-
Oceanya.
User deleted
Indiani d'America
Il fascino di uomini senza tempo, un viaggio nel mondo degli indiani d'america...sfortunate tribù annientate attraverso uno spietato genocidio...un piccolo omaggio a un grande popolo!ALTRI POST SUGLI INDIANI D AMERICA
Nativi AmericaniWisdom of Native Americans Saggezza,frasi,musica,poesie
Nativi Americani-Poesie,Frasi,Saggezza e Leggende Degli Indiani D'America
IMMAGINI, SFONDI,WALLPAPER,GIF,FOTO, INDIANI D'AMERICA [IMAGES OF AMERICA AND WALLPAPERS INDIANS
In marrone chiaro vedete le terre che ora sono il fondo dell'Oceano Atlantico, tra la Siberia e l'Aalaska. Ventimila anni fa, le popolazioni mongole le attraversarono, a piedi, per raggiungere il continente
Non lasciamo che i nostri ideali ci rendano soddisfatti di noi stessi.
Ognuno di noi, in scala più o meno grande contribuisce allo sfruttamento e alla distruzione della terra, allo spreco e all'inquinamento.
Abbiamo semplicemente la possibilità di camminare più vicino alla Buona Strada.
Non di colpo, ma tappa per tappa in questa direzione, finchè non riusciamo a tornare su questo sentiero.
Per coloro che sanno ascoltare, le voci parlano ancora.
SAUPAQUANT, WAMPANOAG
""Devi parlare sinceramente. Così le tue parole raggiungeranno i nostri cuori come la luce del sole"
Cochise, Apache"
INDIANI D'AMERICA
Il genocidio degli Indiani d'America
"...Nel 1492 Cristoforo Colombo, alla ricerca di una nuova rotta per le Indie, approdò sulle coste di isole misteriose. Con sua grande meraviglia non vi trovò "nessun mostro come ci si poteva aspettare", ma "uomini alti e ben fatti".
Equivocando, l'ammiraglio ancora non sapeva di essere approdato in un altro continente; e solo per sbaglio chiamò indiani gli uomini che aveva appena incontrato..."
Dopo lo storico sbarco del 1492 per anni l'Europa, lacerata da sanguinose guerre di religione, non si mostrò molto interessata al nuovo continente.
Successivamente la bramosia di possesso, il mito dell'oro, l'interesse verso nuove terre, la passione per le pregiate pellicce, l'imperativo missionario di "mettere il nuovo continente sotto la protezione di Dio" e il fascino dell'avventura, rappresentarono un micidiale cocktail distruttivo. Ben presto l'insieme di questi elementi si tradusse in atrocità e oscenità di ogni tipo, una miscela esplosiva che rese via via sempre più manifeste le peggiori disposizioni dell'uomo.
Quel misto di avventura ed ingordigia funse da propulsore e spinse verso occidente i grandi velieri.
Il destino dei nativi americani e delle loro antiche culture (e probabilmente del mondo intero) era segnato, la presunta civiltà europea, boriosa e dispotica, ne aveva decretato l'epilogo.
Ma com'è potuto accadere? E cos'è successo realmente? Cosa ha scaturito tanta ferocia? Di chi sono le maggiori responsabilità? Si poteva evitare lo sterminio? Ridurre i patimenti? I copiosi films Western descrivono la realtà dei fatti oppure la mistificano? Si può pensare a una verità storica? Se sì, qual è?
Tuffiamoci in questa impresa, tentiamo insieme un'analisi...
? È solo agli inizi del 1600 che si colgono i primi segnali di una vera e propria aggressione.
Il mercato delle pellicce che giungevano dal continente appena "scoperto" alimentò ben presto, e a dismisura, le vanità degli europei, aumentò così vertiginosamente la richiesta di queste pregiate mercanzie.
I furbi avventurieri sbarcati nel nuovo mondo, cominciarono così a barattare con gli "indigeni del posto" ad esempio oggetti di scarsissimo valore con pregiate pelli di lontra, e i propri vestiti rabberciati destinati alla pattumiera con le stupende pelli di castoro faticosamente procurate dagli 'indiani'.
L'America diventò il grande magazzino di pellicce per l'Europa... Agli indiani il compito di riempirlo.
Gli europei inoltre fecero conoscere ben presto ai 'selvaggi' l'inebriante acquavite - che usavano per stordirli prima delle 'trattative' - nonché altre *magiche cose* con le quali cercavano di ingannare gli ingenui abitanti del luogo. I furbi mercanti del vecchio continente fecero di questi espedienti preziosi alleati.
Che amarezza!
La trappola illusoria del vantaggioso baratto disorientò ben presto alcuni fra gli 'indiani' più scriteriati. Diverse comunità, che mai avrebbero pensato di dover affrontare una situazione simile, si trovarono impreparate nel dover affrontare questo mistificatorio nemico. Questo nuovo nemico 'rapiva la mente' degli stolti e giungeva a volte sino ad essere più forte del sacro rispetto per la veneratissima Madre di tutte le cose: Madre Natura. Un sacro rispetto, punto focale della cultura indiana, che ogni indiano aveva ben radicato dentro di sé, almeno sino a quell'infausto incontro con l'uomo bianco.
Madre Natura, prodiga di frutti benedetti, Madre natura, amorosa dispensatrice di ogni bene, Madre Natura, madre di tutti gli animali, anche di quelli da cacciare ed uccidere, per reale bisogno, in 'confronti' leali e senza inutili sprechi.
La ingannevole rete tessuta dai bianchi arrivò a disorientare, anche se solo temporaneamente, l'ignaro pellerossa che giunse ad affermare:
"Il castoro fa le cose per bene: sa fare le pentole, le accette, le lesine, i coltelli...".
Questo nuovo ed ingenuo slogan coniato dagli indiani rende oggi bene l'idea dei 'vantaggi' che inizialmente derivavano dal commercio delle pellicce; vantaggi fatali però, che decretarono la condanna a morte di tutte le culture locali.
Gli indiani non potevano immaginare che, adottando il pensiero degli europei, avrebbero messo in moto l'ingranaggio destinato in breve tempo a stritolarli senza alcuna pietà.
Gli uroni, gli irochesi e gli indiani delle coste nord-occidentali cercarono di affrontare il disorientamento legato a questa nuova 'mania della negoziazione' e dettarono delle regole; ammisero il commercio con i bianchi (purché sobrio e misurato) e l'arricchimento di alcuni componenti della collettività. Il profitto derivante dagli interscambi però non doveva assolutamente generare disuguaglianze, né marcare differenze di sorta con gli altri membri della comunità; rimaneva perciò decisamente in vigore il principio della redistribuzione, che anzi doveva essere ulteriormente rafforzato e sviluppato con nuovi criteri.
Ma l'europeo, che primeggiava in astuzia, impose senza indugio l'introduzione di nuovi sistemi commerciali.
Le virtuose consuetudini "socio-economiche", ancestrali per le comunità indiane, finirono così per essere gradualmente distrutte. L'introduzione successiva di nuove e mirate mercanzie snaturò totalmente il modo di vivere indiano e ne segnò definitivamente la caduta. La caccia, il commercio e la distorsione culturale, mutarono radicalmente il sistema di vita e l'alimentazione delle tribù che giunsero così a dipendere completamente dagli scaltri europei.
Allo stesso modo dell'arricchimento di uno ai danni dell'altro e delle disuguaglianze fra uomini, anche la proprietà fu un principio che sfuggì completamente all'indiano, che non riuscì mai a comprendere come si potesse pretendere di acquistare alberi, fiumi, prati, spiagge o laghi...
ma il problema non infastidiva per nulla il bianco, poiché quasi mai si parlava di 'comprare', per lui le nuove terre erano abbandonate e non sfruttate, e la Bibbia stessa affermava che Dio li aveva guidati in quei luoghi: il nuovo paese apparteneva a loro.
L'illusione del nuovo vantaggioso rapporto con il bianco però cedette presto il passo ai reali obiettivi dell'invasore, i marinai palesarono le loro vere intenzioni e iniziarono così i maltrattamenti, i 'selvaggi' furono trattati come schiavi, si abusò delle loro donne, le trattative non furono più rispettate. Così i poveri malcapitati, terrorizzati ed increduli, per sottrarsi alla presenza dei bianchi, si ritirarono nelle foreste interne.
Alla iniziale generosità indiana dunque, i bianchi, popolo eletto di Dio, a cui era stata affidata "la divina missione", risposero con avidità e maltrattamenti d'ogni tipo, e non si fecero alcuno scrupolo poichè gli indigeni erano considerati
"crudeli, selvaggi, barbari e figli di Satana".
Non esitarono a coercizioni di ogni tipo e pretesero obbedienza nel combattere contro altri stranieri, fedeltà alla loro causa e prosternazione nella casa del loro Dio.
Più tardi i bianchi si discolperanno dicendo, sicuri del proprio diritto, che non sarebbe stato giusto arretrare davanti a nulla e che era un sacro dovere ridurre al loro volere quei selvaggi, che senza il loro provvidenziale aiuto sarebbero morti di fame e di freddo.
Alla fine così gli indiani (fino a qualche anno prima popolo pacifico), dopo aver troppo subito, esasperati, reagirono con la violenza, fornendo così il pretesto tanto anelato dall'assetato conquistatore.
Da allora in poi la lotta contro "i rivoltosi" venne condotta senza esclusione di colpi, non si rispettarono più i rappresentanti, durante le trattative vennero offerti liquori avvelenati, si sterminarono donne e bambini, si bruciarono interi villaggi.
Come da antica ricetta venne adottata furbescamente e strategicamente una politica, tanto nota ancor'oggi: la corruzione degli uomini chiave.
La "politica dei regali" (ricompensa degli individui "buoni", disposti a combattere a favore) ebbe inevitabili, pesanti ripercussioni all'interno delle comunità indiane, si disgregarono così le gerarchie interne e alla fine il bianco ebbe addirittura la pretesa di nominare lui stesso i capi-tribù.
Eccitante ed entusiasmante fu allora per i bianchi riuscire a uccidere il guerriero indiano che: "avanza come una volpe, si batte come un lupo e sparisce come un uccello".
Tragico ad esempio era invece per l'irochese cadere in battaglia, il peggior destino che potesse capitargli, poichè il suo spirito, non potendo essere ammesso al "villaggio dei morti", sarebbe stato condannato a vagare, la sola speranza che rimaneva era quella di essere vendicato, la fraterna vendetta, solo ed unico mezzo per unirsi nei cieli al proprio popolo e poter ritrovare così i propri antenati.
Per Nativi americani (chiamati anche in modo più o meno consono Indiani d'America, Pellerossa, Amerindi, Amerindiani, Prime Nazioni, Aborigeni americani, Indios) si intendono tutti i popoli indigeni che vivevano in America del Nord, America centrale e America del Sud prima della colonizzazione degli europei. Il loro sterminio rappresenta uno dei più gravi genocidi della storia dell'umanità, tanto che oggi sono una minoranza nel continente americano..
L'uso del termine Indiani, risale alle prime fasi dell'esplorazione del sub-continente nordamericano. Il termine Indios, spagnolo ma anche portoghese, è utilizzato per riferirsi alle popolazioni indigene dell'America latina. L'espressione pellerossa, utilizzata, spesso in senso semanticamente negativo, per riferirsi alle popolazioni indigene nordamericane, è oggi considerata non politicamente corretta, in quanto fa riferimento al colore della pelle dei nativi di quell'area del continente. A Est vivevano popolazioni di lingua algonchina, tra cui i Cree e gli Ojibway o Chippewa; a Ovest, gruppi di lingua athabaska (Carrier, Ingalik, Dogrib, Han, Hare, Koyukon, Kutchin, Mountain, Slave, Tanaina, Yellowknife e altri). Queste popolazioni venivano generalmente guidate dai capifamiglia ed i conflitti tra le varie tribù erano molto rari. Per quanto riguarda la religione erano molto diffuse le credenze negli spiriti guardiani e nella stregoneria. Molti di questi popoli ora sono sedentari e tuttora vivono di caccia e pesca.
ORIGINI INCERTE.
L'origine della popolazione americana non è nota e al riguardo vi sono diverse teorie: quella che sostiene la formazione autoctona, oggi praticamente rifiutata; quella che accetta l'ipotesi di una migrazione via mare dalla Polinesia verso le coste pacifiche dell'America del sud; e quella che postula il passaggio di popolazioni siberiane alle terre americane attraverso lo stretto di Bering, a nord. La tesi maggiormente accettata è che attraverso lo stretto di Bering passarono successive migrazioni a partire da 40.000 anni fa, mentre altri gruppi giunsero in tempi più recenti (9/10.000 anni fa) dalla Polinesia. Tuttavia se verranno confermati i ritrovamenti recenti di presenze umane in Piauí (Brasile) risalenti a 47.000 anni fa, bisognerà anticipare la datazione del passaggio da Bering. Il vasto continente americano, con i suoi 42 milioni di km circa, posto fra i due poli e due oceani, presenta un'immensa varietà orografica, climatica e biologica. Il popolamento umano sarebbe avvenuto per successive ondate che lentamente si mossero lungo questa massa terrestre occupando anche le isole prossime negli oceani. Sarebbe questa la ragione della grande diversità di tipi fisici e di livello di conoscenze tecnologiche e culturali. Si calcola che, quando giunse Colombo, (1492) si parlavano 2.000 idiomi (1.450 in America del sud, 350 in Mesoamerica e 200 in America del nord). Le distanze e i rilievi tendevano a separare i nuclei umani, imponendo un adattamento differenziato per sopravvivere, mentre la mancanza di animali da trazione potenti come il cavallo e la non conoscenza della ruota resero più difficile il superamento degli ostacoli spaziali. Difficoltà e dubbi permeano anche i tentativi di classificare il livello di strutturazione sociale raggiunto al momento dell'arrivo europeo. A titolo indicativo si possono enucleare alcuni grandi gruppi: cacciatori-raccoglitori organizzati in un'economia di appropriazione, con attrezzature molto rozze, erano confinati nelle zone più inospitali ed estreme del continente, come il sud della Patagonia; cacciatori superiori delle praterie e delle steppe, specializzati nella caccia di animali di maggiori dimensioni con mezzi tecnici avanzati (arco, freccia ecc.) si trovavano nelle pampas del sud o nelle praterie nordamericane; cacciatori-piantatori, che praticavano un'agricoltura rudimentale, vivevano principalmente nell'altopiano brasiliano; nelle regioni tropicali e subtropicali (Amazzonia, zona meridionale degli attuali Usa) vi erano popolazioni di piantatori con un discreto grado di conoscenze tecniche (orti, coltelli di pietra, archi e frecce, ceramica, tessitura). Infine popolazioni con un elevato livello culturale, avanzata struttura statuale, conoscenza dell'architettura, metallurgia ecc., occupavano una vasta regione che dal nord dell'attuale Argentina e Cile si estendeva fino a tutto il Messico centrale. Poco si conosce della vita religiosa delle comunità che precedettero le grandi organizzazioni statali. Nelle società più tarde si manifestava una tendenza all'enoteismo, venerazione di un dio superiore in un pantheon di divinità animiste. Grande importanza aveva il culto dei morti: lo sciamano era intermediario fra uomo e aldilà. Non vi erano templi, né immagini degli dei. Oggetti sacri erano raffigurazioni in legno (totem), maschere, strumenti musicali. Fra 2000 e 1000 a.C. sorsero i grandi centri cerimoniali (Tiahuanaco nell'attuale Bolivia, Chavin di Huantar in Perù, Teotihuacan in Messico), nodi di irradiazione religiosa. I conquistatori europei usarono ogni mezzo per estirpare le religioni indie, ma in anni recenti in varie località ripresero gli antichi culti e lo sciamanismo. Altra questione molto discussa è quella relativa alla consistenza demografica degli indios al momento della conquista. I primi cronisti presentarono dati consistenti simili a quelli europei dell'epoca. In seguito questi numeri vennero ridimensionati per essere nuovamente accresciuti dagli storici degli anni ottanta del XX secolo. A titolo indicativo citiamo alcuni studiosi contemporanei: il demografo A. Rosenblat nel 1954 proponeva una cifra di 16 milioni di abitanti per l'intero continente nel XV secolo. I demografi di Berkley (Usa) W. Borah e F.S. Cook parlano di 90/100 milioni, cifra condivisa anche dallo storico francese P. Chaunu. Tutti concordano nel ritenere che le zone più popolose erano le Ande centrali e la valle del Messico. Si calcola che al tempo dell'invasione europea fossero presenti, nella sola America settentrionale, un milione di individui appartenenti a 240 diversi gruppi etnici, all'interno dei quali esistevano 60 famiglie linguistiche per un totale di più di 500 lingue diverse, poi raggruppate dal linguista statunitense Edward Sapir in sei gruppi.
