WILLIAM SHAKESPEARE

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    WILLIAM SHAKESPEARE
    Essere o non essere; questo è il problema: se sia più nobile d'animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell'iniqua fortuna, o prender l'armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli. Morire, dormire, nulla di più; e con un sonno dirsi che poniamo fine al cordoglio e alle infinite miserie naturale retaggio della carne, è soluzione da accogliere a mani giunte. Morire, dormire, sognare forse: ma qui è l'ostacolo, quali sogni possano assalirci in quel sonno di morte quando siamo già sdipanati dal groviglio mortale, ci trattiene: è la remora questa che di tanto prolunga la vita ai nostri tormenti...(Amleto)

    William-Shakespeare

    Biografia

    William Shakespeare è considerato il più grande drammaturgo in lingua inglese di sempre e, in assoluto, fra i maggiori scrittori e poeti di ogni tempo e paese. Ha scritto tragedie entrate nella storia della letteratura, divertenti commedie mai apparse sulle scene inglesi. È stato attore egli stesso. Shakespeare è anche autore di 154 sonetti e di diversi poemi. La sua abilità consiste nell'andare oltre la narrativa per descrivere gli aspetti interiori e profondi della natura umana. Sembra che abbia scritto la maggior parte dei suoi lavori tra il 1585 e il 1611, anche se le date esatte e la cronologia delle opere a lui attribuite non sono note con precisione, mancando una biografia approfondita e completamente attendibile.

    William Shakespeare nasce a Stratford-upon Avon nell'aprile 1564, quasi sicuramente il 26. E' terzo di otto figli. La madre, Mary Arden, discende da una famiglia di possidenti. Il padre, John, appartiene alla corporazione dei pellai e guantai di Stratford; le sue condizioni economiche dapprima sono agiate, poi la sua situazione si fa più dissestata, a causa, pare, di liti giudiziarie. Nel novembre del 1582, a 18 anni, William sposa Anne Hathaway, 26 anni. Sei mesi più tardi nasce la figlia Susanna a cui seguono nel 1585 due gemelli, Hamnet e Judith. Con una moglie e tre figli da mantenere, oltre a fratelli e sorelle più giovani a cui provvedere, e un padre, a quel tempo in cattive condizioni economiche, Shakespeare si trasferisce a Londra in cerca di fortuna. I primi anni trascorsi nella capitale sono in assoluto i più misteriosi: probabilmente lavora come attore in diverse compagnie teatrali.

    Le notizie su di lui riprendono nel 1592, quando la fama di Shakespeare è già in ascesa vertiginosa, tanto d'attirarsi le gelosie dei colleghi più anziani. Robert Greene lo definisce come "Un corvo parvenu, abbellito dalle nostre piume, che con la sua "Arte di tigre nascosta da un corpo d'attore" (parodia della frase di Shakespeare "Oh, cuore di tigre nascosto da un corpo di donna!" Enrico VI, parte Terza) ritiene d'essere capace quanto il migliore di voi di tuonare in pentametri giambici; ed essendo un faccendiere affaccendatissimo, è secondo il suo giudizio l'unico 'scuoti-scene' del paese". L'anno successivo, mentre un'epidemia di peste fa chiudere tutti i teatri, Shakespeare pubblica il poemetto mitologico "Venere e Adone", dedicato al Conte di Southampton, suo generoso patrono, così come il poemetto "Lucrezia violata" (1594). Anonimo esce anche il suo "Tito Andronico".

    Cessata l'epidemia, si riaprono i teatri e si riorganizzano le compagnie; viene fondata la compagnia dei "Servi del Lord Ciambellano" ("The Chamberlain's Men"): gli attori stessi partecipano alle spese e agli utili, secondo il modello cooperativo. La compagnia recita al Theatre, al Curtain, e infine al Goble, e ottiene grande successo, divenendo la favorita di corte. La carriera del poeta si identifica con la fortunata storia di questi Chamberlain's Men, per i quali l'autore compone drammi. Essa, soprattutto grazie all'opera di Shakespeare, diventa talmente popolare che, dopo la morte di Elisabetta I e l'incoronazione di Giacomo I (1603), il nuovo monarca adotta la compagnia che si fregia così del titolo di King's Men (Uomini del re). Successivamente, nonostante il favore ottenuto dai suoi primi poemetti, Shakespeare non dà seguito all'attività di poeta non drammatico, se non con i sonetti, che vengono composti principalmente tra il 1594 e il 1596. Il tono pessimistico di alcuni sonetti sembra preludere a tragedie come "Amleto", e quindi si può intuire che la vita dell'autore non fosse felice nonostante la sua fama e il suo successo.

    Nel 1596 muore il figlio maschio, Hamnet; nel 1601 sarà la volta del padre John, e nel 1608 della madre Mary. Nel 1597 William compra una casa, con "due granai, due giardini, due frutteti, con annessi, in Stradford-upon-Avon". L'acquisto della casa, la più grande di Stratford a quei tempi, testimonia il notevole guadagno che Shakespeare ottiene con la sua attività teatrale. Intorno al 1611 si ritira a Stratford, continuando comunque a scrivere. Qui, a causa della sua salute cagionevole, muore il 23 aprile del 1616.

    La maggior parte degli accademici accetta che lo Shakespeare attore e lo Shakespeare scrittore vissuto in Stratford on Avon siano la stessa persona. Tuttavia, a causa della scarsità di notizie certe sulla sua vita, sono stati avanzati diversi dubbi sulla vera identità di William Shakespeare, o sul fatto che sia stato effettivamente l'autore delle opere che gli furono attribuite. In particolare come autori delle opere sono state avanzate le candidature di: - Edward de Vere, 17° conte di Oxford, colto nobiluomo della corte elisabettiana che avrebbe potuto continuare la propria giovanile attività poetica sotto uno pseudonimo per motivi di decoro. - Bacone, celebre filosofo e scrittore, che avrebbe scritto le opere teatrali sotto uno pseudonimo. - Christopher Marlowe, altro autore teatrale che non sarebbe morto nel 1593 come si ritiene, ma avrebbe svolto attività di spionaggio per la corona e avrebbe continuato la propria attività letteraria con un falso nome. - Sono stati fatti anche i nomi di William Stanley, conte di Derby, Ben Johnson, Thomas Middleton, sir Walter Raleigh, forse in collaborazione con Bacone, e persino della stessa regina Elisabetta I.
    Williams Shakespeare è sepolto nella chiesa di Stratford, e la sua tomba reca l'iscrizione in versi: "Buon amico / per amor di Cristo / non cavar fuori / la polvere qui racchiusa! / Benedetto chi rispetta queste pietre / e maledetto chi rimuove le mie ossa".
    William-Shakespeare

    Nel 1623, poco dopo la morte della moglie, esce un volume di grande formato (in-folio), curato dagli attori John Heminge e Henry Condell, con trentasei drammi di Shakespeare, sotto il titolo di "Mr William Shakespeare's comedies, histories and tragedies" ("Le commedie, i racconti e le tragedie di William Shakespeare").

    shakespeare-statua


    Opere

    Opere poetiche:

    - Venus e Adonis (1593)
    - Il ratto di Lucrece (1594)
    - Il pellegrino appassionato (1599) - La fenice e la tortora (1601) - Sonetti (1609)


    Teatro:

