidiano (soprattutto stoviglie). Sebbene la foggia delle opere sia estremamente varia a seconda degli artisti, è possibile riscontrare nell'intera produzione numerosi elementi in comune che coinvolgono tanto i motivi decorativi quanto le tecniche di realizzazione: ciò conferisce alla produzione di ceramiche artistiche asseminesi uniformità e originalità in rapporto ad altre tradizioni, rendendola unica per i suoi tratti distintivi.
    Nel 1995 l'amministrazione comunale ha dato vita alla Mostra-mercato permanente della Ceramica Asseminese presso il "Centro Pilota per la Ceramica", uno spazio espositivo di circa 500 metri quadrati, nel quale possono essere ammirate molte opere dei più importanti ceramisti asseminesi.
    Nell'estate 2007 l'amministrazione comunale, tramite il lavoro dell'Assessorato alle Attività Produttive, ha inaugurato la “Mostra permanente della ceramica d'arte” negli stabili attigui al sopra citato Centro Pilota. La Mostra, che rappresenta una novità assoluta nel panorama regionale sardo, racchiude oltre 250 pezzi unici di valore inestimabile che, nel corso di oltre 30 anni, il Comune di Assemini ha acquistato al termine delle varie edizioni del Concorso Nazionale della Ceramica tenutesi nella cittadina. Questi pezzi, plasmati da artisti provenienti da tutta Italia, rappresentano la vetta massima dell'espressione artistica dei maestri ceramisti italiani. Iniziative di pari livello sono riscontrabili, in ambito nazionale, in realtà come Faenza e Senigallia.

    Sa panada



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    Nella lunga e varia tradizione culinaria sarda Assemini si distingue per l'unicità e l'originalità di alcuni piatti, primo tra tutti la panada apprezzata e consumata, in alcune varianti, in tutta la Sardegna. Nella maggior parte dei casi la produzione e il consumo avvengono tuttora in ambito familiare e privato e le tecniche di preparazione tradizionali, custodite dalla memoria popolare, sono rimaste quasi invariate per secoli. La panada, chiamata in sardo sa panada (plurale panadas), è un piatto unico costituito da un contenitore di forma circolare di pasta non lievitata ripieno chiuso da ricami a treccia (tradizionalmente realizzati senza l'ausilio di utensili) e successivamente cotto al forno. La tradizione vuole che il ripieno sia di carne (d'agnello o di maiale) e patate condite da zafferano e olio d'oliva o strutto. Un'importante variante prevede il ripieno d'anguilla a testimonianza dell'antica e intensa attività di pesca del comune ormai quasi scomparsa; in tempi più recenti vengono preparate panadas anche con piselli e melanzane.
    A differenza di quanto avviene nelle zone settentrionali dell'isola in cui il pane carasau è il tipo di pane più consumato in assoluto, ad Assemini, come nella gran parte della Sardegna meridionale si producono maggiormente altre varietà fra cui su maritzosu e su civraxiu. Nel paese un ruolo di spicco è ricoperto da su coccoi, una varietà di pane a pasta dura che viene preparato per il consumo giornaliero o per particolari occasioni e festività religiose in funzione di pani votivi: in quest'ultimo caso vengono utilizzate speciali tecniche di preparazione tradizionali che hanno raggiunto nel tempo altissimi livelli di estetica e raffinatezza fino a divenire vere e proprie forme d'arte, ammirate ed apprezzate in tutta l'isola.
     
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  6. R5GT22
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    PREDAPPIO

    Predappio (Predàpi o la Prè in romagnolo) è un comune di 6.440 abitanti della provincia di Forlì-Cesena. La storia di Predappio inizia sin dall'epoca dei Romani. In quegli anni infatti Augusto divise l'Italia in undici province. Predappio era parte della sesta provincia. Si narra che il nome derivi dall'insediamento in queste località di una antica famiglia romana: gli Appi. La località venne così denominata Praesidium Domini Appi e abbreviata con Pre.D.i.Appi. Nella frazione di Fiumana, a conferma di ciò, sono state trovate, pochi anni fa, le rovine di una antica villa romana.

    Sino al 1927 l'odierna frazione di Predappio Alta era anche capoluogo. Dopo il 1927, con il podestà Pietro Baccanelli, esso fu spostato nella frazione Dovia ed è oggi l'attuale Predappio capoluogo (o anche Predappio Bassa, anche se il suo nome originale è Predappio Nuova). Due anni prima, nel 1925, il comune di Fiumana si unì a quello di Predappio divenendone una frazione. Fiumana conta una popolazione di circa 1250 abitanti e sorge sulle rive del fiume Rabbi, lungo la strada statale 9 ter che unisce Forlì, a circa 10 km, e Predappio, a circa 5 km. Fiumana rimase comune fino al 1925, anno nel quale le autorità fasciste ne decisero l'incorporamento nel comune di Predappio.

    È di particolare interesse la Chiesa di Sant'Agostino in stile romanico. Chiesa ad un unica navata che conserva al suo interno diversi affreschi in non perfetto stato di conservazione raffiguranti la storia della chiesa stessa. Tra questi possiamo trovarne uno raffigurante San Gerolamo a capo scoperto e una Madonna con bambino che si dice appartenga al "Giottesco Romagnolo". Il comune risiede a Palazzo Varano. Questo fu ricostruito nel 1926 dall'architetto Di Fausto. Le fondamenta di Palazzo Varano poggiano su una antica casa contadina appartenuta alla famiglia Varena dalla quale il Palazzo ereditò il nome.

    Un altro edificio di grande valore storico-artistico è la Chiesa di San Cassiano in Pennino risalente ai secoli X e XI. Ristrutturata diverse volte a causa dei danni causati da terremoti fu proclamata monumento nazionale nel 1934. Della chiesa originale restano ancora intatti solo abside, cripta e fondamenta. Altra chiesa di interesse artistico e quella dedicata a Sant'Antonio di Padova. Fu Benito Mussolini che la fece erigere nel 1931 dall'architetto Cesare Bazzani. Inoltre affidò allo scultore Morbiducci il compito di ornarne il portale con 10 bassorilievi in bronzo. Recandoci invece a Predappio Alta potremmo ammirare quello che rimane dell'antico castello medievale, rinforzato nel 1471 ma presente già dal 1283, attorno a cui è sorto il borgo. Sempre a Predappio Alta possiamo visitare la Chiesa di S. Maria Assunta (di foggia ottocentesca), e il Santuario della Beata Vergine della Maestà (1700).

    La città di Predappio diede i natali a due personaggi storici: Benito Mussolini, che fu capo della dittatura fascista e Adone Zoli, personaggio che ricoprì grandi cariche politiche durante la lotta di Liberazione e all'interno della Repubblica italiana nella quale divenne anche Presidente del Consiglio. Nel cimitero di San Cassiano possiamo trovare le tombe di entrambe le famiglie, Mussolini e Zoli.

    Ecco la foto della Chiesa di Sant Antonio in centro predappio.

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  7. dylandog85
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    BENEVENTO
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    LA STORIA




    "... Nulla in Italia è più antico di Benevento, che secondo le leggende locali fu fondata o da Diomede o da Ausone, un figlio di Ulisse e Circe.
    Essa fu senza dubbio un'antica città ausonica, fondata lungo tempo prima della conquista sannita di questa parte d'Italia.
    Pur tuttavia è come di una città sannitica che per primo sentiamo parlare di essa, ed è allora una fortezza così poderosa che sia nella prima che nella seconda guerra Sannita, Roma non ardisce attaccarla.
    Nella terza guerra sannitica cadde nelle sue mani..."