NOVE AREE D'INSEDIAMENTO.
Le aree d'insediamento nel subcontinente settentrionale sono le nove seguenti: subartica (dall'Alaska al Labrador), che ospitava tribù di ceppo algonchino a est e atabasco a ovest, essenzialmente composte di pescatori e cacciatori, a struttura sociale molto semplificata, incentrata sul villaggio; costa nordoccidentale, costituita essenzialmente da villaggi di pescatori che avevano raggiunto un certo grado di sviluppo nella lavorazione del legno e delle fibre naturali e a struttura sociale piuttosto complessa, sebbene ancora incentrata sul villaggio; California, caratterizzata da un complicato intreccio di lingue e gruppi tribali, con un'economia basata prettamente sulla pesca e, solo lungo il Colorado, sull'agricoltura; Plateau, ovvero pianura del nord, caratterizzata da vaste praterie, foreste e ampi fiumi, che fornivano con la pesca la base essenziale dell'economia dei villaggi, la cui struttura politico-sociale era assai sofisticata, con istituzioni quali un governo rappresentativo, capi villaggio, confederazioni; Grande bacino, corrispondente agli attuali Nevada e Utah, con insediamenti nomadi di shoshoni; Sudovest, corrispondente agli attuali Arizona e New Mexico, e parte dello Utah, Colorado, Texas e Messico, dove si trovavano popolazioni dedite all'agricoltura e alla lavorazione di metalli e dell'adobe (tra queste tribù si annoverano gli hopi, i pueblo e gli zuni e, successivamente, i navajo e gli apache); Pianure, ovvero Grande pianura, in cui l'insediamento iniziò solo dopo il 1600, quando gli spagnoli introdussero l'uso del cavallo, modificando profondamente le abitudini di molte tribù (cheyenne, arapaho, dakota), tra le quali si diffusero la caccia al bisonte e la vita nomade negli accampamenti di teepee (l'immagine stereotipata degli indiani d'America diffusa nella cultura popolare dalla cinematografia western è basata sulle caratteristiche di quest'ultimo gruppo); Foreste orientali, caratterizzate da insediamenti di villaggi di popolazioni semidesertiche (soprattutto algonchini e irochesi) dedite alla coltivazione del mais, all'allevamento e alla lavorazione del legno; sudest, abitato soprattutto da indiani muskogi, creek e choctaw, riuniti in "città" autonome, che costituivano il nucleo politico e religioso, e "villaggi" decentrati, con una sofisticata organizzazione politica cui si contrapponeva un'economia agricola poco sviluppata.
IL GENOCIDIO. Dalle invasioni europee (XVI secolo), la storia degli indiani d'America divenne la storia della loro progressiva distruzione culturale e fisica. La violenza delle armi, la devastazione del sistema produttivo, l'introduzione della servitù e della schiavitù, la diffusione di nuove malattie, tutto concorse a che nella seconda metà del XVI secolo gli aborigeni dei Caraibi fossero praticamente scomparsi e che nelle zone più popolose del continente vi fosse una riduzione della popolazione da 20 a 1. Questa immensa perdita di vite fu accompagnata dalla distruzione culturale: si proibirono le religioni native, si distrussero monumenti e città, si annientò la storia passata. A partire dal 1650 nelle regioni andine e mesoamericane si profilò un lento recupero demografico. L'impegno iniziale, da parte dei colonizzatori britannici al nord, di proteggere le terre indiane (risale al 1763 la dichiarazione di re Giorgio III di Gran Bretagna, secondo cui tutte le terre a ovest delle fonti dei fiumi che, da ovest e nordovest, si gettano in mare erano riservate agli indiani) venne meno non appena le massicce immigrazioni dall'Europa resero necessari territori sempre più vasti per gli insediamenti dei bianchi. Tra i contraddittori tentativi fatti dal governo statunitense per tutelare parzialmente gli indiani, rientrò la creazione del Bureau of Indian Affairs, del 1789. A partire dal 1830, con l'Indian Removal Act iniziò la campagna di sistematica riduzione di spazio destinato alle culture native, accelerata dalla scoperta dell'oro in California. Tutto questo, negli anni che vanno dal 1850 al 1880, scatenò alcune tra le più sanguinose guerre indiane, conclusesi nel 1890 con il massacro di Wounded Knee, che segnò la capitolazione definitiva degli indiani. L'atteggiamento governativo nei confronti degli indigeni, cambiato più volte nel corso della storia statunitense, andò dalla politica di garantismo, mai concretamente realizzata, a una politica di intervento pesante degli apparati federali nella gestione dei territori indiani. Con il General Allottment Act (1871) venne privatizzato lo spazio riservato alle tribù, compiendo così una doppia operazione di sradicamento culturale e sottrazione territoriale (gli indiani persero il 62 per cento delle terre). Nel 1934, l'Indian Reorganization Act si proponeva di fare parzialmente ammenda alle precedenti ingiustizie, ma il periodo più significativo in questo senso fu quello degli anni 1950-1970, durante il quale il dipartimento federale degli Interni promosse una politica di decentramento e autogoverno nelle riserve (1954), attuata con il sostegno di enti governativi autonomi quali l'Indian Service. Nel 1950 la popolazione indigena totale degli Stati Uniti era calcolata in 455.500 unità, rimasta poi sostanzialmente stabile. Negli anni ottanta si calcolava che in territorio americano, senza contare la vasta umanità meticcia, vi fossero 40 milioni di indios con i poli più consistenti in Bolivia, Perù, Ecuador, Guatemala e Messico. Fenomeno recente e in crescita è l'organizzazione indigena, che rivendica il diritto a lingua, religione, costumi e territorio propri.
Le loro abitazioni
Gli indiani d'America vivevano in tende fatte di pelli, nei climi più miti e in quelli più rigidi facevano ricorso a vari tipi di riparo, tra cui capanne costruite con blocchi di ghiaccio o di terra e rifugi interrati. Dove abbondava il legname venivano costruite case di legno, altrove si utilizzava la paglia per coprire semplici capanne. Abitazioni caratteristiche sono il tepee degli indiani delle praterie, il chikee dei seminole della Florida, gli hogan dei navajo. Apparentemente semplici, queste strutture erano il frutto di sapienti tecnologie. Negli stati sud occidentali, sono tuttora visibili gli insediamenti rocciosi dei cliffdwellers, antenati degli odierni pueblo.
La religione
Gli indiani d'America coltivavano una grande varietà di credenze religiose. La maggior parte delle popolazioni venerava un'entità spirituale, origine di tutte le cose, come luce e forza vitale come fertilità, come conoscenza e potere, di cui erano depositari principalmente alcuni animali, quali il giaguaro, l'orso e il serpente. Per provocare visioni venivano spesso somministrati allucinogeni, tra cui il peyote, all'interno di cerimonie caratterizzate da canti e digiuni. Importante era il culto dei morti, di cui erano ministri gli sciamani. Risalgono al 1000 a.C. le prime tombe coperte da tumuli sepolcrali, diventate in seguito centri di culto, tipiche della prima civiltà hopi. Presso alcune popolazioni potevano rivestire occasionalmente funzioni sacerdotali diverse persone, a seconda delle contingenze; non esistevano inoltre luoghi di culto fissi. Le popolazioni meridionali e della costa nord occidentale del Pacifico avevano invece santuari o templi e sacerdoti permanenti.
Le arti e le tecniche
Tra le prime arti sviluppate presso i nativi americani vi fu il taglio della selce, che si affermò quasi ovunque tra il X e il VI millennio a.C. Nella zona centro occidentale il rame venne usato fin dal periodo arcaico per forgiare strumenti e oggetti ornamentali, ma la lavorazione dei metalli a partire dal minerale fu importata dal Perù solo dopo il 900 a.C. e il bronzo venne introdotto quasi 2000 anni più tardi, intorno all'XI secolo d.C. Le prime ceramiche risalgono al 3500 a.C. e ancora più antica è l'arte di lavorare il giunco, che raggiunse i livelli più alti nelle regioni occidentali. La tessitura era praticata con varie tecniche, spesso insieme al ricamo (con piume, perle e conchiglie); le popolazioni di cacciatori utilizzavano pelli di daino per realizzare abiti, tende e contenitori. Molto praticato era l'intaglio del legno: nella costa pacifica settentrionale venne elaborato uno stile particolare, di cui i totem costituiscono l'esempio più noto.
Indiani d'America oggi
I nativi americani attualmente sopravvissuti sono circa un milione e mezzo (censimento del 1980). Nel 1984 vi erano 283 tribù riconosciute negli Stati Uniti e 200 villaggi nell'Alaska. Attualmente la maggior parte degli indiani sopravvissuti sono confinati in riserve, circa 300 quelle federali e 21 quelle statali, quasi tutte ad ovest del Mississippi. Le riserve possono essere destinate ad una sola tribù o essere assegnate a più tribù. Alcune parti delle riserve possono appartenere a gruppi non indiani. La riserva più grande (14 milioni di acri) è proprietà della tribù Navaho, mentre le più piccole si riducono a pochi acri di terreno. E' comunque stimato che circa un terzo (c'è chi dice addirittura la metà) della popolazione indiana degli Stati Uniti abiti ormai nelle città. Per esempio, in Canada vivono circa 300.000 eschimesi, in rapido aumento. Sono organizzati in ben 573 gruppi (detti bands) con, in media, 525 membri ciascuno. Ogni band ha un capo eletto e un consiglio tribale rappresentativo. Le varie bands possiedono 2.242 parcelle di terreno separate fra loro, su un area totale di 25.954 km². Sia negli Stati Uniti che nel Canada le condizioni di vita degli indiani sono generalmente precarie e la loro vita media è inferiore a quella del resto della popolazione.
QUI SOTTO AGGIUNGETE TUTTO CIO' CHE SAPETE O TROVATE SUGLI INDIANI...SAGGEZZE ,POESIE ,LEGGENDE, IMMAGINI, QUALUNQUE COSA...
.:: Indiani d'America ::.
Il contatto con la culture degli Indiani d'America non può lasciare indifferenti, perché esse racchiudono un patrimonio per la mente e per l'anima. Occorre sfatare preconcetti e pregiudizi, che possono accompagnarci, anche nostro malgrado, considerata l'impostazione della nostra storiografia.
Il primo pregiudizio è che gli Indiani siano "popoli senza storia", sull'assunto, stabilito da noi del "cervello sinistro", che la trasmissione scritta, per di più cronologica, sia l'unico modo di registrare la storia.
Per i pre-colombiani, con l'unica eccezione dei Maya, la trasmissione è orale, e non è meno fedele delle parole scritte su pietra, papiro, argilla o carta.
La parola, per gli Indiani, è energia che incontra altra energia e non può essere rinchiusa nella rigidità di regole o strumenti.
Come per tutti i popoli vicini alle origini, la parola è sacra e in modo sacro deve essere tramandata. E il modo più vicino allo Spirito è, come dicono i Sioux, "l'Uccello Sacro della memoria".
La storia di ogni popolo è la "parola degli Antenati" e quindi deve essere tramandata con fedeltà e rispetto assoluti.
Gli Anziani e più di tutti gli Sciamani ne sono i custodi e i responsabili, vere enciclopedie viventi, che tramandano i ricordi ancestrali attraverso la parola e li lasciano in eredità a chi "inizia i passi dove finiscono i loro".
Il secondo pregiudizio da sfatare è che nelle culture Indiane non ci sia progresso. Per gli Indiani la crescita avviene nell'interno della propria coscienza, in armonia con le leggi della Terra e del Cosmo, nel cerchio del tempo che va e ritorna come onde del mare, senza alcuna progressione lineare.
Ogni punto dell'arco del tempo è uguale per ogni generazione.
Il problema è che spesso noi confondiamo il concetto di progresso con quello di evoluzione tecnologica.
L'Antropologia ci ha insegnato infatti che non esistono culture o civiltà superiori o inferiori, il nostro pianeta rappresenta una pluralità di civiltà, ciascuna unità coerente da considerare dall'interno dei suoi aspetti, che sono ciò che si intende come cultura.
Il terzo pregiudizio, forse il più grande e grossolano è l'accusa di essere senza religione. Gli Indiani di tutte le Americhe sentono lo Spirito in ogni azione, in ogni manifestazione ed in ogni momento e ne ricercano incessantemente la presenza attraverso i simboli.
Per loro il dono della visione mistica è il traguardo supremo di ogni vita. ed ecco cosa risponde un Capo del XIX secolo in una registrazione ufficiale: "Eravamo un popolo senza leggi, ma eravamo in ottimi rapporti con il Grande Spirito, Creatore e Signore del Tutto. Ci giudicavate dei selvaggi. Non capivate le nostre preghiere, né cercavate di capirle. Quando cantiamo le nostre lodi al sole, alla luna e al vento, ci trattate da idolatri... Senza capire, ci avete condannati come anime perse, solo perché la nostra religione è diversa dalla vostra". (fonte Elda Fossi)
Edited by Oceanya - 3/7/2015, 01:22. -
Oceanya.
User deleted
Leggende Indiane
La regina delle api
C'era una volta una coppia che desiderava ardentemente un figlio ma non riusciva ad averne.
Un giorno il marito andò in un campo a tagliare del bambù. All'improvviso udì una vocina che lo implorava di non fargli del male. Dove sei?, chiese l'uomo. In questa canna!, rispose la vocina. L'uomo aprì la canna di bambù e trovò un bambino piccolissimo, con il volto da ranocchio.
Lo portò a casa e con la moglie si affezionarono subito al bambino, anche se non era molto bello. Lo chiamarono Bambù.
Passarono gli anni e Bambù crebbe. Diventò un bravissimo ragazzo che aiutava il padre nel lavoro. Un giorno, il giorno del suo diciottesimo compleanno, i genitori gli diedero un abito e una spada e lo mandarono al mercato a vendere il riso e a comprare delle stoffe.
Bambù attraversò la foresta ed ad un tratto si accorse di essere seguito. Gli si parò di fronte un leone affamato. Bambù gli disse:
Non ho niente da darti, oggi. Ripassa domani. Ma il leone gli rispose: Ma io so già cosa mangiare: tu! Allora Bambù gli disse: Vattene via, altrimenti ti infilzerò con la mia spada! Il leone, intimorito, scappò via.
Bambù era quasi uscito dalla foresta, quando incontrò un'ape che gli chiese di salvare la sua regina. La regina era una bellissima ragazza, piccolissima, con due ali argentate, che era rimasta impigliata in una ragnatela. Bambù la salvò, ed allora la regina gli regalò tre semi di melone. Questi semi ti aiuteranno a realizzare quello che vuoi. Basterà che tu lo desideri!
Bambù andò al mercato e concluse i suoi affari. Poi tornò verso casa ed attraversando la foresta rincontrò il leone, ancora più feroce ed affamato. Bambù desiderò di ucciderlo con la spada di suo padre, ed ecco che di colpo riuscì a farlo. Un seme di melone era svanito nel frattempo dalla sua tasca.
Bambù scoprì che i semi erano prodigiosi. Ascoltò il suo cuore e desiderò di essere un bel giovane e di rivedere la regina delle api. I due semi sparirono e Bambù diventò un bellissimo ragazzo: di fronte a lui giunse la regina delle api, che ingrandì fino a diventare una vera ragazza. I due tornarono a casa, si sposarono e vissero felici e contenti.
La leggenda della Luna Piena
In una calda notte di luglio di tanto tempo fa un lupo, seduto sulla cima di un monte, ululava a più non posso.
In cielo splendeva una sottile falce di luna che ogni tanto giocava a nascondersi dietro soffici trine di nuvole, o danzava tra esse, armoniosa e lieve.