    1) Enrico VI, parte 2 e 3 (1590-1591)
    2) Enrico VI, parte 1 (1590-92)
    3) Riccardo III (The life and death of Richard the third, 1592-93)
    4) La commedia degli errori (The comedy of errors, 1592-93)
    5) Tito Andronico (The lamentable tragedy of Titus Andronicus, 1593-94)
    6) La bisbetica domata (The taming of the shrew, 1593-94)
    7) I due gentiluomini di Verona (The two gentlemen of Verona, 1594)
    8) Pene d'amore perdute (Love's labour's lost, 1594)
    9) Romeo e Giulietta (The tragedy of Romeo and Juliet, 1594-95)
    10) Riccardo II (The life and death of king Richard the second, 1595)
    11) Sogno di una notte di mezza estate (A midsummer night's dream, 1595-96)
    12) Re Giovanni (The life and death of king John, 1596-97)
    13) Il mercante di Venezia (The merchant of Venice, 1596-97)
    14) Enrico IV, parti 1 e 2 (1597-98)
    15) Molto rumore per nulla (Much ado about nothing, 1598-1599)
    16) Enrico V (The life of king Henry the fifth, 1598-1599)
    17) Giulio Cesare (The life and death of Julius Caesar, 1599-1600)
    18) Come vi piace (As you like it, 1599-1600)
    19) La dodicesima notte o quel che volete (Twelfth night or what you will, 1599- 1601)
    20) Amleto (The tragedy of Hamlet prince of Denmark, 1600-1601)
    21) Le allegre comari di Windsor (The merry wives of Windsor, 1600-01)
    22) Troilo e Cressida (The tragedy of Troilus and Cressida, 1601-02)
    23) Tutto è bene quello che finisce bene (All's well that ends well, 1602-1603)
    24) Misura per misura (Measure for measure, 1604-1605)
    25) Otello (The tragedy of Othello the moor of Venice, 1604-1605)
    26) Re Lear (The tragedy of king Lear, 1605-1606)
    27) Macbeth (The tragedy of Macbeth, 1605-1606)
    28) Antonio e Cleopatra (The tragedy of Anthony and Cleopatra, 1606-1607)
    29) Coriolano (The tragedy of Coriolanus, 1607)
    30) Timone di Atene (The life of Timon of Athens, 1607-1608)
    31) Pericle prìncipe di Tiro (Pericles prince of Tyre, 1608-1609)
    32) Cimbelino (The tragedy of Cymbeline king of Britain, 1609-1610)
    33) Il racconto d'inverno (The winter's tale, 1610)
    34) La tempesta (The tempest, 1611)
    35) Enrico VIII (The life of king Henry the eighth, 1612-1613)

    romeo-giulietta



    Tragedie

    Romeo e Giulietta (1594-95) tragedia in 5 atti in versi e in prosa. L'antica inimicizia tra la famiglia Montecchi e quella dei Capuleti insanguina Verona. Romeo Montecchi, mascherato, si reca a un ballo dei Capuleti. Lì s'innamora appassionatamente di Giulietta Capuleti; a ballo finito, nascosto sotto il suo balcone, scopre, udendola parlare, di essere ricambiato e ottiene il suo assenso a un matrimonio segreto. Il giorno seguente frate Lorenzo li unisce in matrimonio: poco dopo, Romeo incontra Tebaldo, cugino di Giulietta, ma, anche se viene offeso da lui, rifiuta di battersi, per il nuovo legame di parentela che ormai lo unisce alla famiglia dei Capuleti. Interviene Mercuzio, amico di Romeo, che è ucciso da Tebaldo. Romeo deve vendicare l'amico, e uccide Tebaldo. Il principe lo bandisce. Romeo passa la notte con Giulietta e poi fugge a Mantova. Intanto il padre di Giulietta vuole che la figlia sposi il conte Paride. Frate Lorenzo decide di ricorrere a uno stratagemma disperato: Giulietta fingerà di acconsentire alle nozze e alla vigilia di esse berrà una pozione che le darà una morte apparente. Un piano di fuga è predisposto per il suo risveglio. Romeo, all'oscuro di tutto, apprende soltanto della morte della sua Giulietta. Si procura un potente veleno e corre a Verona; al sepolcro dell'amata si imbatte in Paride, che lo assale. Romeo è costretto a ucciderlo; poi beve il veleno e cade fulminato. Giulietta si sveglia, vede Romeo morto e si pugnala. A Frate Lorenzo, accorso troppo tardi, non resta che svelare l'accaduto al principe: e davanti ai cadaveri dei due giovanissimi sposi, i Montecchi e i Capuleti si riconciliano.

    Poesie
    I sonetti di Shakespeare sono 154 e sono formati da tre quartine e un distico per un totale di 14 versi.

    William Shakespeare probabilmente scrisse i suoi sonetti a partire dagli anni 90 del XVI secolo dopo che un morbo causò la chiusura di tutti i teatri di Londra ma furono pubblicati solo nel 1609. I primi 126 sono indirizzati a un giovane uomo (secondo alcuni critici si tratterebbe del duca di Southampton). Gli altri sono indirizzati a una non identificata Dark Lady (donna bruna); attraverso la relazione tra il poeta e questa donna l'autore sviluppa nei suoi sonetti i temi più disparati dalla morte all'amicizia. Un esempio di questo secondo tipo di sonetto è quello di "My Mistress' Eyes are nothing like the Sun", nel quale l'autore sviluppa una polemica verso i poeti del genere petrarchesco, i quali amano una donna non reale, di cui con falsi paragoni vengono esagerati gli aspetti positivi. Questo è un esempio di come il poeta usi il tema dell'amore per sviluppare un tema diverso (quello della rappresentazione della realtà).

    Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Sonetti_di_Shakespeare"


    Sonetto 1

    Di esseri belli esigiamo un erede,
    Non morirà mai l’essenza di rosa,
    Se, quando al tempo maturando cede,
    Un tenero bocciolo al suolo posa;
    Ma se tu ti rimiri luminoso,
    La tua fiamma s’illumina da sola,
    Carestia su terreno rigoglioso,
    Tu stesso tuo nemico a te si immola.
    Ora tu sei del mondo il fresco gioiello,
    Unico araldo della primavera,
    Sotterri ciò che dentro te è più bello,
    Spreco avaro di ciò che di te è fiera.
    Pietà del mondo abbi, che non soccomba
    Ciò che devi al mondo nella tua tomba.


    Sonetto 2
    Quando quaranta inverni assedieranno la tua fronte
    e profonde trincee solcheranno il campo della tua bellezza,
    l'orgoglioso manto della gioventù, ora ammirato,
    sarà a brandelli, tenuto in nessun conto.
    Allora, se richiesto dove la tua bellezza giace,
    dove il tesoro dei tuoi gagliardi giorni,
    rispondere ch'essi s'adagiano infossati nei tuoi occhi
    per te vergogna bruciante sarebbe e ridicolo vanto.
    Quanta più lode meriterebbe la tua bellezza,
    se tu potessi replicare: "Questo mio bel bambino
    pareggia il conto e fa perdonare il passare degli anni",
    dando prova che la sua bellezza da te fu data.
    Sarebbe questo un sentirsi giovane quando sei vecchio,
    mirare il tuo sangue caldo quand'esso nelle tue vene e' freddo.


    Sonetto 18

    Dovrò paragonarti ad un giorno estivo?
    Tu sei più amabile e temperato:
    cari bocci scossi da vento eversivo
    e il nolo estivo presto è consumato.
    L’occhio del cielo è spesso troppo caldo
    e la sua faccia sovente s’oscura,
    e il Bello al Bello non è sempre saldo,
    per caso o per corso della natura.
    Ma la tua eterna Estate mai svanirà,
    né perderai la Bellezza ch’ora hai,
    né la Morte di averti si vanterà
    quando in questi versi eterni crescerai.
    Finché uomo respira o con occhio vedrà,
    fin lì vive Poesia che vita a te dà.





