Twerking, diventa un film la moda che "agita" il mondo

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    Twerking, diventa un film la moda che "agita" il mondo

    La regista italiana Diana Manfredi, in arte Spaghetto, trapiantata a Los Angeles, ha indagato da dove arriva, e perché ha tanto successo, l'arte di scuotere il sedere durante le performance musicali. Dalla danza africana Mapouka agli show di Miley Cyrus, fino al Giappone, un fenomeno diventato planetario

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    Impossibile non notarlo. Anche chi non segue le mode si sarà accordo del twerking, o booty-shaking, insomma l'arte irriverente dello sculettare, possibilmente in modo frenetico. Basta andare su YouTube e scoprire che lo fanno a ogni latitudine. Complice il fenomeno pop Miley Cyrus che l'anno scorso, nel suo singolo We can't stop e poi nella sua esibizione agli MTV Awards, metteva in mostra un ossuto eppur dinamico sederino. Ma la Cyrus è la punta dell'iceberg di una controcultura che, per chi conosce il mondo dell'hip-hop, circola già da un bel po'.

    Una giovane regista italiana trapiantata negli Stati Uniti, Diana Manfredi - in arte Spaghetto - ha deciso di dedicare al twerking un documentario, approfondendone gli aspetti storici e sociologici. Il risultato si chiama #twerkumentary ed è il primo film dedicato a questa forma di danza. Se le sue origini sono riconducibili all'hip hop e all'underground americano, si tratta di uno stile di ballo radicato nella cultura afroamericana da molto più tempo. A New Orleans negli anni Ottanta si parlava di bouncing ("rimbalzare") e da oltre vent'anni il termine è entrato nel linguaggio slang - e dal 2013 è ufficialmente nell'Oxford English Dictionary. In molti ne collocano la nascita nella tradizionale danza Mapouka, nata nella regione Dabou, nel sud est della Costa d'Avorio, un ballo che, in un clima di divertimento collettivo, fa espliciti riferimenti all'atto sessuale. Chi lo pratica, muove freneticamente il bacino in posizione accovacciata. La folla spesso crea un cerchio intorno, per apprezzarne la bravura. Con occhi da antropologo la scena potrebbe assumere le sembianze di un rito tribale di fertilità.

    I più dotati tra i ballerini del twerking riescono anche a impegnarsi in acrobazie che richiedono pratica ed esercizio come spaccate, verticali e contorsioni. Il tutto avviene all'interno di sale buie illuminate al neon al ritmo di trap, grime, crunk ed altri derivati dell'hip hop. Ma come è possibile che una forma di danza così provocatoria e legata al mondo sotterraneo del rap sia emersa all'improvviso nel panorama mainstream mondiale? Galeotto è il web, ci spiega Diana Manfredi. "La rete ha cambiato il modo in cui i trend viaggiano per il mondo, rendendo di dominio pubblico ciò che prima solo pochi conoscevano. Lavorando a Los Angeles, nell'ambiente underground, non è la prima volta che vengo a contatto con fenomeni di nicchia che ben presto si espandono a macchia d'olio. Il twerking, tuttavia, ha assunto proporzioni mondiali, superando i confini degli Stati Uniti".

    Milanese, Diana vive a Los Angeles da otto anni. Lì ha girato numerosi video musicali per gruppi hip hop emergenti. All'inizio il suo interesse verso questa forma di ballo era mosso da semplice curiosità. "Sono sempre stata affascinata dalla diversità e dalla comunicazione e il twerking unisce entrambi questi aspetti, perché lega persone molto diverse tra loro, accomunate dalla voglia di mettersi in gioco". Platinatissima e dal look molto colorato, Diana, insieme al suo cameraman Gianfilippo De Rossi, ha girato e intervistato appassionati di twerking un po' ovunque. Dagli Stati Uniti all'Inghilterra, ma anche in Africa e Australia, fino al Giappone. "La cosa più straordinaria nel girare questo documentario - dice - è stata che se all'inizio pensavo di fare qualcosa di leggero e divertente, nel raccogliere le testimonianze mi sono accorta di toccare temi che vanno al di là del semplice fenomeno di costume. In molti mi hanno parlato di libertà di espressione e di come questo stile di ballo sia una forma di emancipazione del corpo femminile". La particolarità del twerking infatti, come tiene a sottolineare la regista, è che si fa da soli, "bastano una ragazza e il suo sedere". Il documentario, che verrà distribuito su varie tv e su Netflix, gode del supporto di moltissimi rapper USA e italiani, da E-40 ai Club Dogo e Fedez.

    In questo momento, però, per Diana e il suo piccolissimo entourage, è il momento piu difficile, quello della resa dei conti nel senso letterale. Per sostenere le spese di produzione ha avviato una campagna di crowdfunding appoggiandosi al sito Indiegogo. Sul sito twerkumentary.com si ha la possibilità di donare anche una piccolissima cifra per prendere parte attivamente al progetto. L'uscita del film è prevista per l'autunno e una cosa è certa: dopo averlo visto saranno in molti a sentire l'improvviso bisogno di mettersi a fare un po' di twerking nella propria camera


     
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