Gli ululati del lupo erano lunghi, ripetuti, disperati. In breve arrivarono fino all’argentea regina della notte che, alquanto infastidita da tutto quel baccano, gli chiese:
- Cos’hai da urlare tanto? Perché non la smetti almeno per un po’?-
- Ho perso uno dei miei figli, il lupacchiotto più piccolo della mia cucciolata. Sono disperato… aiutami! - rispose il lupo.
La luna, allora, cominciò lentamente a gonfiarsi. E si gonfio, si gonfiò, si gonfiò, fino a diventare una grossa, luminosissima palla.
- Guarda se riesci ora a ritrovare il tuo lupacchiotto - disse, dolcemente partecipe, al lupo in pena.
Il piccolo fu trovato, tremante di freddo e di paura, sull’orlo di un precipizio. Con un gran balzo il padre afferrò il figlio, lo strinse forte forte a sé e, felice ed emozionato, ma non senza aver mille e mille volte ringraziato la luna. Poi sparì tra il folto della vegetazione.
Per premiare la bontà della luna, le fate dei boschi le fecero un bellissimo regalo: ogni trenta giorni può ridiventare tonda, grossa, luminosa, e i cuccioli del mondo intero, alzando nella notte gli occhi al cielo, possono ammirarla in tutto il suo splendore.
I lupi lo sanno… E ululano festosi alla luna piena.
Edited by Oceanya - 11/6/2015, 01:39. -
Oceanya.
User deleted
Il Manifesto del diritto della Terra
Gli indiani d’America vivevano riuniti in tribù in ambienti diversi: praterie, montagne, lungo i fiumi e i laghi: erano spesso nomadi e dediti alla caccia e alla pesca. Ebbero i primi contatti con gli Europei dopo che iniziarono le migrazioni di inglesi nel continente americano. A poco a poco il numero dei bianchi aumentò sempre più costringendoli a ritirarsi in zone sempre più ristrette, per i massacri che subivano ad opera degli invasori, fino ad essere confinati nelle riserve. Ma questo non impedì all'uomo bianco di continuare a sterminarli fino alla quasi estinzione. Difatti attualmente i nativi d' America sono circa 500 mila.
Questa lettera fu scritta dal capo dei Pellirossa Capriolo Zoppo nel 1854 al Presidente degli Stati Uniti Franklin Pirce.
Il documento qui integralmente riprodotto è senz’altro una delle più elevate espressioni di sintonia dell’uomo col creato ed esprime la ricchezza universale dei “popoli nativi”, dei veri “indigeni” di ogni luogo della terra ed è la risposta che il Capo Tribù di Duwamish inviò al Presidente degli Stati Uniti che chiedeva di acquistare la terra dei Pellerossa.
"Il grande Capo che sta a Washington ci manda a dire che vuole comprare la nostra terra. Il grande Capo ci manda anche espressioni di amicizia e di buona volontà. Ciò è gentile da parte sua, poiché sappiamo che egli ha bisogno della nostra amicizia in contraccambio. Ma noi consideriamo questa offerta, perché sappiamo che se non venderemo, l’uomo bianco potrebbe venire con i fucili a prendere la nostra terra. Quello che dice il Capo Seattle, il grande Capo di Washington può considerarlo sicuro, come i nostri fratelli bianchi possono considerare sicuro il ritorno delle stagioni.
Le mie parole sono come le stelle e non tramontano. Ma come potete comprare o vendere il cielo, il colore della terra? Questa idea è strana per noi. Noi non siamo proprietari della freschezza dell’aria o dello scintillio dell’acqua: come potete comprarli da noi?
Ogni parte di questa terra è sacra al mio popolo. Ogni ago scintillante di pino, ogni spiaggia sabbiosa, ogni goccia di rugiada nei boschi oscuri, ogni insetto ronzante è sacro nella memoria e nella esperienza del mio popolo. La linfa che circola negli alberi porta le memorie dell’uomo rosso. I morti dell’uomo bianco dimenticano il paese della loro nascita quando vanno a camminare tra le stelle. Noi siamo parte della terra ed essa è parte di noi. I fiori profumati sono nostri fratelli. Il cervo, il cavallo e l’aquila sono nostri fratelli. Le creste rocciose, le essenze dei prati, il calore del corpo dei cavalli e l’uomo, tutti appartengono alla stessa famiglia. Perciò. Quando il grande Capo che sta a Washington ci manda a dire che vuole comprare la nostra terra, ci chiede molto. Egli ci manda a dire che ci riserverà un posto dove potremo vivere comodamente per conto nostro. Egli sarà nostro padre e noi saremo i suoi figli. Quindi noi considereremo la Vostra offerta di acquisto. Ma non sarà facile perché questa terra per noi è sacra. L’acqua scintillante che scorre nei torrenti e nei fiumi non è soltanto acqua ma è il sangue dei nostri antenati. Se noi vi vendiamo la terra, voi dovete ricordare che essa è sacra e dovete insegnare ai vostri figli che essa è sacra e che ogni tremolante riflesso nell’acqua limpida del lago parla di eventi e di ricordi, nella vita del mio popolo.
Il mormorio dell’acqua è la voce del padre, di mio padre. I fiumi sono i nostri fratelli ed essi saziano la nostra sete. I fiumi portano le nostre canoe e nutrono i nostri figli. Se vi vendiamo la terra, voi dovete ricordare e insegnare ai vostri figli che i fiumi sono i nostri fratelli ed anche i vostri e dovete perciò usare con i fiumi la gentilezza che userete con un fratello.
L’uomo rosso si è sempre ritirato davanti all’avanzata dell’uomo bianco, come la rugiada sulle montagne si ritira davanti al sole del mattino. Ma le ceneri dei nostri padri sono sacre. Le loro tombe sono terreno sacro e così queste colline e questi alberi. Questa porzione di terra è consacrata, per noi. Noi sappiamo che l’uomo bianco non capisce i nostri pensieri. Una porzione della terra è la stessa per lui come un’altra, perché egli è uno straniero che viene nella notte e prende dalla terra qualunque cosa gli serve. La terra non è suo fratello, ma suo nemico e quando la ha conquistata, egli si sposta, lascia le tombe dei suoi padri dietro di lui e non se ne cura. Le tombe dei suoi padri e i diritti dei suoi figli vengono dimenticati. Egli tratta sua madre, la terra e suo fratello, il cielo, come cose che possono essere comprate, sfruttate e vendute, come fossero pecore o perline colorate.
IL suo appetito divorerà la terra e lascerà dietro solo un deserto.
Non so, i nostri pensieri sono differenti dai vostri pensieri. La vista delle vostre città ferisce gli occhi dell’uomo rosso. Ma forse ciò avviene perché l’uomo rosso è un selvaggio e non capisce.
Non c’è alcun posto quieto nelle città dell’uomo bianco. Alcun posto in cui sentire lo stormire di foglie in primavera o il ronzio delle ali degli insetti. Ma forse io sono un selvaggio e non capisco. Il rumore della città ci sembra soltanto che ferisca gli orecchi. E che cosa è mai la vita, se un uomo non può ascoltare il grido solitario del succiacapre o discorsi delle rane attorno ad uno stagno di notte?
Ma io sono un uomo rosso e non capisco. L’indiano preferisce il dolce rumore del vento che soffia sulla superficie del lago o l’odore del vento stesso, pulito dalla pioggia o profumato dagli aghi di pino.
L’aria è preziosa per l’uomo rosso poiché tutte le cose partecipano dello stesso respiro.
L’uomo bianco sembra non accorgersi dell’aria che respira e come un uomo da molti giorni in agonia, egli è insensibile alla puzza.
Ma se noi vi vendiamo la nostra terra, voi dovete ricordare che l’aria è preziosa per noi e che l’aria ha lo stesso spirito della vita che essa sostiene. Il vento, che ha dato ai nostri padri il primo respiro, riceve anche il loro ultimo respiro. E il vento deve dare anche ai vostri figli lo spirito della vita. E se vi vendiamo la nostra terra, voi dovete tenerla da parte e come sacra, come un posto dove anche l’uomo bianco possa andare a gustare il vento addolcito dai fiori dei prati.
Perciò noi consideriamo l’offerta di comprare la nostra terra, ma se decideremo di accettarla, io porrò una condizione. L’uomo bianco deve trattare gli animali di questa terra come fratelli. Io sono un selvaggio e non capisco altri pensieri. Ho visto migliaia di bisonti che marcivano sulla prateria, lasciati lì dall’uomo bianco che gli aveva sparato dal treno che passava. Io sono un selvaggio e non posso capire come un cavallo di ferro sbuffante possa essere più importante del bisonte, che noi uccidiamo solo per sopravvivere.
Che cosa è l’uomo senza gli animali? Se non ce ne fossero più gli indiani morirebbero di solitudine. Perché qualunque cosa capiti agli animali presto capiterà all’uomo. Tutte le cose sono collegate.
Voi dovete insegnare ai vostri figli che il terreno sotto i loro piedi è la cenere dei nostri antenati. Affinché rispettino la terra, dite ai vostri figli che la terra è ricca delle vite del nostro popolo. Insegnate ai vostri figli quello che noi abbiamo insegnato ai nostri, che la terra è nostra madre. Qualunque cosa capita alla terra, capita anche ai figli della terra. Se gli uomini sputano sulla terra, sputano su se stessi.
Questo noi sappiamo: la terra non appartiene all’uomo, è l’uomo che appartiene alla terra. Questo noi sappiamo. Tutte le cose sono collegate, come il sangue che unisce una famiglia. Qualunque cosa capita alla terra, capita anche ai figli della terra. Non è stato l’uomo a tessere la tela della vita, egli ne è soltanto un filo. Qualunque cosa egli faccia alla tela, lo fa a se stesso. Ma noi consideriamo la vostra offerta di andare nella riserva che avete stabilita per il mio popolo. Noi vivremo per conto nostro e in pace. Importa dove spenderemo il resto dei nostri giorni.
I nostri figli hanno visto i loro padri umiliati nella sconfitta. I nostri guerrieri hanno provato la vergogna. E dopo la sconfitta, essi passano i giorni nell’ozio e contaminano i loro corpi con cibi dolci e bevande forti. Poco importa dove noi passeremo il resto dei nostri giorni: essi non saranno molti. Ancora poche ore, ancora pochi inverni, e nessuno dei figli delle grandi tribù, che una volta vivevano sulla terra e che percorrevano in piccole bande i boschi, rimarrà per piangere le tombe di un popolo, una volta potente e pieno di speranze come il vostro. Ma perché dovrei piangere la scomparsa del mio popolo? Le tribù sono fatte di uomini, niente di più. Gli uomini vanno e vengono come le onde del mare. Anche l’uomo bianco, il cui Dio cammina e parla con lui da amico a amico, non può sfuggire al destino comune.
Può darsi che siamo fratelli, dopo tutto. Vedremo.
Noi sappiamo una cosa che l’uomo bianco forse un giorno scoprirà: il nostro Dio è lo stesso Dio. Può darsi che voi ora pensiate di possederlo, come desiderate possedere la nostra terra. Ma voi non potete possederlo. Egli è il Dio dell’uomo e la sua compassione è uguale per l’uomo rosso come per l’uomo bianco. Questa terra è preziosa anche per lui. E far male alla terra è disprezzare il suo creatore. Anche gli uomini bianchi passeranno, forse prima di altre tribù. Continuate a contaminare il vostro letto e una notte soffocherete nei vostri stessi rifiuti.
Ma nel vostro sparire brillerete vividamente, bruciati dalla forza del Dio che vi portò su questa terra e per qualche scopo speciale vi diede il dominio su questa terra dell’uomo rosso. Questo destino è un mistero per noi, poiché non capiamo perché i bisonti saranno massacrati, i cavalli selvatici tutti domati, gli angoli segreti della foresta pieni dell’odore di molti uomini, la vista delle colline rovinate dai fili del telegrafo. Dov’è la boscaglia? Sparita. Dov’è l’aquila? Sparita. E che cos’è dire addio al cavallo e alla caccia? La fine della vita e l’inizio della sopravvivenza.
Noi potremmo capire se conoscessimo che cos’è che l’uomo bianco sogna, quali speranze egli descriva ai suoi figli nelle lunghe notti invernali, quali visioni egli accenda nelle loro menti, affinché essi desiderino il futuro. Ma noi siamo dei selvaggi. I sogni dell’uomo bianco ci sono nascosti. E poiché ci sono nascosti noi seguiremo i nostri pensieri.
Perciò noi considereremo l’offerta di acquistare la nostra terra. Se accetteremo sarà per assicurarci la riserva che avete promesso. Lì forse potremo vivere gli ultimi nostri giorni come desideriamo. Quando l’ultimo uomo rosso sarà scomparso dalla terra ed il suo ricordo sarà l’ombra di una nuvola che si muove sulla prateria, queste spiagge e queste foreste conserveranno ancora gli spiriti del mio popolo.
Poiché essi amano questa terra come il neonato ama il battito del cuore di sua madre. Così, se noi vi vendiamo la nostra terra, amatela come l’abbiamo amata noi. Conservate in voi la memoria della terra com’essa era quando l’avete presa e con tutta la vostra forza, con tutta la vostra capacità e con tutto il vostro cuore conservatela per i vostri figli ed amatela come Dio ci ama tutti.
Noi sappiamo una cosa, che il nostro Dio è lo stesso Dio. Questa terra è preziosa per Lui. Anche l’uomo bianco non fuggirà al destino comune. Può darsi che siamo fratelli, dopo tutto. Vedremo!"
Capriolo Zoppo, 1854
Edited by Oceanya - 11/6/2015, 01:45. -
Oceanya.
User deleted
Leggenda
Perchè i corvi sono neri
Nei giorni lontani, quando la terra e la gente su di essa erano state create da poco, tutti i corvi erano bianchi come la neve.
In quei tempi antichi la gente non aveva ne cavalli, ne armi da fuoco, ne armi di ferro.
Tuttavia si procurava cibo , a sufficienza per sopravvivere cacciando il bufalo.
Ma cacciare i grossi bufali a piedi con armi che avevano punte in pietra era duro, aleatorio e pericoloso.
I corvi rendevano le cose ancora più difficili per i cacciatori per che erano amici dei bufali.
Librati alti nell'aria, vedevano tutto quello che succedeva nella prateria. Ogni volta che notavano dei cacciatori avvicinarsi ad una mandria di bufali, volavano dai loro amici e, appollaiati tra le loro corna, davano l'allarme:
" Caw, caw, caw, cugini, stanno venendo dei cacciatori. Stanno avanzando furtivamente attraverso quella gola laggiù. Stanno salendo dietro quella collina. State attenti! Caw, caw, caw! ".
Allora, i bufali fuggivano in disordine, e la gente soffriva la fame.
La gente tenne un consiglio per decidere che cosa fare.
E bene, tra i corvi ce n'era uno veramente enorme, due volte più grosso di tutti gli altri. Quel corvo era la loro guida. Un vecchio e saggio capo si alzò e diede questo suggerimento " Dobbiamo catturare il grosso corvo bianco ", disse, " e dargli una lezione. O farlo o continuare a soffrire la fame ".
Portò fuori una grande pelle di bufalo, con la testa e le corna ancora attaccate. La mise sulla schiena di un giovane coraggioso, e disse:
« Nipote, insinuati tra i bufali. Penseranno che tu sia uno di loro, e potrai catturare il grosso corvo bianco Camuffato da bufalo, il giovane strisciò tra la mandria come se stesse pascolando.
Le grosse bestie pelose non gli prestarono nessuna attenzione. Allora i cacciatori uscirono dall'accampamento dietro di lui, con gli archi pronti. Come avvicinarono alla mandria, i corvi arrivarono volando, come al solito, dando l’allarme ai bufali:
"Caw, caw, caw, cugini, i cacciatori arrivano per uccidervi. Fate attenzione alle loro frecce. Caw, caw, caw!"
e come al solito tutti I bufali fuggirono via in disordine : tutti, cioè , eccetto il giovane cacciatore camuffato sotto la sua pelle pelosa, il quale faceva finta di continuare a pascolare come prima.
Allora il grosso corvo bianco venne giù planando, si appollaiò sulle spalle del cacciatore e sbattendo le ali disse :
" Caw , caw , caw , sei sordo, fratello? I cacciatori sono vicini , appena sopra la collina . Mettiti in salvo !" .