    Sonetto 20

    Volto di donna Natura ha dipinto
    Al re-regina della mia passione;
    Cuore gentile di donna ha respinto
    Ciò che false donne incostanti pone;
    Occhio più chiaro e meno falsa occhiata
    Che muta in oro ciò su cui si posa;
    Da forma di uomo ogni cosa è formata,
    Ruba occhio d’uomo e a donna anima sposa.
    Come donna in origine nascesti,
    Natura nel crearti subì emozione,
    Io privato da ciò che tu prendesti,
    Un’aggiunta che per me è sottrazione.
    Se ti eresse al femminile piacere
    Sia mio l’amare e per loro il godere.



    Sonetto 24

    Il mio occhio si è fatto pittore e ha fissato
    I tratti della tua bellezza nel quadro del mio cuore.
    Il mio corpo è la cornice in cui essa è racchiusa,
    e, in prospettiva, è la migliore arte del pittore:

    poiché attraverso il pittore devi vedere la sua abilità,
    per scoprire dove giace la tua vera immagine dipinta,
    che sempre è appesa nella fucina del mio petto,
    le cui finestre sono i tuoi occhi.

    Ora vedi quali buoni servizi hanno resto gli occhi agli occhi:
    i miei occhi hanno disegnato la tua figura, e i tuoi per me
    sono finestre sul mio petto, attraverso cui il sole
    si diletta a sbirciare per ammirarti.

    Ma gli occhi sono privi della capacità di dare grazia
    alla loro arte:
    essi ritraggono solo ciò che vedono, sono ignari
    del cuore.



    Sonetto 25

    Coloro che hanno le stelle favorevoli
    si vantino pure di pubblici onori e di magnifici titoli,
    mentre io, cui la fortuna nega un simile trionfo,
    gioisco, non visto, di ciò che più onoro.

    I favoriti dei grandi principi schiudono i loro bei petali
    come la calendula sotto l'occhio del sole,
    e in loro stessi il loro orgoglio giace sepolto,
    poiché, a un cipiglio, essi nella loro gloria muoiono.

    Il provato guerriero, famoso per le sue gesta,
    sconfitto che sia una volta pur dopo mille vittorie,
    è radiato per sempre dal libro dell'onore,
    e dimenticato è tutto ciò per cui si era impegnato.

    Allora felice io, che amo e sono riamato
    da chi non posso lasciare, né essere lasciato.



    Sonetto 27

    Stremato dalla fatica, mi affretto al mio letto,
    caro riposo per le membra stanche del cammino;
    ma allora inizia nella mia testa un altro viaggio,
    a stancar la mia mente quando il lavoro del corpo
    è ormai finito.

    Allora i miei pensieri, da lontano dove dimoro,
    volgono in pio pellegrinaggio a te,
    e tengono spalancate le mie palpebre pesanti,
    scrutando quelle tenebre che il cieco vede.

    Ma la vista immaginaria della mia anima
    presenta la tua ombra al mio sguardo spento,
    che, simile a un gioiello pendente nella notte oscura,
    rende belle la buia notte e nuova la sua vecchia faccia.

    Ecco, così di giorno le mie membra e di notte
    la mia mente
    per colpa tua e mia non trovano mai quiete.


    Sonetto 29
    Talora, venuto in odio alla Fortuna e agli uomini,
    Io piango solitario sul mio triste abbandono,
    E turbo il cielo sordo con le mie grida inani,
    E contemplo me stesso, e maledico la sorte,
    Agognandomi simile a tale più ricco di speranze,
    Di più belle fattezze, di numerosi amici,
    Invidiando l'ingegno di questi, il potere di un altro,
    Di quel che meglio è mio maggiormente scontento;
    Ma ecco che in tali pensieri quasi spregiando me stesso,
    La tua immagine appare, e allora muto stato,
    E quale lodola, al romper del giorno, si innalza
    Dalla terra cupa, lancio inni alle soglie del cielo:
    Poiché il ricordo del dolce tuo amore porta seco
    Tali ricchezze, che non vorrei scambiarle con un regno.



    Sonetto 36


    Lascia che ti confessi che dobbiamo restar due,
    pure se i nostri indivisi amori sono uno:
    così quelle macchie che su di me rimangono,
    senza il tuo aiuto, sopporterò da solo.

    Nei nostri due amori vi è un sol sentire,
    anche se nella nostre vite un rancore ci separa,
    che, pur non alterando l'unico effetto dell'amore,
    sottrae alla sua delizia dolci momenti.

    Non potrò più riconoscerti pubblicamente,
    nel timore che la mia colpa indegna ti rechi vergogna;
    né tu mi onorerai con aperta gentilezza,
    se non disonorando il tuo nome.

    Ma non farlo: io ti amo così tanto
    che, essendo tu mio, mia è la tua buona reputazione.





    Sonetto 37

    Come un vecchio padre prova gioia
    nel vedere il suo vivace figlio compiere giovani prodezze,
    così io, storpiato dal più feroce dispetto della Fortuna,
    trovo tutto il mio conforto nel tuo merito e nel tuo onore;

    poiché, se bellezza, nascita, o ricchezza o intelligenza,
    o una di tutte queste, o tutte, o più,
    a buon diritto risiedono in te,
    su tale abbondanza io innesto il mio amore.

    Allora non sono storpio, povero, né disprezzato,
    mentre quest'ombra fornisce tale sostanza
    che io nella tua dovizia mi sento appagato
    e vivo di una parte di tutta la tua gloria.

    Quel che vi è di meglio, quel meglio io desidero in te:
    ho questo desiderio; dieci volte allora beato me.



    Sonetto 41


    Quei graziosi torti che la libertà commette,
    quando talvolta sono lontano dal tuo cuore,
    alla tua bellezza e ai tuoi anni ben si addicono
    perché la tentazione ti segue sempre, ovunque tu sia.

    Gentile tu sei, e quindi da conquistare;
    bello tu sei, e dunque da assalire;
    e quando una donna corteggia, quale figlio di donna
    la lascerà amaramente finché non avrà prevalso?

    Ahimè! Ma tu potresti lasciare il mio posto,
    e trattenere la tua bellezza e la tua sbandata giovinezza,
    che ti conducono nella loro intemperanza a tal punto
    da essere costretto a infrangere una duplice fedeltà:

    quella di lei, attraendola con la tua bellezza,
    la tua, con la tua bellezza essendo sleale verso di me.



    Sonetto 43

    Più socchiudo gli occhi meglio essi vedono,
    poiché tutto il giorno osservano cose indegne;
    ma quando dormo, nei sogni essi vedono te,
    e, oscuramente luminosi, sono luminosamente
    diretti nel buio.

    E tu, la cui ombra rende lucenti le ombre,
    quale felice spettacolo formerebbe la forma
    della tua ombra
    al chiaro giorno con la tua luce molto più chiara,
    se a occhi ciechi la tua ombra splende così tanto!

    Come sarebbero beati gli occhi miei, io dico,
    guardandoti nel vivo giorno,
    se nella morta notte la tua bella vaga ombra
    nel sonno profondo appare a occhi spenti!

    Tutti i giorni sono notti finché no ti vedo,
    e le notti sono giorni splendenti quando i sogni
    ti mostrano a me.



    Sonetto 46

    Il mio occhio e il mio cuore sono in guerra mortale
    Su come dividere la conquista della tua visione:
    il mio occhio vorrebbe impedire al cuore la vista
    della tua immagine,
    il mio cuore, al mio occhio la libertà di quel diritto.

    Il mio cuore afferma che tu dimori in lui,
    scrigno mai violato da occhi cristallini,
    ma l'avversario nega tale asserto
    e afferma che in lui dimora il tuo grazioso aspetto.

