Nymphomaniac L’erotismo di una donna a caccia di piaceri torbidi nelle stagioni della vita

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    L’erotismo di una donna a caccia di piaceri torbidi nelle stagioni della vita
    Dina D’Isa L’inizio del film «Nymphomaniac» è di quelli che non si dimenticano, tra buio, neve e il metal tedesco dei Rammstein. Lars Von Trier porta (anche) nelle sale italiane un’opera ciclopica,...


    L’inizio del film «Nymphomaniac» è di quelli che non si dimenticano, tra buio, neve e il metal tedesco dei Rammstein. Lars Von Trier porta (anche) nelle sale italiane un’opera ciclopica, più di cinque ore nella versione incensurata e quattro ore in quella in arrivo nelle sale, divisa in due volumi.
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    La storia erotica e poetica di Joe porta in scena i tormenti e le esperienze di una ninfomane, che si racconta ricordando il suo passato al vecchio e saggio professor Seligman (Stellan Skarsgård). Tutto inizia in una gelida sera d’inverno, quando il professore trova Joe in un vicolo, tumefatta e ferita, dopo che è stata picchiata. La porta a casa per curarla e le chiede di raccontargli la sua storia. Joe comincia, lentamente, ad aprirsi e divide il suo passato in 8 capitoli, che riassumono la sua vita, piena di incontri e di avvenimenti. Fin da quando appena adolescente, con la sua esperta amica, viaggiava su un treno, scommettendo su quanti uomini sarebbe riuscita a sedurre in una competizione femminile che alla vincitrice davain premio una deliziosa busta di cioccolatini. «Nymphomaniac» chiude così la trilogia sulla depressione che Von Trier aveva iniziato con «Antichrist» (prima) e «Melancholia» (dopo).

    Il film non sconfina mai nella pornografia, pur mettendo in scena sesso esplicito e immagini hard, realizzate con le controfigure di porno-attori. Il regista danese realizza così quella sua vecchia teoria che espose sul cinema pornografico, constatando come fosse il genere girato più brutto, ma anche quello più visto. Per questo, aprì una casa di produzione, per realizzare porno "di qualità" e convocò studiose della sessualità per elaborare un "dogma" su ciò che potesse essere mostrato esplicitamente in un film senza però umiliare (nella visione) la sensibilità delle donne.

    «Nymphomaniac» nell’ottica del regista, diventa una riflessione sulla sessualità, che fonde Eros e Thanatos, psiche e istinto. Non è quindi un inno alla trasgressione, ma piuttosto un’esplicita dichiarazione d’amore all’immaginario femminile, mai raccontato prima d’ora con queste note, stravaganti e smisurate, eppure toccanti. La ricerca dell’armonia (mai trovata) sembra essere un’ossessione dell’autore, quasi a sottolineare la precarietà dell’esistenza e dei rapporti sentimentali.

    Tra ironia, amarezza e sesso spinto, il film (pur nella sua esagerata durata) non annoia mai. Una delle punte più alte è senza dubbio il monologo di Uma Thurman nel capitolo «La Signora H», nel ruolo della moglie tradita, che cercherà di far capire (invano) a Joe che ogni sua azione ha una conseguenza.

    L’anticonformista danese, figlio di genitori comunisti, atei e nudisti, a due anni da «Melancholia» e a quattro da «Antichrist», conduce gli spettatori nell’intimità erotica e spregiudicata di una ninfomane, interpretata da giovane dall’inglese Stacy Martin e in età adulta da un’intensa Charlotte Gainsbourg, affiancata da attori del calibro di Shia LaBeouf, Jamie Bell, Uma Thurman, Christian Slater e Willem Dafoe. E mentre la trasgressiva Joe sussurra la sua bulimia sessuale, il professor Seligman si cimenta in paragoni alti: dalla pesca con la mosca alla polifonia bachiana, al parallelo tra la perdita della verginità dell’adolesecente Joe (impegnata, con tanto di treccine, in 3 penetrazioni frontali + 5 anali) e la sequenza del matematico Fibonacci.

    Non manca poi la filosofia sull’Eros, ben distinto dall’amore: «Io volevo l’erotismo, non l’amore. L’erotismo è dire di sì, l’amore è dire di no», spiega la protagonista Joe, una macchina di sesso che non pensa alle conseguenze delle proprie azioni sulle persone che incontra. Mentre l’amore che prova per il suo Jerome (LaBeouf) rende la sua sessualità piena di tormenti, perché amare significa soffrire. Ed ecco che il professor Seligman si vanta di un altro alto parallelo tra la Chiesa d’Oriente (Chiesa della gioia) a quella d’Occidente (Chiesa della sofferenza): dal masochismo alla punizione, dalla rinuncia all’umiliazione.
     
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