Ma il giovane coraggioso si allungò da sotto la pelle di bufalo ed afferrò il corvo per le zampe .Con una corda di pelle grezza legò le zampe del grosso uccello ed allacciò l’altro capo ad una pietra. Per quanto si dibattesse , il corvo non potè fuggire.
La gente sedette nuovamente in consiglio : " Cosa ne dovremo fare di questo grosso uccello cattivo , che ci ha fatto soffrire cento volte la fame?".
" Lo brucerò all’istante!" rispose un cacciatore arrabbiato, prima che qualcuno potesse fermarlo, tirò via con uno strattone il corvo dalle mani di quello che l’aveva catturato e lo ficcò nel fuoco del consiglio, corda , pietra e tutto quanto .
"Questo ti servirà di lezione" , disse.
Naturalmente la corda che teneva la pietra bruciò quasi subito, ed il grosso corvo riuscì a volare via dal fuoco.
Ma era malamente bruciacchiato , ed alcune sue penne erano carbonizzate . Benché fosse ancora grosso , non era più bianco .
" Caw , caw , caw , " gridò , volando via più velocemente che potè :" Non lo farò mai più , non darò più l’allarme ai bufali , e così farà tutta la nazione dei corvi . Lo prometto! Caw , caw , caw "
Così il corvo fuggì. Ma da allora tutti i corvi furono neri.
. -
Oceanya.
User deleted
La scimmia e la tartaruga
(una leggenda indiana)
Compare Tartaruga si annoiava da morire: i giorni passavano sempre uguali. Il mare si estendeva all'infinito, le onde succedevano alle onde. Nessuno veniva mai a rallegrare la sua vita monotona, tranne qualche volta una balena o un gruppo di delfini, che passavano in lontananza, al largo dell'isola.
Un giorno, scorse una scimmia che si rimpinzava di banane.
"Perché cercare un amico nel mare?" pensò la tartaruga. "Compare Scimmia sembra un compagno ideale, certamente più simpatico di un granchio!".
"Buongiorno Compare Scimmia! Vorresti essere mio amico?"
"Buongiorno Compare Tartaruga! Certamente!".
Da quel giorno trascorsero insieme tutto il loro tempo; la tartaruga non si era mai divertita tanto.
Un giorno la scimmia la invitò ad assaggiare le banane. Un altro, le disse:
"Vieni, ti insegnerò ad arrampicarti sugli alberi!".
La sera, Compare Scimmia raccontò alla moglie: "Ah! Come mi sono divertito! Avresti dovuto vederlo mentre si arrampicava su un albero! Compare Tartaruga è il mio migliore amico!".
Anche Compare Tartaruga disse alla moglie: "Che amico meraviglioso! Come mi annoiavo prima di conoscerlo!".
Ma Comare Tartaruga non condivideva la sua gioia e pensava: "Mio marito sta sempre con il suo nuovo amico. Devo sbarazzarmi di questa maledetta scimmia!"
Una sera, Compare Tartaruga trovò la moglie a letto. "Sei malata?".
"Sì, molto malata; il dottore ha detto che sto per morire e che l'unico modo per salvarmi è mangiare il cuore di una scimmia!".
"Il cuore di una scimmia! Ma dove potrò trovarlo? L'unica scimmia che conosco è il mio amico!".
"Allora, non mi resta che morire!" disse Comare Tartaruga con voce fioca.
Compare Tartaruga era disperato. Rifletté a lungo e infine decise che avrebbe sacrificato il suo amico.
Lentamente, si diresse verso la casa di Compare Scimmia.
"Buongiorno, Compare Tartaruga! Che piacere rivederti! Qual buon vento ti porta?".
"Mia moglie vorrebbe invitarti a cena questa sera, verrai?".
"Certo, volentieri!". La scimmia seguì allegramente il suo amico fino in riva al mare, ma non poteva continuare non sapendo nuotare.
"Sali sul mio guscio! - gli disse la tartaruga - Ti porterò io!".
La scimmia si aggrappò al guscio lasciandosi trasportare tra le onde. Avrebbe voluto chiacchierare ma l'altro non rispondeva:
"Mi sembri molto triste e silenzioso! Cosa ti è successo? Racconta: farei qualsiasi cosa per te!".
"Ah, amico mio - finì per confessare Compare Tartaruga - c'è solo un sistema per salvare mia moglie, e cioè che tu mi dia il tuo cuore!".
"Ahi! - pensò la scimmia - "ho detto qualsiasi cosa, ma c'è un limite a tutto! Come faccio a risolvere la situazione? Compare Tartaruga può farmi annegare da un omento all'altro!"
D'improvviso, si colpì la fronte.
"E' terribile! Ti darei volentieri il mio cuore, ma dobbiamo tornare indietro a prenderlo!".
"Il tuo cuore non si trova nel tuo petto?".
"Come? - esclamò la scimmia - Non sai che le scimmie lasciano il cuore in una brocca, accanto alla loro casa, prima di intraprendere un viaggio?".
La tartaruga si fermò e disse: "Ma come facciamo?".
"È molto semplice! Riportami sull'isola e andrò a prendere il mio cuore!".
La tartaruga tornò indietro, la scimmia saltò sulla riva e si arrampicò rapida su un albero.
"Uff! Sono salvo! Mi hai spaventato!".
"Ma - gridò la tartaruga - e il cuore che mi hai promesso?".
"Il cuore? Non sei abbastanza furbo, Compare Tartaruga. Batte nel mio petto, naturalmente, e ci tengo molto! Addio!".
Compare Tartaruga ritornò triste a casa: aveva perso un amico, ma ebbe almeno la consolazione di veder guarita la moglie.
Edited by Oceanya - 11/6/2015, 01:49. -
Oceanya.
User deleted
Saggezza Indiana
La sola cosa neccessaria per la tranquillità del mondo, è che ogni bambino possa crescere felice"
Capo Indiano Dan George.
Un uomo Sacro ama il silenzio, ci si avvolge come in una coperta: un silenzio che parla, con una voce forte come il tuono, che gli insegna tante cose. Uno sciamano desidera essere in un luogo dove si senta solo il ronzio degli insetti. Se ne sta seduto, con il viso rivolto a ovest, e chiede aiuto. Parla con le piante, ed esse rispondono. Ascolta con attenzione le voci degli animali. Diventa uno di loro. Da ogni creatura affluisce qualcosa dentro di lui. Anche lui emana qualcosa: come e che cosa io non lo so, ma è così. Io l'ho vissuto. Uno sciamano deve appartenere alla terra: deve leggere la natura come un uomo bianco sa leggere un libro.
Cervo Zoppo
Sioux
Ci sono quattro strade che possono portarti dove vuoi andare.
La prima ti conduce dove ti manda il tuo primo pensiero.
Non è la strada giusta. Rifletti un poco.
Affronti allora la seconda.
Rifletti nuovamente ma non scegli ancora.
Finalmente, alla quarta riflessione tu sarai sulla strada giusta.
Così non rischierai più nulla.
Qualche volta, lascia passare una giornata prima di risolvere il tuo problema.
Gli anziani meritano il massimo rispetto, perché ci hanno tramandato le tradizioni, la cultura e la Lingua. Essi ancora oggi, con la loro saggezza, ci aiutano a rendere migliore la nostra vita.
(Sinta Glesha)
"Quando siete giunti in questo continente avete trovato un popolo di pelle rossa. Era in armonia con tutti gli esseri viventi. Ma voi non avete visto la sua bellezza sul cammino della vostra civiltà', guardate ora la disperazione che gli ha dato l'avervi conosciuto. E in quella disperazione ammirate quella che ogni giorno date a voi stessi."
Nuvola Azzurra, Sioux Lakota.
Attendetevi che i fiumi scorrano all' incontraio
allo stesso modo che ogni uomo nato libero
sia contento d' essere rinchiuso entro limiti precisi
senza la libertà di andare dove vuole.
Il corpo muore. Il corpo è semplicemente ciò che l'anima materialmente possiede.
E' il suo involucro. L'anima prosegue la sua vita.
(Susie Billie, 102 anni, Seminole)
Lungo il cammino delle vostra vita fate in modo di non privare gli altri della felicità. Evitate di dare dispiaceri ai vostri simili ma, al contrario, vedete di procurare loro gioia ogni volta che potete!
( Sioux )
Quando al mattino ti svegli, ringrazia il tuo Dio per la luce dell'aurora, per la vita che ti ha dato e per la forza che ritrovi nel tuo corpo. Ringrazia il tuo Dio anche per il cibo che ti dà e per la gioia della vita. Se non trovi un motivo per elevare una preghiera di ringraziamento, allora vuol dire che sei in errore.
Tecumseh (Shawnee)
Non perseguitare mai un tuo simile, a causa
della sua religione. Rispetta invece ciò in cui gli
altri credono, se vuoi che loro, in cambio, rispettino te.
(Tecumseh)
Dare la dignità all'uomo è all'origine di tutte le cose (Proverbio nativo)
Ogni alba è un simbolo sacro. Sì, perché sacra è ogni giornata,
quando nostro Padre Wakan-Tanka ci manda la luce.
(Alce Nero)
La rana non s’ingozza mai di tutta l’acqua dello stagno in cui vive.
(Proverbio Sioux Teton)
Pace non è solo il contrario di guerra, non è solo lo spazio temporale tra due guerre....
Pace è di più. E' la legge della vita. E' quando noi agiamo in modo giusto e quando
tra ogni singolo essere regna la giustizia.
(Detto irochese)
Nessuno ha diritto di vendere, anche ad un'altra tribù e men che meno...
agli stranieri! Vendere un Paese! Perchè non vendere l'aria, le nuvole, e il grande oceano con
tutte le sue terre! Non è forse vero che il Grande Spirito li ha creati per i suoi figli?
(Tecumseh, Shawnee)
La donna é sacra. Noi rispettiamo le madri, le sorelle, le mogli, le figlie, le nipoti. Sono le donne che ci danno la vita, che ci nutrono e che ci insegnano a camminare e a parlare. Gli uomini sono i loro occhi, le loro orecchie, la loro bocca.
Birgil Kills Straight
Per noi i guerrieri non sono quello che voi intendete. Il guerriero non é chi combatte, perché nessuno ha il diritto di prendersi la vita di un altro. Il guerriero per noi é chi sacrifica se stesso per il bene degli altri. E' suo compito occuparsi degli anziani, degli indifesi, di chi non può provvedere a se stesso e soprattutto dei bambini, il futuro dell'umanità.
Toro Seduto
Tutti gli uomini sono stati creati dallo stesso Grande Spirito. Essi sono tutti fratelli.
Capo Giuseppe
Grande Spirito, preservami dal giudicare un uomo non prima di aver percorso un miglio nei suoi mocassini.
Guerriero Apache anonimo
Sono venuto al mondo con la pelle color bronzo. Molti miei amici sono nati con la pelle gialla, nera o bianca. Ci sono fiori dai colori diversi ed ognuno di essi é bello. Io spero che i miei figli vivano in un mondo in cui tutti gli uomini, di ogni colore, vadano d'accordo e lavorino insieme, senza che la maggioranza cerchi di uniformare gli altri al proprio volere.
Tatanga Mani
Chi vuol essere un uomo giusto deve rispettare tutte le forme di vita su questa terra, il cielo, la luna, il sole, le stelle e quello che la natura ci dà. Se a casa sua arriva qualcuno ed é povero, gli deve dare alloggio, da mangiare e da vestire. Così si dovrebbe comportare un uomo giusto.
dal compito scritto di un bambino di 12 anni: Kim Katsitsiosta
Tratta tutti gli uomini come se fossero tuoi parenti.
Proverbio Navajo
Dovremmo capire tutti quanto sia ormai urgente mettere da parte le differenze ed unirci. Questo e' un sito d'amore e di rispetto e tutti dobbiamo comprenderne l'importanza. Non solo comprendere ma anche fare i cambiamenti di cui abbiamo bisogno perche' domani sia l'inizio di un futuro radioso per tutti noi.
Edited by paperyna - 13/6/2015, 03:09. -
Oceanya.
User deleted
IL VECCHIO - Sandoval, Hastin Tlo'tsi hee, Navajo
da: "Il Grande Spirito parla al nostro cuore" Ed. Red
Voi mi guardate e voi non vedete in me che un brutto vecchio, ma interiormente, io sono colmo di una grande bellezza.
Sono seduto in cima a una montagna e guardo al futuro.
Vedo il mio popolo e il vostro popolo che vivono insieme.
In avvenire il mio popolo dimenticherà il modo di vivere dei suoi antenati, a meno che non l'apprenda dai libri dell'uomo bianco.
Quindi voi dovete scrivere ciò che vi dico e farne un libro affinché le generazioni a venire possano conoscere questa verità.
L'indiano e le altre creature
che erano nate qui e che qui vivevano,
avevano una madre comune: la terra.
Egli era imparentato con tutto ciò che vive
e riconosceva a tutte le creature
gli stessi diritti come a se stesso.
Quanto era legato alla terra,
egli l'amava e l'ammirava.
Orso in Piedi
La mia mano non è del colore della tua,
ma se mi pungo uscirà sangue e sentirò dolore.
Il sangue è dello stesso colore del tuo,
Dio mi ha fatto e sono un uomo.
Orso in Piedi
SONO ANDATO...
Sono andato
alla fine della terra
sono andato
alla fine delle acque,
sono andato
alla fine del cielo
sono andato
alla fine delle montagne:
Non ho trovato nessuno
che non fosse mio amico
(Navajo)
Edited by Oceanya - 27/7/2015, 00:46. -
Oceanya.
User deleted
Iktome e la leggenda del "dream catcher"
nella tradizione Sioux Lakota
Tanto tempo fa, quando il mondo era giovane, un vecchio sciamano Lakota si trovava sulla cima di un alto monte ed ebbe una visione. Iktome, il grande briccone e maestro di saggezza, gli apparve sotto forma di ragno e gli parlò in una sacra lingua. Mentre parlava, Iktome il ragno prese il cerchio di salice che l'anziano portava con sè, al quale erano attaccate piume, crine di cavallo, perline e offerte sacrificali e iniziò a tessere una rete all'interno del cerchio. Parlò all'anziano dei cicli della vita, di come iniziamo a vivere da bambini, passando poi dall'infanzia all'età adulta. Alla fine diventiamo vecchi e qualcuno si prende cura di noi come se fossimo di nuovo piccoli, completando così il ciclo. "Ma", disse Iktome mentre continuava a tessere la rete "in ogni periodo della vita vi sono molte forze, alcune buone e altre cattive. Se ascolti le forze buone queste ti guideranno nella giusta direzione, ma se ascolti le forze cattive andrai nella direzione sbagliata e questo potrebbe danneggiarti. Dunque queste forze possono aiutarti, oppure interferire con l'armonia della Natura. Mentre il ragno parlava, continuava a tessere la sua tela. Quando Iktome finì di parlare consegnò all'anziano la rete e disse "La ragnatela è un cerchio perfetto con un buco nel centro, utilizzala per aiutare la tua gente a raggiungere i suoi obiettivi, facendo buon uso delle idee, dei sogni e delle visioni. Se credete nel Grande Spirito, la rete tratterrà le vostre visioni buone mentre quelle cattive se ne andranno attraverso il buco". L'anziano sciamano raccontò la visione alla sua gente ed ora molti Pellerossa appendono un "acchiappasogni" sopra il letto per filtrare sogni e visioni. Quelli buoni sono catturati nella rete, quelli maligni scivolano nel buco centrale e scompaiono per sempre.