    Per decidere su questo diritto, è insediata
    una giuria di pensieri, tutti vassalli del cuore,
    e col loro verdetto viene stabilito
    quanto spetta al chiaro occhio e la parte del caro cuore:

    così spetta all'occhio la tua parte esteriore,
    e diritto del mio cuore è il tuo amore profondo.



    Sonetto 47

    Tra il mio occhio e il mio cuore si è stretta un'alleanza,
    e ora ciascuno rende all'altro buoni favori:
    se il mio occhio anela a uno sguardo,
    o il cuore innamorato soffoca nei sospiri,

    allora l'occhio festeggia con l'immagine del mio amore,
    e al dipinto banchetto invita il mio cuore;
    un'altra volta il mio occhio è ospite del mio cuore
    e partecipa ai suoi pensieri d'amore.

    Così, o per la tua immagine o per il mio amore,
    tu, anche se lontano, sei sempre con me;
    poiché non puoi allontanarti oltre i miei pensieri,
    e io sono sempre con loro, e loro con te;

    oppure, se dormono, la vista della tua immagine
    risveglia il mio cuore per la delizia del cuore
    e dell'occhio.


    Sonetto 54

    Oh, quanto più leggiadra sembra la bellezza,
    per quel soave ornamento che virtù le dona!
    La rosa appare bella, ma ancor più bella la giudichiamo
    Per il dolce profumo che in essa vive.

    Le rose canine hanno un colore così intenso
    Come la profumata tinta delle rose,
    pendono da uguali spine e giocano lascive
    quando l'alito dell'estate schiude i loro ascosi boccioli:

    ma, poiché loro unica virtù è il mostrarsi,
    vivono non corteggiate e trascurate appassiscono,
    e solitarie muoiono. Non è così per le fragranti rose:
    dalla loro dolce morte vengono tratti soavissimi profumi.

    E così è per te, giovane grazioso e leggiadro,
    quando appassirà la tua virtù, la mia poesia la stillerà.

    Sonetto 55

    Non il marmo, né i monumenti d’oro
    vivranno più della potente rima;
    ma tu brillerai ancor più in questo coro
    che pietre private dal tempo in stima.
    Quando devasterà statue la guerra
    e le truppe distruggeranno i marmi,
    Marte, fuoco e spada, fallirà in terra
    a radere il tuo ricordo dai carmi.
    Contro i nemici oblio e pallida morte,
    avanzerai e troverai lode e posto
    in quelli dei tuoi posteri occhi e corte
    pagandone fino al Giudizio il costo.
    E finché esso non sarà sentenziato,
    tu vivrai qui, e negli occhi dell’amato.



    Sonetto 61

    Per tua volontà è che restano aperti
    i miei occhi dalla notte appesantiti?
    Ami irrompere nei miei sogni certi
    me irridendo con tuoi simili miti?
    Mandi il tuo spirito da te lontano
    per osservare me e tutto ciò che faccio,
    per scoprire vergogne e animo vano
    della tua gelosia più saldo laccio?
    Oh no, il tuo amore non è così vasto;
    è il mio amore a tener svegli i miei occhi,
    tenuto sveglio dal mio amore casto,
    a far sì che io tuo guardiano mi blocchi.
    Per te io veglio mentre tu vegli ovunque
    via da me, ma accanto ad altri comunque.

    Sonetto 78

    Ti ho invocato così spesso Musa
    ottenendo tal favore alla mia poesia,
    che ogni altra penna ha seguito il mio costume
    e diffonde i suoi versi in tuo servigio.

    I tuoi occhi che erudiron il muto a spiegare il canto
    E alla crassa ignoranza a volar sublime,
    hanno aggiunto penne alle ali dei sapienti
    e conferito doppia maestà alla grazia.

    Però sii maggiormente fiero di quanto io compongo
    Perché tua è l'ispirazione e da te è nata:
    nei versi altrui tu non migliori che lo stile

    e l'arte loro è favorita dalle tue dolci grazie.
    Per me tu solo sei tutta la mia arte
    Ed elevi a sapienza la mia rude ignoranza


    Sonetto 88

    Quando vorrai tenermi in poco conto,
    Giudicando eccessiva la mia stima,
    Con te contro di me sarà lo scontro,
    Avrai virtù, la verità ti opprima.
    E più conscio delle mie debolezze
    Di te, per te posso creare una storia,
    Di tutti i miei torti e mie nefandezze,
    E, perdendo me, comunque avrai gloria;
    Però anche io così sarò vittorioso,
    Perché, dedicandomi del tutto a te,
    Quello che per me riterrò doloso,
    Se è vantaggio per te, è pur doppio per me.
    Così forte è l’amore a cui appartengo,
    Che per te ogni mia resistenza spengo.





    Sonetto 105

    Non si chiami l’amor mio idolatria,
    né il mio amato si mostri come un Dio,
    pari vergando io lodi e poesie
    di questo e a quello, sempre a piacer mio.
    Gentile è l’amor mio oggi e domani,
    e pur costante in splendida eccellenza:
    sì il mio verso – costanza che rimane –
    l’uno esprimendo esclude differenza.
    ‘Bello, gentile e vero’ è il mio argomento,
    ‘bello, gentile e vero’, altro io cangiando,
    e in codesta varianza è ciò che invento,
    tre temi in uno, che un prodigio ostende.
    ‘Bello’, ‘gentile’ e ‘vero’ spesso soli
    vissero, mai tre insieme in uno solo.

    Sonetto 109

    No, non dire mai che il mio cuore è stato falso
    Anche se l'assenza sembrò ridurre la mia fiamma;
    come non è facil ch'io mi stacchi da me stesso,
    così è della mia anima che vive nel tuo petto:

    quello è il rifugio mio d'amore; se ho vagato
    come chi viaggia, io di nuovo lì ritorno
    fedelmente puntuale, non mutato dagli eventi,
    tanto ch'io stesso porto acqua alle mie colpe.

    Non credere mai, pur se in me regnassero
    tutte le debolezze che insidiano la carne,
    ch'io mi possa macchiare in modo tanto assurdo
    da perdere per niente la somma dei tuoi pregi:
    perché niente io chiamo questo immenso universo
    tranne te, mia rosa; in esso tu sei il mio tutto.




    Sonetto 116

    Non che all’unione di animi costanti
    ponga io impedimenti: non è amor vero
    quel che ai mutamenti muta i manti
    o s’immiserisce se l’altro è misero.
    Oh no, no esso è un faro per sempre fisso
    sulle tempeste, ma mai ne è turbato;
    stella polare è per chi è nell’abisso,
    e il suo valore è ignoto anche se stimato.
    L’Amore non è del Tempo il buffone,
    a dispetto della sua letale falce;
    l’amore ai suoi brevi momenti s’oppone
    resistendo fin al Giudizio iscritto in calce.
    Se questo fosse errore e sia provato,
    non ho io mai scritto e nessuno ha mai amato.




    Sonetto 122

    Il dono tuo, il quaderno, è dentro la mia mente
    scritto tutto in memoria imperitura,
    che assai più durerà di quelle vuote pagine,
    oltre ogni termine, fino all'eternità.

    O almeno fino a che la mente e il cuore
    avranno da natura la facoltà di esistere,
    finché al labile oblio non daran la lor parte
    di te, il tuo ricordo non potrà cancellarsi;

    quei miseri appunti non potrebbero tanto contenere
    né mi occorre un registro per segnare il tuo amore;
    per questo ho osato dar via il tuo quaderno,

    fidando invece in quello che meglio ti riceve.
    Il tenere un qualcosa che serva a ricordarti
    equivarrebbe a ammettere ch'io so dimenticarti.