    Così scriveva Edward Hutton nel 1958.
    (in Naples and Campania revisited, London, Hollis and Carter, 1958; riportato in "Benevento nei ricordi dei viaggiatori italiani e stranieri" di Aniello Gentile, Società Editrice Napoletana, 1982, edito con il patrocinio del Comune di Benevento).

    In effetti le prime testimonianze storiche sulla città risalgono al periodo delle guerre sannitiche, durante le quali Benevento, appunto, era città forte e potente, tanto da scoraggiare l'attacco da parte dei Romani.

    Nel 275 a. C. i Romani al comando del console Manlio Curio Dentato vi sconfissero il re dell'Epiro, Pirro e, da qui, l'antico nome di Maleventum venne tramutato in quello di Beneventum per testimoniare il bonus eventus della vittoria.

    Nel 268 a.c. i Romani vi stabiliscono una loro colonia.

    Aspramente contesa durante le guerre puniche, ottenne lo status di municipio dopo la guerra sociale (86 a. C.).

    Numerosi monumenti ricordano la grandezza di Benevento durante il periodo romano. Collocata sulla Via Appia, che collegava Roma a Brindisi, divenne ben presto un nodo importante nei traffici commerciali tra Roma e l'Oriente.

    A testimoniare tale importanza strategica è il Ponte Leproso costruito, appunto, sul persorso della Via Appia.

    Anche l'Arco di Traiano (114 a.c.) è collocato, sul percorso della Via Appia, rivolto ad Est, per accogliere l'imperatore che tornava vittorioso dalle sue spedizioni in Oriente.

    Non meno significativa la grandiosità del Teatro Romano (II-II sec.) che poteva ospitare 10.000 spettatori. Segno che Benevento era una città florida e popolata da meritare, e d'altra parte permettersi, un teatro così ampio.

    Nel Medioevo fu disputata tra Goti e Bizantini.

    Subì la distruzione delle proprie mura da parte di Totila e divenne capoluogo dell'omonimo ducato nel 571 creato dai Longobardi che, sotto la guida di Zottone, avevano conquistato la città.

    Al periodo longobardo risale la chiesa del monastero femminile benedettino di S. Sofia (fondata da Gisulfo II e completata nel 762 da Arechi II, primo principe longobardo) e l'attiguo Chiostro, con archi a ferro di cavallo e capitelli scolpiti.

    Il Duomo, in stile romanico, a cinque navate, è famoso per le sue porte, esempio mirabile della scultura romanica meridionale.

    Il Ducato Longobardo durò circa 5 secoli e, morto Landolfo VI (1077), la città passò sotto il dominio pontificio che, pur con qualche interruzione, si protrasse per quasi otto secoli.

    La città fu saccheggiata da Federico II nel 1229 e nel 1241; nel 1266 vi si svolse la celebre battaglia tra Manfredi e Carlo d'Angiò il quale restituì Benevento alla Chiesa.

    Ceduta in feudo da Callisto III a Pietro Ludovico Borgia e da Alessandro VI al figlio Giovanni (1497), Benevento fu travagliata da lotte intestine fino al 1530, quando fu sottoscritto un atto di pace.

    Uno spaventoso terremoto, nel 1688, distrusse quasi completamente la città che venne ricostruita con enormi sacrifici, anche grazie all'intervento economico del Cardinale Vincenzo M.Orsini, divenuto poi Papa con il nome di Benedetto XIII.

    Benevento fu occupata da Ferdinando IV di Borbone dal 1768 al 1774.

    Aderì nel 1799 alla Repubblica Partenopea in seguito a un moto popolare.

    Nel 1806 divenne possesso di Napoleone, che istituì un principato ponendovi a capo il Talleyrand.

    Dopo il Congresso di Vienna Benevento tornò alla Chiesa.

    Una sollevazione popolare nel 1860 segnò la fine del dominio pontificio sulla città che, con un plebiscito, scelse l'annessione al Regno d'Italia.

    Benevento è stata decorata di medaglia d'oro al valore civile per il coraggioso comportamento della popolazione durante i tragici bombardamenti del 1943.

    Arco di Traiano
    l'Arco è ad un solo fornice e fu eretto in Benevento per commemorare l'apertura della via Appia Traiana che accorciava il cammino da Roma a Brindisi...
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    Chiesa S.Sofia
    portata a termine da Arechi II Duca di Benevento, fu inaugurata nel 762 d.C.;
    pianta metà circolare e metà stellare, presenta due corridoi concentrici creati da pilastri...
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    Duomo
    di età longobarda, consacrato nel 780 d.C. dal vescovo Davide, è stato ampliato nel XII secolo in forme romaniche.


    Rocca dei Rettori
    la Rocca dei Rettori eretta nel 1321 come sede dei Rettori pontifici, è situata nel punto più alto della città, sui resti di un antico fortilizio longobardo a sua volta eretto su consistenti tracce di un edificio romano.
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    Piazza Orsini
    ospita la monumentale fontana dedicata a papa Orsini, L'originario monumento dedicato a Benedetto XIII venne eretto nel 1778.


    Ponte Leproso
    di tipica struttura romana fu restaurato da Appio Claudio, da L. Settimio Severo e da M. Aurelio Antonino


    Hortus Conclusus
    esposizione stabile, all'aperto, di opere del maestro Mimmo Paladino.
    Le sculture si sposano in armonica contrap-posizione con pezzi di colonne romane ...
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    Museo del Sannio
    fondato nel 1873, il Museo del Sannio raccoglie un ricco patrimonio storico ed archeologico prevalentemente di area beneventana.


    Museo Diocesano
    inaugurato il 25 Maggio 1981 trova sistemazione negli storici ambienti della pseudo-cripta della Basilica Cattedrale , un monumento alto medievale

    Teatro Romano

    Teatro Romano
    proporzioni grandiose, misura 90 metri di diametro e poteva contenere circa 10.000 spettatori.
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    e poi c'è la Villa comunale che è stupenda, una piccola villa Borghese
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  8. R5GT22
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    Castelmola

    Castelmola è un comune di 1.091 abitanti della provincia di Messina. Il paese piccolo e ben conservato si trova sulla cima di un cocuzzolo a strapiombo sul mar Ionio a 36 km da Messina e a 49 da Catania. Il punto più elevato si raggiunge salendo per un sentiero, dalla piazza principale del paese, fino ai ruderi di un castello. Sulla piazza esiste un belvedere che offre una splendida vista sulla costa ionica e sulla città di Taormina.
    La cittadina è inclusa nel club de I borghi più belli d'Italia ossia un' esclusiva associazione di piccoli centri italiani che si distinguono per grande interesse artistico, culturale e storico, per l'armonia del tessuto urbano, vivibilità, servizi ai cittadini etc.

    Nome abitanti: Castelmolesi
    Santo patrono: San Giorgio
    Giorno festivo: 23 Aprile

  9. La storia


  10. Nell’ VIII secolo a.C. circa, nella zona di “Piano delle Ficare”, i Siculi diedero vita ad un nuovo insediamento chiamato Mylai (grande masso o, appunto, Mola), fortificazione a Nord di Taormina . Essi occupavano già da tempo i campi dov’era stata fondata Naxos (734 a.C.), ma all’arrivo dei Greci preferirono, restando in pace e collaborazione con i nuovi venuti, portarsi sulle alture, nei luoghi di migliore esposizione, che coltivarono, vi impiantarono le loro residenze e fortificarono secondo le loro conoscenze. Questi Siculi, occupato il Monte Tauro, si spinsero anche piu’ in alto, e stanziarono delle tribu’ a “Decima alta” e, soprattutto al “Piano delle Ficare”, luogo confortevole per il clima mite, per la vicinanza agli abitanti del Tauro, per la presenza di sorgenti d’acqua (soprattutto il Sifone) e per la fertilità delle terre. A Mylai , quasi sicuramente, i Siculi, a guardia dei sentieri percorribili, posero delle fortificazioni per impedire attacchi indesiderati. Queste fortificazioni erano formate da muretti rozzi, ma capaci di difesa, e da sentinelle che dall’alto, erano capaci di lanciare sassi nelle gole naturali della roccia.