Nuvola Fresca e la leggenda del "dream catcher" nella tradizione Cheyenne
Tanto tempo fa, in un villaggio Cheyenne, viveva un bimba chiamata Nuvola Fresca. Un giorno la piccola disse a sua madre, Ultimo Sospiro Della Sera, "Quando scende la notte, spesso arriva un uccello nero a nutrirsi, becca pezzi del mio corpo e mi mangia finché non arrivi tu, leggera come il vento, per cacciarlo via. Io ti sento, ma non capisco che cosa sia tutto questo!". Con grande amore materno Ultimo Sospiro Della Sera rassicurò la piccola impaurita "Le cose che vedi di notte si chiamano Sogni e il volatile nero che arriva è soltanto un' ombra che viene a salvarti!". "Ma io ho tanta paura, vorrei vedere solo le ombre bianche, che sono buone …" Allora la saggia madre, che in cuor suo sapeva che sarebbe stato ingiusto chiudere la porta all'orecchio interiore, inventò una rete tonda per pescare i sogni nel lago della notte. Poi diede all'oggetto un potere magico: riconoscere i sogni buoni, cioè quelli utili per la crescita spirituale della sua bimba, da quelli cattivi, cioè insignificanti e ingannevoli. Ultimo Sospiro Della Sera costruì tanti "dream catchers" e li appese sulle culle di tutti i piccoli del villaggio Cheyenne. Man mano che i bimbi crescevano, arricchivano le loro reti con oggetti a loro cari e il potere magico dell'oggetto cresceva, cresceva, cresceva insieme a loro… Ogni Cheyenne conserva il suo acchiappa sogni per tutta la vita, come amuleto portatore di forza e saggezza.
LA LEGGENDA DEL BUFALO BIANCO
A due guide Lakota mandate in cerca di selvaggina apparve una donna bellissima vestita di pelle di daino bianca che disse loro:"Vengo dalla Gente Bella e sono stata mandata sulla Terra per parlare con il vostro popolo.
Andate dal vostro capo e ditegli di preparare il grande tipi'
del consiglio.Esso dovra' essere piantato al centro del villaggio con l'entrata rivolta ad oriente.Ho cose di grande
importanza da dire al vostro popolo.Saro' al villaggio all'alba".Riferito l'accaduto al capo tribu',fu approntato tutto cosi' come richiesto.Paura ed eccitazione si impadronirono di ogni abitante del villaggio per l'imminente visita della donna misteriosa.Quando il giorno
spunto'ella apparve,vestita come la guida aveva raccontando:recava nella mano destra il cannello di una pipa e nella sinistra il suo fornello.Entrata nella tenda, si sedette al posto d'onore e disse che il Grande Spirito era contento della fedelta',della reverenza e dell'onesta' della Nazione Sioux.I sioux vivevano nel bene contro il male,
nell'armonia contro la discordia e percio' erano degni di ricevere la pipa che ella custodiva per l'umanita'.Essa era
il simbolo della pace tra gli uomini.Fumare la pipa significava comunicare con il Grande Spirito.Quindi si rivolse alle donne dicendo loro che il Grande Padre aveva
stabilito che esse mettessero al mondo i figli,che li nutrissero e li vestissero,rimanendo spose fedeli.Esse,inoltre
avrebbero sopportato in vita grandi sofferenze,ma per la loro natura gentile sarebbero state di conforto agli altri nel
nel tempo del dolore.Poi parlo' ai bambini dicendo loro di rispettare i genitori che li amano e fanno molti sacrifici,per cui ad essi deve venire soltanto il bene.Agli uomini disse che tutte le cose dalle quali essi dipendono vengono dalla Terra,dal Cielo e dai Quattro Venti e che per questa ragione era necessario ringraziare il Grande Spirito per il dono della vita fumando la pipa quotidianamente.
Raccomando' ancora loro di essere sempre gentili e amorevoli con le donne e con i bambini,per rispetto al loro
essere creature deboli.Infine,insegno' al capo la maniera di custodire la pipa,dal momento che era suo dovere rispettarla e proteggerla,in quanto da essa dipendeva la vita della Nazione Sioux.Come sacro strumento della conservazione doveva essere usata in tempo di guerra,di carestia,di malattia o in caso di grandi necessita'.
A questo punto si dice che la donna promise ai Sioux che sette sacre cerimonie sarebbero state in seguito rivelate loro affinche' le praticassero.Esse erano : la Custodia dell'Anima,la Purificazione,la Ricerca della Visione.la Danza del Sole,Come diventare Fratelli(il rito della purificazione),come diventare Donna Bisonte(la preparazione della fanciulla ai doveri di donna),il Lancio della Palla.La donna rimase con i Sioux ancora per quattro giorni poi,al quinto,dopo aver acceso la pipa che offri' prima al Cielo,quindi alla Terra,infine ai Quattro Venti,annuncio' che la sua missione era finita e parti'.
Fece il giro della tenda secondo il cammino del sole,poi lentamente si allontano' dall'accampamento.A breve distanza si volto'e,si trasformo' in un bianco vitello di Bisonte.
Edited by Oceanya - 27/7/2015, 00:48. -
Oceanya.
User deleted
Edited by Oceanya - 11/6/2015, 01:23. -
Oceanya.
User deleted
La Prima Beata Nativa Americana, Kateri Tekakwitha
Sarà presto canonizzata la prima «pellerossa» d’America. Caterina Tekakwitha è una delle prossime quattro sante delle quali Benedetto XVI ha riconosciuto l’intercessione di un miracolo. Con loro, il Papa ha firmato questa mattina i decreti riguardanti tre nuovi santi e la beatificazione di cinque servi di Dio. Con loro, anche un folto gruppo di martiri sarà elevato agli altari, mentre di sette servi e serve di Dio sono state riconosciute le virtù eroiche.
La prima santa nativa americana, è figlia di una coppia mista nella prima fase del colonialismo occidentale in America del Nord. Il nome della beata Caterina Tekakwitha, nata nel 1656 nella località oggi statunitense chiamata Auriesville, e morta in Canada a soli 24 anni, spicca nel lungo elenco che raggruppa le nuove figure di santi, beati e martiri che il Papa ha deciso di proporre alla venerazione della Chiesa. Di padre irochese e di madre cristiana algonchina, la beata Tekakwitha sarà la prima santa "pellerossa"e una dei tre laici prossimi alla canonizzazione.
Beatificata a Roma da Giovanni Paolo II il 22 giugno 1980, Tekakwitha (letteralmente: «colei che mette le cose a posto» o, secondo interpretazioni differenti, «colei che cammina mettendo le mani avanti») nacque nel 1656 ad Osserneon, (attualmente Auriesville, nello Stato di New York). È patrona dell’ambiente e dell’ecologia insieme a San Francesco d’Assisi.
La biografia ufficiale racconta che si dimostra sempre «laboriosa, seria, riservata, senza alcun interesse nell’adornarsi o nel pensare al matrimonio.
La madre di Kateri, Kahenta, venne presa in sposa dal capo Mohawk in seguito ad un’incursione nel suo villaggio algonquino durante le guerre tra Uroni ed Algonquini. Ella era stata convertita al cattolicesimo dai gesuiti francesi e si mantenne ferma nella sua nuova fede pur con il dolore di non riusciure ad impartire il battesimo ai suoi figlioletti a causa dell’ostilità del marito verso i «vestenera», cioè i gesuiti.
Un’epidemia di vaiolo decimò il villaggio e tra le vittime ci furono i genitori ed il fratello minore di Tekakwitha. Si racconta che Kahenta sopravvisse al marito quel poco tempo che le consentì di battezzare il figlioletto. Tekakwitha sopravvisse fragile, indebolita nella vista, segnata in volto da cicatrici. Orfana a quattro anni, fu adottata dagli zii, che non avevano figli.
Amava cantare i vecchi inni religiosi che aveva sentito da sua madre e capiva di essere alla ricerca di qualcosa che ancora non sapeva definire ma che trovava nella meditazione, nel silenzio, nella solenne bellezza della natura».
Quando gli zii cercarono di unirla in matrimonio con l’inganno ad un giovane guerriero, Kateri arrivò al punto di fuggire. In quegli anni, precisamente nel 1670, i Missionari Gesuiti fondarono la Missione di San Pietro a Caughuawaga Tekakwitha:ovviamente raggiungendo i villaggi vicini per diffondere il Vangelo. Fu da padre Jacques de Lamberville, nuovo responsabile della Missione, che Tekakwitha udì presentare il messaggio cristiano. «L’annuncio del Cristianesimo illuminò finalmente - spiega la biografia - la sua anima aveva trovato ciò che la rendeva davvero felice».
Visse dedicando ogni energia ad insegnare preghiere cristiane ai fanciulli e assistere gli anziani e malati, accompagnando ogni attività con preghiera e severe penitenze. La sua salute cagionevole non resse a lungo e morì il 17 aprile 1680. «Le sue ultime parole furono "Jesos Konoronkwa" (Gesù ti amò). Pochi minuti dopo la morte - prosegue il racconto - il volto di Kateri in una luce sorprendente e le cicatricisi trasformò scomparvero», anche da qui nacque la fama della sua santità.
Suo contemporaneo, ma a distanza di un oceano, è il beato Pietro Calungsod, originario delle Filippine e morto martire a 18 anni nell’Arcipelago delle Marianne. L’altra laica e futura santa è la beata Anna Schaffer, vissuta due secoli dopo, tra la fine dell’Ottocento e i primi tre decenni del XX secolo. Gli altri miracoli riconosciuti da Benedetto XVI riguardano oltre al beato Giovanni Battista Piamarta, sacerdote bresciano e fondatore della Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth e della Congregazione delle Suore Umili Serve del Signore, vissuto tra il 1841 e il 1913, un sacerdote martire, Giacomo Berthieu, professo della Compagnia di Gesù, un francese ucciso in Madagascar nel 1896.
Fonte: La Stampa
. -
Oceanya.
User deleted
La Costruzione Della Nazionalità Indiana: Nazioni Ed Etnie
Gli indiani del Nordamerica appartengono a circa 300 lingue diverse e sono divisi in riserve grandi e piccole che vengono percepite attualmente come delle patrie, anche se la maggior parte degli indiani americani vive in città e molti di essi siano, a tutti gli effetti, da considerarsi detribalizzati. Il nostro scopo è di scoprire se si possono applicare agli indiani le nozioni di nazione e nazionalismo, se essi si percepiscono come un’unica o più nazioni, se i loro vicini e i non indiani in generale li considerano come nazione separata e se esiste un corpus legale, che li considera non solo e genericamente come minoranza, ma come nazione/i.
Non c’è alcun dubbio che, nell’immaginario collettivo, le cosiddette tribù indiane siano percepite come un qualcosa di unico, che esista quello stereotipo di tipo nazionale, “l’indiano medio”, come esiste lo stereotipo dell’italiano, del tedesco, dell’irlandese e così via. Questo è tanto più vero, con l’aiuto di Hollywood e dei media, in una società fortemente etnicizzata come quella nordamericana.
Già in queste poche righe, peraltro, ci scontriamo con parole da definire come “nazione”, “etnia”", tribù”, a cui dovremo poi aggiungere “razza”; quindi procederemo ad esaminare le definizioni correnti per vedere se si applicano agli indiani americani. Il nostro problema sarà poi quello di vedere come gli «abitanti del villaggio primordiale dove tutti si conoscono» (Anderson 1996:25) , si sono trasformati in nazione/i.
L’idea di nazione, secondo Petrillo, «è un concetto proprio della cultura europea, che l’ha diffuso in tutto il mondo, ma risulta del tutto indefinibile in modo scientifico. Esiste tuttavia innegabilmente un’idea “nazionalitaria”, ossia l’autoidentificazione di comunità di persone (variamente denominate) aventi tratti comuni come, in tutto o in parte, lingua, religione, costumi, territorio di residenza stanziale. Tale idea, formatasi nei secoli, divenne pienamente cosciente nella cultura europea in seguito alle guerre napoleoniche (1797-1813)» (Petrillo 1995:25).
José Gil (1980:823-852) afferma che «la nazione è un’idea relativamente recente» che, in quanto idea alla quale corrisponde una precisa realtà giuridico-politica, «assume forma compiuta nel secolo XVIII in Europa. Se la rivoluzione francese trasferisce costituzionalmente la sovranità dal re alla nazione (1791) – seguendo ed evidenziando le esperienze delle rivoluzioni inglesi del 1644 e 1688 e della dichiarazione d’indipendenza americana (1776) – è perché l’idea di nazione è il luogo più adatto per definire questo tipo di potere: la nazione è un’entità autosufficiente e originale, in cui si cumulano gli elementi necessari per diventare la base della sovranità politica». Queste caratteristiche derivano giuridicamente dal diritto naturale moderno (Althusius, Grozio, Hobbes, Locke, Pufendorf, Rousseau), che «opera una cesura radicale con il diritto naturale relativo di san Tommaso, dissacrando il fondamento della legge». Alcuni principi comuni delle varie dottrine che giungono a formare l’idea di nazione sono l’associazione, il patto o il contratto sociale, per cui gli uomini abbandonano lo stato di natura e iniziano la vita sociale, cedendo i propri “poteri naturali” a una sovranità sociale. In questo senso la società è priva di origini, si è creata con i propri mezzi e non vi è più peccato originale che segni l’inizio dell’umanità. L’origine dell’uomo è perciò pura e la sua natura innocente. Oltre a ciò, mediante il contratto sociale si costituisce una società politica: l’instaurarsi della società va automaticamente di pari passo con l’istituzione del potere statuale e in certi autori società e stato addirittura si confondono. Alla fine del Settecento il termine nazione ha l’accezione di «una comunità politica compiuta e naturale, cioè un corpo comunitario compiuto politicamente come se esso fosse una società funzionante in modo naturale alla stregua di un organismo o un essere appartenente alla natura». La nazione, però, è anche la conseguenza del trasferimento a un corpo legislativo degli attributi della sovranità regale. I giuristi legati al re e, prima di loro, i teologi della Chiesa, elaborarono a poco a poco il diritto monarchico, come i teologi avevano fatto per quello canonico; fra le idee elaborate vi è quella di nazione, «idea della comunità sotto il potere del sovrano, che doveva essere definita partendo da lui, mantenere certi legami con lui, essere sentita e rappresentata in stretto rapporto con lui». Nell’Inghilterra anglicana del Cinquecento, in particolare, i teorici della monarchia svilupparono l’idea dei “due corpi del re”, quello naturale e quello politico, spostando impercettibilmente il significato di alcune nozioni del diritto canonico e della teologia medievale e trasformandole in concetti nuovi, tesi a definire meglio il potere secolare del re. “Bisogna cercare in quest’ambito l’origine territoriale di “nazione”, risalendo al “corpo mistico” della Chiesa del secolo XII. Per esempio, Kantorowicz ripercorre il cammino della parola “patria” che, caduta in disuso nell’alto medioevo (aveva conservato solo il significato religioso di “patria celeste” o “regno di Dio”) ricupera, dopo le Crociate, il senso di un territorio in cui si esercita il potere monarchico (soprattutto quello di riscuotere imposte): la difesa della patria da parte delle forze del re (donde la necessità delle imposte) si pone come naturale conseguenza della difesa di Gerusalemme, città santa, “patria del cristiano” (che va di pari passo con l’imposizione dei tributi). La “patria”, fino alla rivoluzione francese, avrà poi una funzione decisiva, all’interno del discorso filosofico e politico, nel far nascere il significato moderno di “nazione”. I giuristi, favorendo la secolarizzazione dello Stato, collegavano la collettività dei sudditi non più alla Chiesa e perciò al corpo di Cristo, ma al corpo del re. Il modello diventava quindi il corpo umano, come nell’apologo latino dei patrizi e dei plebei, solo che adesso è il re che è assimilato alla testa e intorno a questo modello si costituiscono anche altri concetti, come quello di patria, di cui il re è il padre. I contenuti fortemente emotivi della “patria” si trasferiscono nella “nazione”, “quando la “patria”, terra natia, collettività concepita sul modello della famiglia, con antenati, padre, tradizioni, si sarà liberata dalla zavorra dei suoi tutori e della sua genealogia. Così la nazione nasce solo quando il corpo politico si sarà conquistato la completa sovranità, che gli conferirà lo status di entità autosufficiente. La precipitazione semantica del termine “nazione” si ferma a partire dal XVI secolo, quando esso trascina sempre con sé il senso di “comunità politica specifica”, senza connotazioni mistiche e religiose e tale caratteristica sarà essenziale nel senso che “nazione” assumerà più tardi, quello di identificazione sociale. La nazione sostituirà il fattore personale, il corpo del re, con un concetto, quello del corpo collettivo separato dal monarca, anch’esso in grado di dare un volto alla comunità. Infatti “nazione” differisce da “popolo” e da “patria” in quanto designa invariabilmente una collettività organizzata, distinta dalle altre, e organizzata perché distinta. Anche negli usi più generici di “nazione”, dove il termine si identifica quasi completamente con “popolo”, esso contiene in più l’idea di una coesione che, pur non implicando questa o quella forma di organizzazione politica, ha una solidarietà interna che le viene di fatto dal differire da altri complessi dello stesso tipo. E tale solidarietà interna non è essenzialmente culturale (come per il termine “patria”), ma innanzi tutto politica, in senso lato. Questo concetto si svilupperà completamente dall’Ottocento in poi. «La nazione è la società politica edificata a mano a mano che si costruisce lo Stato. Ad esso essa è intimamente legata, come pure all’altro fattore decisivo nello sconvolgimento dell’ordine sociale tradizionale, l’industrializzazione»(Petrillo, ibidem).