    Sonetto 128

    Spesso, se tu, mia musica, eseguendo
    musica al legno tuo celeste, accordi
    le tue dita leggere, se addolcendo
    l’unisono inebriante delle corde,
    i miei sensi confondi, al tuo strumento
    io porto invidia, che agile si tende
    a baciar le tue mani, e luce ed onta
    a quel suo ardire sul mio labbro infonde.
    Così ti disfiorassi, trasmutando
    in cembalo danzante, il fuggitivo
    gioco delle tue dita dispensando
    gioia più a un legno che a due labbra vive.
    Felice e impertinente, lui pur s’abbia
    a baciar le tue mani, io le tue labbra.





    Sonetto 129

    E’ spreco di spirito in triste scempio
    la lussuria in atto e fintanto che lo è
    di spergiuro, assassinio, sangue è esempio,
    selvaggia, infida, brutale ed empia essa è;
    appena goduta, subito odiata;
    rincorsa senza senso, ma raggiunta
    odiata senza senso, esca ingoiata
    per rendere la ragione defunta;
    folle sia a cacciare che a possedere;
    avendo, avendo avuto e volendo avere,
    gioia alla prova, ma provata penosa,
    prima una festa, poi sognata cosa.
    Tutto ciò il mondo lo sa, ma nessuno sa
    evitar la via che fra Cielo e Inferno sta.



    Sonetto 133

    Maledico quel cuore che ferisce
    profondamente sia me che il mio amico!
    Perché non le basta il mio, ma incattivisce
    nel rendere schiavo anche il mio amico?
    Ma a me stesso il tuo perfido occhio hai tolto
    e l’altro me stesso hai presto catturato;
    da lui, da te e me sono ormai distolto:
    tre volte tre frustrato e tormentato.
    Cattura il mio cuore nella tua cella,
    perché possa riscattare il mio amico;
    sarò del suo il custode, ma di quella
    non avrai potere, è questo che ti dico.
    Però ci riuscirai perché io chiuso in te
    sono per forza tuo, ed è tuo ciò che è in me.

    Sonetto 140

    Sii saggia quanto sei crudele, non pressar
    la mia muta pazienza col tuo continuo sdegno
    affinché il dolore non mi presti verbo e dica
    il perché della mia amara pena.

    Se potessi insegnarti un po' d'acume, ti converrebbe
    amore, dirmi che mi ami, anche se non vero;
    come a malati tremanti ormai prossimi alla fine,
    vengon dette dai medici sol parole di speranza.

    Perché se disperassi, senz'altro impazzirei
    e nelle mia follia di te potrei dir male;
    questo deviato mondo è oggi così perverso
    che i più pazzi maldicenti trovan sempre ascolto.
    Perché io non sia creduto, né tu sia calunniata,
    ferma il tuo sguardo pur se il tuo cuore assente.



    Sonetto 154

    Un dì che il piccol dio d'Amore addormentato
    avea deposto accanto la torcia che i cuori infiamma,
    parecchie ninfe che a castità s'eran votate
    s'accostarono danzando; con virginea mano

    la più bella delle caste s'impossessò del fuoco
    che tante legioni di puri cuori avea scaldato;
    e così il gran sovrano di passioni ardenti
    fu mentre dormiva da vergin mano disarmato.

    Ella spense la torcia in una vicina fredda fonte
    che dal fuoco dell'Amore prese perpetuo ardore,
    diventando un bagno e salutar rimedio
    per uomini malati; ma io, della mia donna schiavo

    là per guarire andai e solo questo posso dire:
    fuoco d'Amor acqua riscalda, acqua non raffredda Amore.

    shakespeare



    Aforismi

    Il saggio sa di essere stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio.

    Ma io sono costante come la stella polare, che per il suo esser fedele, fissa e inamovibile non ha pari nel firmamento.

    C'è una storia nella vita di tutti gli uomini.

    Nel mondo io sono come una goccia d'acqua che cerca un'altra goccia nell'oceano e che vi si lascia cadere per trovar la sua compagna e innavertita e curiosa vi si perde...

    Si dice che muore giovane chi è tanto giovane e saggio.

    Vivi per essere la meraviglia e l'ammirazione del tuo tempo.

    Ama tutti, credi a pochi e non far del male a nessuno.

    Quando vediamo uomini a noi superiori che sopportano gli stessi nostri mali, non possiamo quasi più considerare nostre nemiche le nostre miserie. Chi soffre solo, soffre soprattutto nell'animo, lasciandosi alle spalle immagini di felicità e di gioia; ma lo spirito può sopportare molti dolori, quando si hanno compagni nel sopportare la nostra pena.

    La chiarezza non viene mai se non con l'azione.

    E chi muore senza portare nella tomba almeno una pedata ricevuta in dono da un qualche vecchio amico?

    Sì, tutte le nostre gioie sono vane, ma ancor più vane sono quelle che, comprate col dolore, ereditano il dolore.



    Come arrivano lontano i raggi di una piccola candela, così splende una buona azione in un mondo malvagio.

    Ride delle cicatrici d'amore, chi non ha mai provato una ferita.

    Bisogna guardarsi bene dal concepire un'opinione molto buona delle persone di nuova conoscenza; altrimenti nella maggior parte dei casi si rimarrà delusi con proprio scorno o magari danno.

    I nostri dubbi sono dei traditori che ci fanno spesso perdere quei beni che pur potremmo ottenere, soltanto perchè non abbiamo il coraggio di tentare.

    La gloria è simile a un cerchio d'acqua che non smette mai di allargarsi, fino a che si disperde in un nulla
    Non mangia che colombe l'amore, e ciò genera sangue caldo, e il sangue caldo genera caldi pensieri e i caldi pensieri generano calde azioni, e le calde azioni sono l'amore.

    La colpa è così piena d'ingenua gelosia che si versa da sola per timore d'essere versata.

    Tutti gli uomini sanno dare consigli e conforto al dolore che non provano.

    Quel che amore tracciò in silenzio, accoglilo, che udir con gli occhi è finezza d'amore.

    Un uomo può pescare con il verme che ha mangiato un re e mangiare il pesce che ha mangiato quel verme.

    Son sicuro che l'afflizione è nemica della vita.

    L'uomo che non ha alcuna musica dentro di sé, che non si sente commuovere dall'armonia di dolci suoni, è nato per il tradimento, per gli inganni, per le rapine. I motivi del suo animo sono foschi come la notte: i suoi appetiti neri come l'erebo. Non vi fidate di un siffatto uomo. Ascoltate la musica.

    L'amore è un faro che è fisso e sovrasta la tempesta.

    Il nostro corpo è un giardino di cui è giardiniere la nostra volontà.

    Che ogni occhio negozi per se stesso e non fidi in agente alcuno.

    Com'è amaro guardare la felicità attraverso gli occhi di un altro!

    La terra ha musica per coloro che ascoltano.

    Un amore crollato, ricostruito, cresce forte, leggiadro, grande più di prima.



    Cosa c'è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo.

    Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?

    La virtù è ardita e la bontà non ha mai paura.

    Ma Amore è cieco e gli amanti non vedono le dolci follie che commettono.

    Il dolore infierisce proprio là dove si accorge che non è sopportato con fermezza. Poichè il ringhioso dolore ha meno forza di mordere l'uomo che lo irride e lo tratta con disprezzo.

    È davvero un buon padre quello che conosce suo figlio.

    Le cose più dolci, una volta che diventano ordinarie, perdono il loro delizioso piacere.

    Se non ricordi che Amore t'abbia mai fatto commettere la più piccola follia, allora non hai amato.