  11. Prodotti tipici


  12. Fin dai tempi dell'antica Grecia, secondo i racconti di Erodoto ed Omero, si usava aromatizzare i vini locali aggiungendo ad essi i prodotti tipici del luogo, allo scopo di conservare e far conoscere ad altri popoli i sapori e gli aromi di quella terra. Il vino alla mandorla viene realizzato mischiando vino bianco secco, erbe aromatiche, mandorle ed essenze agrumarie in modo da poter diffondere il nome di Castelmola nel mondo. Esso è molto apprezzato liscio e fresco, con una fetta di arancia o di limone, è indicato come aperitivo o come digestivo, oltre a servire da base per cocktails o dolci.
    Blandano (Bar S. Giorgio) e Turrisi (Bar Turrisi) si vantano entrambi come inventori di questa formula.

    Ecco una veduta panoramica del paese e della piazza S. Antonino

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    e della piazza S. Antonino

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  13. Panteryna^
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    VITERBO (CITTà DEI PAPI --- nell'antikità era la città dove abitavano i papi :P )

    LAZIO

    L'origine della città di Viterbo è da collocare nell'Alto Medioevo, quando i Longobardi del loro ultimo re Desiderio conquistarono e fortificarono un antico villaggio, detto da allora Castrum Viterbii, sul Colle del Duomo. Il nome della futura città, di incerta etimologia, inizia ad apparire nelle fonti di metà VIII secolo.
    Sul colle era esistito un modesto centro abitato etrusco il cui nome era Surrena o Sorrina, il quale passò ai Romani successivamente al 310 a.C., i quali lo trascurarono in favore del municipio di Surrena Nova, sorto sulla collina antistante (Riello), e delle numerose ville patrizie sorte nei pressi degli stabilimenti termali lungo la Via Cassia (se ne contano ben quindici).
    La fortificazione del Castrum Viterbii, che comprendeva anche una piccola pieve cristiana dedicata a S. Lorenzo, passò ai Franchi nel 774 e quindi fu donata da Carlo Magno alla Chiesa, che proprio in quegli anni, grazie a questa e ad altre donazioni territoriali, costituiva il primo nucleo dello Stato Pontificio. Si hanno poche notizie riguardanti la storia locale nei secoli IX e X, tuttavia è ipotizzabile una ripresa economica e demografica in base alla quale il Castello sul Colle del Duomo si espanse con nuovi borghi al di fuori delle proprie mura, fondendosi con altri "vici" che nel frattempo si andavano sviluppando su altre alture circostanti e creando un tessuto urbano che da lì a un paio di secoli sarebbe stato circondato da una cinta muraria.

    Viterbo, che ormai possiamo iniziare a definire tale, si eresse a libero comune nel 1095, in piena epoca di lotta delle investiture tra impero e papato, e iniziò ad affemare la propria supremazia sul territorio del Patrimonio di San Pietro in Tuscia. Nel XII secolo fu scelta per ospitare pontefici (Eugenio III fu il primo nel 1145), ricevette il titolo di città da parte di Federico I Barbarossa (1167), rase al suolo la città di Ferento (1172) e divenne sede vescovile (1193).
    Il XIII secolo fu uno dei più turbolenti e al contempo gloriosi per la città. Nella prima metà del secolo Viterbo fu sconvolta dalle lotte interne tra casate e fazioni opposte (Gatti, guelfi, e Tignosi, ghibellini), oltre a trovarsi al centro dei contrasti tra impero e papato e impegnata in dispute con le città circostanti.
    Rimasta fondamentalmente guelfa, Viterbo dovette subire nel 1243 un lungo e drammatico assedio da parte delle milizie di Federico II, l'imperatore svevo che puntava su Roma. L'insurrezione popolare, che ebbe i suoi capi spirituali nel cardinale Raniero Capocci e nella "giovinetta" Rosa, riuscì a liberare la città e si aprì per essa un periodo di grande splendore, mentre la potenza sveva in Italia volgeva al tramonto.
    Per diversi anni Viterbo fu scelta come sede papale e fu quindi il centro della Cristianità, con tutti i vantaggi che poteva portare la presenza della curia pontificia. La città si arricchì di chiese, torri, palazzi e nuove architetture, fu rinomato centro culturale e la sua importanza si estese a tutto il mondo conosciuto. Ci furono episodi cruenti, quali l'uccisione di Enrico di Cornovaglia nella Chiesa del Gesù il 13 marzo 1271, e altri passati alla storia come l'interminabile elezione di Gregorio X tra 1268 e 1272, con la nascita del termine "conclave". Si stabilirono a Viterbo Clemente IV, Gregorio X, Giovanni XXI (unico papa portoghese), Niccolò III e Martino IV fino al 1281, ma anche nei secoli successivi la città continuerà ad ospitare i successori di Pietro meritandosi il fortunato appellativo di "Città dei Papi".

    Nel XIV secolo, allontanatasi la corte papale, Viterbo ripiomba in balìa delle lotte fratricide tra le famiglie nobili e conosce per alcuni anni, fino al 1396, la signoria dei Di Vico, interrotta dal tentativo di restaurazione del dominio papale da parte del cardinale Albornoz (1354) e dal passaggio di Urbano V (1367) di ritorno da Avignone, sfociato in rivolta. Solo con il pontificato di Bonifacio IX (1389-1404) Viterbo rinunciò a buona parte dell'autonomia e si pose risolutamente sotto il papato. Le lotte tra casate tuttavia perdurarono tutto il XV secolo fino all'intervento pacificatore del papa Giulio II, eletto nel 1503 e fautore di una serie di vincoli matrimoniali tra famiglie rivali in modo da ottenere un periodo di pace. Un nuovo periodo di splendore Viterbo lo vive grazie al pontefice Paolo III (1468-1549), al secolo Alessandro Farnese, nativo di Canino e rinnovatore dell'urbanistica e della cultura cittadine.

    Poco altro accadrà nei tre secoli successivi: le sorti della città appaiono legate alle vicende dello Stato Pontificio. I fasti di un tempo sono ormai sepolti e la città è immersa in un letargo dal quale si sveglierà molto tardi. E con analoga lentezza faranno strada, nell'Ottocento, le nuove idee liberali e risorgimentali che condurranno l'Italia all'unità nazionale: Viterbo sarà tra le ultime città ad unirsi al Regno sabaudo (l'adesione fu sancita da un plebiscito) e ciò avviene soltanto il 12 settembre 1870, appena otto giorni prima della caduta di Roma. Il primo sindaco "italiano" fu Angelo Mangani.