La domanda che sorge ora è se esistevano le nazioni in America al tempo della scoperta oppure esse sono state “inventate” dagli europei e si sono poi venute formando a seguito dell’interazione con le potenze coloniali, in particolare l’Inghilterra, e soprattutto della sovrapposizione coercitiva di modelli euro-americani e sono quindi un fenomeno recente. Vediamo come era la situazione in quelle che Pierre Clastres (1977) chiama le “società contro lo Stato” , che, come ha ben dimostrato Donald Leland, non per questo erano necessariamente egualitarie (Leland 1996:145-168) Analizzando i cambiamenti culturali provocati dall’impatto europeo sulle istituzioni culturali native tra il 1000, quando il primo vichingo norvegese pose piede in America e il 1800, quando i neonati Stati Uniti hanno preso forma costituzionale e sono ormai terminate le convulsioni post-rivoluzionarie, Cultures in Contact ci presenta una serie di saggi che ci permette di capire la natura delle società indiane del lato orientale del Nordamerica,all’inizio del cosiddetto periodo storico e nella fattispecie nel XVI e inizio del XVII secolo.
Parlando dei cambiamenti culturali sulla frontiera del New England meridionale tra il 1630 e il 1665, P. A. Thomas afferma:
«Dal momento in cui gli inglesi giunsero in Nuova Inghilterra fino al XX secolo, sia gli amministratori coloniali che la maggioranza degli scrittori successivi hanno visto le “tribù” indiane nella Nuova Inghilterra meridionale come unità politiche ben definite con leader riconoscibili e confini territoriali identificabili (vedi, per esempio, Alden Vaughan 1965:53). Dopo aver passato in rassegna catene specifiche di eventi storici durante il XVII secolo, però, diventa evidente che la persistente unità tribale è puro frutto dell’immaginazione. Come entità sociali, politiche ed economiche, la maggior parte dei gruppi indiani nella Nuova Inghilterra meridionale rientrano in un tipo di società “egualitaria” (Service 1975:47-70) che Marshall Sahlins (1968) ha definito come “tribù segmentaria”. Come tale, l’unità politica, sociale ed economica primaria era il villaggio, che era spesso organizzato intorno a uno o più lignaggi, sostenuti da un contingente semi-mobile di amici e parenti. La “tribù” come tale era episodica. In generale, quello che definiva una tribù segmentaria era la cooperazione tra comunità in risposta a pressioni esterne. In retrospettiva, è quasi impossibile definire le affiliazioni “tribali” della maggior parte dei villaggi indiani della Nuova Inghilterra. … Come ho notato, nessuna unità politica più grande del villaggio agiva insieme in modo coerente nella valle del Connecticut. Le “tribù” squakheag, pocumtuck, norwottuck, woronoco e agawam erano semplicemente delle entità-villaggio. Oltre a ciò, il fazionalismo si sviluppava all’interno degli stessi villaggi. Le famiglie controllavano le risorse, fossero mais, pellicce o terra. A Norwottuck, Woronoco e Agawam alcune famiglie si avvantaggiarono commerciando con gli inglesi pellicce e poi la terra, perseguendo scopi che erano in contrasto con quelli di altri membri dei loro villaggi. Parlare di motivazioni pocumtuck o di strategie norwottuck, come se tutti i membri della comunità fossero d’accordo, significherebbe consapevolmente modificare la realtà. Parlare di politica indiana tribale senza riconoscere tale frammentazione, il fazionalismo e le alleanze mutevoli tra famiglie e villaggi, può portare a interpretare in modo sbagliato il periodo del Contatto nella Nuova Inghilterra meridionale. … Senza questo riconoscimento, molti scrittori hanno visto le tribù indiane che agivano e reagivano semplicemente al cambiamento della politica inglese senza altra motivazione oltre l’autoconservazione contro l’occupazione coloniale (Jennings 1975:145, 227, 255, 287, 315). Io suggerisco che alcuni leader indiani non furono meno colpevoli di qualche inglese nel perseguire l’ingrandimento del proprio potere a spese in ultima istanza di altri membri della loro società» (Thomas 1985:131-157).
Nonostante un gran numero di società indiane si trovasse allo stadio sociale ed economico degli algonchini della Nuova Inghilterra, molte altre si erano organizzate in entità più complesse, socialmente stratificate, che vengono chiamate dagli antropologi “chiefdoms” o “capitaniati”; tra questi, oltre i piccoli “principati” della Costa Nordovest del Pacifico, vi sono i “regni” del Sudest, di cui i più famosi sono quelli dei Natchez della Louisiana e dei Powhatan della Virginia, molto più complessi ed estesi territorialmente. Come esempio parleremo dei Powhatan, la tribù di Pocahontas, che cessò di esistere come entità politica entro il 1646, sconfitta dalla superiore capacità economica e militare inglese, seguendo le conclusioni di E. R. Turner:
«Riassumendo l’organizzazione socio-politica powhatan agli inizi del XVII secolo esistevano tre maggiori livelli di status – capo supremo, capo distrettuale e non capo. Il livello del non capo era ulteriormente diviso in preti e sciamani, consiglieri e guerrieri importanti e, infine, gente comune. La posizione di capo e, probabilmente, di prete era ereditaria. Il capo supremo e i preti principali, almeno, non partecipavano alla produzione della sussistenza. Era attiva una complessa gerarchia redistributiva e i capi erano in grado di confiscare merci specifiche. Le insegne di rango erano osservate attraverso una significativa gamma di abiti e ornamenti e i capi avevano i loro attendenti, guardie del corpo e oratori. La pratica della poligamia era largamente ristretta ai capi. E’ stato notato anche il controllo dei processi socio-regolatori da parte dei capi con chiara capacità di infliggere punizioni secolari. Ulteriore prova di un complesso sistema di rango era l’accesso ristretto ai templi e ai magazzini sotto il controllo di un capo, dato che normalmente solo i capi e i preti potevano visitare queste strutture. Esistevano marcate variazioni di pratiche funerarie, con il collocamento nei templi limitato ai capi, i cui corpi erano associati a numerosi articoli di distribuzione limitata. Infine sia gli schemi di insediamento che di organizzazione comunitaria dei Powhatan sono coerenti con quello che ci si aspetta da un chiefdom (cioè centri cerimoniali e politici attorno a cui ruotano centri minori e villaggi tributari, N. d. T.). Si può concludere che il capitaniato powhatan era una società orientata sulla parentela in cui le prerogative del capo erano primariamente protette e sanzionate attraverso lo status soprannaturale dei suoi antenati. La presenza di status ascritti e gerarchie organizzative è chiaramente documentata. Tuttavia, il grado di complessità socio-culturale non aveva raggiunto quello di una società statale stratificata, dato che erano assenti effettive differenziazioni di classe politiche ed economiche » (Turner 1985:207-208)
Non c’è alcun dubbio che il concetto di nazione non si può applicare a nessuna delle società agricole neolitiche nello spettro che va dalle “tribù” della Nuova Inghilterra con i loro sachem (capi) e powwow (sciamani) al chiefdom Powhatan, pur con tutti i suoi gruppi tributari. Ancor meno si può applicare, evidentemente, alle società cacciatrici raccoglitrici in uno stadio tecnologico paleolitico.
Il capitolo tragico e oscuro delle guerre fomentate dalla caccia agli schiavi, che i militanti nazionalisti indiani cercano di ignorare nel modo più assoluto, ci conferma ulteriormente che gli indiani non si potevano considerare una sola nazione. Le tribù aggredivano le tribù e vendevano i prigionieri a inglesi, francesi e spagnoli e da questo gioco al massacro talvolta si salvarono quelli che furono più feroci e aggressivi contro i propri vicini.
Parlando del sorgere della potenza dei commercianti delle Caroline tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, J. Leitch Wright, Jr. osserva:
«Molto prima delle grandi scorrerie schiaviste della Guerra della Regina Anna (1702-1713) i Caroliniani avevano provocato ostilità allo scopo di assicurarsi prigionieri. I savannah combattevano i westo, i lower creek calarono sugli apalachees, i machapunga sorpresero i coree, gli yamasee diedero la caccia ai timucua e così via. … Erano gli aborigeni che catturavano la maggior parte degli schiavi. Gli spagnoli a San Augustìn si lamentarono più volte che gli yamasee e altri indiani filo Carolina sorprendevano i villaggi circostanti, colpendo senza preavviso nel cuore della notte come esperti scassinatori, muovendosi velocemente da una casa all’altra, scegliendo solo le donne e i bambini più sani e robusti, scomparendo poi nella foresta prima che gli uomini indiani e le truppe potessero organizzare qualche resistenza. Una ragione per cui gli attaccanti avevano tanto successo era che le loro mogli o i loro parenti spesso vivevano in questi villaggi, fornendo informazioni e servendo come guide» (Leitch Wright 1981:140-142).
Queste osservazioni ci fanno capire chiaramente che l’identificazione e la distribuzione della lealtà di gruppo avveniva soprattutto a livello di famiglia estesa e di clan. Quando un villaggio indiano era in guerra con i bianchi, un altro villaggio della stessa “tribù” poteva benissimo essere in pace. Se avvenivano incresciosi episodi per cui un villaggio “pacifico” veniva attaccato dai bianchi, ciò avveniva spesso perché erano i bianchi che identificavano gli indiani come “tribù” o “nazione” e quindi erano ostili a tutti quelli identificati come tali.
Le guerre intertribali che insanguinarono l’America orientale furono anche caratteristiche dei territori oltre il Mississippi dopo il 1800. «Le guerre intertribali furono sfruttate dai bianchi, ma erano endemiche nelle Grandi Pianure da secoli” osserva lo storico T. W. Dunlay (1982:110) nel suo libro sugli esploratori indiani impiegati dall’esercito degli Stati Uniti alla fine delle guerre indiane e aggiunge: “Studiosi competenti hanno concluso che sono morti molti più indiani nelle guerre intertribali del XIX secolo che nelle guerre contro i bianchi». Spesso, anzi, i bianchi rappresentarono una risorsa per le tribù piccole o peggio armate. In molti casi i capi trovarono che i nemici indiani rappresentavano una tale minaccia alla loro sopravvivenza che qualsiasi problema creato dai bianchi sembrava loro del tutto secondario. I teton sioux, ad esempio, erano una tale minaccia per i malcapitati che si trovavano sulla strada del loro espansionismo, che molte tribù si allearono contro di loro e con i bianchi, mentre altre restarono neutrali e si rifiutarono di aiutarli. «E’ evidente che gli indiani che combatterono per l’esercito contro altre tribù non si consideravano rinnegati o traditori di un ipotetico popolo “indiano”. … In qualche caso l’esercito rappresentava la sopravvivenza stessa» (Dunlay 1982:125) Gli scout indiani servirono virtualmente in ogni teatro e in ogni conflitto indiano oltre il Mississippi e, anche se il modo e l’efficacia con cui erano impiegati potevano variare, difficilmente l’esercito americano tentò di farne a meno.
«Spesso gli scout combatterono un numero sproporzionato di scontri e di frequente rappresentarono la differenza tra il successo e la frustrazione. Talvolta il cliché dell’arrivo della cavalleria giusto in tempo per salvare i malcapitati commilitoni o i civili venne rovesciato e la cavalleria fu salvata all’ultimo minuto dagli indiani. Anche se l’utilizzo quasi universale degli scout testimonia della loro efficacia, alcuni bianchi non riuscirono mai a superare i dubbi sulla loro lealtà, specialmente quando gli scout impiegati erano strettamente collegati per lingua e cultura agli “ostili”.… Quelli più strettamente associati agli scout indiani, comunque, in generale testimoniarono sulla serietà in cui essi prendevano il giuramento di arruolamento e i loro obblighi come essi li percepivano» (Dunlay 1982:200).
E’ evidente, da quanto detto, che non si può applicare il concetto di nazione agli indiani non solo al tempo del contatto, ma anche molto più tardi e cioè fino alla fine delle guerre indiane, quando gran parte delle “azioni di polizia” condotte dall’esercito vennero grandemente rese più efficaci dalla presenza di ausiliari indiani. Questo è particolarmente vero soprattutto nelle guerre Apache, dove guerrieri della stessa “tribù” potevano trovarsi come combattenti tra gli ostili e, non molto dopo, arruolati nell’esercito contro i propri amici. Inutile dire che gli Apache non avevano idea di essere delle tribù o delle nazioni finché non glielo imposero gli americani. Erano invece gli ufficiali americani che spesso avevano dubbi sul possibile “tradimento” dei loro ausiliari indiani, perché applicavano loro ragionamenti di tipo nazionalista.
La parola «nation», nazione, secondo il Webster’s Ninth New Collegiate Dictionary, entra nell’inglese nel XIV secolo e proviene dal latino natus, participio passato di nasci, che passa nella lingua inglese tramite il francese medievale nation, e il cui significato (2) arcaico è: gruppo, aggregato e quello principale, moderno è: 1) a) “Nazionalità, una nazionalità politicamente organizzata; b) una comunità di persone composta di una o più nazionalità e che possiede un territorio più o meno definito e un governo; c) una divisione territoriale contenente un corpo di persone di una o più nazionalità e di solito caratterizzata da dimensione relativamente grande e status indipendente. Il significato 3) è: una tribù o federazione di tribù (come gli indiani americani).
Il Webster’ Third New Collegiate Dictionary è ancora più specifico: i primi due punti sono pressoché uguali a quelli del Ninth, poi il dizionario aggiunge al punto 3 il senso di gruppo di studenti che formano un corpo relativamente indipendente in una università medievale e comprende studenti provenienti (nati) da una particolare località o regione, una classificazione che è ripresa in Scozia dalle università di Glasgow e Aberdeen e, infine, al punto 4 afferma: a) tribù: una federazione di tribù (come quelle degli indiani americani); specificamente: una che ha una certa misura di coesione politica (quella parte della nazione Shawnee che abita l’alto corso del fiume Savannah – Geraldine De Courcy) (le cinque nazioni degli Irochesi); b) il territorio occupato da tale tribù o federazione di indiani americani. Come sinonimo di nazione il dizionario americano Webster offre: razza.
Non c’è nulla in queste definizioni del termine nazione riferito agli indiani americani che si differenzi in modo sostanziale dalle definizioni arcaiche e medievali. Gli indiani sono un aggregato umano che è «nato» nel territorio che abita e ha una certa misura di coesione. In questi termini gli inglesi e i francesi nominano «nazioni» i gruppi indiani che incontrano; come afferma Hobsbawm,
«sembra chiaro che l’evoluzione semantica tendeva a sottolineare il luogo o il territorio d’origine, il pays natal d’un’antica definizione francese che spesso e volentieri diventa, se non altro nell’accezione dei tardi lessicografi, l’equivalente di «provincia»; mentre altri sottolinea prevalentemente il gruppo comune da cui si discende, andando pertanto nella direzione dell’etnia, come nel case dell’insistenza olandese sul significato primario di natie, ossia di «totalità degli individui ritenuti appartenere al medesimo “stam“» (Hobsbawm 1991:21) .
Le pretese nazionali e spesso indipendentiste degli indiani attuali si basano su un altro concetto di nazione, come vedremo, la cui nascita è storicamente datata:
“L’equazione nazione = Stato = popolo, e in particolare popolo sovrano, rapportò la nazione al territorio dato che la struttura e la definizione degli Stati erano diventate sostanzialmente territoriale. Implicava inoltre una molteplicità di Stati-nazione costituiti su questa base, quale necessaria conseguenza dell’autodeterminazione popolare. Come affermato nella Dichiarazione dei Diritti del 1795 in Francia: «Ogni popolo è indipendente e sovrano, quale che sia il numero degli individui che lo compone e l’estensione del territorio che occupa. Questa sovranità è inalienabile» (Hobsbawm 1991:24).