    Ho sciupato il tempo, e ora il tempo sciupa me.

    Non è nelle stelle che è conservato il nostro destino, ma in noi stessi.

    Procura che la tua amata sia più giovane di te, o il tuo affetto per lei non durerà.

    Non dar voce ai tuoi pensieri, né atto ad alcuna idea non ponderata.

    Agganciali stretti, con anelli d'acciaio, gli amici già messi alla prova, ma non ti ammollire le palme con pulcini di nuova covata.

    Fa di non cercar lite! Ma se ti accade di entrarci, vedi che il tuo avversario debba guardarsi da te.

    Porta abiti di pregio, ma nei limiti della tua borsa, ricchi, non stravaganti; perché il vestito spesso rivela l'uomo, e in Francia gli uomini che più contano sono meticolosi e attenti soprattutto in questo.

    Presta a tutti il tuo orecchio, a pochi la tua voce.

    Quegli amici che hai e la cui amicizia hai messo alla prova, aggrappali alla tua anima con uncini d'acciaio.

    Non si è mai vista bella donna che non facesse smorfie davanti a uno specchio.

    Amore guarda non con gli occhi ma con l´anima e perciò l'alato Cupido viene dipinto cieco.



    Quanto è più crudele del morso di un serpente l'ingratitudine di un figlio.

    Dolce è l'alba che illumina gli amanti.

    Non temere la grandezza: alcuni sono nati grandi, alcuni raggiungono la grandezza e altri hanno fede nella grandezza.

    L'amicizia è fedele in tutto, tranne che nei servigi e nelle faccende d'amore.

    Dagli occhi delle donne derivo la mia dottrina: essi brillano ancora del vero fuoco di Prometeo, sono i libri, le arti, le accademie, che mostrano, contengono e nutrono il mondo.

    La fortuna guida dentro il porto anche navi senza pilota.

    Oh! guardati, mio signore, dalla gelosia: è il mostro dagli occhi verdi che schernisce la carne di cui si nutre.

    Chi non ha denaro, mezzi e pace, manca di tre buoni amici.

    Non indebitarti e non prestare soldi, perché chi presta perde sè e l'amico, e il debito smussa il filo dell'economia.

    E infine sii fedele a te stesso; dal che deve seguire, come la notte al giorno, che tu non potrai esser falso con nessuno.

    Nessuno ammira la celerità più dei negligenti.

    Il senno si affida molto al passar del tempo.

    O cielo! Se solo l'uomo fosse costante, sarebbe perfetto.

    Sappiamo chi noi siamo, ma non sappiamo cosa potremmo essere.

    Chi sta in alto è soggetto a molti fulmini, e quando infine cade si sfracella.

    Inezie più lievi dell'aria sono per un uomo geloso prove più certe delle sacre scritture.

    La morte, questo fiero sergente, è severa nella sua custodia.

    Oh! E' eccellente avere la forza d'un gigante, ma è tirannico usarla come un gigante.



    Non c'é nulla che sia buono o cattivo: a renderlo tale è il pensiero.

    Attraverso le vesti stracciate si mostrano i vizi minori: gli abiti da cerimonia e le pellicce li nascondono tutti.

    La ricchezza del mio cuore è infinita come il mare, così profondo il mio amore: più te ne do, più ne ho, perché entrambi sono infiniti.

    Fragilità il tuo nome è donna.

    Piangere un guaio ormai passato è il modo migliore per tirarsene addosso un altro.

    Un vero amore non sa parlare.

    L'azione è più rara nella virtù che nella vendetta.

    Basta una stilla di male per gettare un'ombra infamante su qualunque virtù.

    Beh, chiunque può sopportare un dolore tranne chi ce l'ha. Spesso dalle intenzioni sue l'uomo è sviato. Tutti i nostri propositi dipendono dalla memoria: se nascendo quindi sono robusti, poi si indeboliscono. Acerbo il frutto sta ben saldo al ramo; maturo, da sé cade, senza scuoterlo.

    Possiamo chiudere con il passato, ma il passato non chiude con noi.

    Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita.

    La vita è solo un'ombra che cammina, un povero attorello sussiegoso che si dimena sopra un palcoscenico per il tempo assegnato alla sua parte, e poi di lui nessuno udrà più nulla.

    Quando non c'è più rimedio è inutile addolorarsi, perché si vede ormai il peggio che prima era attaccato alla speranza. Piangere sopra un male passato è il mezzo più sicuro per attirarsi nuovi mali. Quando la fortuna toglie ciò che non può essere conservato, bisogna avere pazienza: essa muta in burla la sua offesa. Il derubato che sorride, ruba qualcosa al ladro, ma chi piange per un dolore vano, ruba qualcosa a se stesso.

    Qui sta la stoltezza della gente: quando la nostra fortuna vacilla,per lo più a causa della nostra condotta da ghiottoni, diamo la colpa dei nostri disastri al sole, alla luna, alle stelle...

    L'amore può dar forma e dignità a cose basse e vili, e senza pregio; ché non per gli occhi Amore guarda il mondo, ma per sua propria rappresentazione, ed è per ciò che l’alato Cupido viene dipinto col volto bendato.

    Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d’avere il suo profumo se la chiamassimo con altro nome.

    Accogli sempre l'opinione altrui, ma pensa a modo tuo.

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    Edited by Oceanya - 16/5/2013, 18:13
     
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    Drammi storici



    riccardo
    Riccardo III (1592-1593)
    Riccardo, erede deforme della dinastia dei Lancaster, aspira al trono d’Inghilterra. Per ottenerlo non esita a mettere in atto ogni abominio che la sua mente avida di potere gli suggerisce, in un bailamme di orridi delitti familiari che esaltano la crudeltà dell’essere umano ai danni della Coscienza.
    Nei cinque atti della tragedia, infatti, si assiste all’ascesa di quest' uomo che, passando sopra i cadaveri di tutti coloro che lo separano dalla corona, diventa re d’Inghilterra. Riccardo usurpa la corona uccidendo i due figli di suo fratello Edoardo. Il corpo deforme di Riccardo corrisponde alla perversione della sua anima, ma la sua franchezza disarmante e la sua diabolica abilità non hanno mai mancato di attirare il pubblico.Quasi immediatamente dopo l'incoronazione, comunque, la sua personalità e le sue azioni prendono una piega oscura. Per la prima metà della commedia, lo vediamo come una sorta di anti eroe, che provoca violenza e si compiace per questo. Dopo, invece, egli tradisce il fedele Buckingham, e cade vittima dell'insicurezza; ora egli vede ombre dove non ve ne sono e il suo destino che verrà. Infatti muore poco tempo dopo nella battaglia di Bosworth da Enrico, duca di Richmond, che diventa Enrico VII, primo re Tudor e nonno di Elisabetta I. La sanguinosissima missione di Riccardo è una piccola parte dell’ingranaggio gigantesco della Storia che si esplica attraverso un geniale prodotto della bestialità umana: il Potere. Ogni personaggio diventa metafora di popoli e nazioni, un uomo si trasforma in un esercito, mentre in ogni tradimento di Riccardo, in ogni sua temporanea conquista, si riscoprono le guerre, le persecuzioni, gli abomini del passato e del presente.