    L'unità d'Italia tolse a Viterbo la qualifica di capoluogo di provincia, che le sarà restituita solo nel 1927. Sarà il regime fascista ad avviare un primo programma di modernizzazione della città, attraverso la realizzazione di importanti opere pubbliche, come la copertura dell'Urcionio e la creazione di Via Marconi, e a pianificare un'espansione esterna alle mura con i primi nuclei dei quartieri Cappuccini e Pilastro.
    Ma la seconda guerra mondiale sottopose i viterbesi a prove durissime: tra il 1943 e 1944 cospicui bombardamenti alleati semidistrussero la città causando innumerevoli vittime. Liberata l'8 giugno 1944, la ricostruzione impegnò pressoché tutti gli anni '50 e anche oltre. Nel 1959 la città fu riconosciuta come “mutilata di guerra” per le perdite umane e gli sconvolgimenti subiti.
    Gli anni ’60 furono caratterizzati, come in tutta Italia, dal "boom" edilizio che spesso però fece rima con speculazione e che si è protratto fino ad oggi facendo assumere alla città le dimensioni e il numero di abitanti attuali. Il 27 maggio 1984 si è svolta la visita pastorale di Giovanni Paolo II, culminante con lo spettacolare trasporto straordinario della Macchina di S. Rosa. Due anni dopo, il 27 marzo 1986, il pontefice emana una bolla che decreta l’unificazione, nella Diocesi di Viterbo, delle sedi vescovili di Tuscania, Montefiascone, Acquapendente e Bagnoregio e dell’Abbazia di S. Martino al Cimino, sotto il patronato della Madonna della Quercia.
    Infine, durante il Giubileo del 2000, la città è stata vivacizzata dal passaggio di una moltitudine di pellegrini, i quali hanno portato ulteriori risorse.
    Negli anni più recenti, Viterbo ha aggiunto alle già fiorenti agricoltura e commercio anche un turismo sempre più in via di sviluppo che sta facendo salire notevolmente l’indice di notorietà di Viterbo sia in Italia che all’estero. E’ l’uscita definitiva da un anonimato sociale, culturale, economico durato decenni se non secoli.

    Proveniamo tutti da città stupende k si contraddistinguono x storia cultura e usanze .... sarebbe bello k ogni utente inserisse la storia della propria... io so curiosa :P:P parekkio :wub:
     
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  14. pirata57
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    Nichelino (in piemontese Ël Niclin) è un comune di 49.061 abitanti della Provincia di Torino.

    Storia
    Nel 1559, il duca di Savoia concesse il territorio di Nichelino, in feudo, alla Famiglia degli Ussel (Occelli), erigendolo - successivamente - a Contea (1564).

    Il 22 giugno 1694, re Vittorio Amedeo II di Savoia dichiarò Nicolino (Nichelino) e zone limitrofe, territorio unico e staccato da Moncalieri.

    Nasceva così il "Feudo di Nichelino", assegnato - per diecimila ducati d'argento - al conte Niccolò Manfredi Occelli, con diritto all'uso di armi, sigilli e relativo titolo nobiliare (Conti di Nichelino).

    La Regia Patente stabiliva confini (dal fiume Sangone alla strada che conduce a Vinovo e dalla medesima strada sino a Stupinigi, Candiolo e Vinovo) e territorio (le Borgate Palazzo e Nichelino, le grandi cascine S. Quirico, Buffa, Vernea, Palazzetto, Colombetto e Pallavicina).

    Si concludeva, in questo modo, una guerra intestina - per il dominio sul territorio - fra la famiglia Occelli e gli Umoglio (conti della Vernea e di Pramollo).

    Grazie al denaro, perciò, gli Occelli risolsero a loro favore la disputa, ottenendo il feudo, il titolo e l'esercizio di alcuni diritti fondamentali (amministrazione, giustizia, tributi, ecc...).

    Nichelino contava, all'epoca, quasi 400 abitanti, legati profondamente alla religione, dediti soprattutto all'agricoltura (le acque del Sangone rendevano particolarmente fertili i terreni) e con qualche attività classica delle comunità (macellaio, oste, fabbro, ecc...).

    Rilevanza aveva anche la gelsicoltura, legata alla tipica tradizione piemontese della produzione di seta.

    La situazione politico-militare era piuttosto incandescente: il trattato tra Italia, Francia e Spagna non aveva affatto riportato la calma nell'area piemontese.

    Nel 1706 Torino fu assediata dai francesi; Nichelino inviò perciò in aiuto ai Savoia, uomini e mezzi; il territorio fu invaso dal nemico, gli abitanti abbandonarono le case ed implorarono l'aiuto di San Matteo per respingere l'assedio (21 settembre 1706).

    Placatisi i venti di guerra, gli Occelli - in cambio della fedeltà mostrata - ottennero il diritto di nominare i Sindaci.

    Niccolò Manfredi Occelli morì nel 1742; suo figlio Giacomo Luigi si disinteressò del territorio nichelinese e spostò la residenza di famiglia sulla collina moncalierese.

    Fu proprio nella seconda metà del '700, con gli "Ordinati" (le delibere di oggi), che Nichelino subì la prima vera trasformazione: furono organizzate le pattuglie di vigilanza sull'ordine pubblico (fece scalpore l'arresto del noto bandito Brando), venne edificata una nuova chiesa, fu regolata la distribuzione dell'acqua e si istituì un servizio di assistenza per i meno abbienti.

    Alla fine del '700, fallito l'armistizio di Cherasco (1796), Nichelino - come tutto il resto del Piemonte - finì nelle mani dei francesi.

    La nuova situazione determinò la costituzione della Guardia Nazionale, l'adozione del sistema metrico decimale, l'abolizione degli ordini religiosi e del calendario repubblicano.

    Con il ritorno del re (1814) e la conseguente abrogazione delle leggi francesi, Nichelino vide - nel 1824 - l'insediamento della prima stazione dei Carabinieri (l'arma era stata istituita il 13 luglio 1814 da re Vittorio Emanuele I).

    L'Ottocento fu un secolo fondamentale per la storia d'Italia ed anche Nichelino risentì profondamente dei notevoli mutamenti politici, sociali ed economici. Proprio in quegli anni vennero edificate due scuole, la nuova chiesa parrocchiale e la nuova Casa Comunale (progettata da Amedeo Peyron). Vennero migliorate le vie di comunicazione stradale, fu costruita la stazione ferroviaria ed il 27 luglio 1854 transitò il primo treno.

    A quell'epoca si contavano quasi 1700 abitanti.

    Nichelino vide la sua popolazione crescere in modo abbastanza lineare fino alla seconda metà del XX secolo. Fu infatti con la massiccia immigrazione dalle regioni meridionali d'Italia che la popolazione balzò dai circa 15.000 abitanti del 1961 ai quasi 45.000 del 1971.

    Con l'inizio del nuovo millennio si raggiunse il curioso primato di avere residenti nati in tutte le province italiane.

    Recentemente Nichelino ha potuto fregiarsi del titolo di "Città".

    Nell'ultimo decennio è stata la città della cintura torinese con il maggior incremento demografico.

    Testimonianze storiche
    Palazzina di caccia di Stupinigi
    La maggior attrazione culturale e turistica è senza dubbio la Palazzina di caccia di Stupinigi, costruita da Filippo Juvarra per conto dei Savoia e dichiarata Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO.

    Castello di Nichelino
    Conosciuto anche come Palazzo Occelli, fu costruito su fondamenta già esistenti nel 1565. Al suo interno si trova la Madonna delle Grazie, una cappella consacrata. Fu la prima chiesa di Nichelino del XIII secolo. Nei suoi significativi volumi trovano posto l'ex sala carrozze, una piscina, il patio ed un parco secolare di 35.000 m2.

    Parchi
    Il parco più grande della città è il Parco Boschetto, una delle più grandi aree verdi della cintura sud di Torino. Insieme al Parco Sangone ed al Parco Colonnetti di Torino, forma una area verde contigua di oltre 600.000 metri quadri.


    questa è la palazzina di caccia di Stupinigi

    In questa ridente città vive il pirata :woot:

    Edited by pirata57 - 27/4/2009, 10:10
     
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  15. R5GT22
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    tosto tosto hihihihih :D
     
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  16. pirata57
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    ora vi metto la storia di Moncalieri,perchè vi chiederete visto che abito a Nichelino
    per tre ragioni:
    1) vi sono nato,e anche mio figlio
    2) sono vissuto lì fino al matrimonio
    3) è a Moncalieri la sede di Croce Rossa dove faccio il volontario
    e comunque sono molto legato a questa città

    Moncalieri (in piemontese Moncalé) è un comune di 56.944 abitanti della provincia di Torino (censimento al 31/12/2007). È il primo comune per popolazione dopo il capoluogo della provincia, ed il quinto comune del Piemonte per numero di residenti, superando in questa graduatoria alcuni capoluoghi di provincia della regione.