E’ in base a idee simili che gli estensori della Costituzione del 1787 avevano iniziato con il famoso “We, the people“. E’ anche in questo senso, mutuato dalle rivoluzioni americana e francese, pur senza volerlo riconoscere, che il noto esponente dell’American Indian Movement, Ward Churchill, afferma: «I vari popoli indiani americani residenti nel territorio ora conosciuto come Stati Uniti sono nazioni entro la più rigida definizione legale» (Churchill1991:86) .
L’Inghilterra, un tipico stato multietnico, nel XVI e nel XVII secolo trovava perfettamente concepibile che il re non fosse neppure inglese e che non lo fossero gran parte dei suoi sudditi. E’ perciò coerente che gli indiani, pensati come nazioni dipendenti, se non come sudditi, siano stati trasformati giuridicamente in entità legali capaci di fare un trattato per liberare un territorio dal cosiddetto titolo indiano e garantirne l’occupazione legale (agli occhi delle potenze europee rivali). Gli indiani rientravano, quindi, all’interno del “corpo politico” del re come tributari o presunti tali. La Corona fece inviare una serie di doni al capo Powhatan la cui accettazione avrebbe dovuto comportare il riconoscimento del tributo da parte del capo. Questo evento si ripeté nel caso di una discendente di capo Powhatan, Cockacoeske “regina” dei Pamunkey della Virginia, che venne risarcita dei danni subiti durante la cosiddetta Ribellione di Bacon nel 1680. Altri capi fedeli vennero premiati con doni calibrati puntigliosamente a seconda dell’importanza politica e del rango. “Così parecchi dei gruppi indiani tributari dovevano essere posti sotto il dominio dei Pamunkey e tutti i tributari dovevano risolvere le differenze di opinione attraverso l’arbitrato di fronte al governatore” (McCartney 1989:184) .
La tecnica della “nazione favorita” che è riconosciuta preminente di una rosa di tributari venne applicata con molta efficacia dagli inglesi con la Lega degli irochesi, la cui entità politica è tanto frutto di uno sviluppo autoctono quanto della fantasia dei politici coloniali e dei Soprintendenti inglesi. Questa politica portò alla Pennsylvania e a New York notevoli vantaggi e concretizzò la presenza inglese nella valle dell’Ohio (area dell’attuale Pittsburg) in funzione antifrancese.
L’etnia, un soggetto sfuggente
Alla fine degli anni Settanta era diventato di moda, tra l’intellighenzia di Manhattan essere “etnico”; è il trionfo dell’hyphenated American , l’americano con il trattino, come italo-americano, irlandese-americano, afro-americano, contro il melting pot, il crogiolo assimilazionista e omogeneizzante che era stato propagandato come meta agli immigrati più o meno recenti e alle associazioni per la gente di colore. Ancora nel 1968 i ministri del culto neri rifiutavano il concetto di razza sostenendo che Dio aveva creato una sola razza, la razza umana, ma già nel 1973 si usava il termine “gruppi etnici” per descrivere i neri e gli altri. Durante gli anni Sessanta l’esistenza del movimento politico nero, da quello per i diritti civili alle Pantere Nere, provocò il passaggio dei neri da “razza” a “etnia” e ciò, di converso, causò l’etnicizzazione dei bianchi, degli asiatici e degli indiani.
Secondo molti antropologi fisici, la parola «razza», come termine biologico, non si applica alle popolazioni umane e gli scienziati sociali trattano le razze come categorie sociali o culturali.
«Per l’uomo comune che usa il termine «razza», esso classifica gli esseri umani secondo presunte differenze biologiche e, per lo più, li posiziona su questa base come superiori e inferiori. Si crede che il bagaglio biologico di un individuo si manifesti nel suo aspetto fisico e in particolare nel colore della pelle, il tipo di capelli e la forma del naso. Si presume che gli individui esibiscano differenze di carattere, personalità e intelligenza biologicamente determinate. Quelli considerati membri della stessa razza dovrebbero essere sostanzialmente simili fisicamente, moralmente e nel comportamento» (Blu 1980:204) .
La «razza nera» non era considerata un gruppo dai bianchi, ma solo una collezione di individui, che erano tutti presunti biologicamente simili, mentre il gruppo etnico è, secondo l’interpretazione della Blu della mentalità popolare della North Carolina e in generale del Sud degli USA, una comunità morale, un gruppo di interessi e non soltanto un aggregato di individui. La categorizzazione etnica popolare riferita dalla Blu classifica gli individui come membri di gruppi che si distinguono gli uni dagli altri sulla base di una “eredità” o background comune, formato cioè dalla nazionalità degli antenati, lingua, razza, religione, costumi, eventi storici o una combinazione di questi elementi. Tuttavia gli immigrati europei dell’Ottocento e del primo Novecento vennero classificati con un vocabolario razziale da quelli che già vi risiedevano.
Max Weber elaborò la nozione di «gruppi etnici» o «comunità etniche», usando gli ebrei europei e i neri degli USA come estremi esempi di comunità paria in una società stratificata in caste. Egli separa analiticamente i due aspetti, quello concettuale e quello sociale, che sono fusi nella definizione popolare riportata dalla Blu:
«La credenza nell’affinità di gruppo, non importa se ha un fondamento obiettivo o no, può avere importanti conseguenze specialmente per la formazione di una comunità politica. Chiameremo “gruppi etnici” quei gruppi umani che intrattengono una credenza soggettiva nella loro discendenza comune a causa di somiglianze nel tipo fisico o di costumi o entrambe le cose o a causa di ricordi di colonizzazione e migrazione; questa credenza deve essere importante per la propagazione della formazione di gruppo; di converso, non importa se esiste o no un’oggettiva relazione di sangue» (Weber in Blu 1980:205).
Secondo Hobsbawm (1991:72-76) l’etnia è
«qualcosa che sta in una qualche, non ben definita, relazione con la comune origine e la discendenza da cose dalle quali si suol far derivare le caratteristiche comuni degli appartenenti a un determinato gruppo etnico». «Parentela» e «sangue» presentano evidenti vantaggi quando si tratta di accomunare gli appartenenti a un gruppo e di escluderne gli estranei: sono pertanto un elemento centrale nel caso del nazionalismo su basi etniche».
Egli ricorda le parole di un nazista austriaco secondo cui la “cultura non la si può acquisire con l’istruzione. La cultura è nel sangue”. Vedremo come gli indiani ondeggino tra il concetto di cultura e quello di sangue nella propria autodefinizione. Come sottolinea Gellner, il collegamento di un popolo con una cultura maggioritaria dotata di scrittura e con l’intermediazione di una religione a estensione mondiale consente ai gruppi etnici di acquisire un patrimonio ideologico che li può aiutare a diventare in seguito nazione. Gellner fa l’esempio dei gruppi africani che hanno sviluppato il loro nazionalismo, ma queste considerazioni valgono, come vedremo, anche per gli indiani americani (Gellner 1985:96) .
La nozione di etnia risale, nella cultura occidentale, all’uso che gli antichi greci facevano dell’uso del termine ethnos, che corrispondeva a una categoria politica contrapposta a quella di polis. Polis aveva una connotazione individuante e positiva; ethnos, invece, una connotazione fluida e in qualche modo peggiorativa.
«Per i greci, infatti, polis connotava la comunità omogenea per leggi e costumi, mentre ethnos designava sia i greci che non erano organizzati in villaggi (per esempio i pastori), sia i «barbari», coloro che non parlavano la lingua greca. L’ethnos designava un popolo dalle istituzioni «indistinte», cioè non dotato di istituzioni capaci di integrarne la vita sociopolitica. Questa connotazione «difettiva» del termine ethnos si manterrà nella storia dell’Occidente sino all’età moderna. L’etnia finirà infatti per assumere, in quest’epoca, le caratteristiche di una «nazione per difetto» o di nazione «diminuita», «incompiuta». Il termine di paragone è, dalla fine del Settecento, la nazione che, come ha detto Ernest Gellner, si presenta come il correlato dell’esistenza di uno Stato con confini definiti, in cui le élite al potere dettano i principi ideologici dell’identità a cui sono tenuti a conformarsi coloro che abitano entro quei confini (Gellner, 1985a). L’etnia, invece, è costituita da individui che aspirano a diventare nazione» (Fabietti 1996:27) .
La Blu osserva che razza ed etnicità sono intrecciate all’interno sia delle concezioni popolari che di quelle dei sociologi.
«Da un lato, l’etnicità è talvolta vista come un fattore nella razza quando i profani aggiungono dei fattori culturali agli aspetti fisici definenti della razza. Dall’altro, la razza è spesso riconosciuta come un fattore di background nell’etnicità. … Anche tra i sociologi la razza permea le classificazioni etniche. Grazie a Michael Novak (1971), ora abbiamo il termine “etnicità bianca” in riferimento ai polacco-, italo-, greco-, slavo-americani» (Blu 1980:209).
Mentre l’etnicità diventava più di moda nei circoli accademici e nell’opinone pubblica generale e un numero maggiore di persone la vedevano come un aspetto positivo della propria personalità, la razza diventava sempre meno accettabile socialmente. Si assiste così anche in America al fenomeno di de-biologizzazione della razza, dove gli aspetti razziali di un gruppo etnico vengono sottolineati come mai prima e si fa appello agli aspetti «culturali» della razza.
Negli Stati Uniti e in Canada (in misura sempre maggiore) l’identità etnica può, per certi versi essere opzionale; se una persona vuole stare all’interno di una identità etnica, ovviamente deve avere degli antenati di quella identità, ma se gli antenati appartengono a identità diverse, si può legittimamente assumere quella che si preferisce. Naturalmente la scelta sarà influenzata da fattori esterni, come la stima sociale e le circostanze individuali. Qualcuno può anche insistere sul possesso di più di un’identità etnica. Vedremo che questo è un tema particolarmente sentito dagli indiani; un buon esempio ci viene da Michael Dorris autore di romanzi best seller e antropologo di ascendenza modoc, un gruppo indiano della California, che viene, in tutta serietà, definito “di ascendenza francese, modoc e irlandese” nella presentazione del suo articolo intitolato Mixed Bloods (Sanguemisto) su Hungry Mind Review:
“Il mio defunto padre era indiano per via di vari gradi (di sangue) tramite entrambi i genitori, i quali erano loro stessi discesi attraverso la storia da un occasionale antenato inglese o francese. Mia madre è un’unione di merletto irlandese del Kentucky e svizzero dell’Indiana … dovettero andare in California per sposarsi. Io, come risultato, avevo molti parenti che erano più scuri di me e alcuni che erano più chiari e io potevo render conto di ogni tratto del mio essere tramite il riferimento a un pool genetico differente e coordinato nel colore“.
Per questo motivo Dorris, che per aspetto sembrava un irlandese, aveva di solito introdotto personaggi di ascendenza bi o tri-razziale nei suoi libri.
Ci sono però delle limitazioni alla scelta dell’etnia, secondo l’opinione popolare; uno non può cambiare totalmente la sua identità etnica, può solo optare all’interno di una scelta limitata, perciò il solo modo per cambiare identità assumendone una a cui non si ha titolo è di “passare“, cioè fingere di essere chi non si è ed è il solo modo per cambiare il proprio status razziale, una realtà per la quale non c’è rimedio. Molti indiani hanno finto di essere bianchi e molti mulatti chiarissimi hanno cambiato razza abusivamente quando queste etnie erano socialmente ai gradini più bassi, per migliorarsi e, talvolta, poter accedere agli studi. E’ il caso di molti individui tri-etnici (meticci indiani-bianchi o indiani-neri, indiani-neri-bianchi), come Lunga Lancia Figlio del Bisonte, la cui carriera di «indiano» finì tragicamente con un suicidio oppure, oggi che essere indiano comporta diversi vantaggi economici e ideologici, è il caso dei famigerati wannabe (da: I want to be, vorrei essere), bianchi che assumono un’identità indiana, perché hanno “da qualche parte” un antenato indiano. Altri sono bianchi che invece si “convertono” all’indianismo, cioè imitano lo stereotipo indiano e aderiscono alle varie etichette New Age. Gli indiani “autentici” vedono questi individui come fumo negli occhi e lanciano continuamente anatemi contro di loro, come ladri di religione e, perciò, di identità etnica e nazionale.
da www.veneto.antrocom.org/
Gli Ute
Indiani d'America a biodiesel
Gli Ute meridionali, una delle più ricche comunità di indiani d'America del sud del Colorado, cercano l'oro verde dalla coltivazione delle alghe per produrre biodiesel.
Questa tribù, tra le più attive di nativi americani, ha deciso di cofinanziare, insieme all'Università di Stato del Colorado (Cus), un impianto pilota, battezzato "Coyote Gulch", per ricavare combustibile da alghe fotosintetiche riducendo al contempo le emissioni di gas-serra.
Per il momento, già tre bacini d'acqua della loro riserva sono stati riconvertiti a piantagione d'alghe. L'investimento vale oltre un milione di dollari in apparecchiature e finanzia per un terzo il capitale da 20 milioni di dollari della Solix Biofuels.
Sempre fedeli alle loro antiche usanze gli Ute si erano finora rifiutati di ricavare biodiesel da alimenti quali il mais, la colza o la soia per non sottrarli alla catena alimentare umana. L'investimento sul progetto della Solix Biofuels, invece, soddisfa appieno le loro esigenze.
''L'alga e' una fonte ideale per produrre biocarburante - sostengono alla Solix - perche' può essere coltivata in climi diversi, usa poca acqua e non toglie terreni all'agricoltura''. Per l'impianto c'è bisogno di terra, CO2 e acqua e la riserva degli Ute si trova proprio sopra uno dei piùricchi campi di gas naturale derivato da miniere di carbone.
Le emissioni di Co2 prodotte dall'industria vengono ''riciclate'' per nutrire le alghe e l'eccesso di calore viene usato per riscaldare le vasche di coltura di notte e in inverno. Ad accelerare la crescita delle alghe e diminuire i costi contribuisce poi il fatto che i fotobioreattori sorgono su un altipiano dove il sole splende la maggior parte l'anno e che le alghe vengono coltivate in contenitori di plastica chiusi e allineati verticalmente.
Secondo gli esperti, le colture di alghe possono produrre sino a 30mila litri di carburante per ettaro l'anno contro i 220 delle piantagioni di soia e i soli 75 di una piantagione di mais. Produrre sei grammi d'olio di alga costa al momento tra i 10 e i 40 dollari, ma perchè possa essere commercializzato occorre ridurre i costi a 1 o 2 dollari.
Edited by Oceanya - 27/7/2015, 00:51. -
Oceanya.
User deleted
Non mi interessa cosa fai per vivere, Voglio sapere quello che desideri ardentemente e se osi sognare quello che il tuo cuore brama… Non mi interessa quanti anni hai, voglio sapere se ti renderesti ridicolo per amore ,per i tuoi sogni, per l’avventura di esistere. Non mi interessa quanti pianeti quadrano la tua luna, voglio sapere se hai toccato il centro della tua sofferenza ,se i tradimenti della vita ti hanno aperto o se ti hanno accartocciato e chiuso per paura di altro dolore…. Voglio sapere se puoi stare col dolore mio o tuo, senza muoverti per nasconderlo, logorarlo o ripararlo…. Voglio sapere se puoi stare con la gioia, mia o tua, se puoi danzare selvaggiamente E lasciare che l’estasi ti riempia fino alla punta delle dita di mani e piedi Senza avvertirci di stare attenti, di essere realistici o di ricordarci I limiti dell’essere umani… Voglio sapere se puoi vedere la bellezza anche se non è bello ogni giorno, e se puoi scaturire la tua vita dalla presenza di dio. Voglio sapere se puoi vivere col fallimento, il tuo ed il mio e sapere stare Ancora sulla riva di un lago e gridare alla luna argentea “si!” Non mi interessa dove vivi o quanti soldi hai, voglio sapere se riesci ad alzarti dopo una notte di dolore e disperazione consumata fino all’osso e fare ciò che deve essere fatto per i bambini non mi interessa sapere chi sei o come sei giunto qui. Voglio sapere se staresti al centro del fuoco con me senza indietreggiare… Non mi interessa sapere dove o cosa o con chi hai studiato. Voglio sapere se puoi stare solo con te stesso, e se veramente Ami la compagnia che tieni a te stesso nei momenti vuoti….