    Enrico V (1598-99)


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    Essendo state respinte dal Delfino le sue richieste, Enrico V d'Inghilterra scende in Francia con un forte esercito e batte ripetutamente i francesi; ma la lotta ha decimato e prostrato le truppe inglesi, che sono ormai alla mercè del nemico, ancora forte. Shakespeare mette in scena, accanto alla guerra "epica" delle sonanti disfide e delle bandiere al vento, quella degli uomini costretti a farla: fango e pioggia, fame e fatica, attese snervanti, spreco insensato, miseria e squallore. Dopo una notte insonne, passata a interrogare i suoi soldati e a ragionare con loro, Enrico decide d'attaccare le truppe francesi numericamente preponderanti e riporta ancora la vittoria. Divenuto Reggente di Francia in base al trattato di Troyes, Enrico sposa Caterina, la bellissima figlia di Carlo VI, della quale s'è invaghito.

    Enrico IV, in due parti (1597-98)



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    Enrico IV è un dramma storico diviso in due parti, ciascuna in cinque atti. Le due parti raccontano, in forma teatrale, della storia d’Inghilterra tra il 1399 e il 1413, le date che aprono e chiudono il regno di Enrico Bolingbroke, successo al cugino Riccardo II Plantageneto. Protagonista, accanto al padre re, è il figlio primogenito Enrico, principe di Galles, il futuro Enrico V, la cui ascensione al trono del padre è preceduta da una giovinezza scapestrata trascorsa in compagnia di strani personaggi, autori d’ogni specie di malefatte ai danni dei sudditi di sua maestà; da questi trascorsi il principe si ravvedrà e riscatterà, dimostrandosi idoneo ad assumere, alla morte del padre, quel ruolo di sovrano saggio e valoroso nel quale è entrato nella storia d’Inghilterra.
    Enrico IV è un usurpatore. Figlio di Giovanni di Gaunt, quartogenito di re Edoardo III, s’è impadronito del trono dopo aver deposto suo cugino Riccardo II Plantageneto. Le vicende di questa usurpazione Shakespeare aveva già cantate nel Riccardo II, di cui le due parti dell’Enrico IV sono pertanto la prosecuzione. Il tormentato regno di questo re usurpatore aprirà la dinastia dei Lancaster sul trono d’Inghilterra e sarà contrassegnato, sul piano nazionale, dalle rivolte dei nobili del Galles e di Scozia, e sul piano familiare dall’amarezza del re per la giovinezza scapigliata e dissoluta del primogenito ed erede, Enrico, denominato nel dramma coi vezzeggiativi “Harry” e “Hal”.
    Terzo protagonista dei due Enrico IV è il corpulento compagno d’imprese birbonesche del giovane Harry, Sir John Falstaff, la cui vicenda fa da sottotrama, a mo’ di contrappunto, a quella principale: un personaggio la cui comicità - la meglio riuscita di tutto il teatro shakespeariano - piacerà tanto alla regina Elisabetta, da indurla a chiedere a Shakespeare di farlo ancora rivivere sulle scene mostrandolo, per giunta, innamorato cavalier galante: e sarà il Sir John Falstaff delle Allegre comari di Windsor.
    Il dramma si apre nel 1402, terzo anno di regno di Enrico IV. L’Inghilterra è impegnata militarmente su due fronti: coi ribelli gallesi ad ovest, con gli scozzesi a nord. Contro questi ultimi sta combattendo, alla testa delle forze regie, Enrico Percy, il giovane figlio del duca di Northumberland, soprannominato “Sperone ardente” (“Hotspur”) per la sua irruenza negli assalti a cavallo. Un messaggero annuncia la sua vittoria sugli scozzesi (ottobre 1402) con la cattura di molti importanti prigionieri. Per contro, sul fronte gallese le truppe regie hanno subito una severa disfatta; (l’episodio è avvenuto qualche mese prima, ma Shakespeare lo fa apparire come contemporaneo al primo perché ciò gli serve per introdurre nel dramma - e giustificarlo - il rinvio di una spedizione in Terrasanta che Enrico avrebbe voluto fare in espiazione delle colpe di cui si sente responsabile per aver usurpato il regno a Riccardo II dopo averne provocato la morte in prigione.
    Con la vittoria sui ribelli gallesi, “Sperone ardente” ha catturato prigioneri diversi nobili. Il re li reclama per sé, ma “Sperone ardente” rifiuta di darglieli. Questo sarà motivo di rottura tra re Enrico e i Percy, padre e figlio, i quali, per ripicca, alleati ad altri nobili, passeranno a combattere il re a fianco degli scozzesi. I due eserciti si scontreranno a Shrewsbury, dove “Sperone ardente” sarà ucciso in duello dal giovane principe di Galles; e con questo episodio, che annuncia il ravvedimento del giovane Enrico e il riscatto dei suoi dubbi trascorsi si chiude questa prima parte dell’Enrico IV.
    Anche nella seconda parte Shakespeare s’ispira, nella narrazione dei fatti, alle “Cronache” dell’Holinshead, ai “Quattro libri delle guerre civili” di Samuel Daniel ed altre fonti, ma vi aggiunge di suo una cospicua parte di materiale non-storico; com’è già in apertura del dramma il falso annuncio della vittoria dei ribelli contro il re a Shrewsbury; dove invece hanno prevalso le forze regie e dove il principe Enrico s’è tanto distinto per valore (ha ucciso, tra l’altro, in duello, Harry Percy “Sperone ardente” da far dire al re, suo padre, che ha riscattato così tutti i suoi colpevoli trascorsi.
    Il giovane principe, tuttavia, in apertura del dramma, sembra tornato alla sua vita scapigliata e alla solita mala compagnia; e sarà questo nuovo motivo di amarezza per suo padre, già premuto e angustiato da una nuova rivolta di nobili, capeggiata dal padre del caduto “Sperone ardente”, il vecchio conte di Northumberland, l’Arcivescovo di York, e i Lords Hastings e Mowbray.
    Il rapporto padre-figlio, su cui ruota la vicenda “personale” del dramma, ha la sua scena-madre nel momento in cui il giovane Enrico al capezzale del re, uomo ormai malato, esacerbato dal rimorso, lo crede morto, gli sottrae la corona e se la porta via per provarsela sul capo; ma il re si sveglia e dopo aver a lungo rimproverato il figlio, ne accetta le sincere dichiarazioni di amore e di lealtà filiale, e, come parlando al suo successore, gli dà una serie di consigli; gli ricorda le vie traverse per le quali egli stesso ha ottenuto la corona e gli suggerisce la politica da seguire per regnare: e cioè portare la guerra all’esterno, per proteggersi dall’insorgere di guerre civili all’interno. È l’annuncio delle vittoriose campagne di Francia del futuro Enrico V.

    Enrico VIII (1612-1613)


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    È l'ultimo lavoro teatrale di Shakespeare. L'azione è ambientata a Londra, Westminster e Kimbolton. Narra le vicende storiche del ripudio della regina Caterina d'Aragona da parte di Enrico VIII; l'allontanamento di Caterina dalla corte (in parte per gli intrighi del cardinale-ministro Thomas Wolsey, che si vendica di lei per non aver ottenuto l'arcivescovado di Toledo, non essendo Caterina intervenuta in suo favore presso l'imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V, già Carlo I di Spagna); l'incoronazione di Anna Bolena a regina d'Inghilterra. Dopo numerosi avvenimenti tragici, la nascita della figlia Elisabetta e il suo battesimo concludono l'opera con un'atmosfera di serenità e di speranza.
    Accanto alla vicenda principale, sono rappresentati i drammi del duca di Buckingham (condannato a morte per gli intrighi del cardinale Wolsey) e del cardinale Wolsey (privato di tutti gli incarichi e di tutti i beni, e sostituito da Tommaso Moro nella carica di ministro, per aver scritto al papa di bloccare l'istanza di divorzio di Enrico VIII). L'autore mostra una particolare attenzione al dramma degli sconfitti della storia (duca di Buckingham, Caterina, Wolsey) ed è magnanimo nel far risaltare i loro meriti. Del resto, Shakespeare conosce gli alti e bassi della storia: quando scriveva, Tommaso Moro era stato giustiziato (1535) per avere rifiutato la ratifica del divorzio del re e la ribellione all'autorità del papa. Anche Wolsey si riscatta nella caduta, riconoscendo umilmente la "vana pompa e gloria di questo mondo", avendo ritrovato "una pace interiore che supera tutte le dignità della terra".