    Il territorio di Moncalieri ricalca per certi aspetti quello del capoluogo Torino. Infatti, come esso si estende in parte in collina e in parte in pianura ed è attraversato dal Po nelle zone centrali della città. L'abitato consta di tre corsi d'acqua principali, oltre al maggior fiume italiano, anche il torrente Sangone e il torrente Chisola, nonché numerosi altri rii minori che scendono dalle vicine colline. Il punto più alto della città lambisce il Faro della Vittoria, posto nel Parco della Rimembranza sul Colle della Maddalena. Questo si trova nel territorio del comune di Torino ad un'altezza di 716 m s.l.m.

    Il borgo di Moncalieri risale al 1228, fondato da un gruppo di abitanti di Testona, attuale frazione moncalierese, che cercarono riparo nella parte più alta del territorio per sfuggire all'assalto dei chieresi. Nei secoli successivi la città conobbe un notevole sviluppo grazie al facile accesso al Po, di cui controllava il ponte strategico, e la facile difendibilità, in quanto posta sulla collina. Infatti il ponte, per lungo tempo in mano ai Templari, risultava l'unico accesso a Torino per chi proveniva da sud. Sul finire del 1400 un principe tedesco Bernardo di Baden Baden morì di peste tra le mura cittadine; in seguito ad alcuni miracoli venne beatificato e divenne patrono di Moncalieri. Fino al Cinquecento il comune controllava un vasto territorio, tra cui gli odierni comuni di Nichelino e La Loggia. Al suo interno ospitava molti ordini religiosi, fra i quali i Templari, i frati dell'Ordine Carmelitano e i frati Cappuccini, nonché i Frati Minori di San Francesco, gli Umiliati di San Giacomo ed i Canonici di Santa Maria della Scala. Il loro contributo andava crescendo con il tempo e insieme a loro cresceva il ceto mercantile; il connubio tra le due classi portò alla fondazione di numerose scuole sul territorio. Nel Seicento Moncalieri poteva già fregiarsi del titolo di città che le fu dato dal re Carlo Emanuele I in occasione delle nozze del figlio Vittorio Amedeo I svoltesi nel 1619 proprio a Moncalieri[1]. In seguito il destino della comunità si legò al casato dei Savoia, che in diverse occasioni ha scritto pagine storiche decisive nel castello di Moncalieri (nel XVIII secolo ospitava i membri della casa reale per tutto il periodo estivo). Nella città ebbero luogo importanti episodi del Risorgimento italiano, quali, ad esempio, l'enunciazione del famoso Proclama di Moncalieri e vennero educate le menti dei rampolli reali attraverso l'istituzione del Real Collegio Carlo Alberto. Nell'Ottocento la città si industrializzò e divenne per una parte del secolo seguente mèta di vacanze, specialmente dei torinesi. Testimoni del fenomeno turistico sono le numerose cartoline storiche che ancora si possono acquistare in alcuni negozi cittadini. Oggi Moncalieri ospita un notevole numero di insediamenti industriali ad alta tecnologia, come la prototipizzazione delle automobili.

    Tra i suoi monumenti, sicuramente il più famoso è la residenza sabauda. Infatti nel castello di Moncalieri è stata scritta un'importante pagina del Risorgimento italiano con la firma del Trattato di Moncalieri, evento rappresentato anche sulla Porta Navina. Quest'ultima è l'unica porta difensiva rimasta intatta in città. Essa era parte integrante di mura che, insieme ad altre tre porte, difendevano la città medievale. Da sempre risulta l'accordo ideale tra il centro storico e il ponte vecchio, di importanza strategica per chiunque intenda entrare a Torino da sud. Molte sono le chiese che si trovano nell'abitato: Santa Maria della Scala, gotica collegiata della città, che conserva le spoglie del patrono e un'importante scultura dell'illustre Pietro Canonica; San Francesco, come la precedente si affaccia sulla piazza principale del centro storico e risale al XVIII secolo; Santa Croce, che dà poi il nome all'ospedale di Moncalieri e di molti comuni a sud di Torino; Sant'Egidio e la Chiesa del Gesù, entrambe di epoca barocca; la romanica Santa Maria a Testona e l'ammirevole Santissima Trinità, in stile neogotico, a Palera.
    Inoltre, nella piazza principale, si trova il secondo simbolo della città: la fontana di Saturnio e numerosi edifici nobiliari (come il palazzo Duck) che, con il palazzo comunale (rimaneggiato il stile barocco), incorniciano piazza Vittorio Emanuele II, donandole un suggestivo aspetto medievale.
    Di notevole interesse anche il Real Collegio Carlo Alberto, dove studiavano i rampolli di casa Savoia. Sulla sommità di questa struttura si erge uno storico osservatorio meteorologico, voluto da Padre Francesco Denza.
    Sul territorio sono presenti anche altri castelli, come Castelvecchio a Testona, dai chiari lineamenti medievali del XV secolo e il castello di Revigliasco_(Moncalieri), del XVIII secolo. Chi infine è attratto dall'esoterismo, non può ignorare il Castello de La Rotta, importante non tanto per il valore architettonico, quanto per la supposta presenza di spiriti, dei quali è ritenuto il posto più infestato d'Italia.
    Nella notte tra il 4 e il 5 aprile 2008 un incendio avvolge il torrione sud-est del Castello di Moncalieri, perdendo un tesoro inestimabile. Cinque le stanze distrutte, tra fuoco e l'acqua usato per lo spegnimento, e tra i cimeli il Proclama di Moncalieri, firmato nel 1849 si è salvato. Era all'Archivio di Stato.
    quell'incendio lo ricordo,ci ho passato una mattina intera con l'ambulanza in assistenza ai VVF

    a città continua la sua vocazione industriale, in particolare nei settori della prototipizzazione dell'auto, del design industriale, dell'editoria e della grafica. Da ricordare infatti la presenza dell'Italdesign, dove opera un grande designer di auto di fama internazionale, Giorgetto Giugiaro. Mantiene anche fiorenti la floricoltura e l'orticoltura: il cavolo a forma di piramide ed il crisantemo sono ancora oggi le specialità locali.
    Inoltre l'arte culinaria riconosce a Moncalieri l'eccellenza della Trippa di bovino, per la quale è nata una confraternita. La si può assaggiare a novembre, quando viene cucinata in grandi quantità nella piazza centrale della città, in occasione della Fera dij Subiet (Fiera dei fischietti).

    Tra le manifestazioni più importanti vi è sicuramente la festa patronale del Bernardo di Baden Baden. La stessa si svolge a metà luglio e culmina con la rievocazione storico-religiosa del XV secolo tra le vie cittadine. Ad animare questa processione vi sono più di trecento figuranti in vesti medievali. Importante è anche l'antichissima Fera dij Subiet, che vanta secoli di tradizione: molti banchi posti nel centro storico mettono in mostra fischietti di ogni foggia. Inoltre sono importanti: la festa del cioccolato, inserita nella manifestazione regionale Cioccolatò, che si svolge nel mese di marzo; il mercato dell'antiquariato, che ha luogo ogni prima domenica del mese e la rassegna Mangiare Bene a Moncalieri, nata dall'antichissima Fiera del Bue Grasso che si svolge nel mese di dicembre. Da ricordare vi sono inoltre le iniziative di carattere musicale. Importanti la rassegna "Moncalieri Jazz" di novembre al teatro Matteotti, recentemente si è espansa per le strade del centro cittadino e di altri comuni dell'area torinese. Nonché "Ritmika", concorso per band emergenti che si svolge a giugno alle fonderie Limone.