Orian Mountain Dreamer Capo degli Oglala Sioux ( Nativi Americani )
NOI SIAMO DISARMATI. COMUNQUE SIAMO DISPOSTI A DARVI CIO' CHE CHIEDETE A CONDIZIONE CHE VOI VENIATE A NOI IN PACE E NON CON SPADE E FUCILI, COME SE STESTE ANDANDO IN GUERRA CONTRO UN NEMICO (Powathan)
IL MIO CUORE E' PIENO DI CRUCCI, QUANDO IO GUARDO ME STESSO E QUANDO VEDO IL MIO POPOLO, NELLA SUA ATTUALE SITUAZIONE. UNA VOLTA UN POPOLO UNITO E PIENO DI POTENZA, ORA DISPERSO E DEBOLE. LA SITUAZIONE DELLA MIA GENTE MI RIEMPE DI ANGOSCIA. (Giacca Rossa)
RISPARMIATE DONNE E BAMBINI! NON SONO LORO QUELLI CONTRO I QUALI STIAMO CONDUCENDO LA GUERRA E USIAMO IL COLTELLO DA SCALPO. NOI COMBATTIAMO CONTRO GLI UOMINI. E VOGLIAMO COMPORTARCI DA UOMINI. (Osceola)
IO NON HO MAI RIVENDICATO IL DIRITTO DI POTER FARE CON LA TERRA QUELLO CHE RITENGO GIUSTO. L'UNICO CHE HA UN TALE DIRITTO E' COLUI CHE L'HA CREATA. (Capo Giuseppe)
DARE LA DIGNITA' ALL'UOMO E' ALL'ORIGINE DI TUTTE LE COSE. (Proverbio nativo)
SIETE GIUNTI NELLA NOSTRA TERRA E SIETE STATI ACCOLTI AMICHEVOLMENTE..CI FIDAVAMO DEL FATTO CHE ERAVAMO FRATELLI E CHE VOI ERAVATE STATI ACCOLTI COSI' COME NOI VI AVEVAMO ACCOLTO (Mangas Coloradas)
QUANDO AL MATTINO TI SVEGLI, RINGRAZIA IL TUO DIO PER LA LUCE DELL'AURORA, PER LA VITA CHE TI CHE HA DATO E PER LA FORZA CHE RITROVI NEL TUO CORPO. RINGRAZIA IL TUO DIO ANCHE PER IL CIBO CHE TI DA' E PER LA GIOIA DELLA VITA. SE NON TROVI UN MOTIVO PER ELEVARE UNA PREGHIERA DI RINGRAZIAMENTO, ALLORA VUOL DIRE CHE SEI IN ERRORE (Tecumseh)
IL SOLE SI LEVA. BRILLA PER LUNGO TEMPO. TRAMONTA. SCENDE ED E' PERSO. COSI' SARA' PER GLI INDIANI..PASSERANNO ANCORA UN PAIO DI ANNI E CIO'CHE L'UOMO BIANCO SCRIVE NEI SUOI LIBRI SARA' TUTTO CIO' CHE SI POTRA' ANCORA UDIRE A PROPOSITO DEGLI INDIANI. (Geronimo)
NON CONOSCO ALCUNA SPECIE DI PIANTA, UCCELLO O ANIMALE CHE NON SI SIA ESTINTA DOPO L'ARRIVO DELL'UOMO BIANCO. L'UOMO BIANCO CONSIDERA LA VITA NATURALE DEGLI ANIMALI COME QUELLA DEL NATIVO SU QUESTO CONTINENTE: COME UN FASTIDIO NON C'E' ALCUN TERMINE NELLA NOSTRA LINGUA CON IL SIGNIFICATO DI "FASTIDIO" (Orso in piedi)
. -
Oceanya.
User deleted
LE DONNE nella cultura degli Indiani d’America
In quasi tutte le tribù native americane, le donne erano il motore economico della tribù e garantivano il buon andamento della vita quotidiana. In alcune tribù come gli Apache la famiglia era matriarcale.
I loro compiti erano innumerevoli: scuoiavano animali, affumicavano la carne, confezionavano tutti gli indumenti, anche i mocassini, erano espertissime conciatrici di pelli: riuscivano a renderla morbida come un tessuto (una donna riusciva a conciare 4 pelli di montone all’anno), e poi raccoglievano la frutta, pestavano il mais e il miglio, cucinavano, montavano e smontavano le tende, e, naturalmente, accudivano i figli.
Le donne indiane avevano molta cura dei loro piccoli e non si limitavano ad assicurare loro la sopravvivenza: facevano di tutto per rendere la vita bella e piacevole.
Per quanto riguarda i piccoli del il popolo delle Pianure, probabilmente nessuna infanzia è stata più felice: non c’erano bambini più coccolati, viziati, protetti e liberi.
Senza scuola, senza orari, senza disciplina convenzionale i bambini attraverso il gioco apprendevano le arti, la tecnica, le tradizioni, la cultura collettiva.
Ed erano tutte le donne della tribù a prendersi cura del bambino, fino alla sua adolescenza. Le donne erano anche quelle che massaggiavano i bambini più volte al giorno soprattutto nei gelidi inverni delle pianure, erano quelle che per riparare i piccoli dal gelo, usavano il grasso di bisonte, e che pensavano a raccogliere il muschio fresco e assorbente che fungeva da pannolino per i più piccoli.
Erano ancora le donne a realizzare (di solito durante la gravidanza) e a servirsi poi, caricandoli poi sulle spalle, bellissimi porta-enfant di morbida pelle di cerbiatto arricchita di piccolissime perline multicolori. Tra le puerpere c’era molta solidarietà: se una non aveva abbastanza latte per nutrire il proprio bambino, ce n’era sempre un’ altra che ne aveva in eccesso e che fungeva da balia.
La sera, per far addormentare i piccoli cantavano lunghe nenie. Per i problemi meno importanti, come coliche o dolori per la dentizione, erano sempre le donne a fungere da pediatre e curare il bambino con erbe medicinali, (gli analgesici più usati erano la salvia e le foglie di salice). Il cibo era sempre pronto e abbondante, conservato cotto in modo da poter essere servito in qualsiasi momento. Infatti non era destinato soltanto al consumo della famiglia, ma di chiunque arrivasse, forestieri o parenti. Nella vita sociale degli indiani il saper preparare e servire il cibo era molto importante. Attraverso l’offerta e la condivisione del cibo, si rinsaldavano i vincoli tra l’uomo di famiglia sia con i capi del gruppo, che con i parenti della moglie.
Tutti i compiti delle donne erano considerati onorevoli e dignitosi. Nessun lavoro era ritenuto servile .
In effetti le donne erano oggetto di premure e di attenzioni: a cominciare dal mattino quando il marito spazzolava i capelli alla moglie (con una coda di porcospino attaccata ad un impugnatura decorata), le faceva le trecce e le dipingeva il viso (se dopo divenne una questione di moda, all’inizio questo cominciò per il fatto che molte donne lakota avevano una carnagione bellissima e molto delicata che mal sopportava il vento caldo e il sole bruciante delle pianure).
Il matrimonio era tenuto in grande considerazione presso i Sioux. La celebrazione (se così si può chiamare) consisteva nel fatto che il fidanzato andava a prendere la ragazza nel tepee dove alloggiava con la sua famiglia e la portava nella loro tenda (preparata precedentemente dalle donne imparentate con la sposa). Lei dava subito dimostrazione di essere a casa sua: accendeva il fuoco al centro della tenda, sedendosi al posto della moglie a destra del focolare, di fronte si sedeva il marito, nel posto proprio del capofamiglia. Senza altre formalità erano marito e moglie. Il matrimonio doveva essere consenziente, poteva esserci un accordo tra la famiglia di lei e quella dello sposo oppure si poteva fuggire mettendo entrambe le famiglie di fronte al fatto compiuto o ancora, in casi estremi, la donna veniva rapita direttamente, senza perdere tempo. Anche se spesso si creavano chiacchiere e “inciuci”, non appena la sposa rimaneva incinta, tutto si metteva a tacere. Una madre conquistava automaticamente il massimo del rispetto collettivo.
La professione di madre era tenuta in grande considerazione e rispetto al punto che nel momento in cui la donna si rendeva conto di essere incinta, troncava i rapporti sessuali con il marito (cosa che non creava tensioni né contrasti: le premure dello sposo rimanevano immutate). Una volta avuto il bambino, i genitori si preoccupavano di non metterne in cantiere un altro almeno fino a quando il precedente non avesse raggiunto l’età di 5-6 anni in modo che potesse avere tutte le attenzioni possibili e che la donna non si stancasse troppo. La moglie non prendeva il nome del marito né del suo clan.
I bambini appartenevano al clan della madre. Se la cerimonia del matrimonio era piuttosto semplice e diretta, il corteggiamento era invece un rito lungo e complicato: un metodo molto diffuso era quello di mettersi sulla via dell’acqua e aspettare che le donne passassero per attingere l’acqua o per lavare i panni, afferrare il lembo della sottana o colpirla a distanza con dei sassolini. Se lei rallentava il passo significava che il corteggiatore aveva il permesso di affiancarsi e parlarle, se non era interessata lo avrebbe ignorato . Altro tipo di corteggiamento era quello della coperta: i corteggiatori si presentavano dopo il tramonto davanti al tepee della famiglia di lei e chiedevano di sedersi accanto alla ragazza, avvolgendola nella coperta.
Se lei gradiva, la conversazione si prolungava, e non era raro che ci fosse qualche “approfondimento” reciproco della conoscenza del corpo dell’altro. Ma sempre da seduti. Era vietato sdraiarsi sotto la coperta. Se lei non gradiva, il corteggiatore veniva congedato in fretta. La violenza sulle donne esisteva, ma era molto rara, forse anche perché la vendetta da parte della vittima era piuttosto dura e definitiva: le donne lakota, addestrate fin da piccole all’arte della macellazione, maneggiavano il coltello con molta facilità. Si può immaginare come potessero usare quest’abilità…ma questa pratica non conveniva a nessuno: la donna che riusciva a compiere questa vendetta era tenuta a mantenere l’uomo castrato fino alla sua morte.
Per il divorzio nessun ricatto, nessuna spesa e nessuno avvocato: così come l’entrata della donna sanciva il suo ruolo di sposa, l’uscita dal tepee con le proprie masserizie significava la rottura del legame matrimoniale. Al marito non restava altro che “suonare il tamburo”: si portava al centro dei cerchi di tende e gridava “questa donna non è più mia. Chi la vuole se la prenda” .
Se era la moglie a essere stanca del marito, lo buttava semplicemente fuori dal tepee e, se voleva, accoglierci un altro uomo non doveva dare nessuna spiegazione. Nessun “avvocato” neanche per la spartizione dei beni: giacché la terra non apparteneva a nessuno, non c’erano né terre né proprietà da dividere.
Semplicemente alla donna spettavano oltre la tenda (che già era sua), un cavallo da carico, tutte le suppellettili domestiche, tutti i coltelli tranne quelli da caccia e tutte le pelli che aveva conciato durante la vita matrimoniale (tranne quelle conciate esclusivamente per il marito).
A lui spettavano il piumaggio, le armi, i cavalli da caccia e da guerra. Neanche troppe storie per l’affidamento dei figli: i piccoli, quelli che ancora dovevano arrivare alla pubertà, restavano con la madre, i più grandicelli andavano col padre. In genere i divorzi erano dovuti ai tradimenti, ma se un marito infedele non poteva essere punito dalla propria donna (che aveva solo il diritto di andare in collera e di divorziare), per una donna infedele la punizione era peggiore: al primo tradimento il marito aveva il diritto di tagliarle una treccia (due se era particolarmente geloso). L’uomo in teoria poteva avere più mogli ma erano casi rarissimi. E se succedeva era soltanto se la prima moglie era anziana e lui un guerriero ricco con molti cavalli. Era costretto infatti a mantenere tutti i parenti delle varie mogli. Avere molte moglie era anche un investimento economico: se una donna da sola conciava 4 pelli l’anno, più donne, naturalmente, avrebbero conciato più pelli. Le donne lakota erano di solito silenziose e riservate e in genere non partecipavano alla vita pubblica, ma una donna anziana e saggia o che aveva mostrato un particolare coraggio, poteva diventare parte del Consiglio Tribale.
Edited by Oceanya - 11/6/2015, 01:27. -
Oceanya.
User deleted
Gli indiani dagli occhi grigi
Alcuni pionieri americani dell’inizio del XVIII secolo, verso l’interno lungo il fiume Lumber, nella Carolina del Nord, rimasero stupiti di trovare una tribú di indiani dagli occhi grigi, in cui il linguaggio era una sorta d’inglese.
I “selvaggi” sostenevano che i loro antenati “sapevano parlare con un libro”, il che significava, secondo quanto intesero gli esploratori, che sapevano leggere.
Oggi i discendenti di quella misteriosa tribú vivono ancora nella contea di Robeson, dove furono scoperti.
Noti col nome di Indiani Lumbee, hanno carnagione che variano dall’olivastro al roseo chiaro e i capelli biondi.
Gli occhi azzurri sono tutt’altro che rari fra loro.
Nessuno conosce l’effettiva origine di questa tribú, ma un’interessante teoria è stata avanzata dagli studiosi:
i Lumbee potrebbero essere i resti della “ colonia perduta” da Sir Walter Raleight, nell’isola di Roanoke, da cui tutti i coloni inglesi scomparvero nel 1590. Il fiume Lumber è infatti a circa 300 km da Roanoke.
Quando Elisabetta I concedette a Raleight una licenza di colonizzazione, furono compiuti due tentativi d’insediamento sulle coste americane
Il primo fu abbandonato nel 1586, a causa dei ricorrenti attacchi degli Indiani e della scarsitá delle provviste.
Il secondo, compiuto nel 1587 da un gruppo di oltre 100 fra uomini e donne, guidato dal governatore John White, non ebbe miglior fortuna. Dopo pochi mesi, White decise di tornare in Inghilterra con un equipaggio di 15 persone, per cercare aiuti e rifornimenti.
Lasció precise istruzioni ai coloni rimasti: se fossero stati costretti a trasferirsi in sua assenza, dovevano lasciar scritto il nome della destinazione “in un luogo ben visibile”.
fortunatamente, White non poté far ritorno fino al 1590, per colpa della guerra tra Inghilterra e Spagna.
E a Roanoke trovó solo il fortino saccheggiato e deserto.
I coloni erano spariti senza lasciarne traccia.
Un solo indizio sulla loro sorte: la parola “ Croatoan” incisa su un lungo palo di legno.
Gli storici discutono ancora oggi sul suo significato.
Alcuni ritengono che fosse il nome di una tribú indiana che avrebbe assalito la colonia e ucciso i pionieri.
Per altri invece, Croatoan era un’isola a sud di Roanoke, che i coloni sapevano abitata dall’amichevole tribú Hatteras.
Se erano riusciti a raggiungere quell’isola e vi erano stati dei matrimoni misti fra la comunitá bianca e quella indiana, i loro discendenti potrebbero essere i Lumbee del giorno d’oggi.
Il governatore White supponeva che i coloni si fossero spostati a Croatoan volontariamente, ma impossibilitato a proseguire le ricerche, dovette far ritorno in Inghilterra.
Ora vi sono evidenti prove che White aveva ragione: dei 95 cognomi dei “coloni perduti” di Roanoke ben 41 sono tutt’ora riscontrabili fra i Lumbee.
da claudiobaglioni forumcommunity
Edited by Oceanya - 28/7/2015, 01:30. -
Oceanya.
User deleted
Poesia Indiana
Tieni stretto ciò che è buono
Tieni stretto ciò che è buono,
anche se è un pugno di terra.
Tieni stretto ciò in cui credi,
anche se è un albero solitario.
Tieni stretto ciò che devi fare,
anche se è molto lontano da qui.
Tieni stretta la vita,
anche se è più facile lasciarsi andare.
Tieni stretta la mia mano,
anche quando mi sono allontanato da te..