    Enrico VI, in tre parti (1590-92)


    881158581-3
    È la prima delle tragedie storiche scritte da Shakespeare. L'opera è composta di tre diverse tragedie, denominate Parte I (5 atti ambientati in parte in Inghilterra e in parte in Francia), Parte II (5 atti ambientati in diversi luoghi dell'Inghilterra) e Parte III (5 atti ambientati in parte in Inghilterra e in parte in Francia). Il periodo storico abbracciato complessivamente va dal 1422 al 1471, cioè dall'inizio del regno di Enrico VI alla sua morte. Simbolicamente, l'opera inizia con la cerimonia funebre di Enrico V, abbraccia un periodo tra i più agitati della storia inglese, che vede lo scoppio della guerra civile detta guerra delle due rose (dalle insegne araldiche delle due casate: rosa rossa dei Lancaster, rosa bianca degli York) e si conclude con la morte di Enrico VI, ma con già definito il progetto di pacificazione nazionale, che sarà attuato dal successore Enrico VII Tudor, il quale, sposando una York unirà la rosa bianca alla rosa rossa
    .Nell'Enrico VI viene messo in scena un giovane re inadeguato al ruolo, bigotto, pieno di scrupoli e del tutto incapace di confrontarsi con la corruzione e le molte trame della sua corte, dove fazioni di nobili congiurano, con sistemi perfettamente identici a quelli della commissione Mitrokhin, per assicurarsi la successione

    Riccardo II (1595)



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    Riccardo II è un debole e fragile sovrano, che desidera essere all'altezza del suo ruolo di uomo politico che deve saper essere duro e deciso quando occorre, ma che non vi riesce. Il suo scontro con Enrico di Bolingbroke, figlio di Giovanni di Gand, finisce con la sconfitta e la deposizione. Riccardo II è rinchiuso nel castello di Pomfret e lì, nelle segrete, assassinato. Enrico di Bolingbroke si fa proclamare re col nome di Enrico IV e viene accolto trionfalmente dal popolo di Londra.

    Re Giovanni (1596-97)



    88-541-0090-0



    Re Giovanni, che riprende una vicenda degli inizi del Duecento, è il dramma dell’ambiguità irrisolta, dalla struttura sorprendentemente compatta e asciutta, in cui si contrappongono le figure opposte del re, perennemente in contraddizione con se stesso, incerto e insicuro, e di Enrico V, incarnazione dell’ideale eroico inglese. Causa della rovina del re, come di tanti altri potenti, sarà il suo asservimento all’interesse, «molla dell’universo», che trascinerà nella drammatica corrente del destino collettivo le diverse tragedie individuali, come quella del principe Arturo, la vittima innocente, l’immagine della giovinezza pura, estranea agli intrighi e alle miserie che la circondano e che, nonostante ciò, verrà coinvolta nella rovina finale. Qui, forse più che nelle altre Storie inglesi, si avverte l’intento di far emergere dalla Storia i drammi personali dei protagonisti e di coloro che li accompagnano, con la lucidità e la durezza di chi è arrivato ad essere scettico sulla giustezza e provvidenzialità dell’alternarsi delle fortune e sfortune dei suoi personaggi.

    Edited by Oceanya - 18/4/2013, 18:14
     
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  3. Oceanya
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    Quando non c'è più rimedio è inutile addolorarsi, perché si vede ormai il peggio che prima era attaccato alla speranza. Piangere sopra un male passato è il mezzo più sicuro per attirarsi nuovi mali. Quando la fortuna toglie ciò che non può essere conservato, bisogna avere pazienza: essa muta in burla la sua offesa. Il derubato che sorride, ruba qualcosa al ladro, ma chi piange per un dolore vano, ruba qualcosa a se stesso.


    William Shakespeare

    dal libro "Il mercante di Venezia
     
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  4. Oceanya
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    Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato ama il tuo peccato e sarai innocente.


    Se è un peccato essere avido di onore, allora sarò l'anima più peccatrice di questo mondo


    Se per baciarti dovessi poi andare all'inferno, lo farei. Così potrò poi vantarmi con i diavoli di aver visto il paradiso senza mai entrarci.
     
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    Le frasi e gli Aforismi di William Shakespeare

    Chiedilo ancora, e non appena l'avrai chiesto, questa mia stessa mano, che per amor tuo già uccise il tuo amore, ucciderà, per amor tuo, un amore di gran lunga più vero: e tu sarai complice, in tal modo, della morte di entrambi.
    [William Shakespeare]

    Sono sempre felice. Sapete il perché? Perché non mi aspetto niente da nessuno. Le aspettative feriscono sempre.
    [William Shakespeare]

    La dolcezza divenuta ordinaria perde il suo grato calore.
    [William Shakespeare]

    Se tutto l'anno fosse fatto di allegre vacanze, divertirsi sarebbe più noioso del lavorare.
    [William Shakespeare]

    Non mangia che colombe l'amore, e ciò genera sangue caldo, e il sangue caldo genera caldi pensieri e i caldi pensieri generano calde azioni, e le calde azioni sono l'amore.
    [William Shakespeare]

    Romeo: "io giuro il mio amore sulla luna." Giulietta: "Non giurare sulla luna, questa incostante che muta di faccia ogni mese, nel suo rotondo andare!"
    [William Shakespeare]

    Se è un peccato essere avido di onore, allora sarò l'anima più peccatrice di questo mondo
    [William Shakespeare]

    Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato ama il tuo peccato e sarai innocente.
    [William Shakespeare]

    Non ammetterò impedimenti al matrimonio di due menti sincere. L'amore non è amore se si altera di fronte a degli ostacoli. Oh no, è un punto fissato per sempre che osserva le tempeste e non ne è mai scosso. È la stella cui si riferisce ogni barca alla deriva.
    [William Shakespeare]

    Se per baciarti dovessi poi andare all'inferno, lo farei. Così potrò poi vantarmi con i diavoli di aver visto il paradiso senza mai entrarci.
    [William Shakespeare]

    Quando non c'è più rimedio è inutile addolorarsi, perché si vede ormai il peggio che prima era attaccato alla speranza. Piangere sopra un male passato è il mezzo più sicuro per attirarsi nuovi mali. Quando la fortuna toglie ciò che non può essere conservato, bisogna avere pazienza: essa muta in burla la sua offesa. Il derubato che sorride, ruba qualcosa al ladro, ma chi piange per un dolore vano, ruba qualcosa a se stesso.
    [William Shakespeare]

    Nulla è buono o malvagio in sé, è il pensiero che lo rende tale.
    [William Shakespeare]

    Il corpo è come un giardino, e la mente è il suo giardiniere. Sta a noi decidere se in esso piantarvi orchidee o lattuga.
    [William Shakespeare]

    Beh, chiunque può sopportare un dolore tranne chi ce l'ha.
    [William Shakespeare]

    Succeda quel che succeda, i giorni brutti passano, esattamente come tutti gli altri.
    [William Shakespeare]
     
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  6. Federica Grisaffi
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    wow,non hai badato a mezzi termini, grazie per tutte queste informazioni sull'eterno bardo!
     
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    viva gli uomini che si radono e le loro ammiratrici

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    Davvero molto interessante
     
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