    L'osservatorio meteorologico si trova in una torretta sopra il tetto del Real Collegio di Moncalieri. Venne istituito nel 1859 da Padre Francesco Denza, illustre meteorologo. Conosce un profondo degrado dal secondo dopoguerra fino agli anni '90, in cui un altro illustre meteorologo italiano Luca Mercalli, con l'aiuto della compagnia SanPaolo, lo riporta in auge. Attualmente fornisce ancora importanti dati meteorologici della provincia sud di Torino. L'osservatorio è uno dei 6 osservatori storici italiani, risulta quindi importante per la lunga serie storica di dati meteorologici risalenti a metà Ottocento. Particolarmente rilevante la serie storica di temperatura. Importante quindi dal punto di vista scientifico ma anche storico, perché contiene molti strumenti meteorologici e astronomici del passato, fra cui: eliofanografo Campbell-Stokes, barometro di Hicks, termografo Richard. Ultimamente e' stato attrezzato anche di una webcam, che guarda in direzione delle Alpi, di un anemometro moderno e di un rilevatore di radiazione solare incidente. Da ottobre 2008 e' anche stato sostituito il vecchio pluviografo manuale con un pluviometro elettronico.

    Ci sono più tesi sull'origine del nome della città. Una di esse è relativa al fatto che in piemontese può significare "colle delle quaglie", uccelli un tempo molto presenti sulle colline del Po torinese. Secondo un'altra il nome potrebbe derivare dall'espressione piemontese monta e cala (sali e scendi), che sarebbe espressione della necessità, per chi passeggia per le vie storiche della città, di dover continuamente salire e scendere scale ardite lungo la collina. Ancora, c'è chi suppone che l'etimologia debba essere fatta risalire dalla famiglia dei monsignori "Cagliero", cognome molto presente fra i residenti di Moncalieri. Un'ulteriore opinione è quella che Moncalieri possa significare "monte dei cavalieri", infatti sono stati scoperti passaggi sotterranei che risalgono all'epoca dei cavalieri templari che avevano residenza proprio in questo antico borgo.


    il castello di Moncalieri

    ciao mondini :D

     
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  17. Fr@gol@
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    bellissimo... adoro il Piemonte :)
     
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  18. gigi2006
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    Fiorenzuola d'Arda è un comune italiano di 14.304 abitanti della provincia di Piacenza.

    Storia
    Il nome deriva da "Florentia", nome beneaugurante che solo successivamente è stato collegato a quello di San Fiorenzo. Le origini di Fiorenzuola sono molto antiche, risalgono infatti alla preistoria. Nel Medioevo è ricordata come uno dei principali centri castrensi del piacentino, nell'epoca dei Comuni e delle grandi signorie era terra di confine tra i vari schieramenti. Monumento importante è la Collegiata S. Fiorenzo, fondata nel 1300 ma rifatta alla fine del 1400 ed eretta sull'area dell'antichissima Chiesa di S. Bonifacio. Altri monumenti sono: la Chiesa della Beata Vergine di Caravaggio, l'Oratorio della Beata Vergine, il Teatro Verdi e la chiesa di San Francesco. Approfondimenti Fiorenzuola fu certamente una piccola mansio romana intorno al 280A.C., un villaggio fortificato edificato dove abitavano popolazioni celtiche ed etrusche. Prima ancora vaste porzioni del nostro territorio erano occupate dal mare. Gli sconvolgimenti dei secoli successivi determinarono grandi mutamenti nel territorio che hanno lasciato il segno ancora oggi (si veda in Val d’Arda il Parco del Piacenziano). Il nome della città appare in diversi itinerari tardo romani risalenti del IV secolo d.C. Fiorenzuola viene citata nel 744, in epoca Longobarda e successivamente in epoca Franca in numerosi e rilevanti documenti. Il 29 luglio del 923 la città sull’Arda è teatro di una battaglia all’ultimo sangue tra due contendenti per la corona ferrea: Berengario re d’Italia e Rodolfo II re di Borgogna. E’ centro dotato di numerosi ‘ospedali’ per l’assistenza ai pellegrini che si incamminano sulla via Francigena (si diparte da qui una variante dell’itinerario principale). Federico II è ben accetto anche perché il suo uomo di fiducia locale è un membro della famiglia Pallavicino, famiglia quest’ultima che ha lasciato un rimarchevole segno nella storia della nostra terra (Stato Pallavicino). Meritano parimenti di essere ricordate alcune delle famiglie nobili che hanno detenuto il potere fino al 1500 : Scoto, Arcelli, Sforza, Visconti, Scotti, Fulgosio… Notevoli sono le tracce del periodo tardo medioevale sparse (purtroppo solo frammenti) nel centro storico. Testimonianze rilevanti sono comunque la Chiesa Collegiata dedicata a S. Fiorenzo ed il palazzo Grossi in corso Garibaldi (strada diritta, l’antico cardo decumano). Prima dell’inizio del 1600 due notizie assumono un particolare significato: la redazione del ‘Regolamento per la Comunità’ del 1569 e il trasferimento nell’attuale zona di via Mazzini di una consistente Comunità Ebraica ( “prendono stanza con tutta libertà e godono anzi di privilegi…” si legge in un documento storico). I secoli successivi scorrono tranquilli…si fa per dire, date le continue guerre, le carestie, le pestilenze e le inondazioni (nel 1776 una alluvione rovina quasi tutti i documenti dell’archivio storico). Nel 1805 Napoleone in persona passa da Fiorenzuola, salutato dalle stesse folle entusiaste che salutano, con la restaurazione, MariaLuigia d’Austria (che tuttavia è riconosciuta come duchessa tollerante, attenta alle esigenze delle popolazioni…realizza nuove opere pubbliche come il ponte sull’Arda). Nel 1831 la cosiddetta “Colonna Parmigiana” formata da patrioti si scontra con le truppe austriache. La spinta al nuovo è inarrestabile e nel 1848 viene eletto il primo sindaco “Italiano” : Carlo Meneghelli. Nella seconda metà del secolo, mentre si raggiunge l’obiettivo dell’Unità d’Italia, vengono edificati il Teatro Verdi, il Macello, il nuovo cimitero, il Municipio, le scuole pubbliche, vengono costruite la nuova strada Castellana e la ferrovia. Tra le prime in Italia nasce la Società del mutuo soccorso e nel primo 1900 si costituiscono le leghe bracciantili, le prime Cooperative, la Camera del lavoro, le Associazioni Cattoliche, a testimoniare la vivacità delle genti fiorenzuolane. Fiorenzuola offre il suo contributo di sangue alla Patria nella guerra del 1915-1918 (Il generale Ranza, asso dell’aviazione Italiana, prende il posto di Baracca al comando della famosa squadriglia). Dopo l’avvento del fascismo la città assiste alla caduta dello stesso ed alla fine della seconda guerra mondiale. La Resistenza è particolarmente vivace nella nostra zona e numerosi fiorenzuolani vi aderiscono e combattono per la nascita della nuova Repubblica. Gli anni della ricostruzione sono molto simili un po’ in tutt’Italia. Fiorenzuola rifiorisce grazie agli stabilimenti di raffinazione del Petrolio (la prima raffineria in Italia è a Fiorenzuola nel 1892), all’industria metalmeccanica e di trasformazione dei prodotti agricoli. Per la sua collocazione geografica ed il numero di abitanti, per i numerosi servizi che offre, per le concentrazione di Uffici Pubblici e Banche, per la presenza dell’Ospedale, di strutture scolastiche superiori, per le iniziative ed istituzioni culturali (biblioteca) e per le iniziative sportive (campionati mondiali di ciclismo su pista…), Fiorenzuola può ben dirsi oggi il “capoluogo” della Val d’Arda.


    Sport
    Fiorenzuola è sede dell'omonima squadra di calcio che tra i suoi migliori traguardi vanta un buon campionato di Serie C1 nella stagione 1994/1995, nella quale arrivò 3° in classifica e che si concluse con lo spareggio promozione a Bologna contro la Pistoiese che non premiò la squadra emiliana, sconfitta ai calci di rigore. La formazione ha vinto recentemente il campionato di eccellenza dell'Emilia-Romagna girone A ed è stata promossa in serie D.

    Inoltre a Fiorenzuola ogni anno si disputa un'importante competizione ciclistica su pista, meglio nota come "6 giorni delle Rose" nella quale si sfidano numerosi campioni internazionali.

    A livello pallavolistico, la locale formazione maschile (Volley ball Fiorenzuola, colori sociali giallo blu) dopo vari anni nel campionato di serie C, ha appena ottenuto la promozione in serie B2. Nella stagione 2007-08 affronta il nuovo campionato, in collaborazione con il Copra volley, con il nome di SCA Piacentina, guidata da Giuseppe Capogreco.

    L'altra grande realtà pallavolistica locale è costituita dalla società A.S. Pallavolo Fiorenzuola che milita nel girone A del campionato di serie C dell'Emilia-Romagna, conducendo la classifica, quindi con buone probabilità di promozione. Fiorenzuola è inoltre con le sue 2 società membro fondatore del progetto Scuola Pallavolo Ardavolley.

    Nel recente passato la Città ha avuto una importante Società di atletica leggera, la Libertas Fiorenzuola (ancora attiva), con numerosi atleti inseriti nella nazionale giovanile (tra cui Gaetano Cino - 100 e 200 metri-, Ettore Colla -salto con l'asta-, Augusto Bottioni -110 ostacoli-). La Società è stata fondata dal Cavalier Olimpio Gambini (Alseno 1904 - Fiorenzuola 1983), stella d'oro del C.O.N.I., fondatore e promotore di quasi tutte le discipline sportive fiorenzuolane: ciclismo, atletica leggera, calcio, pallacanestro, pallavolo, tennis, rugby, pesca.

    Nel rugby è stata raggiunta la serie B e la disciplina è molto praticata nella città sull'Arda.

    La A.S.D. Unione Cestistica Piacentina, detta anche U.C.P., risultato della unificazione della Pallacanestro Fiorenzuola e Piacenza, dopo un breve periodo in serie C2 regionale, dall'anno agonistico 2005-2006 disputa il campionato nazionale di serie C (miglior risultato raggiunto da una Società piacentina). Tra i suoi giocatori vanta il campione olimpico di origine argentina Hugo Sconochini. U.C.P. collabora tecnicamente con Virtus Pallacanestro Bologna ed altre realtà dello sport provinciale, assicurando la pratica sportiva a partire dal minibasket, a livello amatoriale ed agonistico.

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    Livorno. città dove sono nato e vissuto fino al 95 :)

    Livorno è una città della Toscana di 160.991 abitanti, capoluogo della provincia omonima.

    Situata lungo la costa del Mar Ligure, Livorno è uno dei più importanti porti italiani, sia come scalo commerciale che turistico, centro industriale di rilevanza nazionale e, tra tutte le città toscane, è solitamente ritenuta la più giovane, sebbene nel suo territorio siano presenti testimonianze storiche di epoche remote sopravvissute ai massicci bombardamenti della seconda guerra mondiale.

    La città, sviluppatasi a partire dalla fine del XVI secolo per volontà dei Medici, è celebre per aver dato i natali a personalità di prestigio come Amedeo Modigliani, Pietro Mascagni, Giovanni Fattori e Carlo Azeglio Ciampi. In passato, fino ai primi anni del Novecento, è stata inoltre una meta turistica di rilevanza internazionale per la presenza di importanti stabilimenti balneari e termali, che conferirono alla città l'appellativo di Montecatini al mare.

    Livorno, che alla fine del XIX secolo contava circa 100.000 abitanti ed era l'undicesima città d'Italia e la seconda della Toscana per popolazione, negli ultimi decenni è andata incontro ad un sensibile decremento del numero di abitanti, tanto che oggi risulta essere la terza città della Toscana dopo Firenze e Prato.



    Storia


    Dalle origini al XVIII secolo
    Statua di Ferdinando I, ritenuto il fondatore della cittàLe origini di Livorno sono ignote e si perdono nelle leggende e nella mitologia. Nel 904 il toponimo "Livorna" è attestato per la prima volta con riferimento ad un pugno di case posizionate sulla costa del Mar Ligure, in una cala naturale, a pochi chilometri a sud della foce dell'Arno e di Pisa. Il progressivo interramento del vicino Porto Pisano, il grande sistema portuale della Repubblica di Pisa, coincise con l'affermazione del borgo labronico, che fu dotato, tra il XIII ed il XIV secolo di un sistema di fortificazioni e di un maestoso faro, noto col nome di Fanale dei Pisani.

    Tramontata la Repubblica, Livorno fu venduta dapprima ai Visconti di Milano, e successivamente, nel 1407, ai genovesi, per passare, nel 1421 ai fiorentini. Nel XVI secolo i Medici, signori di Toscana, contribuirono in maniera determinante allo sviluppo di Livorno e del suo sistema portuale. Bernardo Buontalenti fu pertanto incaricato di progettare una nuova città fortificata intorno al nucleo originario dell'abitato labronico, con un imponente sistema di fossati e bastioni (si veda la voce Fosso Reale).

    Il popolamento della città buontalentiana fu favorito dall'emanazione da parte dei granduchi di Toscana, tra il 1590 ed il 1603, delle cosiddette "Leggi Livornine", che istituivano il porto franco e garantivano, agli abitanti di Livorno, libertà di culto e di professione religiosa e politica a chiunque fosse stato ritenuto colpevole di qualsiasi reato (con alcune eccezioni, tra le quali l'assassinio e la "falsa moneta"). Queste leggi erano dirette soprattutto agli ebrei scacciati in quel periodo dalla penisola iberica. Arrivarono in molti, negli anni seguenti, soprattutto commercianti, e costituirono una florida ed operosa comunità ebraica di lingua spagnola e portoghese, che sarebbe poi durata per secoli. Gli ebrei vivevano liberi a Livorno, non rinchiusi in un ghetto, come invece avveniva nelle altre città d'Italia fino all'epoca dell'Unità d'Italia. Fra di essi ci furono molti cittadini illustri, tra i quali spicca sopra tutti il pittore Amedeo Modigliani. Dal punto di vista economico, l'istituzione del porto franco portò ad un proliferare di attività commerciali spesso legate alle intense attività portuali. Il porto e la città furono anche soggiorno di numerose altre comunità straniere che, a fini amministrativi, furono organizzate in "Nazioni" i cui membri, a differenza degli Ebrei, non erano ritenuti sudditi toscani (Inglesi, Olandesi, Francesi, Corsi, Ragusei, Greci, Armeni, Spagnoli, Portoghesi, Sardi, Svedesi, Danesi, Austriaci, Prussiani).


    Dal XVIII ai giorni nostri

    Nel XVIII secolo, la fine della dinastia medicea e l'avvento dei Lorena non ostacolarono l'espansione cittadina, con la formazione di grandi sobborghi suburbani a ridosso delle fortificazioni buontalentiane. Anche dal punto di vista culturale il Settecento portò ad un proliferare delle arti in genere ed in particolare dell'editoria; qui vennero pubblicati Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria (nel 1764, in forma anonima) e, nel 1770, la terza edizione dell'Encyclopédie ou Dictionnaire raisonnè des Sciences, des Arts et des Métiers di Diderot e D'Alembert, in una stamperia ricavata nel vecchio Bagno dei forzati.

    Piazza Grande nel XIX secolo Gli ottocenteschi palazzi lungo il Fosso RealeTra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento la città subì l'assedio delle truppe francesi, capeggiate da Napoleone Bonaparte, degli Spagnoli e degli Inglesi. La Restaurazione e il ritorno al potere dei Lorena con Ferdinando III e poi Leopoldo II, permise la realizzazione di grandi opere pubbliche, come il completamento dell'Acquedotto di Colognole, mentre le fortificazioni medicee furono in gran parte smantellate per far posto ad eleganti palazzi della borghesia livornese.

    Tuttavia i moti rivoluzionari del 1849 precedettero di pochi anni la definitiva annessione del Granducato di Toscana al Regno d'Italia. Con l'unità d'Italia, nel 1868 furono abolite le franchigie doganali di Livorno, che porteranno ad un drastico calo delle attività commerciali e dei traffici marittimi, ma la successiva fondazione del Cantiere navale Orlando farà cambiar volto alla città trasformandola rapidamente in un importante centro industriale. Sul finire del medesimo secolo, il prestigio della città, ormai prossima ai 100.000 abitanti, fu sancito dall'istituzione della celebre Accademia Navale. Uno dei primi cadetti dell'Accademia fu Manlio Garibaldi; per questo motivo, nel 1888, l'ultima moglie di Garibaldi e sua figlia Clelia Garibaldi presero casa all'Ardenza come il Generale stesso aveva raccomandato loro. Egli era molto legato a Livorno per diversi motivi, non ultimo la sua amicizia con i fratelli Orlando e la famiglia Sgarallino.

    Livorno per il suo spirito imprenditoriale moderno che andò sempre più sviluppando nel corso del XIX secolo è stata spesso all'avanguardia rispetto alle altre città italiane nella realizzazione di nuove tecnologie. Si ricorda, al riguardo, che proprio a Livorno fu inaugurata nel 1844 una delle prime ferrovie italiane (la linea Leopolda che collegava la città a Pisa e Firenze in poco più di tre ore), nel 1847 venne installata con Pisa la prima linea telegrafica, nel 1881 vi arrivò la linea telefonica, nel 1888 fu aperta, in via Paolo Emilio Demi, la centrale elettrica (la quarta in Italia, poi di fatto sostituita dalla Centrale termoelettrica Marzocco, aperta nel 1907), nel 1889 i primi lampioni pubblici elettrici, nell'estate del 1897 si proiettò uno dei primi spettacoli cinematografici italiani all'"Eden" (attuale Terrazza Mascagni), nel 1899 entrò in funzione presso gli Spedali di Sant'Antonio il primo apparecchio a raggi X, nel 1903 l'illuminazione pubblica ad incandescenza elettrica ed infine dal 1906 la pavimentazione bituminosa per le strade.

    Gli inizi del XX secolo portarono ad un fiorire di numerosi progetti architettonici ed urbanistici: dagli eleganti stabilimenti termali e balneari, che avevano fatto di Livorno una delle mete turistiche più ambite sin dalla prima metà dell'Ottocento, alla nuova stazione ferroviaria della linea Livorno - Cecina sino ai piani di risanamento del centro. Poco prima dell'avvento del Fascismo, Livorno fu teatro della fondazione del Partito Comunista Italiano (1921), a seguito della scissione della corrente di estrema sinistra dal Partito Socialista Italiano.

    L'affermazione del fascismo e l'ascesa politica di Costanzo Ciano portarono alla realizzazione di grandi opere pubbliche ed industriali (nuovo ospedale, impianti Stanic, Terrazza del lungomare, ecc.), all'ampliamento dei confini provinciali e, al contempo, all'ideazione di massicci e scellerati piani di sventramento per la città, che mutarono parte dell'antico assetto urbanistico.

    Lo scoppio della seconda guerra mondiale e i successivi bombardamenti causarono la distruzione di gran parte della città storica e la morte di numerosi civili: ingenti danni si registrarono anche nelle aree industriali e portuali, che furono tra i principali obbiettivi delle incursioni aeree. La città subì circa novanta incursioni aeree con conseguenti bombardamenti, tra questi quelli più gravi per danni provocati alla popolazione, edifici ed impianti industriali furono: 28 maggio 1943 (distruzioni del porto industriale e Stazione Marittima, area Stanic, quartiere Venezia, aree limitrofe al Voltone, fortezze), 28 giugno 1943 (stessi obiettivi e Stazione, lungomare ed Accademia Navale), 25 luglio 1943 (Voltone, quartiere industriale di Torretta), 14 aprile 1944 (Stazione e quartiere circostante, linea ferroviaria), 19 maggio 1944 (completa distruzione del centro storico), 7 giugno 1944 (completa distruzione dell'area industriale). Nel luglio 1944 la città fu liberata dall'ooccupazione tedesca. La ricostruzione postbellica durò molti anni: lo sminamento di alcune zone del centro cittadino terminò solo negli anni cinquanta, mentre la cinquecentesca Fortezza Nuova ospitò baracche di sfollati fino agli anni sessanta.

    Livorno acquistò il volto di una città moderna e fortemente industrializzata, ma la crisi avviata dal disimpegno della partecipazione pubblica nei grandi centri industriali ha portato negli ultimi anni ad uno spostamento del baricentro economico dall'industria pesante alle piccole e medie imprese e al terziario.


    Stemma
    "Di rosso, alla fortezza torricellata di due, al naturale, la torre di destra [araldica] cimata da una banderuola d’argento svolazzante a sinistra con la legenda FIDES in nero, astata dello stesso; la fortezza movente da un mare d’azzurro ombrato d’argento."
    Lo stemma si rifà ad uno più antico mostrante una torre in mezzo al mare e sormontato dalla lettera capitale latina "L". Nel 1605 il Gran Duca di Toscana Ferdinando I de' Medici concesse lo stemma attuale (riconosciuto poi dal Re d’Italia con decreto del 19 settembre 1929); mentre il 19 marzo 1606 la elevò al rango di città.

    La "liburna" dei Romani, dalla quale potrebbe derivare il nome della città, era un’imbarcazione (brigantino o feluca): alcuni asseriscono che il primitivo stemma della città mostrava detta imbarcazione in luogo della fortezza. La parola "FIDES" pare una concessione della Repubblica Fiorentina a ricordo della fedeltà di Livorno contro l’armata che la assediò nel 1496 guidata dall'imperatore Massimiliano con Venezia e Genova alleate.


    Onorificenze conferite alla città
    La città di Livorno è la XIXª tra le XXVII città decorate con Medaglia d'Oro come "Benemerite del Risorgimento nazionale" per le azioni altamente patriottiche compiute dalla città nel periodo del Risorgimento. Periodo, definito dalla Casa Savoia, compreso tra i moti insurrezionali del 1848 e la fine della prima guerra mondiale nel 1918.

    Medaglia alle Città Benemerite del Risorgimento Nazionale

    «In ricompensa del valore dimostrato dalla cittadinanza nella difesa fatta nelle giornate del 10 ed 11 maggio 1849. La coraggiosa difesa di Livorno dall'assalto austriaco del maggio 1849 costituisce l'ultimo episodio di una vicenda rivoluzionaria pressoché ininterrotta che ha caratterizzato l'intero biennio 1848-1849 e che ha fatto di Livorno il centro più importante del movimento democratico e repubblicano. Dopo la sconfitta piemontese di Novara, il 23 marzo 1849, gli Austriaci si spingevano verso sud ed entrarono il 1º maggio a Pisa, dove si prepararono all'assalto della città labronica. Dopo quarantotto ore di combattimenti furiosi, Livorno veniva espugnata.»









     
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